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La questione territoriale tra Monte Sant’Angelo e Manfredonia

a cura del prof. Giuseppe Piemontese - Società di Storia Patria per la Puglia.

La Piana di Macchia dovrebbe rappresentare il futuro agro-turistico di Monte Sant’Angelo, nonché la zona residenziale per la presenza di villaggi turistici. Purtroppo tutto ciò è ancora da venire, in quanto ci sono pochi investimenti, con evidenti conflittualità di chi vorrebbe lasciare l’intera fascia costiera così come è, senza alcun intervento dell’uomo. Anche perchè, in questi ultimi decenni, la Piana di Macchia ha subìto, forse in maniera selvaggia, negli anni Settanta, un processo industriale deleterio, con l’insediamento di industrie pesanti, come quella dell’Enichem, senza alcun riguardo per l’ambiente. Ciò ha provocato, con la sua chiusura, una grave crisi occupazionale dell’intera zona. E, oggi, non contento del passato, si parla di nuovi insediamenti industriali riguardanti la raccolta e la rigenerazione della plastica e di altre sostanze inquinanti. Dall’altra parte, fino a qualche anno fa abbiamo assistito all’insediamento di piccole industrie, sorte nell’ambito del  “Contratto d’Area” riguardante i  comuni di Manfredonia, Monte Sant’Angelo  e Mattinata. Ma tutto ciò non ha risolto il problema dell’occupazione. Anzi, da un punto di vista socio-economico, l’ha aggravato, in quanto non vi sono stati altri investimenti in settori che oggi si ritengono fondamentali, come quello del turismo e dell’innovazione.

Tuttavia vogliamo approfondire tale questione, anche alla luce di problematiche che oggi interessano direttamente la qualità della vita delle popolazioni che vi vivono, ai confini della Piana di Macchia-Manfredonia, Monte Sant’Angelo e Mattinata. Ma prima di affrontare tale questione, vogliamo soffermare la nostra attenzione  sull’assegnazione della Piana di Macchia al Comune di Monte Sant’Angelo, il cui problema oggi ritorna in riferimento alla gestione di alcune strutture e impianti industriali che si vogliono sviluppare, fra cui lo stesso Porto Alti Fondali. Del resto sappiamo che tale questione, riguardante i confini fra i due Comuni, si presentò subito dopo lo sviluppo industriale della zona e quindi la nascita dell’Enichem in territorio di Monte Sant’Angelo, però ai confini di Manfredonia, tanto che ciò determinò la nascita di vari problemi riguardati l’inquinamento che colpiva principalmente la città sipontina e, quindi, metteva in gioco la salute e la qualità della vita delle popolazioni confinanti. Questione che chiamava in causa direttamente anche la rideterminazione dei confini  fra i due comuni, tanto da interessare direttamente l’intervento degli storici locali. Da parte nostra possiamo affermare che  la controversia disputa sulla definizione degli ambiti territoriali,  per la verità si protraeva  da più  di due secoli, senza che alcun elemento nuovo venisse a suffragare la tesi del Comune di Manfredonia per una revisione dei confini. L’oggetto del contendere, tuttavia, non era tanto una ridefinizione territoriale dei due comuni, quanto la gestione di una parte della Piana di Macchia, i cui ambiti giurisdizionali e istituzionali ricadono nel Comune di Monte Sant’Angelo. Vediamone, tuttavia, i termini storici e giuridici. La conquista normanna (sec. XI) aveva cancellato gran parte dei precedenti ordinamenti giuridici ed ecclesiastici, emanati da Ludovico II (871) ed Ottone I (967) a favore della diocesi di Siponto, legata a quella di Monte Sant’Angelo per via del Santuario micaelico. Lo stesso conte Enrico (1078-1101), infatti, autonomamente, al di fuori della giurisdizione sipontina, aveva creato un suo feudo o Comitatus, il cui dominio si estendeva, negli ultimi anni dell’XI secolo, da Lucera a Fiorentino, a Vaccarizza, a Siponto, per risalire, lungo la costa del Gargano, da Vieste a Rodi, a Cagnano, per scendere, infine, nell’interno del Promontorio a S. Nicandro e a Rignano.

In seguito il feudo di Monte Sant’Angelo, sotto gli Svevi e gli Angioini, diventerà l’Honor Sancti Michaelis, e costituirà integralmente un bene dotale a pannaggio delle regine e principi angioini e aragonesi. Così si legge nel testamento di Federico II “Concedimus etiam eidem civitatem Montis Sancti Angeli, cum toto honore suo omnibus civitatibus, castris et villis, terris, pertinentiis et iustitiis et rationibus eidem honori pertinentibus, scilicet que de damanio in demanio et que de servitio in servitium”.

A dare poi una consistenza giurisdizionale al feudo di Monte Sant’Angelo interverranno le susseguenti appartenenze del territorio alla Corona o al Demanio, nonché le ripetute donazioni allo Scandeberg (1464), al di Sangro (1487) e al Gran Capitano Consalvo di Cordova (1497). Tutto ciò in piena epoca cinquecentesca. E proprio in quest’epoca all’Università di Monte Sant’Angelo appartenevano due estesi territori, chiusi agli usi civici, ovvero “difese” , quella di Vota e quella di Casiglia, con una superficie complessiva di oltre 5.000 ettari. Il territorio di Casiglia comprendeva l’attuale Piana di Macchia, che andava dal Vallone di Varcaro a quello di Pulsano. Il possesso di Vota non è stato mai contestato al Comune, mentre quello di Casiglia, pur rivendicato dall’Università, in lite col barone, fin dal 1580, fu oggetto di contesa con il feudatario, ma fu assegnato definitivamente al Comune  con l’eversione della feudalità

Nel 1552 il feudo di Monte Sant’Angelo fu acquistato dal principe Geronimo Grimaldi. Lo strumento fu rogato dal notaio Marco Andrea Schioppa, “le cui scritture si conservano dal notaio Giuseppe Palma”, al quale dovettero pervenire dall’archivio notarile del notaio Di Bergolis, che li possedeva alla fine del ‘700, secondo una notizia dello storico sipontino Matteo Spinelli. Il Grimaldi, per lo sfruttamento dell’intero territorio, dovette sostenere diverse vertenze giudiziarie, sia contro l’Università stessa di Monte Sant’Angelo, che contro il barone, i comuni confinanti, la Mensa Arcivescovile e gli altri enti religiosi. La materia del contendere è contenuta in diversi volumi conservati nella Biblioteca comunale, in cui sono riportatati tutti i verbali giudiziari delle liti tra il Comune di  Monte Sant’Angelo e quello di Manfredonia, tra i Grimaldi e il Comune di Monte Sant’Angelo, fra i Grimaldi e la Mensa Arcivescovile, tra i Grimaldi e i privati cittadini di Monte Sant’Angelo, ora per il taglio della legna, ora per le cesine (disboscamenti), ora per le cisterne, ora per la raccolta della manna. A tale proposito si veda anche il mio libro:  I Grimaldi. Monte Sant’Angelo e il Gargano dalla feudalità all’Unità d’Italia, Bastogi Editrice Italiana, Foggia 2006. Le soluzioni definitive delle vertenze, comunque, spettavano sempre al Sacro Regio Consiglio (S. R. C.), che decideva solo dopo decenni di istruttorie, sopralluoghi, relazioni di esperti e disposizioni provvisorie. Sull’imparzialità di tale tribunale non si possono avere dubbi fondati, anche se lo storico sipontino Spinelli, afferma che i baroni di Monte erano stati favoriti dalla “venalità dei tribunali del Regno”. In realtà  le sentenze del S. R. C. non hanno mai dimostrato una prevalente disponibilità per le ragioni dei baroni, ma hanno, invece, saputo riconoscere la validità delle istanze delle varie parti in causa con molta ponderatezza ed equità.

Dopo quelle con l’Università, le liti più lunghe e più numerose i Grimaldi le ebbero con la Mensa Arcivescovile. Questa, rifacendosi alle più lontane origini, sosteneva che, ad eccezione della Foresta Umbra, appartenente all’Università di Monte Sant’Angelo (su quella di Casiglia accampava diritti di promiscuità il Comune di Manfredonia) e delle terre di privati, tutto il restante territorio apparteneva a quella Mensa. Nel 1627 fu dato incarico all’Uditore Sanguineto di far luce sulla contesa, e nello stesso anno, il barone Filippo Grimaldi, su relazione di quel principe del foro che era il Rovito, ottenne dal Collaterale un decreto a lui favorevole.

Nel 1658 ci fu un accordo fra l’allora arcivescovo Giovanni Alfonso Puccinelli e il barone. L’atto notarile dell’accordo fu stipulato dal notaio Leonardo Prencipe in Monte Sant’Angelo. Le terre assegnate alla Mensa erano ubicate a Mattinatella (100 versure), alle Granelle (30 versure), a Torre di Lupo (40 versure) e a Vignanotica (12 versure). Questo accordo, che sembrava avesse risolto per sempre ogni lite tra il barone e la Mensa Arcivescovile, durò una novantina di anni, fino a quando, cioè, non fu ritenuto inadeguato dalla Mensa, che riprese le ostilità verso la metà del secolo successivo.

Dopo varie temperie di offese e di ritorsioni si arriva all’ottobre del 1773, quando il Tavolaro Nicola Schioppa, per incarico del consigliere Nicola Maria Vespoli, dopo mesi di lavoro sul posto, dopo un anno di studio accurato dei documenti, sentenze e decreti, che si erano accumulati dalle origini e dopo l’elaborazione di mappe e carte topografiche, portò a termine la sua relazione. Le conclusioni della relazione del Tavolaro Schioppa furono fatte proprie dal S. R. C., che, nel settembre del 1780, rigettò le richieste della Mensa, giudicando pienamente valido l’accordo Puccinelli, del 1658. Ma non si concludeva, con il superamento delle predette questioni, il giro delle liti. Il riscatto della feudalità, chiesto dal Comune di Monte Sant’Angelo, fece scattare le pretese dei comuni confinanti di S. Giovanni Rotondo e di Manfredonia. Per dirimere le contese fu dato incarico al marchese Vivenzio, il quale fu inviato sul posto con ampi poteri decisionali. Egli si servì della perizia di due agronomi, Pollio e Porpora, che effettuarono, entro il 1801, un’accurata ricognizione di tutto il territorio e redassero delle mappe, con le quali illustrarono le loro relazioni. Per quanto riguarda il comune di S. Giovanni i relatori Pollio e Porpora, proposero, in base alle richieste avanzate, una rettifica di confine, concedendo i territori di Quarto dell’Abete, di S. Egidio e di Pantano. Per quanto riguarda il Comune di Manfredonia, che rivendicava sempre il pieno dominio su quella parte di Casiglia, che, dal Vallone Varcaro saliva alla Montagna, fino al Macerone, attraverso la valle della Molinella, Ruggiano e Campolato, e quindi si riportava alla pianta della città, i periti Pollio e Porpora, ritenendo valide la Platea del Berlingieri, che sanciva a livello ufficiale i confini territoriali di altre città come Vico, Vieste, Carpino, Cagnano, S. Marco in Lamis, rigettavano le pretese del Comune  di Manfredonia. Tuttavia nel 1810 il ripartitore Zurlo, in sede di quotazione, assegnò a Manfredonia tutto il territorio denominato Cozzolete, una parte della zona denominata Montagna, e quella parte della difesa di Casiglia che, dalle adiacenze della città, arriva fino al Vallone di Pulsano tra il mare a sud e le alture a nord. Non le fu concesso il territorio richiesto fino al Vallone di Varcaro, ma le fu assegnato, nel 1812, per interessamento dell’allora sindaco G. T. Giordani, il bosco della Cavolecchia, ritagliato  dal bosco Quarto, della estensione di 320 ettari circa. Così dopo l’operato del commissario Zurlo e del perito Del Pozzo, l’intera superficie del Comune di Monte Sant’Angelo risultava di 31.000 ettari. Essa si estendeva per una trentina di chilometri sul mare, dai pressi di Manfredonia fino al Vallone di Vignanotica, sotto il monte Barone, a poca distanza da Pugnochiuso, e per una trentina di chilometri, in linea d’area dal mare, verso l’interno del Promontorio, il tutto in forma di un quadrilatero, con un’appendice, in forma di corno, che si addentrava profondamente nel territorio di S. Giovanni Rotondo. Questi confini corrisponderebbero precisamente a quelli attuali, se dall’intero territorio non fosse stato staccato quello assegnato a Mattinata, nella parte orientale, per circa 7.000 ettari, dopo che divenne comune autonomo nel 1955. Del territorio boschivo, una parte divenne demanio forestale dello Stato (Umbra, Iacotenente, M. Barone), e una parte costituì il patrimonio del comune (Quarto, Spigno, Umbricchio, Signor Marco, Lama di Milo, Vergone del Luo, Marguara). Di tale patrimonio facevano parte, ovviamente, anche le due grandi difese di Casiglia e di Vota, che originariamente avevano un’estensione complessiva di oltre 5.000 ettari, ma che sono passate quasi integralmente nelle mani dei privati, con usurpazioni e affrancazioni.

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