Da Robert Mapplethorpe a Cecily Brown, da von Gloeden a Nathaniel Mary Quinn fino alla quarta edizione del premio Rinascimento e la grande mostra di Depero a Palazzo Medici-Riccardi.
Dal 29 settembre all’8 ottobre 2023 Firenze torna a essere capitale del contemporaneo grazie alla Florence Art Week, la settimana dell’arte giunta quest’anno alla sua terza edizione.
In occasione di questo importante appuntamento, il Museo Novecento organizza un ricco calendario di eventi con mostre di altissimo livello scientifico e di carattere innovativo, ponendosi ancora una volta al centro della programmazione culturale fiorentina e a livello nazionale e internazionale.
Si inizia il 23 settembre con Beauty and Desire, omaggio a uno dei maggiori esponenti della fotografia del Novecento, Robert Mapplethorpe (New York, 1946 – Boston, 1989), in un confronto inedito con gli scatti di Wilhelm von Gloeden e una selezione di fotografie dall’archivio Alinari. Quarant’anni dopo la grande mostra del 1983, che fece conoscere proprio a Firenze l’opera di Mapplethorpe, tornano a farsi ammirare le immagini del celebre fotografo newyorkese con un progetto organizzato con il fondamentale contributo della Robert Mapplethorpe Foundation e della Fondazione Alinari per la Fotografia.
La mostra – a cura di Sergio Risaliti, direttore del Museo Novecento, assieme a Eva Francioli e Muriel Prandato – è la seconda grande mostra del museo dedicata alla fotografia, pratica che ha rivoluzionato la storia dell’arte a partire dall’Ottocento. Ospitata negli spazi espositivi al primo e al secondo piano del Museo Novecento, Beauty and Desire trae spunto da un nucleo consistente di opere che mette in luce l’intensa produzione artistica di Mapplethorpe, sottolineando il legame della sua ricerca con la classicità, nonché il suo approccio scultoreo al mezzo fotografico, reso evidente tanto nello studio del nudo maschile e femminile, quanto nella natura morta. A partire da questo focus, il lavoro di Robert Mapplethorpe è messo a confronto con alcune fotografie risalenti alla fine dell’Ottocento e agli inizi del Novecento, provenienti dagli Archivi Alinari. Fra queste, assumono uno speciale rilievo alcune immagini del barone Wilhelm von Gloeden (Wismar, 1856 – Taormina, 1931), tra i pionieri della staged photography. Uno dei tratti distintivi delle atmosfere che animano le composizioni di von Gloeden è proprio il richiamo al passato, concepito quale inesauribile bacino di soggetti e suggestioni: un segno stilistico unico, che lo rende ancora oggi un’icona.
Dal 30 settembre, le sale al piano terra del Museo Novecento tornano a ospitare un focus sulla pittura contemporanea presentando le opere di una delle sue più talentuose esponenti, la pittrice inglese Cecily Brown, nata a Londra nel 1969 e residente a New York dal 1994, che più di ogni altra ha saputo reinventare il rapporto tra l’arte contemporanea e la grande arte figurativa dei secoli scorsi. Protagonista in questo recente periodo di una mostra personale al Metropolitan Museum di New York, l’artista espone i suoi lavori per la prima volta a Firenze al Museo Novecento e in Palazzo Vecchio, in quella che si preannuncia come la mostra più sofistica ed emozionante dell’anno. Il progetto, a cura di Sergio Risaliti, raccoglie oltre trenta lavori, tra cui dipinti e opere su carta, per lo più inediti, nati da una riflessione attorno alle Tentazioni di Sant’Antonio, soggetto ampiamente indagato dagli artisti nel passato, da Michelangelo Buonarroti a Hieronimus Bosch, da Paul Cézanne a Odillon Redon.
Il titolo scelto da Cecily Brown per questa mostra fiorentina, Torments, Temptations, Trials and Tribulations, evoca la vita di ascesi, battaglie spirituali e privazioni del Santo – primo fondatore della vita monastica e padre spirituale degli anacoreti – le cui storie e vicissitudine sono state raccontate nella Vita Antonii, pubblicata nel 357 circa da Atanasio vescovo di Alessandria. In via del tutto eccezionale verrà esposta, nella cappella al piano terra del Museo Novecento, una versione su tavola di epoca rinascimentale delle Tentazioni di Sant’Antonio, di collezione privata, che, come quella già attribuita al giovane Michelangelo – oggi conservata al Kimbell Art Museum di Fort Worth in Texas e databile tra il 1487 e il 1489 –, deriva dalla medesima incisione di Martin Schongauer.
Il progetto espositivo prosegue nel Museo di Palazzo Vecchio dove, all’interno del Camerino di Bianca Cappello, amante del Duca Francesco I de’Medici, Cecily Brown presenta una sola tela, esercizio di presa di coscienza di diversi livelli di realtà e visibilità. Anche in questo caso l’opera si distingue in un perfetto equilibrio tra vitale profusione, disegni e colori, e una sottostante struttura narrativa e iconografica con la quale l’artista parla della storia e della vita.
Il denso calendario espositivo prosegue con le ultime tappe del progetto che Nico Vascellari ha ideato per la città di Firenze. Melma si dispiegherà a ottobre in diversi interventi tra alcuni dei luoghi più prestigiosi del patrimonio storico-artistico della città. Piazza della Signoria, Palazzo Vecchio e il Museo Novecento ospiteranno una serie di opere, tra cui una nuova installazione per l’Arengario, una perfomance site-specific ideata dall’artista per il Salone dei Cinquecento e una serie di lavori nella sede delle ex-Leopoldine, tenendo conto del peculiare rapporto tra Rinascimento e contemporaneità, tra lo spazio pubblico della piazza e il luogo politico per eccellenza rappresentato dal Salone dei Cinquecento in Palazzo Vecchio.
In Piazza della Signoria, dopo gli interventi di Koons, Fabre, Fischer e Vezzoli realizzati negli anni passati, l’arte contemporanea torna a essere protagonista. Fioretti è l’installazione site-specific pensata da Vascellari per l’Arengario di Palazzo Vecchio: un’azione poetica e delicata allo stesso tempo, ispirata tanto alle immagini rinascimentali – come quelle del prato fiorito del Botticelli – quanto ai versi di Poliziano e di Pasolini. Il titolo dell’opera è da intendersi nella triplice accezione del termine “fioretto”, come arma, atto di rinuncia e piccolo fiore. L’installazione sarà inaugurata il 3 ottobre 2023. Nella stessa giornata, Vascellari darà vita ad Alessio, una performance pensata per il Salone dei Cinquecento che riflette sulle convenzioni e i codici della comunicazione non verbale. Infine, il 4 ottobre al Museo Novecento sarà presentata una selezione di video realizzati dall’artista negli ultimi anni, con una mostra a cura di Stefania Rispoli.
Il 5 ottobre il chiostro del Museo Novecento ospiterà l’opera di Namsal Siedlecki (Greenfield, 1986). Il lavoro di Siedlecki indaga la natura processuale e trasformativa dei materiali concentrandosi prevalentemente sulla pratica scultorea. Le sue opere, che spesso uniscono la maestria artigianale alle più moderne tecnologie, sono concepite come oggetti in evoluzione che rendono omaggio alle infinite possibilità della forma. La sua mostra monografica al Museo Novecento, curata da Sergio Risaliti e Stefania Rispoli, è concepita come un’installazione site-specific nel chiostro rinascimentale dell’edificio, interpretato come un vero e proprio ventre all’interno del quale energia e materia continuamente si rigenerano.
Sulla scia di questi eventi, il 7 ottobre aprirà al pubblico Split Face, la mostra di Nathaniel Mary Quinn (Chicago, 1977) artista noto per i suoi ritratti pittorici realizzati con uno stile che richiama la scomposizione e il collage tipici delle avanguardie storiche. La prima monografica dell’artista in Italia e a Firenze coinvolgerà il Museo Stefano Bardini e il Museo Novecento, offrendo al pubblico la possibilità di conoscere una serie di dipinti inediti o di recente produzione accanto alle opere della ritrattistica rinascimentale fiorentina e dei maestri del Novecento italiano. Insieme ai capolavori di Donatello, del Pollaiolo, dei Della Robbia, Tiepolo, Felice Casorati, Virgilio Guidi, Carlo Levi e molti altri, verranno presentate oltre quindici opere dell’artista provenienti dal suo studio e da alcune prestigiose collezioni pubbliche e private. Come nelle passate incursioni di John Currin, Gleen Brown, Luca Pignatelli, Anj Smith, Emiliano Maggi e Rachel Feinstein, la direzione artistica del Museo Novecento rinnova e ripropone il dialogo tra una delle ricerche più avanzate in campo figurativo, come quella di Mary Quinn, e il Museo Bardini, la cui collezione e sistemazione museologica è il frutto di una passione eclettica per l’arte classica, medioevale e rinascimentale, come è stata quella del mercante e collezionista Stefano Bardini.
I ritratti di Nathaniel Mary Quinn, a tratti grotteschi e mostruosi, sono realizzati con una meticolosa attenzione ai particolari, un’eccezionale qualità e tecnica pittorica e un’attitudine all’iperrealismo e al cartoon. Tutti questi aspetti, uniti a una forte carica e tensione espressiva, creano un senso di disorientamento e confusione in chi guarda. I volti sembrano ritagliati, come immagini fatte a pezzi e poi ricombinate, per corrispondere nelle intenzioni dell’artista al volto del ritrattato. Tutto il suo lavoro è autobiografico, Quinn mescola una narrazione personale, fatta di persone ed eventi a lui vicini, a immagini tratte da riviste, fumetti o fotografie trovate; accosta riferimenti alla tradizione figurativa, dal Modernismo in poi, alla cultura visiva più contemporanea, unendo low and high culture. Il suo linguaggio si nutre anche di esperienze in campo musicale e letterario, e pone ancora una volta al centro del fare artistico il montaggio, il “taglia e cuci”, sperimentato tanto nell’arte che nella moda dalle avanguardie del Novecento. In definitiva Mary Quinn ci mette di fronte alla realtà contemporanea, al modo in cui ci viene comunicata e ne facciamo esperienza, a come ci costruiamo e rappresentiamo la nostra vita e quella degli altri.
A coronare questa costellazione di eventi, il premio Rinascimento +, giunto alla sua quarta edizione, che torna a essere il protagonista in occasione della Florence Art Week. Nella città dei Medici, cui si riconosce il primato nella storia del collezionismo e mecenatismo, si rinnova la passione per l’arte e il sostegno agli artisti, sancito da questo prestigioso riconoscimento internazionale che viene consegnato a eminenti personalità del sistema dell’arte che hanno saputo nutrire lo sviluppo e la diffusione dell’arte contemporanea. La cerimonia avrà luogo venerdì 6 ottobre nella Sala Luca Giordano di Palazzo Medici Riccardi. I premiati di questa quarta edizione sono Laura Colnaghi, Danna e Giancarlo Olgiati, Franca e Lorenzo Pinzauti, Giorgio Fasol, Nicole SaiKalis Bay, Lorenza Sebasti e Marco Pallanti.
Sempre a Palazzo Medici Riccardi, il 28 settembre verrà gettata una nuova luce sull’opera di Fortunato Depero (Fondo, 1892 – Rovereto, 1960), indiscusso maestro dell’arte del Novecento, con una mostra promossa da Città Metropolitana di Firenze su progetto del Museo Novecento, con la curatela di Sergio Risaliti ed Eva Francioli e l’organizzazione di Mus.e.
Grazie all’individuazione di alcuni dei temi che hanno caratterizzato la sua produzione, saranno messi in evidenza il sottile nesso della sua figura e del suo lavoro con il territorio fiorentino. Il prodotto si inserisce nell’ambito delle iniziative della Florence Art Week, che già nell’edizione del 2022 ha visto esporre nelle sale di Palazzo Medici Riccardi un corpus di opere del XX e XXI secolo in un’ottica di valorizzazione delle collezioni civiche e di aggiornamento della critica e del pubblico su alcuni aspetti dell’arte recente ancora poco indagati. Grande rilievo, in tal senso, viene riservato alla pratica del disegno e alle sue molteplici declinazioni, oltre che al complesso rapporto che lega da sempre la città di Firenze alle arti, nonché a quella dei lavori su tessuto, come gli splendidi arazzi di cui verranno presentati in mostra alcuni esemplari di grandi dimensioni come Cavalcata Fantastica e Due Maschere Tropicali.
Nello specifico, la mostra consentirà di presentare per la prima volta a Firenze l’opera di Depero, che ha saputo coniugare l’elemento popolare a una fervida immaginazione figurativa, la grafica da fumetto a quella dei cartoni animati, temi della contemporaneità a motivi tradizionali come quello del cavallo, che attraversa la storia dell’arte fin dall’antichità. Il progetto prende avvio dalla presenza, nelle collezioni del Museo Novecento, di Nitrito in velocità (1932), capolavoro dell’artista parte delle collezioni civiche. Il dipinto fu donato dall’ingegnere navale Alberto Della Ragione al Comune di Firenze all’indomani della terribile alluvione del 1966, insieme a oltre 240 opere della sua celebre collezione. L’opera, rivelatrice di un’apertura di Della Ragione alle sperimentazioni delle avanguardie circoscritta alle esperienze del cosiddetto Secondo Futurismo, si offre come pretesto per una più ampia riflessione sul collezionismo e sui legami che si possono creare tra collezionista e artista.
CALENDARIO INAUGURAZIONI
- 23 settembre 2023 | Robert Mapplethorpe e Wilhelm von Gloeden. Beauty and Desire | Museo Novecento
- 28 settembre 2023 | Fortunato Depero. Cavalcata fantastica | Palazzo Medici Riccardi
- 30 settembre 2023 | Cecily Brown. Torments, Temptations, Trials and Tribulations | Museo Novecento e Camerino di Bianca Cappello a Palazzo Vecchio
- 3 ottobre 2023 | Nico Vascellari. Fioretti | Piazza della Signoria e Arengario di Palazzo Vecchio
- 3 ottobre 2023 | Nico Vascellari. Alessio | Salone dei Cinquecento, Palazzo Vecchio
- 4 ottobre 2023 | Nico Vascellari. Melma | Museo Novecento
- 5 ottobre 2023 | Namsal Siedlecki. Endo | Chiostro, Museo Novecento
- 6 ottobre 2023 | premio Rinascimento + | Sala Luca Giordano, Palazzo Medici Riccardi
- 7 ottobre 2023 | Nathaniel Mary Quinn. Split Face | Museo Stefano Bardini e Museo Novecento.
Ufficio stampa Museo Novecento Firenze e Lara Facco P&C.
Inaugurazione venerdì 08 settembre 2023 - ore 19:00 | esposizione 8 settembre – 10 ottobre 2023
Dal 8 settembre al 10 ottobre 2023, la Contemporanea Galleria d’Arte di Foggia, inaugura una mostra personale di Ugo Nespolo (Mosso, 1941), uno dei maggiori protagonisti dell’arte contemporanea. La mostra è curata dal gallerista Giuseppe Benvenuto.
Artista eclettico, vulcanico, mai scontato, che unisce un insaziabile appetito artistico e intellettuale alla grinta di chi ama fare le cose a modo suo. Un vero intellettuale a 360 gradi: pittore, scultore ceramista, designer, regista, filosofo, semiologo scrittore e tanto altro ancora. I suoi esordi nel panorama artistico italiano risalgono agli anni Sessanta, alla Pop Art, ai futuri concettuali e poveristi.
La mostra accoglie circa 20 opere, che attestano la ricchezza e la versatilità della produzione dell’artista, consentendo così, al pubblico pugliese la possibilità di avvicinarsi all’opera di Ugo Nespolo, artista tra i più interessanti ed affermati a livello internazionale.
Mai legata in maniera assoluta ad un filone, la produzione di Ugo Nespolo si caratterizza per un’accentuata impronta ironica, trasgressiva, per un personale senso del divertimento che rappresenta da sempre una sorta di marchio di fabbrica. Negli anni Sessanta Nespolo si appropria di un secondo mezzo di espressione il cinema in particolare quello sperimentale di artista Ai suoi film hanno dedicato ampie rassegne istituzioni culturali come il Centro Georgeus Pompidou di Parigi, il Philadelphia Museum of Modern Art, il Museo del cinema di Torino. Negli anni Settanta vince il prestigioso Premio Bolaffi, realizza il Museo, un quadro di dieci metri di lunghezza che segna l’inizio di una vena mai esaurita di rilettura scomposizione reinvenzione dell’arte altrui sperimentando anche nuove tecniche.
La ricerca del Maestro piemontese si muove sul terreno del dialogo, attraverso un confronto con la tradizione artistica e con l’universo iconografico della “civiltà dei consumi”. La sua opera, caratterizzata da cromatismi accesi e dalla scomposizione e ricomposizione delle immagini, appare come visione gioiosa e vitale di una contemporaneità, la cui bellezza è ravvisabile tanto nella realtà museale più blasonata quanto nelle vetrine delle nostre metropoli o nei protagonisti simbolici di questi tempi: i numeri.
Nespolo porta avanti la convinzione che l’arte debba immergersi completamente nella vita; ed è per questo che oltre ad essere pittore, scultore, scenografo e regista di corti d’autore, nella sua poliedrica produzione lo vediamo spaziare in diversi ambiti della realtà fino a sconfinare nel terreno del design e della pubblicità: note sono le sue collaborazioni con i marchi Campari, Toyota, RAI e Azzurra per l’America’s Cup. Ugo Nespolo nasce a Mosso (BI), si diploma all’Accademia Albertina di Belle Arti a Torino e si Laurea in Lettere Moderne. Nei tardi Anni Sessanta fa parte della Galleria Schwarz di Milano che conta tra i suoi artisti Duchamp, Picabia, Schwitters, Arman. La sua prima mostra milanese, presentata da Pierre Restany, dal titolo “Macchine e Oggetti Condizionali " - in qualche modo - rappresenta il clima e le innovazioni del gruppo che Germano Celant chiamerà “Arte Povera”.
Tutti i giorni incluso i festivi
ORARI: 10 – 13 / 16 – 20
Contemporanea Galleria d’Arte
Viale Michelangelo, 65 - Foggia
Info: Centro Studi Criminologici Giuridici e Sociologici.
Una vita totalmente dedicata al servizio della comunità. Un esempio di grande rigore morale.
Si parla del Generale Roberto Conforti (Serre 21 agosto 1937 - Roma 26 luglio 2017), dell’Arma dei Carabinieri, cui si deve l'introduzione della Banca Dati delle Opere d'Arte trafugate, che per l'innovazione e l'alta tecnologia di base costituisce tutt'oggi un'eccellenza italiana ed un punto di riferimento a livello mondiale.
Per onorarne la memoria il Centro per gli Studi Criminologici, dal 2017, intitola una Borsa di Studio al Generale Roberto Conforti nell'ambito della SAG - Scuola Biennale di Alta Formazione in Archeologia Giudiziaria®️ e Crimini contro il Patrimonio Culturale.
Il Gen. Conforti dal 1991e fino al 2002 ricoprì la carica di Comandante del Nucleo Tutela del Patrimonio Culturale, rendendosi protagonista indiscusso del contrasto ai traffici illeciti di antichità.
Dal 30 giugno al 15 ottobre 2023 | Palazzo Dosi Delfini | Piazza Vittorio Emanuele II - Rieti | In occasione dei Centenari Francescani, una mostra riunisce quaranta opere della grande artista sarda ispirate all’amore per il creato a cura di Sergio Risaliti e Eva Francioli.
Dal 30 giugno 2023 nelle sale di Palazzo Dosi Delfini a Rieti è aperta IL PANE DEL CIELO, mostra che raccoglie quaranta opere della grande artista Maria Lai (Ulassai 1919 – Cardedu 2013) in occasione delle celebrazioni per i Centenari Francescani, 1223 - 2023.
Ideata da Sergio Risaliti, Direttore del Museo Novecento di Firenze, in collaborazione con l'Archivio Maria Lai e organizzata dall'Associazione Mus.e, la mostra, a cura di Sergio Risaliti e Eva Francioli, è stata commissionata dal Comitato Nazionale per l'Ottavo Centenario della Prima Rappresentazione del Presepe Greccio 2023, per rendere omaggio al "Poverello di Assisi" attraverso opere ispirate al creato e all'amore per l'altro, motivi ancestrali eppure di grande attualità, che illuminano la vita del santo e trovano una sensibile interpretazione nel lavoro dell'artista sarda.
"La mostra di Maria Lai, nella prestigiosa sede di Palazzo Dosi Delfini, cuore di Rieti, è la prima grande iniziativa espositiva di Greccio 2023, e ci porta dentro una riflessione sul "sacro contemporaneo", ispirato ai segni francescani così presenti in Valle Santa ma assolutamente universale. Il Pane del Cielo: il pane, se vogliamo, è questa Valle e la sua terra; il cielo invece è il nostro pianeta, è il dialogo di pace con tutti i popoli che lo abitano e si interrogano sul futuro". Lo precisa Paolo Dalla Sega, il manager culturale del Comitato Nazionale, Greccio 2023.
Artefice di una ricerca semplice e al contempo profondamente sperimentale, Maria Lai attinge a riti arcaici della sua terra, ai racconti e alla poesia dimessa del quotidiano, per dare corpo a un immaginario fantastico. Nelle sue opere, cariche di storie e di simboli, il divino e l'umano si fondono, rivelandosi con un linguaggio semplice e universale. Come gli insegnamenti di Francesco, le creazioni di Maria Lai sembrano interrogarci sul mistero dell'esistenza, guidandoci con infantile stupore tra le inesauribili meraviglie del mondo.
Il percorso affida a fragili creazioni in terracotta e pietre, stoffa e legno una funzione religiosa e sociale espressa in parole semplici. Poesie fatte di materiali poveri, opere che, come le parole del Cantico delle creature, abbracciano terra e cielo, uomo e natura, mistero e rivelazione, e ci fanno riflettere sulla forza dell'amore universale.
La mostra trae ispirazione dalla capacità dell'artista di rileggere in chiave contemporanea l'esempio di Francesco, ideatore della narrazione senza tempo del Presepe realizzato per celebrare la nascita di Gesù, la prima volta, nel Natale del 1223 in una grotta di Greccio. "Amo il presepe – diceva Maria Lai – come esperienza di qualcosa che, più ne indago l'inesprimibile, più trovo verità, più divento infantile e ingenua, e più rinasco. (...) Amo il presepio –perché ci raccoglie intorno alla speranza di un mondo nuovo".
Attraverso i suoi presepi, Maria Lai rinnova ogni volta quell'esperienza di avvicinamento al sacro, alla manifestazione di Dio tra noi: minuscole rappresentazioni capaci di riprodurre in un'unica superficie storia, sogni e utopie che resistono tra i popoli. Spesso frammentati e incompleti, chiamano in causa la precarietà della condizione contemporanea, e nello stesso tempo mettono in connessione la finitezza della terra e l'infinità del cielo.
In mostra anche L'offerta, un pane in terracotta, quel "corpo di Cristo" offerto a tutti noi come nutrimento spirituale.
L'interesse per la panificazione, metafora di arte e vita, attraversa l'intera produzione dell'artista, affascinata sin dall'infanzia dalla ritualità e dal mistero del "farsi da sé" dell'impasto. Parte di numerosi progetti espositivi, i pani di Maria Lai hanno negli anni trovato casa proprio nel territorio reatino, come nell'intervento di arte pubblica Olio al pane e alla terra il sogno (1999) realizzato per il Museo dell'Olio della Sabina nell'antico forno di Castelnuovo di Farfa. Il pane evoca la vicenda umana di Cristo e il mistero della transustanziazione dell'ultima cena, temi centrali della storia umana e religiosa di San Francesco, senza dimenticare anche quel rapporto con le umili cose, i valori antropologici e la loro connessione alla spiritualità, che caratterizzano l'opera della Lai.
Fondamentale nella produzione matura di Maria Lai è il ricorso al filo, al ricamo, all'arte del cucito, che emerge nelle Geografie, teli ricamati su cui si dispiegano imbastiture di complesse "mappe astrali" che, ricorda l'artista, "rispondevano all'esigenza di un rapporto con l'infinito, di una dilatazione e proiezione sulle lontananze".
Le carte geografiche di Lai ci invitano a compiere un viaggio oltre la contingenza, disegnando spazi immaginari, evocando mondi, costellazioni e armonie astrali. Le linee curve e quelle oblique conducono il nostro sguardo verso l'altrove, un vuoto che si carica di mistero e di magia: "Cerco spazi cosmici, cieli, spazi lontanissimi però tattili. Gli spazi che cerco non sono tanto in una superficie, quanto al di là di essa".
L'artista affida al ricamo anche la sua autobiografia, i suoi pensieri, i suoi aforismi, traducendoli in delicate scritture su stoffa, dove il linguaggio scritto si combina con l'immagine annullando le distanze tra poesia e arti visive. Riflessione su una pratica antichissima e legata alla figura femminile, il cucito appare un luogo di libertà, in grado di tradurre istanze universali e personali.
L'amore per il creato avvolge tutto il lavoro dell'artista per la quale l'opera è "oggetto di indagine scientifica, ma possibilità di contatto con l'universale (...) Il contatto deve essere però diretto e individuale: non come atto mentale, ma attraverso il corpo, la materia". Maria Lai osserva la vita in tutte le sue forme, dando voce alla sua varietà: le sue opere sono espressione di un amore puro e senza filtri nei confronti della natura e degli esseri viventi. "Io sono una bambina che gioca, una capretta ansiosa di precipizi. Ascolto il silenzio sospesa tra cielo e terra". La capretta, umile e caparbia, è una sorta di alter ego dell'artista, che con determinazione porta avanti la propria ricerca rivelando la forza generativa dell'arte, che sfida le convenzioni e celebra con linguaggio semplice la meraviglia della creazione.
"La mostra Maria Lai. Il pane del cielo ribadisce la centralità del Museo Novecento nel panorama artistico italiano – dichiara Sergio Risaliti, Direttore del Museo Novecento di Firenze – rilanciando il suo ruolo di istituzione culturale impegnata nella realizzazione di progetti volti a valorizzare tanto le collezioni del Comune di Firenze, quanto gli artisti in esse presenti, attraverso mostre che valicano i confini della città metropolitana per aprirsi al territorio nazionale. La presente esposizione si colloca infatti nell'alveo dei progetti ideati negli ultimi anni, che hanno visto presentare un cospicuo numero di opere provenienti dalla raccolta Alberto Della Ragione. In questa occasione abbiamo concentrato l'attenzione sul lavoro di Maria Lai, una protagonista dell'arte italiana del XX e XXI secolo, una cui opera è di recente entrata a far parte delle collezioni novecentesche del Comune di Firenze. La sua ricerca, oggi nota ad un pubblico sempre crescente anche grazie all'infaticabile lavoro dell'Archivio Maria Lai, ci è sembrata la più adatta a reinterpretare in chiave contemporanea la spiritualità senza tempo di San Francesco d'Assisi, celebrata oggi grazie all'articolato e intenso lavoro del Comitato Nazionale Greccio 2023".
Maria Lai nasce nel settembre 1919 a Ulassai. Di salute cagionevole, viene affidata alle cure degli zii, con i quali vivrà fino all'età di nove anni, trascorrendo la propria infanzia a Cardedu. Dopo un breve soggiorno a Ulassai, si trasferisce a Cagliari, dove nel 1932 si iscriverà all'Istituto Magistrale, divenendo allieva dello scrittore Salvatore Cambosu, con il quale instaurerà un profondo e duraturo rapporto di amicizia. Dopo alcuni anni trascorsi Roma, dove si era trasferita nel 1939 per frequentare il Liceo Artistico – seguendo, tra le altre, le lezioni di Marino Mazzacurati – nel 1943 si sposta a Venezia, dove si iscrive all'Accademia di Belle Arti. Qui avviene il fondamentale incontro con lo scultore Arturo Martini, i cui insegnamenti influenzeranno radicalmente la sua ricerca successiva. Alla fine della guerra, dopo un viaggio rocambolesco, rientra in Sardegna, dove conosce lo scrittore Giuseppe Dessì. Tornata a Roma (1954), sul finire degli anni Cinquanta riscuote i primi importanti riconoscimenti, sanciti, tra l'altro, dalla mostra personale organizzata alla Galleria dell'Obelisco (1957). Negli anni Sessanta, segnati da una profonda crisi, inizia a sperimentare nuove tecniche e a lavorare con materiali diversi. Nascono così i Pani e i Telai, a cui si affiancheranno, dalla fine del decennio successivo, le Geografiee i Libri cuciti. Nel corso degli anni Settanta espone in diversi musei e gallerie, oltre che alla Biennale di Venezia (1978), e la sua ricerca inizia ad aprirsi a una dimensione ambientale (La casa cucita, Selargius, 1979). Nel 1981 realizza a Ulassai la celebre performance collettiva Legarsi alla montagna, spesso ricordata quale primo esempio di arte relazionale in Italia. Le sperimentazioni avviate negli anni Settanta vengono approfondite e sviluppate nel corso dei decenni successivi, durante i quali si intensificano anche le azioni teatrali e gli interventi sul territorio (La disfatta dei Varani, Camerino, 1983; L'albero del miele amaro, Siliqua, 1997). Lasciata definitivamente Roma per Cardedu nel 1993, continua a lavorare intensamente, firmando, tra gli altri, il progetto per il Museo dell'olio della Sabina a Castel Nuovo di Farfa (1999-2001). Insignita della Laurea Honoris Causa in Lettere presso l'Università degli Studi di Cagliari (2004) per "l'originalità della sua vasta produzione artistica, riconosciuta e apprezzata in Italia e nel mondo", nel 2006 inaugura a Ulassai il Museo di Arte Contemporanea Stazione dell'arte, dove viene raccolto un cospicuo nucleo dei suoi lavori. Presente, con le proprie opere, in prestigiose istituzioni culturali, muore a Cardedu nel 2013.
Il monumentale leone rampante di Vezzoli installato permanentemente all’interno di Palazzo Vecchio, Firenze.
La PIETÀ (2021) di Francesco Vezzoli entra a far parte della collezione permanente del Comune di Firenze. L’imponente scultura raffigurante un monumentale leone rampante novecentesco installato su un basamento antico, intento a stritolare tra le fauci una testa romana del II secolo d.C, è stata collocata all’interno del terzo cortile, detto cortile nuovo, già previsto dal Vasari ed eseguito da Bartolomeo Ammannati e Bernardo Buontalenti a conclusione dell'ampliamento verso via dei Gondi e via dei Leoni, ora cortile dell’anagrafe. L’opera, già presentata in occasione della mostra Francesco Vezzoli in Florence (a cura di Cristiana Perrella e Sergio Risaliti, dal 2 ottobre 2021 al 2 febbraio 2022 in Piazza della Signoria e Studiolo di Francesco I – Palazzo Vecchio) rappresenta un pastiche tra diverse epoche artistiche che è diventato la cifra di molte opere recenti dell’artista, e intende mettere in dialogo arte contemporanea e patrimonio storico artistico della città. L’inaugurazione oggi alla presenza del sindaco Dario Nardella, della vicesindaca e assessora alla Cultura Alessia Bettini, dell’artista.
“Siamo felici che il leone sia tornato ed abbia trovato qui una nuova casa che lo protegge dopo la mostra dello scorso anno e siamo orgogliosi di questa nuova stagione della città che ha abbracciato la sfida del dialogo e a volte del conflitto tra il Rinascimento e la contemporaneità con tanti artisti che si sono misurati in questo, da Fabre a Koons a Penone e ora a Francesco Vezzoli. – ha detto il sindaco Dario Nardella - Palazzo Vecchio è un simbolo per Firenze e luogo vivo e pulsante di lavoro, di civismo, di politica, incarnazione dell’identità della nostra città. Grazie a Francesco Vezzoli per questo dono che rimarrà con noi per sempre ad arricchire questo cortile, con una prospettiva straordinaria dal cortile del Verrocchio che, in un arco temporale di secoli, mette a confronto senza pregiudizi epoche e stili diversi”.
“Da anni stiamo portando avanti sempre di più una forte vocazione al contemporaneo in dialogo con il passato e adesso andiamo avanti in questa direzione. – ha aggiunto la vicesindaca e assessora alla Cultura Alessia Bettini - Questo cortile è sempre stato un luogo di passaggio, con questa opera monumentale acquista una sua identità ancora più marcata. Molti sono gli animali araldici che caratterizzano le città, il nostro Marzocco ci ricorda che il leone è simbolo del popolo fiorentino. Così la ‘Pietà’, che già avevamo potuto ammirare in piazza Signoria, adesso da qui ci ricorda la nostra storia e ci rimanda a forti suggestioni. Grazie a Vezzoli, che ha donato quest’opera, grazie a tutti gli uffici e a tutti coloro che hanno reso possibile questa installazione”.
“Nel settembre 2021, Francesco Vezzoli, artista di fama mondiale, ha realizzato un’opera site specific per piazza Signoria, evocando la figura di un minaccioso leone, ispirandosi ad una serie di elementi iconografici e non solo che hanno caratterizzato la storia di Firenze” ha dichiarato Sergio Risaliti, direttore del Museo Novecento. “Un leone alzato sulle proprie zampe e in atteggiamento aggressivo installato su un basamento antico. Si tratta di una scultura di fattura moderna dal carattere rustico e alquanto impressionante nella sua posa. Una grande emozione adesso rivederlo installato all’interno di uno dei cortili di Palazzo Vecchio, in un contesto che storicamente e simbolicamente giustifica la sua presenza”.
Il leone, infatti, a Firenze è da sempre il Marzocco, assurto fin dai tempi della repubblica fiorentina instaurata nel 1115 ad elemento totemico in difesa della libertà comunale. Celebre è il Marzocco realizzato in pietra da Donatello la cui copia si staglia sull’arengario, mentre l’originale è conservato al Museo Nazionale del Bargello. Due leoni, come vigili sentinelle, si trovano poi a segnare la scalinata di accesso alla Loggia dei Lanzi: uno antico e l’altro una invenzione moderna. Altre sagome di leone poi decorano in alto la porta di accesso al Cortile di Michelozzo. mentre un leone dorato svetta assieme alla banderuola sulla vetta della Torre di Arnolfo e altri si impressionano nel cortile della Dogana all’interno ella Signoria e nella sala dei Gigli, dove il leone è elemento decorativo. Sappiamo poi dalle fonti che nel secondo cortile di Palazzo Vecchio si manteneva un serraglio di leoni, ben 24 feroci animali arrivati da lontano. Se il Marzocco come vuole la tradizione protegge tra le zampe il Giglio, simbolo della libertà fiorentina, il Leone di Vezzoli, stritola tra le fauci aperte una testa in marmo d’epoca romana, un frammento di civiltà perduta e una figura togata acefala. La belva sembra aver staccato la testa del togato romano dal resto del corpo -qui per estensione quello dell’arte classica- che è scivolata a terra, sul piano del basamento. Dell’intero non resta che una parte, un frammento, come quelle statue distrutte dalla furia degli uomini o dal tempo. La bella testa marmorea di epoca romana, di spirito antiquariato - come quelle che tanto amavano collezionare i principi e i porporati nelle case e nei palazzi da Roma a Firenze, da Mantova a Milano in epoca rinascimentale- contrasta con la fattura un po' prosaica e ‘rozza’ del leone, che s’impenna con fare minaccioso nel centro della piazza. Quell’essere fiero qui si rivolta contro la civiltà passata, la storia delle immagini e dei monumenti classici, e superbamente ruggisce a dimostrare la sua potenza, una sovranità tanto fiera quanto irrazionale.
Vezzoli negli ultimi anni si è cimentato con la scultura, giustapponendo parole antiche e moderne, accoppiando reperti classici di figure togate frammentate, e sovente acefale, a lemmi moderni, come le teste manichino ‘rubate ‘a De Chirico, restituendoci a questo modo nuove muse inquietanti. Nell’operazione odierna, Vezzoli riserva, a sè stesso e all’artista contemporaneo, il compito di ricomporre i frammenti e esergo di una civiltà in ‘disgrazia’, di un’unità perduta. E a questo modo si permette di ricordarci che l’arte è sempre cosa mentale, e che il ready made è ormai cosa superata e che di questi sublimi assemblage, tra antico e moderno, se ne hanno testimonianze importanti nei tempi antichi. Si veda ad esempio il Ganimede di Benevenuto Cellini realizzato assemblando parti di una antica scultura a elementi moderni, realizzati dallo stesso Cellini. Ma Vezzoli riesce a fare un passo ulteriore rispetto a quella tradizione rinascimentale. Un passo ancora più sofisticato e provocatorio, in senso creativo e poetico. Piuttosto sulla scia di De Chirico e Savino, inventori di metamorfosi e collage misteriosi ed evocativi, che su quella dei restauratori rinascimentali. Perché nel suo caso il fine non è l’integrazione per una ristabilita leggibilità della frase figurativa originaria, rispondendo alle esigenze di armonia formale e concettuale, risultante dalla perfetta ricostruzione dell’intero a partire dal frammento come nel caso citato del Ganimede. Vezzoli combina i lemmi figurativi in modo da ottenere un ibrido che spiazza e sconcerta, appunto un collage linguistico che vive in un mondo diverso da quello della tradizione pur rigenerandone le forme. Un mondo surreale e metafisico ad un tempo, che nasce dalla giustapposizione di archeologia e fantasia, di memoria e invenzione, che sottende in questa occasione e in questo luogo una volontà di critica all’attacco che la cultura artistica occidentale e classica in particolare sta subendo da parte di movimenti ideologici al limite del fanatismo. L’opera, il Leone, questa volta difende da una minaccia culturale, da una minacciosa e aggressiva onda ideologica, che sta mettendo a soqquadro la storia delle immagini e dei contesti originali. Perché la libertà si fonda e tramette anche sul potere misterioso, poetico e trascendentale delle immagini.
Fra i vari personaggi che giunsero in Puglia, verso la fine del II millennio, dobbiamo annoverare il re Dauno, il quale occupò la parte nord della regione, i cui territori nell'antichità comprendevano oltre che l'attuale provincia di Foggia, compreso il Gargano, una porzione della provincia di Bari, che andava da Canosa a Ruvo e a Minervino Murge, verso l'interno; infine il Melfese, con i centri intorno a Melfi, Lavello e più a sud, Banzi. Sulle origini di questo mitico re eponimo dei Dauni, noto ai nostri testi antichi a partire già del VII secolo a. C., le fonti riportano due diverse tradizioni: una è riferita da Antonio Liberale, ma risale al poeta Nicandro, in cui Dauno (dalla radice illirica “dhaun” che, per estensione semantica del suo significato proprio, “strangolare”, indica il “lupo”, denominazione assai diffusa in ambito greco ed italico, che ci riporta ad un animale totemico, appunto il lupo), è considerato figlio dell’antichissimo re arcade Licaone, e quindi collocato in un orizzonte cronologico mitico anteriore a quello di Diomede e degli eroi della guerra di Troia. L’altra tradizione si deve all’epitome di Paolo Diacono, dell’opera di Festo, in cui Dauno, illustre esponente della stirpe illirica, e coevo di Diomede, abbandonata la patria a causa di una guerra civile, si insediò nella regione degli Iapigi. Un’altra tradizione, attestata in Solino, considera, invece, i Dauni, discendenti di uno sconosciuto figlio di Minosse, Cleolao, che, di ritorno dall’assedio di Camico in Sicilia, furono gettati da una tempesta sulle coste della Iapigia. Qui si stanziarono definitivamente e fondarono la città di Uria, trasformandosi, così, da Cretesi in Iapigi e da isolani in continentali.
Secondo la tradizione, Dauno avrebbe allargato il suo regno verso ovest, lungo le valli più agevoli, oltre Bovino, per poi occupare il territorio di Benevento ed espandersi verso la Lucania. Il re Dauno, per assoggettare l'intera regione, dovette far guerra alle popolazioni indigene, restie ad accettare una nuova dominazione. Durante tali guerre si ebbe l’arrivo dell’eroe greco Diomede, a cui venne promesso la propria figlia a patto che lo aiutasse nella guerra contro i Messapi. Purtroppo, come sappiamo, tutto andò male, e Diomede venne ucciso da Dauno.
I Dauni
[Stele Daunia]
In genere i Dauni, come gli Iapigi, all'inizio della fase emigratoria, occuparono le terre, con lo scopo di razziare tutto ciò che incontravano. Successivamente, una volta stabilitisi sul territorio, dovettero ricostruire le antiche borgate, cingendole di poderose mura di difesa, formate da pietrame, come nel caso di Monte Saraceno, oppure circondate da difese naturali, come nel caso di Salapia, con le sue lagune marine. Se nella prima fase emigratoria detta "pannonico-balcanica" abbiamo la sola presenza della tribù degli Iapigi, nella seconda fase abbiamo la presenza della tribù dei Liburni, che si stanziarono prevalentemente nella zona di Cupola, in territorio sipontino, dove abbiamo trovato strette affinità strutturali con quelle liburniche.
La civiltà daunia raggiunge il suo massimo sviluppo nel VI secolo, allorquando l'intera subregione presenta una sua unità culturale manifestatasi specialmente sul piano della produzione artistica, oltre che culturale e religiosa. Della prima forma culturale fanno parte i prodotti in ceramica, il cui stile viene detto "geometrico dauno". Tale produzione prende le mosse dal protogeometrico japigio della fine del II millennio a. C., influenzato dai modelli elaborati in area ellenica e transadriatica, per poi evolversi nell’età del Ferro sino a tutto il IV secolo a. C., secondo linee e modelli autonomi conquistando, attraverso le esportazioni particolarmente attive tra l’VIII e il VI secolo a. C., il gusto dei mercati stranieri ed in modo particolare quello illirico, tanto da contribuire in maniera notevole alla floridezza della regione. La sua produzione, prevalentemente in ceramica daunia, è attestata in numerose località daunie, fra cui Coppa Nevigata, Monte Saraceno, Punta Manaccore, Ordona, Arpi, Salapia, Cupola. Secondo il De Juliis, quest’ampia documentazione ha messo in luce l’esistenza di una sostanziale differenziazione, già dall’inizio dell’VIII sec. a. C., fra il geometrico Japigio dell’area meridionale e quello della Daunia, dando origine così prima al geometrico protodaunio e poi alla ceramica geometrica dauna dell’VIII-IV secolo a. C. I centri di maggiore diffusione di questo ultimo periodo geometrico sarebbero stati Herdonia, Ascoli e Canosa con diffusione verso il Gargano. Le ceramiche, insieme a vasi di bronzo, monili di metallo, pasta vitrea e ambra, provengono dalle tombe che numerose si trovano nella Daunia. (700-550 a. C.); Daunio II (550-400 a. C.); Daunio III (400-300 a. C.).
Una posizione di primo piano nell’ambito della cultura protostorica occupano le stele daunie, legate, a livello generale, alla stessa produzione scultorea in pietra, le cui testimonianze, rinvenute in tutti i principali centri dauni, dal Gargano al Tavoliere, sia sulla costa che nelle aree più interne al Melfese, costituiscono l’espressione maggiormente rappresentativa della creatività e dell’originalità dell’ethnos indigeno. Secondo M. L. Nava, il fenomeno, che appare profondamente radicato nella cultura espressiva dei Dauni, si manifesta in pieno durante le fasi centrali dell’età del Ferro, ma affonda le proprie origini nelle epoche precedenti, contribuendo ad attestare l’evoluzione che, senza palesi soluzioni di continuità, contraddistingue il progresso culturale di questa popolazione durante le età dei metalli. La presenza di scultura in pietra è documentata in Daunia a partire dagli albori dell’età del Bronzo, ed essa trova corrispondenza nei monumenti antropomorfi di Castelluccio dei Sauri, nonché in diverse regioni del Mediterraneo, dalle coste orientali sino alla Spagna.
La diffusione delle stele daunie, in territorio di Siponto, nonché nella vicina Salapia, là dove Strabone (VI, 3, 9, 284) colloca la laguna costiera aperta verso il mare, sui cui dossi emersi si insediavano le strutture abitative e sepolcrali riferibili alle due città indigene, si ha maggiormente tra il VII e il VI secolo a. C. Il loro ritrovamento ha fatto sorgere diversi problemi riguardanti l’origine stessa dei Dauni e il loro grado di civiltà. L’opera di rinvenimento è da ascrivere al prof.
Silvio Ferri, dell’Università di Pisa, il quale, negli anni sessanta, proprio in riferimento ad alcuni primi rinvenimenti di stele su Monte Saraceno, scoprì, nella zona sipontina di Beccarini, Versentino e Cupola, una ricca produzione. Le stele, più di 1500 pezzi, interi e frammentati, oggi esposte nel Museo Archeologico Nazionale di Manfredonia, rappresentano le uniche testimonianze storiche ed artistiche dei Dauni, che fino ad alcuni decenni erano del tutto sconosciuti, con alcuni sporadici riferimenti agiografici in autori greci e latini. Esse sarebbero da rapportare alla fase di maggiore sviluppo della civiltà daunia e precisamente all’VIII-VI secolo a. C., e fanno per la prima volta luce sull’esistenza dei Dauni, sulle loro credenze religiose, sui loro culti, sul loro mondo quotidiano.
La funzione di queste stele è quella funeraria, messa in relazione col culto dei morti. Generalmente esse sono costituite da una lastra rettangolare, con una testa iconica ed aniconica. Il materiale è di derivazione calcarea, tenera e friabile. La tecnica rappresentativa delle scene è quella dell’incisione. Le stele rappresentano schematicamente il defunto, abbigliato con una veste riccamente ornata ai bordi con motivi geometrici e che giunge sino ai piedi. Su questa veste sono raffigurati armi oppure ornamenti, che indicano l’elevata classe sociale di appartenenza del defunto.
I temi di questi “racconti per immagini” riguardano i diversi momenti dell’esistenza umana riferiti sia alla vita quotidiana che ad azioni cultuali e al mondo religioso. Si notano scene di colloqui, di offerte, di commiato, di processioni, di banchetti, scene erotiche, di caccia, di pesca, di attività produttiva, di combattimenti a piedi e a cavallo, scene di sacrificio, nonché rappresentazioni di mostri dalle forme più strane. Il tutto con una tecnica molto forte ed espressiva. Da un punto di vista iconologico le stele sono il risultato esclusivo della spiritualità più pura ed originale della cultura dei Dauni, in cui viene portato a compimento il processo di eroizzazione e divinizzazione già iniziato con le sculture di Castelluccio dei Sauri e proseguito con quelle di Monte Saraceno. Inoltre le stele costituiscono il mezzo attraverso il quale il ceto dominante della Daunia manifesta il proprio potere e la propria eminenza su tutti gli altri popoli della Puglia settentrionale. Infatti con le immagini monumentali l’oligarchia daunia si rappresenta al massimo della propria potenza, con le insegne di status che esprimono un dominio sia sociale che intellettuale e religioso. Tutto ciò si manifesta soprattutto fra l’VIII e il VII secolo. Ma allorché nel corso del VI e del V secolo inizia il declino della civiltà daunia, e si affacciano sulla scena politica nuove istanze provenienti dal mondo magno-greco e italico, le stele iniziano a svuotarsi di contenuti e di valori.
[Testa iconica Monte Saraceno - Mattinata]
Da parte mia ho voluto far rivivere la civiltà daunia attraverso la riproduzione della ceramica daunia dell’artista Angela Quitadamo, le cui opere oggi sono esposte nel Museo Archeologico ubicato nel Castello di Monte Sant’Angelo. Un omaggio ad un’artista e a una civiltà, quella daunia, che sta alle origini della nostra identità culturale, che è quella legata all’Europa, sorta sui grandi itinerari della fede, attraverso l’Homo Viator, alla ricerca della Montagna Sacra.
Mercoledì 19 luglio 2023, alle 17.00, è stato inaugurato il nuovo Museo Archeologico Nazionale di Mattinata “Matteo Sansone”, che fa parte dei Musei di Puglia.
All'evento hanno preso parte il Prof. Massimo Osanna, Direttore Generale Musei, il Dott. Michele Bisceglia, Sindaco di Mattinata, il Dott. Luca Mercuri, coordinatore generale del progetto. l'Arch. Francesco Longobardi, delegato alla Direzione Regionale Musei Puglia, l'Arch. Anita Guarnieri, Soprintendente Archeologia Belle Arti e Paesaggio per le Province di Barletta – Andria - Trani e Foggia, Matteo Sansone, rappresentante della famiglia donatrice.
Grande attesa per la visita e l'intervento del Prof. Vittorio Sgarbi, Sottosegretario di Stato alla cultura, cha ha ammirato le collezioni esposte, commentando «I musei costituiscono l’identità culturale del nostro paese e ne rivelano la storia e le testimonianze di civiltà passate. Ma devono anche essere luoghi di vitalità culturale attraverso il dialogo tra passato e presente».
La collezione “Matteo Sansone” donata allo Stato italiano (12 agosto 2022) è costituita da oltre 2500 reperti ceramici, metallici, litici, numismatici, provenienti in massima parte dalla provincia di Foggia, in particolare dal Gargano e dall’area della piana del Tavoliere, che rimandano soprattutto alla locale cultura dei Dauni, cui appartiene anche un nucleo di frammenti di stele, alcuni provenienti dal promontorio di Monte Saraceno.
La Direzione regionale Musei Puglia, in accordo con la Direzione Generale Musei e in collaborazione con la Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per le province di Barletta-Andria-Trani e Foggia, ha curato i lavori di riallestimento dello storico Museo civico, riorganizzando e riqualificando gli spazi del percorso di visita anche in chiave accessibile.
L’esposizione racconta attraverso i reperti della collezione lo sviluppo della civiltà dei Dauni, valorizzando laddove possibile i contesti di provenienza indicati nella documentazione di vincolo e mettendo in evidenza i contatti e le relazioni con l’esterno che hanno nel tempo caratterizzato o modificato usi e comportamenti dell’antica popolazione italica.
La prima sezione “La collezione e il territorio della Daunia. Il Gargano e la Piana del Tavoliere” è dedicata al sito di Monte Saraceno, contesto fortemente identitario per il territorio da cui provengono alcuni materiali della collezione, tra cui i cosiddetti scudi litici con sostegno a colonnetta usati come segnacoli funerari delle tombe. La sezione è arricchita da altri reperti litici finora conservati nel Museo archeologico nazionale di Manfredonia e nei depositi della Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio delle province della Bat e di Foggia.
La sezione 2 è dedicata alle note stele daunie, che riproducono schematicamente il defunto con la sua veste funeraria, riccamente decorata con gioielli personali, ornamenti o armi, e che costituiscono l’espressione artistica più caratteristica e originale dell’antico popolo dei Dauni.
La sezione 3 La Daunia e l’Adriatico, racconta attraverso i reperti della collezione i rapporti che i Dauni, già a partire dall’età del Bronzo finale, iniziano a intrattenere con la costa dalmata e l’area balcanica. Queste relazioni sono confermate da alcuni oggetti in bronzo, come le fibule a occhiali di ambiente adriatico, e dalla presenza della nota ceramica geometrica daunia su entrambe le coste adriatiche. All’Adriatico è legata anche la particolare diffusione di ambra tra le varie popolazioni italiche, soprattutto durante la tarda età del Ferro e nel periodo orientalizzante, quando emergono alcuni gruppi familiari aristocratici che iniziano ad assumere un ruolo di prestigio. Nella fase successiva le ambre figurate sono particolarmente diffuse in Daunia. Fanno parte della collezione Sansone alcune ambre provenienti da Monte Tabor e dall’area garganica, di particolare raffinatezza e pregio.
La collezione comprende inoltre una ricchissima raccolta di ceramica geometrica daunia con forme in parte provenienti dai tre centri di produzione conosciuti (Canosa, Ascoli Satriano e Ordona) esposte nella sezione 4 La produzione ceramica in Daunia. Nella stessa sezione ci sono due approfondimenti, uno sui vasi a figure rosse della collezione, prodotti nelle botteghe dei ceramografi apuli nella seconda metà del IV secolo a.C. ad imitazione della ceramica greca e l’altro sulle terrecotte architettoniche daunie provenienti da centri del territorio (Arpi, Lucera, Ascoli Satriano, Salapia, Cupola).
Per i secoli dal IV al III a.C., nella sezione 5 “La Daunia in età ellenistica”, i cambiamenti della società daunia sono raccontati attraverso la presenza di nuove produzioni ceramiche, a vernice nera, sovraddipinta monocroma, Gnathia, geometrico-floreale, policroma, che mostrano un’epoca di vitalità delle produzioni artigianali grazie alle influenze ellenistiche.
La presenza di un frammento di terracotta con iscrizione osca ha consentito di creare un approfondimento su questa scrittura che si sviluppa a partire dal IV sec. a.C. in funzione di scrittura “nazionale” dei popoli italici, diffusa tra i moderni Lazio, Campania, Molise e nella Capitanata fino al I secolo a.C. Nell’ultima sezione La Daunia in età romana vengono presentati alcuni reperti provenienti dalla villa romana di Agnuli (Mattinata).
La figura di Don Giuseppe Antonio Azzarone, arciprete
Figura non solo di rilievo spirituale ma anche di spicco nella vicenda politica, economica e culturale dell’epoca fu l’Arciprete Don Giuseppe Antonio Azzarone (1871-1909). Aveva ereditato la passione per l’archeologia da uno zio materno, il canonico Tomaiuolo, coltivandola ancora di più dopo il suo arrivo, giovanissimo, nella Parrocchia di Mattinata.
Le perlustrazioni nelle campagne lo portarono a comprendere l’antichità e l’importanza di località come Monte Saraceno e Agnuli e lo spinsero a formare una considerevole raccolta. A Monte Saraceno, osservando i contadini che svuotavano le chiote (le sepolture protostoriche) per mettere a dimora nella fossa già scavata nella roccia qualche arbusto di mandorlo o qualche iammetta, o piantone di ulivo giovane, si accorse per primo come queste buche fossero vere e proprie miniere di reperti.
Meta altrettanto cara era per Azzarone la contrada Agnuli, con le vestigia di quella che lui riteneva fosse la città romana di Matinum, sommersa dal mare, di cui restavano alcune rovine di abitazioni, oggi note per essere quanto resta di una villa romana.
La collezione dell’Azzarone andò dispersa, dopo la sua morte, tranne un nucleo di centinaia di esemplari toccati ad un nipote, Michele Azzarone e a Diego Azzarone di Monte Sant’Angelo.
La figura di Matteo Sansone, lo speziale
Il farmacista di Mattinata Matteo Sansone, il noto “speziale” (1916-1992), la cui collezione è considerata una fra le più importanti raccolte private della Puglia, sia per la quantità di materiali che per interesse scientifico che riveste, venne allevato, poiché orfano di padre, da uno zio che aveva ereditato la collezione da monsignor Azzarone, sviluppando un forte attaccamento per le antichità e per il proprio territorio.
La raccolta si è dunque venuta formando in varie epoche e in diverse occasioni e la sua grande popolarità si deve non solo al pregio del materiale archeologico di provenienza prevalentemente locale, ma soprattutto alla singolare collocazione all’interno della Farmacia di famiglia e al peculiare carattere antiquario.
La passione e l’esperienza maturata dal Sansone nel corso degli anni, di cui ne è un esempio la partecipazione agli scavi presso la basilica di Santa Maria di Siponto nel 1935, era ben nota agli studiosi del suo tempo, come dimostrano la nomina ad Ispettore Onorario per le Antichità e Belle Arti per nomina del Soprintendente Bartoccini e la collaborazione con i membri della Missione Archeologica Garganica del dopoguerra (Cleto Corrain, Ferrante Rittatore Vonwiller, Silvio Ferri).
Con queste motivazioni, nel 1990, la collezione veniva dichiarata “di eccezionale interesse artistico, storico e archeologico” (D.M. 27 luglio 1990) e il 12 agosto 2022 veniva donata allo Stato italiano per volontà degli eredi Sansone e come lo stesso Matteo Sansone desiderava.
Pur essendo frutto dell’ampio fenomeno del collezionismo, attraverso i reperti della collezione, che mostrano un forte collegamento con il territorio, è possibile ripercorre la storia della Daunia e del popolo che occupò i territori della vasta area comprendente la Puglia settentrionale e l’area del Melfese, in Basilicata.
«L’idea nasce dopo la visita di un turista tedesco, venuto a Lucera esclusivamente per fotografare l’importantissima testa di Moro custodita nel Museo civico Giuseppe Fiorelli», quanto espresso dal Gruppo Fai di Lucera.
Per curiosità, in quanti conoscono la Testa di Moro?
Immaginiamo un turista o un residente passeggiare per le vie del centro federiciano, candidato a Capitale della Cultura Italiana 2026, e chiedersi: «Bellissima opera. Non l’avevo mai vista. Dove si trova?»
Ebbene, la risposta è che per tutto il mese di agosto la testa di Moro, i quadri di Ar, i tesori della Diocesi saranno esposti nelle varie attività commerciali del centro storico federiciano.
Parafrasando un vecchio detto “Se non sarete voi ad andare al museo, sarà il museo a venire da voi”.
L’evento è stato realizzato con la preziosa collaborazione dei commercianti locali, dell’artista della fotografia Italiana e internazionale “Raffaele Battista”, il Ministero della Cultura-Soprintendenza Archeologica Belle Arti e Paesaggio per le Province di Barletta-Andria-Trani e Foggia, il Comune di Lucera e la Diocesi di Lucera-Troia.
Un “dialogo dei dialoghi” in cui l’arte e l’architettura interloquiscono con altre forme artistiche e si ridefiniscono a vicenda: i luoghi della cultura si fanno palcoscenico teatrale.
Nell’ottica di arricchire l’offerta culturale pugliese in un periodo di grande fermento turistico, la Direzione Regionale Musei Puglia in collaborazione con il Teatro Pubblico Pugliese, propone al pubblico lo spettacolo dal titolo “Libertà rampanti”, il progetto dell’attore autore leccese Mario Perrotta; la rappresentazione andrà in scena in quattro ambientazioni di pregio, in grado di ospitare un pubblico numeroso: Castello svevo di Bari, Castello di Manfredonia, Parco archeologico di Canne della Battaglia e Parco Archeologico di Egnazia.
Lo spettacolo, unico per tutti i siti coinvolti, sarà occasione privilegiata per parlare di liberà individuali e collettive, assicurando al pubblico un intrattenimento di qualità, grazie al quale luoghi di autentica bellezza acquisiranno ulteriore splendore.
«Musica e recitazione, le due forme d’arte che, in particolare, porteranno in scena i protagonisti di “Libertà rampanti”, si fanno appendici naturali dell’arte nei luoghi della cultura afferenti alla Direzione regionale Musei Puglia – commenta Francesco Longobardi, delegato alla Direzione Regionale Musei Puglia. L’iniziativa si pone in continuità con una solida collaborazione che dura da tempo con la Regione Puglia e con il Teatro Pubblico Pugliese. Ringrazio anche a nome del Direttore Generale Musei, prof. Massimo Osanna, il Presidente del Teatro Pubblico Pugliese e il Governatore della Regione Puglia per aver, ancora una volta, intrapreso un percorso comune con il nostro Istituto, camminando nella stessa direzione. Del resto, una comunità cresce se crescono le attività culturali messe in campo».
Il costo dello spettacolo è incluso nel biglietto di ingresso del museo; per avere anche la possibilità di visitare con tutta calma i luoghi della cultura interessati, si consiglia di arrivare con congruo anticipo rispetto all’orario di inizio dello spettacolo, cominciato il quale le visite saranno interrotte.
Per acquistare i biglietti è possibile cliccare sui seguenti link:
- 18 LUGLIO 2023 ORE 21.00 - CASTELLO SVEVO DI BARI (aperto straordinariamente dalle 19.30 alle 23.30) https://tinyurl.com/LRCastelloBari
- 19 LUGLIO 2023 ORE 21.00 - CASTELLO DI MANFREDONIA (aperto straordinariamente dalle 20.00 a mezzanotte) https://tinyurl.com/LRManfredonia
- 20 LUGLIO 2023 ORE 21.00 PARCO ARCHEOLOGICO DI CANNE DELLA BATTAGLIA – BARLETTA - (aperto straordinariamente dalle 18.30 alle 22.30) https://tinyurl.com/LRCanneBattaglia
- 21 LUGLIO – ORE 21.00 PARCO ARCHEOLOGICO DI EGNAZIA –FASANO- aperto straordinariamente dalle 20.00 a mezzanotte) https://tinyurl.com/LREgnazia
Mercoledì 19 luglio 2023, alle 17.00, avrà luogo l'naugurazione del nuovo Museo Archeologico Nazionale di Mattinata “Matteo Sansone”.
Il Museo, allestito negli ambienti dell’ex Museo civico, in via Torquato Tasso, concessi dal Comune alla Direzione Regionale Musei Puglia, ospiterà la collezione archeologica donata dalla famiglia Sansone, composta da circa 2500 manufatti antichi, ceramiche, metalli, stele daunie, monete provenienti dall’area del Gargano e del Tavoliere.
Il Museo sarà aperto al pubblico da giovedì 20 luglio
Introduce: Prof. Massimo Osanna, Direttore Generale Musei
Saluti istituzionali: Dott. Michele Bisceglia, Sindaco di Mattinata
Intervengono:
- Dott. Luca Mercuri, coordinatore generale del progetto
- Arch. Francesco Longobardi, delegato alla Direzione Regionale Musei Puglia
- Arch. Anita Guarnieri, Soprintendente Archeologia Belle Arti e Paesaggio per le Province di Barletta – Andria - Trani e Foggia
- Matteo Sansone, rappresentante della famiglia donatrice
Conclude: Prof. Vittorio Sgarbi, Sottosegretario di Stato alla cultura.