Oggi, 1 aprile 2021, [VIDEO] la Polizia di Stato celebra i 40 anni della legge di riforma

Il 1 aprile 1981 è infatti stata promulgata la legge 121 che ha “smilitarizzato” il Corpo delle Guardie di Pubblica Sicurezza, costituito la Polizia di Stato come prima forza di polizia civile a competenza generale e ridisegnato il sistema della Pubblica Sicurezza del Paese.

Il Dipartimento di Pubblica Sicurezza ha voluto evidenziare l’importanza della ricorrenza con un libro dal titolo “La riforma dell’Amministrazione della pubblica sicurezza” del Prefetto Carlo Mosca, scomparso purtroppo pochi giorni fa, che di quella riforma è stato uno degli ispiratori. Dopo il messaggio del Presidente della Repubblica Mattarella, quello del Ministro dell’Interno Lamorgese e del Sottosegretario Franco Gabrielli, nei 12 capitoli del libro si snodano i temi più significativi di quella riforma lontana nel tempo eppure ancora cosi attuale. Ogni capitolo si arricchisce del contributo di riflessione da parte di una personalità del mondo religioso, scientifico, politico o istituzionale: il Cardinale Gianfranco Ravasi approfondisce gli aspetti del “servizio”, il Ministro Marta Cartabia quelli del ruolo delle “donne”, il Procuratore generale Giovanni Salvi l’introduzione del ruolo degli “Ispettori”, il prof. Michele Ainis i “sindacati”, il dott. Gianni Letta l ”ordine e la sicurezza pubblica” e poi ancora il professore Giuliano Amato, Marino Bartoletti, Eugenio Gaudio, Annamaria Giannini, Gaetano Manfredi, Antonio Romano, Maurizio Viroli.

Sono 181 pagine ricche di immagini, anche storiche, che ricordano il passaggio da amministrazione militare di polizia ad amministrazione civile di garanzia, illuminata dallo spirito e dal dettato della Costituzione Repubblicana, al servizio dei cittadini e delle Istituzioni democratiche del Paese.

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Riforma Ammne Pubblica 40 anni 1apr2021

40 anni di cambiamenti

Un lungo percorso di traguardi e prospettive, illustrato e commentato da un libro curato da Carlo Mosca, uno degli ideatori della riforma.

Trasformazione e innovazione. Questi i punti salienti di un’importante ricorrenza: i 40 anni dalla Legge 121 del 1981, che determinò la trasformazione del Corpo delle guardie di pubblica sicurezza nella Polizia di Stato. Nasceva allora una polizia moderna, “smilitarizzata” e caratterizzata da una forte identità civile, votata al servizio della comunità. Una legge divenuta nel tempo un caposaldo fondamentale della nostra società e ancora oggi straordinariamente attuale: la 121 ha infatti affidato all’Istituzione una missione non solamente volta a presidio della sicurezza del Paese, «bensì proiettata verso la cura dell’ordine democratico e che concorre a rendere vera la libertà di esercizio dei diritti garantiti dalla Costituzione». Questo il commento del presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, nella prefazione del libro “La riforma dell’Amministrazione della pubblica sicurezza”, a cura di Carlo Mosca, consigliere di stato, prefetto e tra i principali ideatori della riforma in collaborazione con l’Ufficio relazioni esterne e cerimoniale. Un volto nuovo che ha ridisegnato l’intero assetto dell’Amministrazione, rendendola più moderna e dinamica, proiettata verso il futuro e capace di affrontarne nuove sfide con efficaci strategie, non solo sul piano interno ma anche a livello internazionale: dal cambio dello “status militare” all’apertura al mondo sindacale, dall’avvento degli ispettori con mansioni investigative al coordinamento tecnico-operativo delle forze di polizia, dalla creazione dei ruoli tecnici e sanitari alla parità di genere, che garantì alle donne le stesse modalità di accesso e le medesime opportunità di carriera dei colleghi uomini, e molto altro ancora. «Oggi – scrive ancora Mattarella nella prefazione – la Polizia è un corpo dello Stato che i cittadini riconoscono come amico, accessibile e aperto, un elemento di coesione. Una “empatia democratica”, guadagnata sul campo anche nei giorni durissimi di questo annus horribilis appena trascorso». È soprattutto questo “cambiamento”, il punto cardine con cui inizia il libro: «Il rinnovamento e il rinascimento culturale – spiega Mosca – hanno accreditato una nuova teoria, quella della sicurezza condivisa e partecipata, che ha rideterminato il rapporto tra comunità e forze di polizia, le quali si avvalgono della collaborazione attiva della cittadinanza, come efficace strumento di prevenzione dei reati». Altra pietra miliare di questo lungo cammino è l’evoluzione dell’identità istituzionale, «una connotazione distintiva – sostiene il prefetto – e una configurazione dell’Istituzione di appartenenza con la quale si contrae una sorta di obbligazione motivante e strategica per il singolo e per la stessa Istituzione. Il singolo, infatti, confida in quest’ultima per esprimere il suo talento al servizio dei cittadini. Ciò permette agli operatori di essere riconosciuti e identificati e, allo stesso tempo, di essere valutati da coloro i quali si aspettano, dalle Istituzioni e dai loro appartenenti, un comportamento coerente con quei tratti distintivi propri dell’identità abbracciata». Ne consegue che il possesso di una identità forte accresce negli operatori l’orgoglio di appartenenza e «sollecita alla perseverante testimonianza di servizio teso al bene comune – continua Carlo Mosca – migliorando il rapporto tra Istituzione e cittadini, generando una continua evoluzione dell’immagine istituzionale e dell’utilità dell’Istituzione come baluardo e argine a difesa dei valori della Repubblica democratica». Nel disegno operato dalla legge 121, all’identità istituzionale, propria delle componenti ministeriali come il Corpo prefettizio, la Polizia di Stato, i Vigili del Fuoco e il personale civile dell’Amministrazione, si aggiunge un’identità comune o plurale, come sottolinea Mosca, di cui sono titolari sia le componenti citate, sia le altre forze di polizia che fanno riferimento all’Amministrazione della pubblica sicurezza. È l’identità fondata sulla missione affidata al ministero dell’Interno, cioè sulla garanzia dell’esercizio dei diritti di libertà proclamati dalla nostra Costituzione. Con questo spirito, in sostanza, il ministro dell’Interno diviene Autorità nazionale di pubblica sicurezza, riuscendo ad assicurare l’affermazione di una società più libera e democratica che si sviluppa in ragione delle possibilità di vivere la Costituzione nei suoi principi e nei diritti in essa sanciti. «La legge di riforma è ritenuta un progetto normativo complesso – commenta il ministro dell’Interno, Luciana Lamorgese, sul volume celebrativo della 121/81 – che, se da un lato ha segnato il passaggio della Polizia di Stato a forza di polizia a ordinamento civile, dall’altro, ha anticipato, quella visione del bene sicurezza, divenuta patrimonio condiviso del nostro vivere sociale. La nozione stessa di sicurezza è mutata, assumendo una portata nuova, sempre più orientata, in una prospettiva costruttiva, a divenire fattore determinante di sviluppo sociale ed economico di un Paese, e parametro sostanziale di valutazione della qualità di vita della sua comunità». Con la riforma, in materia di ordine e sicurezza pubblica, si afferma anche il ruolo di guida e coordinamento delle forze di Polizia da parte del capo della Polizia - Direttore generale della pubblica sicurezza. A tale proposito, il nuovo capo della Polizia Lamberto Giannini ha commentato: «Celebriamo questo 40° anniversario non solo con iniziative formali ma dando attuazione al processo riformatorio delle articolazioni centrali e territoriali del Dipartimento della ps. Una riorganizzazione che, pur conservando lo spirito di quella straordinaria legge, ne attualizza i contenuti. Per avere un Dipartimento di ps e una Polizia di Stato al passo coi tempi, in grado di rispondere alle istanze di sicurezza delle nostre comunità».

A livello territoriale, il prefetto diviene l’Autorità provinciale e ha la responsabilità generale dell’ordine e della sicurezza pubblica, mentre il questore, non è più alle dipendenze del prefetto, e assume la veste di Autorità provinciale “tecnica” di pubblica sicurezza.

Un’altra parola chiave che caratterizza la pubblicazione e la Riforma del 1981 è il servizio. Quando è riferito a un bene pubblico, il fine si deve contraddistinguere per il perseguimento del bene comune e dell’interesse generale. Per i poliziotti il servizio è il dovere professionale e morale «da adempiere con disciplina e onore», è l’assidua presenza tra la gente, è il sorvegliare il sereno andamento della vita di tutti i giorni, «esercitando il ruolo di sentinella istituzionale». È in questo ambito che si colloca la polizia di prossimità, coinvolgendo tutte le forze dislocate sul territorio, garantendo ad ogni cittadino non solo la sicurezza mediante attività di repressione e di prevenzione, ma anche, come conclude Mosca, «acquisendo migliori servizi sociali, elaborando progetti di lavoro e sviluppo economico, programmando interventi a favore delle vittime di violenza di ogni tipo, risanando il degrado urbano e contenendo le aree di emarginazione». Solo così la Polizia può collocare i cittadini al centro della sua vera missione istituzionale, assicurandole i diritti civili e sociali. L’impegno dei poliziotti nel sociale, l’empatia e l’umanità e il dialogo con altri Enti sono il segno di un prezioso cammino di impegno e crescita attraverso gli anni. È stato scelto di raccontare questo articolato percorso di cambiamento attraverso alcune parole d’ordine contenute nel libro sulla riforma e commentate da personalità delle istituzioni e non solo. Tra queste non poteva mancare il contributo di Franco Gabrielli, che ha ricevuto l’incarico di sottosegretario alla Presidenza del Consiglio con delega ai servizi di sicurezza della Repubblica, il quale sottolinea la complessità del lungo iter parlamentare che portò alla riforma la quale «tocca i gangli vitali di una democrazia. Nella difficile ricerca di una convergenza necessaria, il dibattito coinvolse non solo il Parlamento e le forze politiche e sociali del Paese, ma impegnò la stessa platea dei poliziotti, l’opinione pubblica, la stampa. Questo faticoso procedere, come sottolineò il relatore della legge alla Camera, l’onorevole Oscar Mammì, contribuì a evitare quanto il terrorismo e la criminalità si proponevano, evitare cioè che si realizzasse il fine di “dissaldare”, in un Paese a democrazia piuttosto giovane, le Istituzioni dai cittadini, i poliziotti dai lavoratori».

Il volume raccoglie i contributi di autorevoli figure istituzionali, del mondo ecclesiastico, della cultura e della società civile: da Gianfranco Ravasi a Giuliano Amato, da Marta Cartabia a Giovanni Salvi, da Gianni Letta a Gaetano Manfredi, da Maurizio Viroli a Michele Ainis, da Eugenio Gaudio ad Antonio Romano, da Anna Maria Giannini a Marino Bartoletti, che illustrano alcuni tra i temi più significativi per i quali questa straordinaria legge ebbe riflessi riformatori.

SERGIO MATTARELLA – PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA

I quarant'anni della legge di riforma dell'Amministrazione della pubblica sicurezza coincidono con un altro anniversario che il 2021 ci consegna: i 160 anni dell'Unità d'Italia. Sono ricorrenze tra loro intimamente collegate. La Polizia è uno dei volti dello Stato. La storia della Polizia è parte del racconto della edificazione dello Stato unitario, ne ha seguito l'evoluzione costituzionale garantendo lealtà nello svolgimento dei suoi compiti di autorità preposta al mantenimento dell'ordine pubblico.

La legge 121 del 1981 è caposaldo vivo e vitale dei nostri tempi: ha rapportato l'agire della Polizia nella società ai valori della Costituzione repubblicana, affidandole una missione non dissipata in un compito meramente securitario, bensì proiettata esplicitamente verso la cura dell'ordine democratico del Paese.

Una funzione scolpita nell'art. 24 quando, al primo posto tra i compiti della Polizia di Stato, troviamo indicata la tutela "dell'esercizio delle libertà e dei diritti del cittadino".

Questa nuova ontologia, già rintracciabile nel ruolo affidato alla Polizia di Stato sin dall'inizio della stagione repubblicana, si fa palese e si rafforza proprio con la legge del 1981 - approvata dal Parlamento con un largo concorso sia delle forze di maggioranza sia di quelle di opposizione - offrendo maggiore luce al ruolo delle donne e degli uomini impegnati "al servizio delle istituzioni democratiche".

La Polizia nel contesto costituzionale si pone come presidio di sicurezza che concorre a rendere vera la libertà di esercizio dei diritti garantiti dalla Carta fondamentale.

I principi ispiratori della riforma - che vanno quotidianamente vissuti per renderla effettiva - hanno contribuito a ribaltare l'immagine antica - forse mai totalmente rispondente alla realtà - di un corpo dello Stato vocato a funzioni puramente repressive per imporre un ordine gradito al potere di turno.

La polizia moderna nella logica costituzionale propria della riforma dell'81, è oggi un corpo dello Stato che i cittadini riconoscono come amico, accessibile ed aperto, elemento di coesione.

Una 'empatia democratica' guadagnata sul campo anche nei giorni durissimi di questo annus horribilis appena trascorso, ma nata negli anni difficili del terrorismo, nutrita, nei lunghi 40 anni dall'introduzione della riforma, dal lavoro e dal sacrificio dei suoi componenti. Un impegno lungo che ha prodotto così i suoi effetti.

Uno dei caratteri più significativi di quella riforma, che introdusse principi moderni sia dal punto di vista organizzativo - si pensi alla dimensione dipartimentale - sia valoriale- si pensi alla parità di genere nella struttura del Corpo - è rappresentato dalla attuazione del fondamento pluralistico.

La parola pluralismo fa parte di una endiadi indissolubile con la parola democrazia e richiama il lemma latino plus, che evoca l'idea di "incremento".

Il pluralismo implica incremento di democrazia e la Polizia di Stato recepisce questo principio facendolo elemento costitutivo. Una struttura inclusiva, con il pluralismo delle voci sindacali, il metodo meritocratico, la parità di genere sancita per la prima volta nell'impianto normativo delle amministrazioni pubbliche, con chiari riferimenti alla sua realizzazione con parità di attribuzioni, di funzioni, di trattamento economico e di progressione di carriera per il personale sia di genere maschile sia di genere femminile.

La capacità di operare in organismi interforze, di interagire con i territori, di porsi come struttura flessibile in grado di rispondere all'evoluzione della società italiana sovvenendo ai nuovi bisogni di tutela che essa pone, rappresentano ulteriori caratteristiche dell'assolvimento pieno del concetto di servizio che connota l'identità delle forze di Polizia e che si declina perfettamente col servizio alla democrazia costituzionale che è intrinsecamente pluralista e significa, dunque, servire tutti i cittadini e nel rispetto dei diritti di ognuno.

Per i tanti fronti di impegno, memori dei sacrifici e del prezzo di vite pagato nell'assolvimento dei compiti, rinnovo la riconoscenza della Repubblica a tutti gli operatori della Polizia chiamati a vivificare ogni giorno la missione loro assegnata dalla Legge perché, come recita il loro motto: "Sub lege libertas".

SOTTOSEGRETARIO DI STATO ALLA PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI AUTORITA’ DELEGATA PER LA SICUREZZA DELLA REPUBBLICA (Capo della Polizia – Direttore Generale della Pubblica Sicurezza dal 19 maggio 2016 al 1^ marzo 2021)

“Credo che non si abbia una visione esatta della complessità della legge se non si tiene conto di un fatto: la riforma non si esaurisce nella smilitarizzazione, nella sindacalizzazione, nel riconoscimento dei diritti civili e politici, ma investe il sistema complessivo dell’Amministrazione della pubblica sicurezza, dal vertice alla periferia, dalle strutture organizzative al piano funzionale e istituzionale”.

Con queste parole, l’allora ministro dell’Interno, Virginio Rognoni, nella seduta della Camera del 25 marzo 1981, accompagnò, verso la conclusione, un dibattito parlamentare iniziato l’8 novembre 1979, che condurrà alla promulgazione della legge 1 aprile 1981, n. 121, recante il “Nuovo ordinamento dell'Amministrazione della pubblica sicurezza”.

Smilitarizzazione, sindacalizzazione, parificazione del ruolo delle donne, creazione del ruolo degli ispettori. Tutte istanze di democratizzazione e modernizzazione che, emerse sin dall’inizio degli Anni ’70, trovarono finalmente una risposta sistemica in quell’aprile del 1981.

Tant’è che oggi la Polizia di Stato ha scelto di festeggiare la ricorrenza della propria fondazione, risalente al 1852, proprio il 10 aprile, data di pubblicazione della legge, per sottolineare il vincolo indissolubile che lega l’Istituzione a quel provvedimento normativo.

Ma la 121, come tradizionalmente viene chiamata, non fu solo questo. Fu, innanzitutto, come lucidamente sottolineato dal ministro Rognoni, la legge che ha definito e disciplinato l’architettura dell’Amministrazione della pubblica sicurezza nel nostro Paese, un concetto molto più ampio e complesso delle stesse forze di polizia che la compongono. Con quel provvedimento furono fissati, infatti, alcuni principi cardine nel nostro sistema. Primo fra tutti, l’unicità dell’Autorità nazionale di pubblica sicurezza, identificata nel ministro dell'Interno. Perché in uno stato democratico la direzione degli apparati deputati alla sicurezza deve necessariamente far capo a un vertice politico, espressione di un Parlamento, sintesi della volontà popolare. Questa è la democrazia. Nel contempo fu fissato un corollario fondamentale: l'Autorità nazionale si avvale per la tutela dell’ordine e della sicurezza pubblica, di un’amministrazione “civile” della pubblica sicurezza, composta dalle Forze di polizia, dai prefetti, dai questori, dai sindaci e anche dai cittadini che rivestono la qualifica di agenti di pubblica sicurezza. Questa amministrazione civile della pubblica sicurezza, così strutturata, è presidio di legalità e di sicurezza nel nostro Paese.

La complessità di tale materia aiuta a comprendere le ragioni di un iter parlamentare lungo e travagliato, come devono necessariamente esserlo le grandi riforme istituzionali che toccano i gangli vitali di una democrazia. Nella difficile ricerca di una conversione necessaria, il dibattito coinvolse non solo il Parlamento e le forze politiche e sociali del Paese, ma impegnò la stessa platea dei poliziotti, l’opinione pubblica, la stampa. Questo faticoso procedere, come sottolineò il relatore della legge alla Camera, l’onorevole Oscar Mammì, contribuì a “evitare quanto il terrorismo e la criminalità si proponevano, evitare cioè che si realizzasse il fine di dissaldare, in un Paese a democrazia piuttosto giovane, le istituzioni dai cittadini, i poliziotti dai lavoratori”.

A quarant’anni dal suo varo, abbiamo voluto celebrare questo architrave del nostro sistema di sicurezza, invitando personalità delle Istituzioni, del mondo della cultura, del giornalismo, della società civile a sviluppare i principali temi sui quali questa straordinaria legge ebbe riflessi riformatori.

Pur nella loro varietà ed eterogeneità, tutti questi preziosi contributi, ognuno dei quali meriterebbe uno specifico approfondimento, sembrano riconnettersi a un tema centrale, che tocca un topos di ogni democrazia: il rapporto tra libertà e autorità, tra libertà e coloro che sono chiamati a tutelarla.

Spero che la lettura di queste pagine possa aiutare a comprendere la lungimiranza del legislatore del 1981 che ha contribuito a fare del ministero dell’Interno la “casa dei diritti e delle libertà”.

Donne, la svolta della legge 121

Una delle più importanti tappe della riforma che sancì l’eguaglianza con i colleghi uomini, commentata da Marta Cartabia.

Una data storica quella che vide 62 anni fa la comparsa delle quote rosa in polizia: era il 1° marzo 1961 quando entrarono in servizio le prime ispettrici appartenenti alla carriera direttiva del nuovo Corpo di polizia femminile, istituito con legge n. 1083 del 7 dicembre del 1959, creato su indicazione dell’allora capo della Polizia Giovanni Carcaterra. Quattro mesi dopo furono affiancate dalle assistenti di polizia, appartenenti alla carriera di concetto dello stesso Corpo. Le poliziotte, assegnate a uffici come quello di Polizia femminile, la Sezione minori o le Squadre buoncostume delle questure, avevano incarichi specifici che riguardavano il contrasto dei reati nei confronti di donne e bambini, reati contro la moralità pubblica e a sfondo sessuale. Spesso le prime poliziotte venivano impiegate anche per la tutela del lavoro minorile e femminile, le indagini e gli atti di polizia giudiziaria che riguardavano le stesse categorie di persone, nei confronti delle quali svolgevano compiti di vigilanza e di assistenza per i provvedimenti di polizia (se i minori erano in stato di abbandono morale e sociale, come il contrasto all’evasione scolastica.) Non si può dimenticare l’impiego massiccio della polizia femminile in occasione di calamità naturali: ispettrici e assistenti per la prima volta intervennero per il terremoto nella valle del Belice (1968), di Tuscania (1971), di Ancona (1972) e in quelli, disastrosi per numero di vittime, del Friuli (1976) e dell’Irpinia (1980).

Poteri e mansioni particolari quelli delle prime donne in divisa, ma anche limitati: «Il raggiungimento della parità con i colleghi uomini – scrive il prefetto Carlo Mosca nel suo libro sulla riforma – è stato uno dei primi obiettivi, nell’osservanza del dettato costituzionale, di cui all’articolo 51, secondo il quale tutti i cittadini dell’uno e dell’altro sesso possono accedere agli uffici pubblici in condizioni di uguaglianza». Decisiva è stata anche l’entrata in vigore, alla fine del 1977, della cosiddetta “legge Anselmi” che vietava qualunque discriminazione, anche indiretta, fondata sul sesso per quanto riguarda l’accesso al lavoro, in qualunque settore o attività professionale. Un percorso articolato e complicato quello relativo alla parità di genere: «Finalmente – sottolinea Mosca – nel 1981, la riforma attuata con la legge 121, nel disporre lo scioglimento del Corpo delle guardie di pubblica sicurezza e del Corpo di polizia femminile stabiliva che il relativo personale, unitamente con quello appartenente ai ruoli del personale civile della carriera direttiva dell’Amministrazione della pubblica sicurezza, confluisse nei ruoli del personale della Polizia di Stato». Era caduta l’ultima barriera: la riforma aveva così sancito la piena equiparazione tra personale femminile e maschile, con parità di attribuzioni, funzioni, trattamento economico e progressione in carriera. Questa “rivoluzione rosa” aprì la strada, con la legge n. 380 del 20 ottobre 1999, all’ingresso delle donne in tutte le forze armate. «Oggi, nella Polizia di Stato – conclude il prefetto – circa quindicimila donne sono impiegate in tutti gli ambiti operativi, tecnici e dei sanitari, ricoprendo tutte le qualifiche. Da pochi mesi, per la prima volta, una donna è diventata vice capo vicario della Polizia»..

«La presenza delle donne nella Polizia di Stato appartiene alla storia recente. Come è accaduto per altre funzioni pubbliche la partecipazione delle donne all’esercizio di funzioni della sicurezza pubblica è stata ostacolata dal pregiudizio che determinate attività non fossero adeguate alla natura della donna. La legge 121 rimosse gli ostacoli giuridici alla effettiva parità delle donne nel servizio di polizia e simbolicamente marcò la fine dell’eguaglianza condizionata alle attitudini di genere. A distanza di quarant’anni è significativo notare che la presenza femminile nelle Forze di polizia è particolarmente qualificata. Caduti gli ostacoli di ordine giuridico, le donne con il loro lavoro, la loro dedizione e la loro professionalità hanno mostrato il contributo che sono in grado di offrire alla vita sociale, anche in questo ambito, che era loro tradizionalmente precluso».

Marta Cartabia, Ministro della Giustizia

Sindacati, autonomia   e  imparzialità

Continua il processo di democratizzazione della 121/81. La nascita delle organizzazioni a tutela dei poliziotti commentata da Michele Ainis.

Nel corso degli Anni ‘70 sull’onda della crescente sindacalizzazione della società italiana, i movimenti democratici rivendicativi di spazi di libertà finirono per coinvolgere anche le forze armate e, in particolare modo, la Polizia per la quale si richiedeva oltre alla smilitarizzazione, anche il riconoscimento della rappresentanza sindacali. Sotto questo punto di vista la legge 121 ha rappresentato un ulteriore tassello nel processo di democratizzazione dell’Italia: fino a quel momento, infatti, il sindacato restava escluso del tutto dalla struttura militare della pubblica sicurezza. «L’importante riconoscimento della libertà sindacale per il personale della Polizia di Stato – afferma Carlo Mosca – si fonda sulla pluralità di organizzazioni sindacali dirette e rappresentate da personale di polizia in servizio o in quiescenza, organizzazioni che tutelano gli interessi degli operatori di polizia senza interferire nella direzione dei servizi o nei compiti operativi». Nella legge del 1981, l’imparzialità, elemento imprescindibile che deve contraddistinguere l’Istituzione di polizia e i suoi appartenenti, è stata sottolineata «nel suo significato istituzionale dalla previsione legislativa – sostiene ancora il prefetto – secondo cui i sindacati di polizia, all’articolo 83, comma 2, della 121/81, non possono aderire, affiliarsi o avere relazioni di carattere organizzativo con altre associazioni sindacali, quasi a voler pretendere una sorta di autonomia su cui si è molto discusso, visti i collegamenti che si sono creati tra le numerose organizzazioni e le centrali sindacali confederali e autonome».

Questo al fine di evitare una politicizzazione dello strumento sindacale e perché è necessario che in ciascun appartenente si sviluppi il senso di responsabilità relativo alle delicate funzioni espletate, da cui deriva l’indispensabile imparzialità già citata: «Secondo la ratio del legislatore della 121 – continua Mosca – l’autonomia e l’indipendenza sindacale non evidenziano il distacco dalla società e dalle organizzazioni presenti in quest’ultima, quanto risultano espressione di garanzia per i cittadini, da una posizione al di sopra delle parti, pur nel rispetto delle loro convinzioni politiche». Da questo scaturisce che le organizzazioni sindacali della polizia non possono essere rappresentate da estranei alla pubblica sicurezza. Inoltre, il modello sindacale scelto dalla legge n. 121/81 non è originale o diverso, ma risente comunque delle caratteristiche comuni alle strutture sindacali del pubblico impiego di cui ricalca anche l’attività che regola i rapporti di lavoro: il trattamento economico, l’orario di servizio, le ferie, i permessi, i congedi, le aspettative, il lavoro straordinario, le missioni e i trasferimenti, nonché i criteri per la formazione e l’aggiornamento professionale e tutti gli altri strumenti necessari per assicurare il miglior funzionamento dell’intera struttura di polizia. Il 15 dicembre del 1983 fu firmato il primo contratto nazionale di lavoro tra il ministro dell’Interno Oscar Luigi Scalfaro e i rappresentanti dei due principali sindacati di polizia, il Siulp (Sindacato italiano unitario lavoratori polizia ) e il Sap (Sindacato autonomo di polizia). Tornando alla Riforma, conclude il prefetto Carlo Mosca, «per quanto riguarda lo svolgimento dei diritti sindacali, il legislatore del 1981 fa proprio il convincimento che le funzioni essenziali, per l’esistenza stessa della Repubblica democratica, debbano essere sempre assicurate e che la missione del ministero dell’Interno di garantire l’esercizio dei diritti civili e sociali dei cittadini, previsti dalla Costituzione, non debba subire mai alcuna interruzione». Per questo esiste il divieto per i poliziotti di scioperare e di porre in essere azioni tali che, effettuate durante il servizio, possano pregiudicare la tutela dell’ordine e della sicurezza pubblica o le attività di polizia giudiziaria.

«Lo Stato, diceva Max Weber, ha il monopolio della forza legittima. Ma in democrazia deve usare la forza per garantire le libertà dei cittadini, non certo per opprimerli. È questo il lascito del costituzionalismo, inaugurato dalle Carte rivoluzionarie di fine Settecento. Da qui, allora, una domanda: come può la macchina statale proteggere i diritti, se non li riconosce al proprio interno? La risposta si trova scritta nella legge 1 aprile 1981, n. 121, che ha avviato il processo di democratizzazione della Polizia di Stato. Attuando, sia pure con trent’anni di ritardo, un principio costituzionale. “L’organizzazione sindacale è libera”, dichiara infatti l’articolo 39 della Carta repubblicana. Ma in precedenza i sindacati, nel cuore pulsante dello Stato, non erano liberi, bensì vietati. Ora non più: l’articolo 82 di questa legge enuncia i diritti sindacali delle Forze di polizia».

Michele Ainis, componente Autorità garante concorrenza e mercato

 

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