Che a Trump piace avere il controllo di tutto, lo abbiamo constatato in questi anni. Un potere quasi egemone quello del Presidente degli Stati Uniti d’America, a capo della più antica Costituzione e democrazia.
Ma volere il controllo non vuol dire imporre volontà; averlo lo è. E ciò non è rientrato nelle azioni di Trump. Ci ha provato, ma la democrazia cui è ed è ancora a capo, glielo impediva, per fortuna.
Perché allora un solo uomo detiene il potere di comunicazione su milioni di persone?
Mark Elliot Zuckerberg, pertanto, alla luce degli ultimi eventi e anche di altri avvenuti in questi anni, ha più potere di Trump? E ora anche di Biden?
Si, lo ha!
Decide chi deve scrivere e chi no su Facebook e Instagram, mettendo in luce chi la pensa come lui e oscurando chi gli è contrario. Un distinguo antidemocratico, contro ogni legge sulla libera espressione e stampa. “Rischio troppo grande” la motivazione del magnate social, che vedrebbe a rischio la democrazia statunitense, il suo equilibrio, la sicurezza nazionale e internazionale. Tutte giuste motivazioni, opinabili quando chi le attua è schierato politicamente. E Zuckerberg evidentemente lo è.
Quello che è accaduto all’Epifania è stato un attacco al potere. Mai nessuno, se non più di duecento anni fa, ha violato le mura del Campidoglio a stelle e strisce.
Facebook e Instagram saranno pure due piattaforme social web private, ma sono di utilizzo pubblico, dove il confronto è il sale del loro successo. Tra l’altro sono registrate legalmente negli States, dove, appunto la libertà di espressione è sacra, inviolabile. Il primo emendamento della Costituzione degli Stati Uniti garantisce la terzietà della legge rispetto al culto della religione e il suo libero esercizio, nonché la libertà di parola e di stampa, il diritto di riunirsi pacificamente e il diritto di appellarsi al governo per correggere i torti. Lo è anche in Italia con l’art. 21 della Costituzione, anche se poi gli effetti son molto diversi. Ma questa è un’altra storia. Una libertà, di espressione, garantita in calce in tutti i paesi democratici, o quasi nei fatti.
Senza prender come esempio la Corea del Nord, la Cina pur avendo una norma similare, nei fatti è un paese totalitarista. Qui la libertà di espressione è vista come minaccia e con essa chi la applica. La giornalista freelance Choi Yuk-ling è l'ultimo niet alla stampa, un bavaglio che perdura da decenni. Mai la Cina ha comunicato in totale libertà ciò che avveniva all’interno; se giunto, era filtrato, e solo dopo mesi. I dati del SARS-CoV-2 sono un esempio. Ebbene, in virtù, diciamo…, di ciò, la Cina si è fatto i suoi social web, Qzone e Weibo, cui è possibile accedere solo dai confini territoriali. Una rete informatica controllata, filtrata, censurata al primo commento contro lo Stato e chi lo rappresenta. Ma è la Cina, un paese ufficialmente con una Repubblica detta Popolare Cinese, che nei fatti è una dittatura. Gli States no. E allora perché si censura, si oscura, si zittisce? Zuckerberg, il Kim Jong del web? O è l’anello informatico, tra l’altro scoperto, di una rete occulta di poteri forti?
Un uomo nei paesi democratici non può avere il potere assoluto su chi e cosa debba essere scritto. Al massimo la Legge decide se qualcosa possa rimanere in chiaro. Ma questo riguarda altre problematiche, quelle che violano le leggi vigenti. Non pare che Trump abbia violato leggi con i post sui due social. Nei suoi quattro anni da Presidente, Trump ha scritto di tutto e di più e mai son stati oscurati i suoi profili social. Oggi è avvenuto, pur essendo ancora il Presidente in carica. Potenza di Biden o semplicemente volontà di Zuckerberg, poiché a breve Trump lascerà la Casa Bianca? Eppure il biondo ciuffo ci ha “abituati” a post sul filo del rasoio, borderline sulla legalità, fomentatori e discutibili, spesso dissoluti anche sessisti e omofobi, post quasi eversivi e belligeranti. Sapevamo chi fosse e anche Zuckerberg lo sapeva.
Trump grida a brogli elettorali. Se lo fa perché potrebbe avere significativi indizi, anche prove. Ci sono indagini in corso, Italia compresa, con nomi di spessore, da Impeachment tricolore se fossero provate. Ma anche questa è un’altra storia, che sta inanellando indizi, anche più di tre.
Oggi l’attenzione è su Trump, su quello che ha scritto sui social, aizzando folle tanto da farle riunire in piazza. Il resto lo conosciamo bene com’è andato. “Golpe” la parola utilizzata da media e politici bideniani, l’indomani l’assalto e assedio a Capitol Hill studiato dall’uscente inquilino della White House. E Zuckerberg che non digerisce Trump, lo oscura sulle sue piattaforme social. Come ha fatto nelle ore scorse anche Twitter. Verrebbe da dire un complotto contro la libera espressione trumpiana, che viola la Costituzione e che mette in risalto un problema ancor più grande: potere assoluto di Zuckerberg, dunque controllo della comunicazione. Un po’ come sta avvenendo in queste ore su Facebook a chi sono contro i vaccini: son stati oscurati i loro profili. E non tutti erano No-Vax, semplicemente non hanno ben chiare le idee sulla composizione ed effetti del vaccino. Un interrogativo lecito, democratico, prudente.
Totalitarismo statunitense di un uomo, Zuckerberg, in spregio a milioni di altri che credono nella Costituzione che negli Stati Uniti è più una fede che un dovere. In spregio alla libertà di parola e di stampa, da sempre colonna portante per la ricerca della verità.
La verità, per dirla tutta, è che mentre noi siamo prigionieri di Zuckerberg & Co., questi si arrogano il diritto di decidere chi può scrivere, chi può parlare, chi avere una foto anche osé e chi no. Su Facebook sono in chiaro i profili di Erdogan, finanche degli ayatollah, ma Trump oggi no, è stato oscurato. Decidono dall’oggi al domani anche alcuni meccanismi sulla privacy. È il caso delle scorse ore di WhatsApp, di proprietà Facebook perciò del sempre Zuckerberg, che ha cambiato con alcune giustificazioni le regole di riservatezza dei dati. Potere assoluto nelle mani di un uomo, quassi fosse assolutismo.
Qui non si è pro o contro Trump, assolutamente. Si è pro per la libertà di espressione, per la democrazia.
Zuckerberg non può zittire Trump, o chi non la pensa come lui. E con lui i suoi “& Co.”. Zuckerberg non può sentenziare contro Trump. Saranno i giudici a farlo se violazione c’è stata, applicando le leggi, le stesse surrogate da principii titolaristi di magnati che decidono sulle sorti delle persone.
Non è democrazia quella applicata da Zuckerberg, che obbliga il popolo social a seguire e rispettare le sue regole sull’espressione. Nessuno può a prescindere decidere sulle sorti e il futuro di un’altra persona.
C’è un problema, il grande bavaglio. Il giusto sarebbe un'autority internazionale, un Garante sul non bavaglio sui social network.
E ora Zuckerberg oscuri anche noi giacché non la pensiamo come lui.
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