Mostra visitabile nella Green Cave a Monte Sant’Angelo, dall'1 al 17 settembre 2023.
Ogni città, sia essa grande o piccola, ha una sua anima, un genius loci o daimon, che già gli antichi greci riuscivano a cogliere attraverso quel rapporto privilegiato e simbolico fra l’uomo e la divinità, ma soprattutto fra la città e la sua anima che si esprime attraverso l’Uomo e la Madre-Terra o Natura, quale elemento base della vita, sia essa animale che vegetale.
Per questo ogni volta che una città muore o che il luogo stesso scompare, anche la loro anima muore, tanto da rievocare, attraverso la ricerca storica o l’arte, le origini della loro fondazione, che rappresenta il momento fondate dell’esistenza umana e naturale. In ciò entra in gioco, anche e soprattutto il destino stesso dell’uomo, la cui anima, insieme al luogo, viene messa in pericolo. In questo rapporto privilegiato fra Uomo e Natura, fra il creato e la ricerca del divino, vi è l’essenza stessa del processo di umanizzazione e quindi della civilizzazione del mondo, che ha portato, poi, l’Uomo a identificarsi nella sua cultura e nella sua civiltà. Questo rapporto fra l’Uomo e la Natura è alla base della civilizzazione, che inizia proprio attraverso il sacro rito della pietra, che è alla base della ricerca del nostro artista Salvatore Marchesani, nel rapporto simbiotico che ha con i luoghi che rappresenta, con il loro daimon o lo spirito dei luoghi. In questo caso l’artista Salvatore Marchesani, con le sue opere, vuole porre in evidenza la ricerca dell’anima dei luoghi, che nel nostro caso, diventa un ripercorrere la storia e la cultura abitativa del nostro Gargano, visto attraverso l’architettura spontanea e identitaria dei suoi Centri storici o borghi, da quello di Monte Sant’Angelo a San Giovanni Rotondo, da Vieste a Rodi Gargano, da Mattinata a Vico del Gargano, luoghi dove i miti e i culti antichi hanno formato la loro identità culturale, attraverso la presenza di vari popoli e di varie civiltà, fra cui quella dei Dauni, dei Greci, degli Illiri, dei Romani, fino all’arrivo dei Longobardi e dei Normanni in terra micaelica. Di tutto ciò le opere di Salvatore Marchesani conservano, facendo proprio questa tradizione culturale locale, una dimensione ideale di civiltà mediterranea, in quanto il Gargano ne rappresenta il simbolo e la terra di unione fra l’Oriente e l’Occidente, tanto da essere considerato un ponte e, quindi, trade union fra questi due mondi. Città che conservano ancora il loro legame con il passato, ma che non rinunciano il presente, per costruire il futuro. In questo caso, un artista come Salvatore Marchesani, originario di San Giovanni Rotondo, diplomatosi presso l’Accademia di Belle Arti di Foggia, e dopo varie esperienze nel campo artistico, con varie Mostre tenute in tutta Italia, non rinuncia alla sua identità e alla sua cultura mediterranea, che oggi noi riusciamo a cogliere nelle sue opere e nei paesaggi delle città garganiche, viste attraverso due dimensioni: la terra e il mare, due entità protese verso l’ignoto, quello stesso che hanno provato tutti coloro che si sono diretti dall’Oriente verso l’Occidente e quindi verso il Gargano, per costruire il nuovo mondo che è stato la Magna Grecia. Di tutto Ciò Salvatore Marchesani riesce a carpirne i segreti, la forza propulsiva dei luoghi e, quindi, di un borgo o città che nasce e vive della sua essenza identitaria, che è la stessa dell’uomo del Gargano, proteso verso l’orizzonte del mare.
Salvatore Marchesani da anni va alla ricerca di questa nuova dimensione identitaria, che dà vita e significato alle sue opere e, quindi, ai suoi paesaggi, cogliendo in ognuno di essi l’anima del luogo e, quindi, specie per quanto riguarda i centri storici, l’aspetto identitaria della loro architettura e del loro essere per la vita, sempre nel rispetto reciproco fra la salvaguardia dei luoghi e la presenza dell’uomo come elemento di vita e di sopravvivenza. Afferma a tale proposito Nicola Cisternino, musicista e artista, docente di Arti e Musiche Contemporanee presso l’Accademia di Belle Arti di Venezia: “La Pittura per Salvatore Marchesani è un processo continuo di messa a fuoco dello sguardo che si poggia sulla realtà, un affinamento sottile delle qualità della visione che dall’invischiamento della terra-materia e del mystum informale, si apre liricamente alle geometrie dell’ottica dello sguardo riconoscendo nel paesaggio e nelle nude architetture carsiche quella nascita al mondo, continua e perenne che l’occhio dona agli esseri viventi, e agli umani per primi”. Così come Giovanni Scarale riesce a vendere nelle opere del nostro artista “paesaggi d’anima, fondi e controfondi di verità, che il pittore rielabora trascrive sulla tela. Si ha l’impressione di trovarsi di fronte a un misticismo all’ingiù, un misticismo che non si acquista inebriati di cielo e di sole, ma schiacciando figure e movimenti fino alla loro nullificazione sotto la spinta di una verità non più dilazionabile”. Infatti Salvatore Marchesani, nelle sue opere, rievoca, attraverso uno stile che va oltre la realtà e, quindi, il visibile, il mistero dell’uomo che diventa tale attraverso la rappresentatività dei suoi paesaggi urbani, tanto da creare un processo creativo del fare “casa” e, quindi, una continua ricerca di quell’identità fra luogo e cultura, fra luogo e anima, fra luogo e daimon. “Un Gargano, come diceva Pasquale Soccio, segreto, di cui l’uomo è una sua zolla vivente e vagante, nato dal bisogno di un colloquio con la terra, al fine di comprenderla o meglio comprendere se stesso in momenti essenziali, decisivi, riassuntivi della propria vita…Io non so dove il Gargano abbia il suo cuore, dove il segreto della sua e della mia vita, considerandomi raminga particela, irrequieta zolla da lui distaccarsi e vagabonda, impegnata nel vento della vita. E se error vario mi svia, qui ogni volta mi ritrovo, riconosco il volto della mia patria antica”.
Salvatore Marchesani da anni va alla ricerca di questa nuova dimensione identitaria, che dà vita e significato al rapporto fra il luogo stesso e la necessità di andare oltre, verso un futuro che diventa ricerca dell’eternità, non solo dell’uomo, ma soprattutto dell’anima del luogo stesso. Parlavo prima dei sacri riti della pietra, di cui ogni città è l’espressione più alta, come del resto tutta la cultura e la civiltà greco-romana è fondata sulla pietra, di cui l’arte ne ha sublimato l’esistenza e i significati. Si veda a tale proposito le costruzioni dei templi, derivanti dai culti pagani, le fortezze, i castelli, le chiese, le abbazie e, poi, le case che hanno formato l’intero assetto urbano delle città. Di tutto ciò l’arte di Salvatore Marchesani ne è l’espressione e l’essenza, tanto da soffermarsi, in maniera ossessiva, sulla simbologia e sulla rappresentatività della casa, con la sua architettura e l’assetto urbano, da cui deriva, come abbiamo detto, la civilizzazione dell’uomo e l’essenza stessa dell’identità culturale di ogni popolo. La pietra e, quindi, la casa, come elemento fondativo della costruzione della vita, simbolo dell’uomo che diventa padrone della Madre-Terra, immagine di stabilità, di equilibrio, di bellezza, di compiutezza e di durata, paradigma dello spazio e del territorio dove l’uomo vive e progredisce. Del resto il rapporto fra l’uomo e l’ambiente, fra l’Uomo e la Natura, è stato quasi sempre al centro del processo di umanizzazione, tanto da influire positivamente, non solo sull’evoluzione sociale e culturale dell’uomo, quanto sulla sacralità stessa dei luoghi in cui il sacro, attraverso i suoi templi e le sue cattedrali, si è manifestato, divenendo così un elemento di conoscenza del territorio stesso. Questo rapporto è stato tanto più forte e completo, quanto più il luogo sacro, come nel caso dei paesi del Gargano, fra cui Monte Sant’Angelo, era in una posizione elevata, tale da considerarla, fin dall’antichità, la Montagna Sacra. Una Montagna Sacra da cui ha origine quel processo sincretico fra paganesimo e cristianesimo, e la sconfitta dei culti pagani, fra cui quello di Diomede, di Calcante e Podalirio, di Giove Dodoneo, di Giano, di Mitra e le origini e lo sviluppo, nel V sec. d. C., del culto di San Michele sulla Montagna Sacra del Gargano.
Salvatore Marchesani, con la sua arte, ne rappresenta lo spirito e la forza identitaria dei luoghi del nostro Gargano. Ciò che molti altri nostri scrittori e poeti hanno visto e trascritto, fra cui Corrado Alvaro, Giuseppe Ungaretti e, come abbiano visto, il nostro conterraneo Pasquale Soccio.
Scrive Corrado Alvaro, nell’ambito del suo Itinerario italiano, a proposito della meraviglia dell’architettura spontanea di I costruttori del Gargano: “Vi sono popoli che hanno un talento istintivo e storico per l’architettura. E si capisce per quelli che hanno da celebrare una potenza e da attestare una forza. Ma s’immagina difficilmente un gruppo di pastori e di contadini che porti una preoccupazione architettonica nella sua abitazione, nel suo forno, nel suo rifugio di montagna... Tutto quello che si scopre, dalle valli asciutte alle cime, è una immane opera di muri a secco che sostengono le terrazze degli ulivi, dei mandorli, delle vigne, del grano”. Lo scrittore viene, poi, colpito dagli enormi comignoli “dalle forme più bizzarre (a toppone, a elmo, a turbante,...) dalla grande perizia degli artigiani e muratori, che hanno riversato la loro forza in queste case dall’architettura più fantastica e mirabile. E proprio questi artigiani muratori. Hanno il genio dell’architettura come in altri, non più molti, paesi d’Italia; e davanti alla loro città costruita mirabilmente sullo scrigno del monte e su due valli, ci si può chiedere se, per avventura, tante invenzioni preziose d’architettura, non soltanto popolare, non vadano proposte a modello d’una moderna architettura povera di idee e pretensiosa, come è quella che ci propone stabilimenti balneari e palagi tutti del medesimo stile. Non esiste da noi un documento che metta sotto gli occhi l’arte di costruire una casa come fanno qui, a Ischia, a Positano, e in pochi altri luoghi, e che rappresenta la forma attraverso cui anni ed anni si raccomandano alla considerazione dei posteri. Arte di fare scale, passaggi, portici, di risolvere problemi di pendenze, di prospettive, di variarle infinitamente. Arte di legare gli uomini ai loro luoghi”.
Nel 1934 giunge sul Gargano Giuseppe Ungaretti, poeta e scrittore di fama internazionale, il quale, vangando nelle terre dell’Arcangelo, così scrive: “I contadini del Gargano vanno a cercare la loro terra avara col cucchiaino; e quando trovano nel sasso un interstizio: giù quel granellino di terra. Sono arrivati così, conquistando un millimetro dopo l’altro, a rendere fruttuoso anche questo versante, e ora è tutto diviso a terrazze che fanno l’effetto di snodarsi sul suo dorso come lentissimi bruchi”.
Così come grande ammirazione e meraviglia il nostro conterraneo Pasquale Soccio, nel suo libro Gargano Segreto, così scrive: “Se un occhio esperto, non sapendo dove si trova, lo chiedesse al cielo di un azzurro nettissimo e profondo, alla crudezza della luce, talora abbacinante, al grigio perla e viola dei monti, alle interminate pietraie, alle rocce, in alcuni punti convulsamente stratificate, alle pendici e alle allodole, gli rimarrebbe solo il dubbio di non sapere se essere nel Gargano o in Grecia. L’ulivo e il mandorlo continuerebbero l’inganno e non meno i bruni volti dei montanari, il loro sguardo, lampeggiante, indagatore e diffidente, e il riso delle donne pronto a notare il ridicolo delle cose e dello steso viaggiatore”. E ancora: “La conferma di questa identità greco-garganica, segreta o scoperta, più che sulle coste va ricercata nell’interno; sempre nel paesaggio montuoso, su alcune vette dove l’orizzonte ha per confine il mare e, ancor più, in alcune valli, nelle forre, nei burroni senza fondo, nei greti aridi dei torrenti, dove un acquazzone passa come una battaglia perduta. Qui “tutto è antico, fermo e incantato: tumultuanti memorie in un silenzio disumano” direbbe un poeta d’oggi”. Per poi giungere a identificarsi con le stesse pietre del Gargano, tanto da scrivere: “Intensamente io guardo e contemplo questo mare di pietre, questo deserto dell’anima. Scopro le origini della mia patria antica attraverso l’infusorio, il protozoo, il mollusco, con valve e conchiglie, divenuti pietre. Ritrovo la scabra, scontata essenzialità del carattere mio e della mia gente. Mi riconosco, “debole vita che si lagna”, dolente coscienza effimera di queste pietre”.
Tutto ciò lo ritroviamo nell’arte e nelle opere di Salvatore Marchesani, il quale si chiede: Sul Gargano, nei suoi borghi, nelle sue case a schiera, nei centri storici dove predomina l’architettura spontanea, il tempo si è fermato e, nello stesso tempo, si è fatto pietra, tanto da immedesimarmi con essa, in questo processo di pietrificazione, che diventa forza virile, dove si nasce e dove si muore, accettando qualsiasi condizione umana, grato di essere stato qui collocato dalla sorte, nascendo”. La sacralità della pietra e, quindi, della casa, è da ricondurre alla sua stessa origine uranica, alla sua incorruttibilità fisica, al suo essere presenza dominante e permanente del paesaggio, all’idea di solidità, di durata e di resistenza cui è associata, alla sua “alterità”. «Ogni pietra – ha scritto Marguerite Yourcenar nelle sue Memorie di Adriano (1981:77) – rappresenta il singolare conglomerato d’una volontà, d’una memoria, a volte di una sfida. Ogni edificio sorge sulla pianta di un sogno». E oggi, pare che il nostro artista Salvatore Marchesani, dica “Questo è il mio Gargano, il mio Gargano Onirico, dove ognuno di noi cerca di realizzare le sue aspettative di vita e i suoi sogni”.