Punti di (s)vista. Resistere, fino a quando…

Nello scenario bellico ucraino ci sono state delle svolte significative. L’avanzata dell’armata russa si fa sempre più incessante. Conquista territori bombardando da terra e dal cielo le città ostili organizzate in batterie di uomini con armi leggere cercando di rallentare l’avanzata, supportate da donne tenaci che pur di difendere la Patria lasciano a malincuore ma per salvarli al personale degli aiuti umanitari i propri figli.

Di questo passo il tracollo ucraino è vicino, pur con persone patriottiche, incitate anche fomentate da Zelensky, che credono nello sfiancamento russo. Non è così. Putin, stratega imperialista con un ingente quantitativo di armi convenzionali e non convenzionali, anche con bombe termobariche, che dissolvono le persone, lanciate dal lanciarazzi multiplo TOS-1, noto anche come Buratino, di fabbricazione sovietica, sta chiudendo l’Ucraina nella morsa della sua visione della Grande Russia, che non è avere quel territorio ma controllare gli sbocchi commerciali sul Mar Nero e Mar D’Azov. Bacini di acqua salata già solcati da navi russe pronte a sferrare l’attacco con missili approvvigionati dalla piegata fedele Siria (e lì a due passi dal Mar Nero). La tenaglia bellica è prossima alla chiusura e farà male se Zelensky non tratta. Un consiglio che la NATO dovrebbe dargli, che si spera abbia già fatto.

I corridoi umanitari si è svelata scusante per i russi per agguantare più terreno a spese dei civili, che fuggono sotto le bombe e muoiono per esse. È crudo dirlo ma più vittime fai più fai paura e più induci alla resa. È la filosofia della guerra, che venga fatta tra paesi imperialisti o democratici non fa differenza e la prova l’abbiamo avuta durante la Seconda Guerra Mondiale, cui tedeschi e alleati bombardarono indiscriminatamente città colme di civili. Foggia sta ancora piangendo i suoi avi massacrati sotto le bombe alleate.  

Dall’Ucraina due milioni di profughi sono già al sicuro nel resto d’Europa; ne restano decine di più in attesa e chissà forse riusciranno a fuggire. Un flusso migratorio senza precedenti e che metterà a dura prova tutta l’Europa, che a cuor aperto gli accoglie.

Da entrambe le parti si alzano i toni dei leader, con un Zelensky che vorrebbe trattare senza cedere territori e un Putin che vuole la testa del leader ucraino. Tuttavia sembra che le chiacchiere di altri loro pari europei, che stanno tentando una trattativa, siano inascoltate.

E allora, Resistere, fino a quando, è la domanda?

Intanto spuntano documenti riservati da ambedue i presidenti belligeranti. Dalla Russia confermerebbero un attacco programmato dell’Ucraina nel Donbass prima che iniziasse il conflitto, così propagandando la loro offensiva in anticipo; dall’Ucraina, come già detto nei precedenti articoli, la strategia russa nell’attaccare il paese come scritto su un foglio ritrovato su un carrarmato russo abbattuto. Propaganda con documenti disinformativi o verità?

Boris Johnson tenta un approccio muscolare, facendo parlare in diretta streaming Volodymyr Zelensky al Parlamento inglese, che non risparmia critiche all’UE e alla Nato sul non ingresso rapido dell’Ucraina alla Nato e sulla No-Fly zone attuata. Poi cita un pensiero di Churchill senza nominarlo e la guerra contro i nazisti, un accostamento che pare rispondere a Putin sulle accuse mosse per il suo appoggio ai nuovi neonazisti ucraini. Nei suoi discorsi incita i civili ucraini a difendere la patria, combattendo, senza mai invitarli a rimanere in casa. Vladimir Putin ascolta e sicuramente non starà a guardare chi combatte contro di lui, chi fomenta guerra contro di lui, chi smentisce le sue tesi, chi continua a non arrendersi, combattendo con ogni arma e sotterfugio pur di liberare l’Ucraina. Intanto l’Italia entra nella black-list russa, con un Governo flebile sul fronte decisionale europeo e venditore di armi all’Ucraina.

La chiesa russa ortodossa fiancheggia Putin, plaudendo la guerra perché è anche contro la parità di genere, fondamenta del suo credo. Segnale da qualche tempo già noto all’occidente che poteva iniziare una discussione tra stati e chiesa e che la Russia usa anche come scusante per riformare un credo fondamentalista, come quello islamico, contro le aperture della cattolica.

Oltre oceano aumentano le sanzioni, diventando blocchi import/export che irrigidiscono i nervi di chi li subirà. Antony John Blinken, il Segretario di Stato USA, parla di fermare l’attacco russo, non di evitare l’espansione. Indizi importanti che vanno pesati e che la controparte valuta come una possibile offensiva, che può essere di ulteriori sanzioni o altro.

Putin, nel frattempo, va avanti, con o senza oligarchi, con o senza popolo russo, con o senza un fattivo appoggio esterno che potrebbe innescare una guerra planetaria. La stessa prefigurata da lui se la Nato sconfina o riconosce l’Ucraina suo stato membro.

La Cina pare non stare più a guardare. Conferma la sua amicizia e stabilità politica con Putin, che non vuol dire squisitamente con il popolo russo. Punta il dito contro la NATO accusandola di esser l’artefice del conflitto. Tenta un approccio al tavolo di negoziazione offrendo il suo appoggio per mediare. Forse potrebbe essere l’unica strada percorribile, chiedendo la riduzione delle sanzioni e ovviamente con richieste ben pagate in termini economici, energetici, finanziari, e forse geopolitici per la vicina e sempre ambita Taiwan. Sembra un’eresia ma per l’Europa potrebbe essere il capro espiatore per evitare scenari nucleari, non condivisi da Joe Biden che, innanzitutto non cederà mai l’isola felice dei semiconduttori, poi non contempla una pace a spese proprie in nome di un’Europa che potrebbe letteralmente sparire.

Si parla, si chiacchiera anche, si tenta finanche la strada israeliana, ma non quella di abbassare le armi da entrambe le parti per accordarsi su vecchie ruggini geopolitiche tra Ucraina e Russia. La Crimea è indipendente ma filo russa, il Donbass pure, territori ormai di Putin che l’Ucraina poteva riconoscere tali fin dal 2008 e poi dal 2014.

Le trattative di Minsk potevano essere paciere per secoli. Invece son diventate comburente per l’attuale guerra innescata dai separatisti e scatenata da Putin. Invece L’Ucraina ha scelto la linea statunitense, diametralmente opposta alla sua cultura ma saldamente, anche troppo a volte al punto da incrinarsi, cementata dalla democrazia, da sempre nel mezzo con personaggi piazzati all’occorrenza ma lasciati al proprio destino, come è avvenuto in Afghanistan e aree limitrofe. Dall’altra parte Putin fa sedere al tavolo i suoi subalterni, come se non volesse trattare. E sicuramente non vuol trattare perché il suo intento è estendere il dominio terrestre e ne vorrà ancora. Se conquisterà, e probabilmente ci riuscirà, la leadership in Ucraina non si fermerà e, come è avvenuto anzitempo con la Bielorussia, potrebbe invadere i confini. Sarà Guerra Nucleare solo per un nome su un libro giacché l’età non gli da ragione.

A Odessa si attende l’attacco finale, una città circondata da carrarmati, minacciata anche dal mare, quel lembo di terra Ucraina che ridarebbe centralità europea alla Grande Russia che Putin vorrebbe iniziare a ricostruire geopoliticamente. La resistenza ucraina, militare e civile, cerca di impedire l’avanzata, organizzandosi con muri di sabbia e “cavalli di Frisia”. Ogni palazzo ha una vedetta che scruta il territorio. La Croce Rossa Internazionale è sul fronte, aiuta, soccorre, raccoglie sangue per i feriti. I giornalisti freelance documentano momenti di vita e di morte ormai diventati “comuni”, come se l’assuefazione abbia preso il sopravvento.

A Mariupol, ormai nelle mani russe, è ecatombe. Circa 2mila civili uccisi, fosse comuni per mancanza di aree per farli riposare singolarmente in pace, mancanza di acqua, gas ed elettricità, cittadini e militari ucraini costretti a bere la neve sciolta e riscaldarsi con falò accesi nei bidoni. Un ospedale pediatrico bombardato forse accidentalmente è l’ennesimo crimine di un attacco invasivo, preludio di quello finale che potrebbe far ridisegnare le tattiche difensive dell’offensiva ucraina, senza escludere quella delle Forze Armate occidentali per un delitto contro l’umanità. “Perdite collaterali” la giustificazione di un omicidio di massa: non è ammissibile! Una situazione che potrebbe degenerare anche sul campo sanitario per la proliferazione di batteri e perciò di un’epidemia, già messa a dura prova della pandemia in essere.

Uno scenario comune in guerra che ci restituisce ricordi di 40, 30, 20 e anche 70 anni fa, di guerre che hanno mietuto vittime e soprusi degli invasori e che, a mente fredda e al netto dei fatti, prefigura l’occupazione. Indizi che confermano anche la disinformazione costruita all’occorrenza, come la distruzione del ponte su fiume Desna, nella zona di Černihiv, che non si sa ancora se abbattuto dai russi o dagli ucraini per interrompere l’avanzata nemica.

E poi incombe sempre il pericolo nucleare, non solo delle testate, bensì delle centrali, già sotto il controllo dei russi, che garantiscono il funzionamento ma non quello dei servizi di raffreddamento che potrebbero surriscaldare il nocciolo.

Eppure la storia insegna, fin dagli anni antichi. Soffermandoci su quelli moderni il ricordo va alla Perestroika e al Glasnost, dove Michail Gorbaciov a metà degli anni ottanta iniziò la “ristrutturazione” e ”ricostruzione” della Russia dalle allora ceneri dell’Unione Sovietica. Un percorso che non ebbe accordi ben definiti per gli anni a venire sul piano geopolitico, solo miglioramenti per soddisfare i bisogni dei cittadini sovietici, con politiche di economia liberale, senza rinnegare i valori fondamentali della società sovietica. In sostanza erano 4 i punti principali della Perestroika: privatizzare molti settori economici statali, libertà di informazione e con graduale apertura al dibattito politico interno e a quello esterno per la diffusione delle decisione del Politburo, riduzione del controllo militare e politico sui Paesi dell’Est, trattati con gli Usa per il disarmo dei missili nucleari. A quanto pare Putin, nel corso della sua oltre ventennale premiership, è ripartito da queste decisioni e pian piano ha rimodulato tutto, fino a oggi azzerandoli.

In Italia le derrate alimentari e le fonti energetiche aumentano di prezzo, scarseggiano e a breve diverranno ricercate per materie prime non nostre. Il ministro Cingolani punta sull’incremento della propria produzione green energetica, sapendo che il tempo di utilizzo è esponenzialmente superiore a quello di produzione. Una scelta tardiva dei nostri governi, ammanettati da politiche verdi ultra integraliste, consce della nostra risicata ricchezza petrolifera del sottosuolo ma abbondante di gas naturale, e il tutto a fronte di del patrimonio naturalistico e ambientale. Preservare va bene ma obbligare una popolazione a dipendere da altri è puro egoismo e accentuato fondamentalismo.

Lo scenario è critico e basta un NO a scatenare una guerra nucleare. Intanto si vocifera che l’armata russa potrebbe utilizzare armi chimiche, e chi sta sul campo di guerra non ha ancora visto strumenti tali. Contestualmente la propaganda continua con la disinformazione da entrambe le parti, con Putin che divulga che gli States avrebbero fornito sottobanco a Zelensky armi chimiche, e l’Ucraina che tali armi sono state già utilizzate. Solo il fronte sa cosa sta accadendo e come.

Putin sa bene che sarebbe un inciampo nel suo scellerato percorso imperialista verso la Grande Russia, ma sa anche che restituirebbe al popolo, di chi ancora lo sostiene ed è tanto, una visione e non una realtà di grandezza e ricchezza planetaria. Del resto è il ricordo che conta, scritto nei libri, buono o cattivo che sarà giudicato, il suo nome avrebbe un posto al fianco dei suoi predecessori, forse anche più in alto.

Sono già 14 giorni di guerra (ore 23 italiana), e sta iniziando il 15esimo, con circa 2mila morti tra i civili, senza contare quelli militari, 62 bambini uccisi e chissà quante donne. E il numero aumenterà inesorabilmente, nell’indifferenza di Putin, con la rabbia di Zelenzky, tra le lacrime e le grida di disperazione di familiari, nel machiavellico sguardo statunitense, nello stupore dei leader dei paesi democratici occidentali, che oltre a offrire rifugio alle popolazioni ucraine non può adottare misure offensive, anche misurate difensive, per non scatenare la Terza Guerra Mondiale.

Ci vuol un accordo tra Zelensky e Putin, un negoziato al ribasso per il primo al rialzo per il secondo, altrimenti nulla avrà fine. Fa male affermarlo, ma la differenza di forza, di potenza e non solo di fuoco, lo certifica, e il bene delle popolazioni va posto in cima a tutto. Poi sarà l’UE che dovrà negoziare il nuovo scenario “putiniano”, sperando che gli States, fiancheggiati dagli inglesi, non interferiscano alzando la posta.

Intanto il grido che si ode in ogni dove è “Resistere”: fino a quando?

L’Italia, se tutto andrà bene con il cessate il fuoco, pagherà tanto. L’economia sarà da ricostruire. Il Belpaese, o quello che rimane, ha sempre avuto un flusso turistico importante dalla Russia. Analizzando il nostro lembo di terra il Gargano è tra le mete più ambite, vicino alla basilica cattolica-ortodossa di San Nicola a Bari, che già ha registrato un calo consistente di visite russe. Le proprietà degli oligarchi non saranno più fruibili, tra natanti, ville, locali. L’import/export sarà ridimensionato al ribasso e con esso la forza lavoro, sempre la prima a pagare le conseguenze con casse integrazioni e licenziamenti. La cultura, per fortuna, continuerà a parlare della Russia e dei suoi importanti testimoni, in barba a scriteriate decisioni di un ininfluente gruppo di persone che hanno già epurato i monumenti letterari, musicali e artistici russi. Ma di cultura non si campa, al massimo si arrotonda e l’Italia non può permetterselo.

Uno studio approfondito della Princeton University, svolto con simulazioni in base agli armamenti nucleari oggi attivi, avrebbe stimato che in caso di attacco nucleare dalla Russia, l’Europa avrebbe la peggio, con oltre 85 milioni di vittime in meno di un’ora. Praticamente l’Europa sparirebbe in soffio di vento. Qui c’è uno studio sulla simulazione. Mentre in questo articolo cliccando qui, sempre basato su studi scientifici certificati, mostra i tempi e i numeri del disastro nucleare. Ma per aver un’idea della simulazione si osservi bene il video cliccando qui. Lo studio “PLAN A” è un recente lavoro di SGS sulla simulazione di una plausibile escalation di guerra tra Stati Uniti e Russia, risultati visibili con un pezzo audiovisivo di quattro minuti.

Speriamo davvero che sulla Terra non si scateni l’Armageddon, quell’Apocalisse sempre evitata con negoziazioni, che pare essere minate dalla vendita di armi, blocco di esportazioni, ultimo il vino, blocco di import grano, blocco di export, insomma sanzioni dure verso chi ha il dito facile, le stesse che ci stanno condannando a restrizioni molto dure perché alla fine siamo noi comuni cittadini che paghiamo dazio.

Ad Maiora!

#puntidisvista   #freethinker  #warucraina #NoWar

Un FOCUS sulla vicenda è qui:

- Punti di (s)vista. Belligerante ma non troppo

- Punti di (s)vista. Putin per l’Ucraina, un ex KGB, non tanto ex

- Punti di (s)vista. L’erosa e sanguinante “cuginanza” contesa

- Punti di (s)vista. Non c'è verso

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