Riflessioni di Mons. Vincenzo Pelvi, Arcivescovo Metropolita Arcidiocesi Foggia – Bovino, 27.11.2020.
Cosa siamo diventati dopo questa pandemia, sia come comunità ecclesiale sia come comunità civile? A cosa siamo chiamati? Cosa possiamo diventare? Era “normale” il nostro modo di vivere prima? O forse Dio ci chiede proprio di non tornare a quella normalità, che fa sempre più a meno di lui, emarginandolo? Dallo scorso febbraio non abbiamo più potuto esprimere il nostro essere popolo di Dio: niente messe, niente catechismo, niente riunioni di ragazzi e giovani, niente attività di oratorio, niente feste parrocchiali. E così la pandemia ci spinge a cercare vie nuove o, come lo scriba evangelico, estrarre dal tesoro della tradizione della Chiesa “cose nuove e cose antiche”(Mt 13,52).Questo tempo ci parla e suggerisce di cambiare, prima che sia troppo tardi. La vita cristiana non è uno status, è uno stile, lo stile di Gesù; sentire che tutto viene da Dio e dalla sua grazia è la sola via che ci consente, come Chiesa, di crescere, di essere ancora credibile e attraente per gli uomini del nostro tempo. Si tratta di ascoltare i desideri, i sogni, i bisogni, lo smarrimento, dei fratelli e sorelle in umanità. La Chiesa: la famiglia di uomini e donne che si fa compagna di strada e in strada per incontrare, lasciarsi interpellare, accompagnare, “con viscere di misericordia”, piuttosto che una comunità chiusa in se stessa spenta dalla puritana fobia di contaminarsi con la ferita dell’altro. Una Chiesa che fa della parola “ministero”, cioè servizio, l’identità che la definisce. Essere cristiani è accompagnarci reciprocamente attraverso piccoli passi in mezzo ai grandi limiti umani, facendo lieto il cuore di Dio. Non dimentichiamo di essere nel nostro tempo una Chiesa della “lavanda dei piedi” che accompagna il cammino della gente, consapevole di come le ragioni di chi si allontana contengono già in sé le soluzioni per un possibile ritorno. Se si è a contatto con la vita, diventa essa stessa maestra e guida. Si è disposti a dare risposte a domande ed esigenze reali, più che formulare e moltiplicare proposte e iniziative, complicando ciò che è semplice. L’incontro con Dio non è organizzazione né solo conseguenza di una iniziativa missionaria. Esso avviene attraverso lo sguardo di Gesù, che ci fa godere della sua presenza. Come Gesù non esclude nessuno dal suo sguardo, così noi teniamo gli occhi aperti per evitare che qualcuno rimanga escluso dal nostro sguardo. Chi non è visto da nessuno, entra a far parte della schiera degli invisibili formata da emarginati, poveri, scartati e sfruttati. Per risolvere i problemi non c’è bisogno di grandi manager o di uomini forti, ma è necessario essere uniti nell’impegno di non cedere all’indifferenza. Il rinnovamento parte sempre dal basso, non è mai solo un’operazione di vertice. Urge, perciò, affrontare ogni sfida esistenziale prendendosi cura delle relazioni personali. Le persone vanno cercate una auna, con la discrezione necessaria, ma anche con la cordialità e l’interessamento sincero. Lo abbiamo verificato nei giorni del lockdown, quando c’è stata una forte domanda di ascolto che ha fatto crescere la nostalgia dell’amicizia serena e concreta. Se vogliamo diventare testimoni credibili, non arrocchiamoci sulle nostre abitudini e certezze, ma confidiamo nella forza di una minoranza più vitale, perché costituita da credenti a volte soli ed emarginati ma più motivati che rimettono la fede, la preghiera e la fraternità al centro della loro esperienza. Guardiamo il popolo di Dio come fa lo Spirito Santo, non come fa il mondo. Lo sguardo mondano vede strutture da rendere più efficienti, lo sguardo spirituale vede fratelli e sorelle mendicanti di misericordia. Allontaniamo, perciò, ogni forma di narcisismo e pessimismo abbandonandoci alla creatività dello Spirito, che si è manifestato e continua a farlo in tante forme di solidarietà verso i fratelli della porta accanto. Il segno dei tempi della pandemia ha smascherato la nostra vulnerabilità e scoperte quelle false e superflue sicurezze con cui abbiamo costruito le nostre agende, i nostri progetti, le nostre abitudini e priorità. la lode, allora avremo colto anche nella pandemia il sussurro della “brezza leggera” dello Spirito che sempre viene a vivificare la Terra.
“Una nuova immaginazione del possibile” (Papa Francesco)
Non è possibile indicare con precisione le cose da cambiare e quelle da assumere oggi e per l’immediato futuro, considerata la situazione in evoluzione. Più che il tempo di dare risposte, questo è il tempo di intercettare domande. Bisogna con coraggio innanzitutto cogliere le domande e, poi, con pazienza e costanza, lasciandosi guidare dallo Spirito Santo e illuminare dalla Parola di Dio, operare un “discernimento comunitario”, che permetta di rivedere il proprio cammino alla luce del passaggio doloroso del Covid-19. Tuttavia, proviamo a suggerire forme nuove di azione pastorale, che sono state già sperimentate, anche se in piccolo, nella prima fase della pandemia. Proprio in epoche come queste lo Spirito Santo ha suscitato nuovi santi, iniziative inedite, modelli nuovi di vita pastorale. Sviluppiamo quei germi di novità pastorale che già sono emersi in questi mesi. Abbiamo scoperto la preghiera in famiglia; non abbiamo mai visto tanta gente pregare in famiglia come adesso, malgrado non ci siano state le messe con i fedeli. Sta nascendo e vivendo di più la dimensione domestica, familiare: questa sarà la nostra salvezza! Nelle famiglie, nella preghiera in famiglia. Bisogna recuperare quello che il Concilio ha detto da cinquant’anni, ma che abbiamo trascurato: il sacerdozio battesimale. Tutti i battezzati sono sacerdoti: c’è un sacerdozio ministeriale, quello dei presbiteri certo, ma c’è un sacerdozio di tutti i battezzati. In questo momento di depressione e paura bisogna fare nuove tutte le cose e cambiare gli stili di vita, cercando di capire che cosa Dio ci sta dicendo in questo periodo. Serve un nuovo inizio che non ripeta, sostituisca o conservi le nostre abitudini e tradizioni pastorali e ci spinga a non aver paura di affrontare la realtà. Occorre che la consolazione, il conforto, la preghiera di intercessione entrino nelle case della nostra gente, soprattutto con l’invocazione, ma cambiando vita e lasciandosi attrarre dall’amore del Signore, facendo risuonare la speranza del Risorto.
La catechesi
Le forme normali di catechesi sono state sospese, perché richiedevano il radunarsi di più persone in luoghi chiusi, ma forse sta nascendo un modo nuovo di formare un pensiero a partire dalla fede. In questi giorni è nata l’esigenza di interpretare il tempo che stiamo vivendo. Un desiderio di riflessione, pensieri, interpretazioni che, alla luce della fede, aiutino a dare un senso, a trovare una saggezza, a vivere da credenti il tempo perché diventi un tempo di grazia. Se creassimo gruppi che, selezionando testi, riflessioni di qualità, li proponessero ai fedeli, alla gente, per aiutare a riflettere e meditare, anche per un desiderio di confrontarsi, di incontrarsi, per scambiare le riflessioni, insieme o a piccoli gruppi: non è forse questa una forma di catechesi? Ma le nostre comunità sono in grado di pregare con la Parola, nelle case, nei condomini ed essere protagoniste della crescita della vita cristiana?
La preghiera
Nel reimpostare la pastorale in tempo di Covid, bisogna recuperare la casa come luogo della Chiesa domestica (domus-casa). Del resto, la fede cristiana, per i primi tre secoli, è stata trasmessa, celebrata e vissuta nelle case; e ancora oggi la Domus può diventare lo spazio vitale della Ecclesia. Lasciamoci “addomesticare” da questa esperienza, cosicché la casa non sostituisca, ma integri le proposte di evangelizzazione, attraverso i media, i gruppi domestici di preghiera, con lettura del Vangelo, promuovendo un volontariato familiare, specialmente nei giovani. È auspicabile che si diffondano, nel tempo natalizio, prassi di vera e propria liturgia domestica, nell’esercizio attivo del sacerdozio battesimale e non solo nel ruolo di spettatori delle liturgie trasmesse attraverso il video. I genitori sono sacerdoti di una liturgia familiare che recupera i segni del pane, del perdono, della solidarietà, della carità. Sant’Agostino arriva a paragonare i genitori al Vescovo: «ciascuno nella propria casa, deve riguardare come suo l’ufficio del Vescovo: deve cioè vigilare sulla fede dei suoi, perché nessuno di loro cada nell’eresia, né la moglie, né il figlio, né la figlia»
Nell’avvicinarci al Natale, facciamo una sfida a cercare nuovamente Cristo, senza lasciarci prendere alla sprovvista, ma riconoscendolo quando parlerà dello Spirito che porta la pace e allontana la paura.
La carità
Nel tempo dell’epidemia si è sviluppata la «fantasia della carità»(Giovanni Paolo II). Non solo il solito pacco, ma anche nuove iniziative come: la disponibilità a fare la spesa per chi non poteva uscire di casa; un numero sempre attivo per il Centro di ascolto; un telefono amico per le persone sole, in difficoltà; l’arrivo di nuovi volontari; l’utilizzo dei social media per contattare e tenere in rete i bisogni; il legame con altri Centri di ascolto coordinandosi meglio. Come sarebbe significativo che ogni famiglia cristiana accogliesse e facesse sedere alla propria tavola i poveri e gli stranieri, senza demandare troppo facilmente questo servizio alle istituzioni create dalla Chiesa. È forte, infatti, l’urlo di bambini ammalati e denutriti, di giovani disorientati e spenti, di famiglie senza casa, di anziani abbandonati, di persone fuggite dalla loro terra, che respirano paura e rifiuto. A questo scopo è necessario prendersi cura delle relazioni personali. I fedeli vanno cercati uno per uno, con la discrezione necessaria, ma anche con la cordialità e l’interessamento sincero. Abbiamo bisogno di riscoprire la bellezza delle relazioni all’interno, tra collaboratori, praticanti... Abbiamo bisogno di creare in parrocchia un luogo dove sia bello trovarsi. E che ciò traspaia all’esterno, a quelli che compaiono qualche volta per far celebrare i sacramenti.
Offriamo allo Spirito del Signore uno spazio aperto di attesa e di desiderio, uno spazio concreto di menti e di cuori, di anime e di carne, perché possa operare e manifestarsi nel tessuto profondo della nostra umanità come potenza di salvezza dalla fragilità e dalla solitudine, dall’aridità, dalla confusione, dagli inganni delle illusioni e dalla disperazione, come potenza di speranza che non delude.