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I Sammicalère, gli statuari dell’Arcangelo

a cura del prof. Giuseppe Piemontese - Società di Storia Patria per la Puglia.

La storia della statuaria garganica è un altro dei capitoli importanti della religiosità popolare meridionale. Essa affonda le proprie radici nel culto delle “pietre”, antico quanto l’uomo, ma sempre vitale per il suo significato semantico e simbolico. La pietra è il simbolo della Madre-Terra e, quindi, della stessa vita. Inoltre, la pietra è anche il simbolo della saggezza e della “costruzione” e come tale venne utilizzata nel Medioevo come elemento su cui costruire chiese, cattedrali e santuari. Conosciutissima è la vicenda della fondazione del Santuario di Mont Saint-Michel in Normandia, avvenuta nell’VIII secolo ad opera del vescovo Oberto di Avranches, il quale si recò sul Monte Gargano per prelevare frammenti di roccia del Santuario di S. Michele e fondarvi il nuovo santuario dedicato a S. Michel au péril de la mer. Nella stessa simbologia si inserisce il culto delle “pietre” della “Cava” di S. Michele garganico, in seguito alla quarta Apparizione dell’Arcangelo Michele    all’Arcivescovo Puccinelli, in riferimento alla diffusione della peste del 1656. Da allora,  infatti, nacque il motto: UBI SAXA DEVOTE REPONENTUR IBI PESTE DE HOMINIBUS IN SPELLENTUR (Dove con devozione si porranno le pietre, di lì si allontanerà la peste dagli uomini), frase che deve essere messa in collegamento con quella più antica: UBI SAXA PANDUNTUR IBI PECCATA HOMINUM DIMITTUNTUR (Dove si allarga la roccia, là i peccati potranno essere rimessi).

Le pietre di S. Michele, oltre ad essere utilizzate per la costruzione di chiese e santuari e per preservare gli  uomini da malattie, le troviamo anche in funzione di protezione e salvaguardia delle case e contro il malocchio. Infatti, fino a non molto tempo fa, era ancora viva l’usanza di seppellire nelle fondamenta delle case pietre di S. Michele. A ciò bisogna aggiungere l’usanza di decorare le facciate delle case di piccole edicole con l’immagine di S. Michele Arcangelo: un carattere distintivo di devozione e di fede nell’Arcangelo Michele, quale segno di protezione e di salvaguardia da ogni male, compresi i terremoti così frequenti sul Gargano.

Il culto delle pietre si manifesta, tuttavia, in tutta la sua devozione, nella statuaria locale raffigurante l’immagine di San Michele e nella sua diffusione in tutto il mondo. Essa ha una tradizione molto antica, risalente al XV secolo, allorquando il re Ferrante emanò, nel 1475, un Real Privilegio col quale si dava facoltà ai soli scultori di Monte Sant’Angelo (i Sammicalère) di scolpire l’immagine di S. Michele in tutto il Reame. Questa prerogativa, che è anche perizia tecnica ed artistica, è stata tramandata da padre in figlio attraverso vere e proprie botteghe artigianali, risalenti a famiglie ben note di Sammicalère, fra cui citiamo i Di Iasio, i Perla, i Bisceglia e, oggi, i Renzulli. Il Tancredi ricorda che le statue di S. Michele si vendevano a migliaia, specie nel mese di maggio, durante il  pellegrinaggio e che gli oggetti erano lavorati dagli statuari detti Sammicalère, nell’atrio stesso della Reale Basilica. Le statue erano generalmente di pietra locale  o di alabastro di Carrara, come si legge in De Filippo: “Gli statuari estraevano “la pietra gentile” da due cave situate l’una, la Tufèra Ròsse, completamente distrutta dalle nuove palazzine in costruzione, a pochi passi dall’abitato, sulla strada Monte Sant'Angelo-Manfredonia; l’altra su quella per Mattinata, nei pressi di Sellino Cavola. Tra i due tipi di pietra i Sammecalère preferivano lavorare il massello della Tufèra Ròsse perché aveva “una fibra ed una compattezza maggiore” ed era più resistente alle intemperie. Una pietra pregiata, molto ricercata e difficile da trovare in blocchi consistenti, era inoltre la prèta turchenédde che si trovava solo a Narciso, una località impervia e di difficile accesso, situata lungo la valle Carbonara. Essa aveva una colorazione che virava al turchese col passar del tempo e che dava al S. Michele un fascino, una bellezza particolare ed un valore inestimabile (De Filippo, 1989, p. 98).

Le statue che si scolpivano a Monte Sant’Angelo erano oggetto di esportazione in tutto il mondo cristiano, tanto che era un privilegio possedere una statua di S. Michele di Monte. Al tempo dell’Arcivescovo Puccinelli (1656), numerose statue dell’Arcangelo Michele furono inviate in diverse chiese d’Italia ed esposte al pubblico in segno di devozione e di protezione contro la peste. Una di queste è la statua di S. Michele spedita, nel 1658, da Monte Sant’Angelo a Lucca ed esposta sulla facciata esterna della basilica di S. Michele in Foro. Così pure la statua spedita dallo stesso Arc. Puccinelli nella città di Lucerna, in Svizzera, rattristata anche essa, nel 1659, dalla peste. Numerose altre statue di San Michele raggiunsero le città di Vico, Peschici, Vieste, Manfredonia, San Severo,  Lucera, Napoli e Messina.

Il modello classico della statuaria locale era quello sansoviniano: un San Michele in atteggiamento guerriero, con spada e scudo fiammeggianti, con l’immagine del diavolo sotto i piedi. Generalmente il viso era scolpito con tratti ieratici, ed esprimeva fiducia e protezione. Mai vi si scorgevano vendetta o violenza gestuale. “L’arte della statuaria micaelica, afferma il Sansone, si è continuata fino ad oggi, con una parabola discendente proporzionata alle richieste pubbliche e private e all’affievolirsi di un uso locale che un tempo (sino alla fine del secolo scorso e all’inizio del nostro) doveva essere diffusissimo e quasi imprescindibile, allorché la figura scolpita e/o dipinta di San Michele era presente in tutta la vita domestica e cittadina” (Sansone 1991, pp. 152-154). Quest’arte, quindi, è un altro grande capitolo della religiosità popolare garganica, testimone di un’antica tradizione d’arte e di perizia tecnica, che merita di essere studiata nella sua organicità ed approfondita nei suoi giusti significati iconologici ed iconografici.

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