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Madonna Prudenzia da Trani a Firenze. «Giovane, bella e gratiosa»...ma assassina

Proprio così: giovane bella e gratiosa, chiamata nelle cronache cinquecentesche anche la Greca di Trani, per via forse di lontane ascendenze balcaniche.

Trani nei secoli passati fu una delle più ricche città portuali del mare Mediterraneo, che aveva rapporti commerciali oltre che con gli altri porti del Mare nostrum, con le città più importanti della penisola italiana ed anche con vari paesi esteri.

Questa favorevole condizione prettamente commerciale della città aveva stimolato la raccolta nel Cinquecento da parte dei consoli della città di Trani di un corpo organico delle antiche leggi in matera marittima e commerciale chiamato gli Ordinamenta et Consuetudo Maris.

La fiorente economia della cittadina aveva attirato varie comunità di commercianti straniere, fra queste quella più fiorente era probabilmente quella dei greci di religione ebraica.

In una di queste famiglie, di cui le cronache del tempo non riportano il nome, nacque verso l’anno 1523 la bellissima Prudenza, o Prudenzia, chiamata più comunemente la bella greca.

La ragazza, ancora giovane, si trasferì con la sua famiglia in un altro importante porto del Mediterraneo, ove i suoi genitori avevano impiantato una nuova attività commerciale, nella città di Ancona.

Nelle Marche la bella Prudenza conobbe il suo primo amore, un giovane di professione aromatario, ovvero specie di profumiere, o, se vogliamo, un farmacista ante litteram, molto pratico di erbe medicinali e intrugli vari allora usati per lenire questo o quel male.

Pacifico, questo il nome del giovane, le insegnò qualche elementare principio della sua professione; ma presto i genitori della ragazza, venuti a conoscenza della tresca di Prudenza, si affrettarono a rinchiuderla in casa e a trovarle un marito con una posizione economica più solida.

La scelta cadde su un commerciante fiorentino, tal Matteo Cecchi, pupillo di un importante cardinale romano, monsignor Marcello Crescenzi, prelato che le cronache definiscono come un libertino che ebbe anche prole illegittima; ma che, nonostante tutto, fu pure componente della Congregazione del Sant’Uffizio, ovvero l’Inquisizione romana.

Nominato cardinale nel 1542, il Crescenzio, l’anno successivo fu testimone di nozze nel matrimonio combinato fra la bella Prudenza e Matteo Cecchi.

La bella Greca si trasferì quindi a Firenze e in pochi anni ebbe numerosa figliolanza: due femmine tre maschi, ma il matrimonio prese col tempo una brutta piega!

Il marito impostole dalla sua famiglia si dimostrò ben presto un buono a nulla, un crapulone che dilapidava i pochi guadagni in bagordi, trascinando ben presto nella nera miseria la moglie e la prole.

Questa situazione di estremo disagio dovette alimentare in Prudenza, l’idea di liberarsi del marito e pertanto si apprestò ad avvelenarlo lentamente.
La Greca di Trani era ancora giovane, bella e graziosa e pensò in tal modi potersi rifare una vita e salvare i propri figlioli da una esistenza carica di stenti.

Il Cecchi, già infermo, avvelenato lentamente, morì ben presto senza sospetto, in quanto il suo trapasso fu attribuito ad un aggravamento delle sue già precarie condizioni di salute causate dalla vita sregolata che lo stesso conduceva.

Ma qualcuno che forse sospettava già della bella Greca, dopo qualche settimana dalla morte del Cecchi, pensò bene di avvisare in maniera anonima i magistrati criminali.

Forse si trattò di una giovane donna al servizio della stessa famiglia e presunta amante dello stesso Cecchi, oppure di uno spasimante della bella Prudenza che era stato da questa respinto la bella Greca, infatti, nonostante le cinque maternità, restava ancora una donna molto piacente.

Fatto sta che l’ignoto delatore aveva consegnato ai magistrati criminali, dopo averla sottratta in casa della Prudenza, anche una lettera in cui questa aveva inviato una richiesta di veleno al Pacifico, suo primo amore di gioventù in Ancona.

Il veleno richiesto era la cantarella!

Quest’ultimo era inodore ed insapore e veniva ricavato facendo essiccare le viscere dei maiali, dopo averle cosparse di arsenico e ridotte in una polvere bianca.

Difficile da individuare per le nozioni e le strumentazioni del tempo, la cantarella fu il veleno preferito della famigerata famiglia Borgia

La cantarella veniva usata anche come afrodisiaco se preso in dosi minime.

Il marchese de Sade, che ne faceva uso, fu condannato a morte nel Settecento dal Tribunale di Marsiglia, pena poi commutata in carcere, proprio per aver fato ingerire una quantità eccessiva di cantarella con aggiunta di zucchero ad una golosa prostituta, tale Marguerite Coste.

Date le caratteristiche di questo letale veleno, soprattutto se ingerito da persona già in cattive condizioni di salute, com’era ormai ridotto il Cecchi a causa dei suoi bagordi, la morte non tardò ad arrivare.

La bella Greca di Trani, però, ne dovette pagare quasi subito il conto.

Interrogata ben presto dalla magistratura criminale fiorentina, che le mostrò la lettera con la richiesta del veleno, Prudenza si giustificò dichiarando che all’aromatiere Pacifico, aveva richiesto il veleno per utilizzarlo in minime dosi sulla testa dei suoi figli, allo scopo di uccidere i pidocchi che si erano insinuati nelle capigliature dei pargoli.

I magistrati non diedero credito a questa sua ingenua versione e decisero di tradurla nelle carceri della città.

In prigione, la bella Greca, vistasi perduta e fortemente scoraggiata dalla piega presa dalle indagini, preferì confessare il suo delitto dichiarando che aveva somministrato per alcuni giorni la cantarella inserendo la polvere biancastra di questo potente veleno in alcune polpette di pollo che giornalmente preparava al marito infermo e giustificando il suo crimine a causa della vita miserabile cui ormai il coniuge aveva ridotto lei e i suoi cinque figli.

L’eco della vicenda si diffuse presto in tutta Firenze e il popolino patteggiò ben presto per il defunto marito chiedendo che venisse affrettata l’esecuzione della straniera, perché tale era considerata la bella Greca di Trani!

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