C’è ancora bisogno di Dio  Il filosofo Sergio Givone

“È più vicino a Dio chi fa professione di ateismo, ma tiene ferma la verità, di chi nega la verità in nome di Dio”. È questa la tesi principale alla base del libro di uno dei maggiori filosofi italiani, Sergio Givone, dal titolo Quant’è vero Dio. Perché non possiamo fare a meno della religione (Solferino, 2018): un testo particolare e affascinante, coraggioso e audace, per il modo con il quale argomenta la necessità di Dio, in controtendenza rispetto a una fase storica caratterizzata dall’identificazione del disincanto con l’ateismo. Venerdì 14 dicembre, alle ore 19, l’autore incontra il pubblico della libreria Ubik di Foggia, dove converserà con il magistrato Enrico Infante e con l’avvocato Valentina Lucianetti, con la moderazione della docente Mariolina Cicerale. In mattinata, il noto filosofo sarà al Liceo classico V. Lanza, alle ore 11, ospite del ciclo di incontri Lettura e Oltre.

Quant’è vero Dio. Perché non possiamo fare a meno della religione (Solferino, 2018; 187 pagine). Post-religiosi, atei, materialisti: nell’infinita gamma degli atteggiamenti dell’Occidente secolarizzato verso la religione sembra manchi solo quello più semplice: credere. È ormai una scelta marginale, in via d’estinzione? Niente affatto, tanto è vero che il bisogno di Dio sembra tornare alla ribalta ovunque nel mondo, in modi anche drammatici. Perché? È opinione comune che la religione sia stata inventata dagli uomini per autoconsolarsi della propria condizione mortale. Ma se le cose stanno così, come mai tutte le religioni hanno sempre offerto ai fedeli e ai non-fedeli scenari inquietanti, dal giudizio finale al paradiso e all’inferno? Il fatto è che la religione, nel momento in cui risponde alla domanda sul senso della vita, riguarda la nostra libertà, perché della libertà è l’ultima difesa e non la soppressione. Ecco perché il ritorno a Dio è necessario al fine di contrastare il totalitarismo in tutte le sue forme. Se è vero che la religione non può essere tenuta fuori dalla sfera pubblica, riflettere sulla sua opportunità significa riflettere sulla giustizia, che è ciò da cui si dispiega, secondo la lezione del pensiero antico da Parmenide in poi, l’ordinamento stesso del mondo e del nostro stare insieme come umani. Uno dei nostri maggiori filosofi si interroga e ci interroga sulla necessità della religione prima ancora che sul bisogno di essa, avendo il coraggio di prendere le distanze da figure mai come ora oggetto di discussione e al centro del dibattito: Nietzsche e Heidegger. E lo fa da laico, consapevole che laico non è chi rivendica la propria indifferenza nei confronti della religione ma al contrario chi la prende sul serio, riconoscendo che i contenuti essenziali con cui è chiamato a fare i conti, le ragioni per cui si vive, vengono proprio da lì. Un percorso incalzante e profondo che fa appello alle conclusioni di poeti e scrittori non meno che a quelle dei filosofi – Hölderlin e Dostoevskij su tutti –, intreccia alla religione il discorso sul sacro e mette in guardia dai pericoli del relativismo e dell’etica utilitaristica. Al cuore, una domanda cruciale: davvero possiamo fare a meno della verità sull’uomo e sul mondo che solo la religione è in grado di comunicare?

Sergio Givone. Filosofo e romanziere, è professore emerito all’Università di Firenze, dove per anni è stato ordinario di Estetica presso la facoltà di Lettere e Filosofia. I suoi studi riguardano in particolare l’estetica e il pensiero tragico. Tra i suoi libri, Storia del nulla (Laterza 1995), Non c’è più tempo (Einaudi 2008), Metafisica della peste (Einaudi 2012) e Luce d’addio. Dialoghi dell’amore ferito (Olschki 2016)

 

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