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Pandemia, l’epoca delle passioni tristi

a cura del prof. Giuseppe Piemontese - Società di Storia Patria per la Puglia.

Con la pandemia da Covid-19, oggi, ci troviamo ad affrontare nuove dimensioni, riguardanti non solo gli aspetti sanitari ed economici, legati soprattutto a determinati fenomeni sociali e politici, che ci riconducono oggi all’importante funzione della sanità e del fenomeno della globalizzazione, di cui ormai alcuni studiosi esprimono alcuni dubbi negati per quanto riguarda lo sviluppo del capitalismo e quindi del neoliberismo avvenuto in questi ultimi decenni. Oggi la pandemia sta creando seri problemi  per quanto riguarda la salute mentale e psichica della gente in generale, tanto da parlare e discutere, come fanno il filosofo e lo psicanalista  Miguel Benasayag e Gérard Schmit, di un’epoca dalle passioni tristi. Le stesse che in questi mesi di pandemia stanno colpendo la maggior parte della popolazione mondiale. Infatti, oggi, si sta verificando fra la gente un generale malessere e un diffuso disagio mentale, tanto da mettere in dubbio la nostra identità non solo psichica, quanto culturale. Una diversa  dimensione dell’animo umano, che diventa sempre più complessa da un punto di vista sociale e culturale. Una complessità che ci richiama alla vita stessa, con le sue problematiche di ordine politico ed economico, oltre che sanitarie,  le stesse che oggi stanno condizionando le nostre scelte a livello globale, tanto da far dire che, ormai, il sistema capitalismo o neoliberale, su cui fino a ieri si fondavano le certezze della vita sociale ed economica, non bastano più e quindi bisogna andare oltre, in una nuova dimensione che abbia come fondamento degli scopi sociali ed alternativi all’utilitarismo di oggi, che sta portando sul baratro diverse nazioni, con i loro popoli e le stese comunità. Ed ecco allora che le scelte politiche, oggi, hanno il loro riflesso anche sulle scelte psicologiche, ma soprattutto sul benessere della gente, tanto da esserne condizionate e, a volte, in maniera irreversibile, creando le premesse per un diffuso disagio mentale e, quindi, il rifiuto della società capitalistica nel suo complesso.

Miguel Benasayag e Gérard Schmit, ne hanno parlato alcuni anni fa, affermando che oggi viviamo  in un’epoca delle passioni tristi, titolo di un loro libro  L’epoca delle passioni tristi, pubblicato  nel 2003 da Feltrinelli. Un testo che ci riporta in pieno nell’attuale crisi psicologica dell’uomo contemporaneo, che affonda le sue radici in una crisi più generale di ordine politico-culturale. Crisi che viene oggi analizzata da più parti, da filosofi, sociologi, antropologi, economisti e oggi più che mai da psicanalisti. Affermano gli Autori: “Si può affermare, ad esempio, citando Foucault, che l’epoca dell’uomo è tramontata. Potremmo anche parlare della fine della modernità o della  rottura dello storicismo teleologico, del venir meno cioè di quella credenza che stava a fondamento delle nostre società e che si manifestava nella speranza in un futuro migliore e inalterabile: una sorta di messianismo scientifico che assicurava un domani luminoso e felice, come una Terra promessa”. Tutto ciò, specie oggi con la pandemia diffusa a livello globale, è ormai scomparso. Non vi sono più certezze e il domani, ormai, presenta delle incognite nascoste e pericolose sul piano politico e sociale, tanto da limitare le azioni degli stessi Stati, impotenti di fronte a problemi, come, per esempio, l’ambiente, l’inquinamento atmosferico, le pandemie, il lavoro, la ricerca scientifica, la tecnologia, la stessa intelligenza artificiale,  che ormai stanno acquisendo nuove  dimensioni a livello non più settoriali, ma mondiali. E, in tutto questo, anche l’uomo  subisce le conseguenze, in quanto anche lui è impotente, incapace di prevenire il futuro o di caratterizzare il domani. Un futuro incerto, lo stesso che, fino ad alcuni decenni, eravamo consapevoli di prevenire e di dominarlo secondo le nostre aspettative. Oggi, invece, tutto è cambiato. Anche il tempo non ha più una dimensione umana, ma esso è condizionato dalla velocità della vita, e soprattutto dalla velocità delle scoperte scientifiche, e quindi degli accadimenti non previsti, che vanno al di là della facoltà dell’uomo di dominarle e di assimilarle. In altri termini, alla fiducia nell’uomo di conoscere e modificare il mondo e le sue leggi, di prevenire le stesse pandemie, di sconfiggere la morte, come affermavano Keplero, Comte e lo stesso Marx, Freud annunciava, all’inizio del XX secolo (1929) il “disagio della civiltà” e, quindi, della cultura occidentale, tanto da creare le premesse verso quel relativismo che condizionerà tutto il pensiero del Novecento. È caduta, in altre parole, l’utopia che il progresso potesse risolvere ogni problema, potesse creare la felicità in terra, la stessa che, purtroppo, è stata messa in crisi con le due guerre mondiali e, poi, con la contrapposizione fra l’Occidente e l’Oriente, aprendo così, come abbiamo detto, all’età della violenza, della paura. Per dirla in termini più chiari, affermano Miguel Benasayag e Gérard Schmit, viviamo in un’epoca dominata da quelle che Spinoza chiamava le “passioni tristi”. Una progressiva sfiducia non tanto in se stessi, quanto nella scienza e nella tecnologica, nella stessa Natura, che si vendica dell’uomo per averla considerata solo come oggetto da sfruttare (antropocentrismo),  incapaci di creare le premesse per la felicità dell’uomo. 

Quindi, un crollo nel messianismo dell’uomo e della scienza. Crollo del positivismo scientifico, ma soprattutto  crollo nella razionalità dell’uomo. Crollo nella speranza di dominare il mondo attraverso il sapere. Tutto ciò è caduto nell’impotenza dell’uomo di dominare non solo la Natura, ma soprattutto se stesso. Infatti, il XX secolo è un secolo ambivalente, da una parte aspirazione dell’uomo di dominare il mondo, e dall’altra l’uomo dominato dagli eventi negativi e, quindi, dall’incertezza di un domani.  Ed ecco allora che, in questo mondo fondato sulla sfiducia dell’uomo in se stesso e negli altri, per Miguel Benasayag e Gérard Schmit, è venuto il momento di riacquistare il senso della propria vita, ma più specificatamente il senso della storia, che non è fatta da forze estranee e meccaniche, ma essa è fatta da noi, come individuo e come collettività. Spetta a noi tutti riacquistare il nesso delle cose e il nesso della realtà che ci circonda.

E il compito oggi dell’uomo è quello di capire da dove deriva questa crisi esistenziale, questo disagio mentale, che non ha uguale nelle altre epoche. Capire le ragioni del malessere nella situazione in cui viviamo, il rapporto con se stesso e gli altri, ma soprattutto con il mondo che ci circonda, con le sue leggi naturali, ma soprattutto con le sue leggi tecnologiche, che ormai stanno condizionando in maniera eccessiva la vita di ognuno di noi, ma specialmente la vita dei giovani, ormai succubi della tecnica, che diviene l’elemento alienante della loro esistenza.

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