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Lo avevamo già conosciuto su questa testata giornalistica, e continueremo a farlo perché l’arte “Made in Capitanata” va diffusa, sostenuta, comunicata, amata e condivisa, dapprima con una bi-personale fra sacro e profano insieme a Gheorghita Ouatu al castello di Monte Sant’Angelo, poi alla sua partecipazione, ancora in essere, all’USA Tour Biennial 23/24 della Fondazione Effetto Arte.

Lui è l'artista Michele Affatato, foggiano, che in questo periodo natalizio è presente il 27 dicembre 2023 con alcuni suoi quadri al “Natale in Lamis”, nel centro garganico di San Marco, e su due riviste nazionali: “Cultura e Identità” con l’articolo “Michele Affatato e la sinfonia dei colori”, a cura di Leonardo Zappulla, e alla selezione per l’Annuario Artisti ’24 da Museo” della Mondadori, che premia con posti limitati i migliori artisti pittorici che si sono contraddistinti nell’anno che sta per terminare, per poi esporre alla un’opera alla 3a edizione della Biennale Internazionale di Mantova.

 Un bel traguardo per Michele, che da sempre nelle sue opere c’è anima e cuore, l’identità di un territorio che offre tanto e tanto dovrebbe ricevere.

Come già è stato descritto in un nostro precedente articolo, le opere di Michele Affatato rappresentano l’immaginifico mondo che fu e che ritorna, non solo nei suoi pensieri, con i suoi sogni. Sulle tele colori e materiali prendono corpo, animando l’irreale, quasi onirico, scenario dove Michele ha avuto i natali. Colori come fiori e libertà, sfumature come anime e angeli, riflessi come luci di un tempo che inesorabilmente scandisce l’esistenza di tutti noi, ciò che l’artista foggiano rappresenta nelle sue opere. Un’osmosi radicata nell’essere territoriale, aprendo anima cuore e intelletto alle platee che lo osservano. Quadri che nel tempo hanno impreziosito muri di gallerie e palazzetti dell’arte, castelli, sale e palazzi internazionali.

Michele Affatato rincorre e raggiunge la meta pittorica osservando ciò che gli sta attorno, ciò che accade nel territorio e nel mondo, ciò che prova nell’animo e nel cuore, tra poesia e sentimento ma anche estemporaneità dei fatti, per poi realizzarlo con l’analisi del reale e trasformandolo con i colori nella forma, dove l’stinto prevale sulla ragione. Così Michele comunica!

E poi, lui non diserta mai un avvenimento che abbraccia l’opinione pubblica, come a dire, l’arte può comunicare come una penna che scrive o un video che descrive. Lo ha fatto in occasione della “Giornata internazionale per l'eliminazione delle violenza sulle donne”, quel 25 novembre che nella sintesi ricorda i femminicidi, ma nella sua globalità racchiude ogni forma di violenza e maltrattamenti di genere. Lo ha fatto con un’opera, “Violated women work in progress”, quadro 140x70 realizzata con acrilico fluorescente e fosforescente (di seguito nella foto).

 

MAffatato violated women work in progress 140x70  con acrilico fluorescente e fosforescente

 

Di lui, Zappulla ha scritto: «Nella realizzazione delle sue opere, su entrambi questi versanti, l’autore si muove senza uno schizzo preparatorio. Per lui i cromatismi che si distendono sul supporto con molteplici variazioni tonali, determinando riflessi e bagliori, sono la struttura stessa dell’opera, sono l’anima del suo lavoro, il centro della sua ricerca. Ne sono uno splendido modello opere come Pentagram, Note di colore o ancor di più Anime perse, in cui la natura della materia cromatica scivola nello spazio pittorico che la coglie in divenire, focalizzando la percezione sul fluire emotivo».

L’invito è di andare ad ammirare i suoi quadri, e semmai anche incontralo e parlarci, perché solo così si potrà cogliere il vero sentimento di ciò che raffigura, di quello che comunica.

La presentazione dell’ultima edizione del libro di Michele Cuppone su “Caravaggio, la Natività di Palermo. Nascita e scomparsa di un capolavoro”,  Campisano Editore, Roma 2023, ha fatto il punto sulla scomparsa a Palermo dell’opera del nostro maggiore pittore Caravaggio (1571-1610), il cui ritrovamento ancora oggi se ne parla, e che ha avuto come protagonista il nostro concittadino Libero La Torre Carabiniere del Nucleo Operativo della Tutela dei Beni Culturali, il quale ha profuso tutto il suo tempo e il suo impegno  nel ritrovare il dipinto del Caravaggio trafugato  a Palermo  il 17-18 ottobre del 1969.

Un impegno e una ricerca che purtroppo ancora oggi lasciano molti interrogativi irrisolti in quanto l’opera è ancora nelle mani di chi l’ha rubato, tanto da far intervenire non solo personaggi del mondo    culturale, quanto la presenza della mafia siciliana. In ogni modo durante la presentazione del libro di Cuppone,  con la partecipazione della conduttrice Rosita Zucaro, del concittadino Libero La Torre e del Sindaco di Monte Sant’Angelo, Pierpaolo d’Arienzo, si è tenuto a sottolineare che l’opera d’arte è l’espressione massima della bellezza del mondo e che ogni città acquista valore e identità proprio attraverso la conservazione e la presenza delle opere d’arte, di cui è espressione l’artista ma anche la storia e la cultura della città che le ospita. Come nel caso di Palermo dove l’opera della Natività del Caravaggio ha dato notorietà alla città e al suo autore. Del resto ogni città acquista valore e identità proprio attraverso la presenza del suo patrimonio storico-artistico, come nel caso della città di Monte Sant’Angelo, di cui alcuni  autori parlano di una ipotetica presenza del Caravaggio proprio qui a Monte Sant’Angelo in visita  al nostro Santuario.

Ma ciò, vero o falso, non fa diminuire l’importanza che la città micaelica ha avuto nel corso della sua storia, come del resto, a proposito della presenza di grandi artisti, dobbiamo constatare che nel Palazzo del nostro Municipio abbiamo ben due opere di grandi artisti dell’età di Caravaggio e precisamente un’opera del Perugino (1448-1523) e un opera di José de Ribera detto lo Spagnoletto (1591-1652). Opere che purtroppo nemmeno i possessori hanno veramente conoscenza  e coscienza del grande valore artistico  che esse hanno.  Un patrimonio che purtroppo spesso è incustodito, senza che vi sia una  vera e propria cura  nel preservarlo in maniera tale da non compromettere lo stato di conservazione. E mi riferisco per esempio alle due opere che oggi possiamo ammirare all’interno del Palazzo Municipale della Città, un tempo sede dell’antico monastero dei Benedettini, fondato, come vuole la tradizione, dal Beato Salla, monaco celestino del XIV secolo, il quale fu il primo ad occuparlo. Storicamente il Monastero dei Benedettini fu abitato dall’arcivescovo Giovanni Maria del Monte di Monte S. Savino (1545-1550), che divenne poi papa Giulio III.

All’interno di alcune Sale del Municipio, vi sono oggi diverse opere pittoriche, fra cui una bellissima tela attribuita a PIETRO VANNUCCI, detto il PERUGINO (1448-1523), maestro di RAFFAELLO (1483-1520), in cui vengono raffigurate  Santa Barbara e Santa Lucia, e un’altra opera attribuita a JOSÉ DE RIBERA, detto    LO SPAGNOLETTO (1591-1652), raffigurante un Cristo con la corona di spine, nonché altri quadri raffiguranti personaggi di epoca, fra cui una raffigurazione di San Francesco. L’attribuzione del Cristo sofferente allo Spagnoletto, anima della cosiddetta “scuola dei tenebrosi” è ispirata alla originale arte pittorica di Michelangelo da Caravaggio. Afferma a tale proposito Ciro Angelillis: “Detto dipinto ha un’espressione così profonda di dolore da colpire vivamente che vi rivolge lo sguardo. Nei muscoli contratti di quel volto straziato, in quei grandi occhi velati di lacrime e fortemente iniettati di sangue è trasfuso tutto lo spasimo del martirio del divino Maestro.

Lo Spagnoletto, che fu uno dei più potenti e vigorosi tra i pittori napoletani del  seicento, si distinse soprattutto per una singolare perizia nelle immagini dolorose del Nazareno e dei Santi Martiri e in generale nelle scene sacre di supplizi e di torture.  Ond’è che non può essere lontano dal vero chi, come noi, ammette che il nostro quadro rappresentante la testa di Cristo con la corona di spine, sia da assegnarsi precisamente alla mano del Ribera”.  Dello stesso parere è stato il prof. Antonio Ciuffreda in Uomini e fatti della Montagna dell’Angelo, Monte Sant’Angelo 1989, il quale così scrive: “Tra le opere artistiche presenti nella nostra Città merita di essere segnalato il quadro raffigurante la testa di Cristo incoronato di spine, attribuito a Josè de Ribera detto lo Spagnoletto, conservato nella sede del Comune, ma originariamente esposto nella chiesa dei Cappuccini”. A tale proposito l’avv. Matteo Giuffreda, in un articolo pubblicato su l’Attacco  di Foggia,  del 16 maggio 2023, ha fatto presente che il quadro ha bisogno di urgentissimo restauro, al fine di esporlo, secondo noi,  in una sede più confacente alla sua importanza, fra cui un Museo o Pinacoteca Civica.

Del resto una città senza un luogo emblematico della bellezza, come una Pinacoteca o un Museo d’Arte non può ambire ad essere capitale né dell’Italia né della Puglia.

La Politica deve essere l’espressione non solo di interessi particolari, quanto di interessi  generali della città, che ha nella cultura e nella bellezza i suoi punti di riferimento. Per questo da più di anni chiedo ad alta voce l’istituzione di una Pinacoteca Civica o di un Museo d’Arte Moderna e Contemporanea al fine di creare le basi per una città veramente all’altezza del riconoscimento UNESCO.  Ciò che del resto è scritto a chiare lettere nel Dossier di Presentazione della Candidatura di Monte Capitale della Cultura Italiana 2025 e oggi Capitale della Puglia 2024.

Lucera sugli schermi di Times Square, la piazza più famosa del mondo, un dolce omaggio da parte di Visitlucera con i suoi video e di Giuseppe Toziano, da sempre impegnato per promuovere la Città d’Arte made in Capitanata.

L'iniziativa nasce dall'amore per Puglia e Lucera, con l'intento di promuoverla nello spazio pubblicitario più importante del mondo “New York”.

 

Lucera a Times Square dic2023 02

 

La Basilica cattedrale di Santa Maria Assunta, la Fortezza svevo-angioina di Lucera e l'anfiteatro Augusteo nato prima del Colosseo, sbarcano in america come buon auspicio per la candidatura di capitale italiana della cultura.

La proclamazione della candidatura si terrà entro il 29 marzo 2024.

Per adesso godiamoci Lucera capitale regionale della cultura 2025 e incrociamo le dita per la finale. La città vincitrice sarà assegnataria di un contributo finanziario per concretizzare i progetti delineati durante la candidatura con l’obiettivo di "valorizzare i beni culturali e paesaggistici" e di "migliorare i servizi rivolti ai turisti".

 

 

Le Città Invisibili Edizioni del Poggio, Poggio Imperiale, 2022.) è l’ultimo capolavoro di Antonietta Pistone pubblicato nel 2022. Un testo che rievoca attimi di grandi emozioni, di stupenda e piena poesia che tocca il cuore. Esso fa parte della “letteratura combinatoria” dove l'ordine del testo non è fissato a priori ma può essere smontato e rimontato a piacere dal lettore seguendo le “regole del gioco” definite dall'autore nella ricerca delle combinazioni interpretative nascoste nella sua opera e nel linguaggio stesso.  Il testo è strutturato con una duplice suddivisione: nella prima parte è presente una raccolta di poesie che hanno come protagonisti le sofferenze e la speranza, ricordi e dolore, il tutto filtrato da una realtà quasi sfumata dallo scorrere di sensazioni ed emozioni profonde. È questa del resto una qualità tipica di ogni testo letterario, ma in special modo di quello poetico, che – data la sua particolare struttura retorica fatta di echi e rimandi – induce il lettore a rallentare la lettura e non condurla solo linearmente e sempre in avanti, come più propriamente avviene nella prosa narrativa presente, invece, nella seconda parte. Il lettore ha davanti a sé una serie di poesie che possono essere viste come tessere di una scacchiera e che vanno interpretate, mettendole in relazione l’una con l’altra, per riuscire a dedurne un significato.

Per l’autrice poi la poesia ha una funzione catartica, ossia di purificazione da una serie di tensioni insite nello scorrere costante dei giorni che le permette poi di sentirsi svincolata da ogni forma di isolamento.

Col prevale della dimensione narrativa, presente nella seconda parte, si entra in una sorta di pellegrinaggio interiore dove la geografia del testo lascia spazio alla geografia dell’immaginazione, in quanto è lo spirito creativo a guidare la penna dell'autrice e attuare in poche righe dei mondi carichi di fascino, capaci di produrre immagini indelebili nella mente del lettore.

Nel suo insieme la seconda parte del testo è strutturata a partire da un’alternanza di presenza e assenza, distanza, ricerca e vicinanza dove l’autrice presenta nel suo lavoro un ritratto intimo di una donna, Rebecca, che anela al suo partner, Lorenz, e usa il sogno per mantenere viva così la loro relazione. Pertanto suggerisce che nel sogno i due protagonisti possono congiungersi a un livello più profondo, vivendo le loro emozioni e trovando conforto nella presenza reciproca. Il sogno poi accompagna tutta la narrazione, dove tutto l'immaginabile può essere sognato, ma anche il sogno più inatteso è un rebus che nasconde il desiderio, oppure il suo rovescio, la paura. Le Città, come i sogni, sono fatte di desideri e di paure, anche se il filo del loro discorso è segreto dove ogni cosa ne nasconde un'altra. La realtà perde la sua concretezza e diventa fluida e puramente mentale, realizzandosi nella fantasia. 

Le Città Invisibili sono un mondo da percorrere, attraversare e raccontare, nella convinzione che non tutto è perduto, e che i valori che hanno contribuito a rendere bella, anche se problematica, la nostra Città, sono pur sempre valori veri e possibili. 

Le Città Invisibili, una volta attraversate, sono anche da abitare attraverso atteggiamenti e parole di uomini e donne che si pongono in alternativa a coloro che, pur di non accogliere, trasformano la propria realtà, o per essere concreti, il Mare Mediterraneo, in un luogo per lamenti tragici da dare in pasto a famelici opinionisti. 

Le Città Invisibili sono anche tutte quelle esperienze che ci fanno sentire incompleti e bisognosi degli altri. Penso anche alla nostra Città/Scuola, dove spesso ci si sente autosufficienti e non bisognosi dello sguardo dell’altro, di un saluto cordiale. A volte la verità delle cose essenziali ci è tanto vicina da diventare per noi quasi invisibile, ci sfugge, meglio, l’altro mi è indifferente nel suo dasein, nel suo esserci dinanzi. Sarebbe bello se riuscissimo a rendere questi spazi comuni in luoghi di relazioni pulite e costruttive. 

In un lontano tempo, Rilke scrisse: «se la tua giornata ti sembra povera, non la accusare; accusa te stesso, che non sei abbastanza poeta da evocarne le ricchezze» (Lettere a un giovane poeta, Parigi, 17 febbraio 1903), come dire che siamo noi a rendere povero, fantasma e meschino un tempo o un luogo se siamo senza fantasia, senza sussulti, senza capacità di lasciarci sorprendere. Paradossalmente il potere della tenerezza spesso si intreccia nei fili della nostra trama quotidiana al punto da non captarla, e una conferma a ciò l’ho trovata in un detto di Eraclito, riferito da Aristotele, e riportato anche da Martin Heidegger. «Alcuni stranieri desideravano incontrare il filosofo di Efeso. Avvicinandosi, furono sorpresi dal vederlo mentre si riscaldava ad un forno. Leggendo nei loro volti la curiosità delusa, Eraclito fa loro coraggio e li invita espressamente ad entrare con queste parole: «οι θεοί είναι επίσης παρόντες εδώ απόσπασμα» ossia «gli dei sono presenti anche qui». Sicuramente il racconto non ci riporta se i visitatori abbiano capito subito queste parole. È evidente però che il messaggio che Eraclito intende trasmettere: «Επίσης εδώ»,«anche qui», presso il forno, dove ogni cosa e ogni pensiero è familiare, «anche qui» lì dove trascorriamo buona parte del nostro tempo.

Nella mia esperienza di uomo e di credente, spesso ritrovandomi a corto di speranza e di energie interiori necessari per riprendere il cammino, ho ripensato ad una serie di incontri ed emozioni che ho provato ascoltando e interiorizzando parole e storie particolarmente toccanti. In tal modo ho preso coscienza che non è assolutamente possibile prevedere e predisporre tutto, sia nella mia vita privata sia in quella che mi ha visto incrociare altre persone, altre storie e altre esperienze. 

Le iniziative possibili camminano su gambe di persone consapevoli, così come le parole sensate escono da cuori pacificati e sono espressione di volontà mai dome. Non si cambiano le nostre Città distruggendole ma abbracciandole, e non le si salvano solo con degli ideali e dei programmi decantati né solo con il senso del dovere. Le Città le salvano sia la passione di chi è capace di vivere profondamente la realtà senza mistificarla sia la passione di chi è capace di sentirsi parte della propria realtà, anche quella che meno piace, quella che consideriamo deviazione e che condanniamo senza alcuna riserva. Oggi più che mai c’è bisogno di altro, di assunzione di responsabilità e non certo di parole che mistificando la realtà trasudano violenza o che tendono a giustificare il male. 

Un progetto di vita valido è quello di sentirsi interpellati e riportati al centro: al centro della propria vita e delle proprie progettualità. Questo possono farlo solo incontri intensi e relazioni vere. Incontri che possono concretizzarsi anche attraverso una lettura, e relazioni che stabiliscono reciprocità tra persone e storie diverse. Quando ci lasciamo riportare al centro della nostra vita e delle nostre progettualità possiamo fare esperienze sorprendenti: di quelle che vanno in direzione diversa da quelle che predica e pratica la cultura prevalente.  

Le Città Invisibili sono anche una maniera per educare e educarsi alla relazione. L’attitudine alla relazione cresce, si sviluppa e per questo va educata. Educare le relazioni è esercizio e impegno: la relazione infatti non è un soave duetto tra l’io e il tu/noi, anzi spesso può essere un’esperienza pericolosa e aggressiva. Soprattutto quando viene toccata o messa in discussione l’identità di quanti entrano in relazione. È la storia dei nostri giorni che, accanto a esperienze di relazioni riuscite, ci fa toccare con mano le derive patologiche che possono avvelenare l’esperienza relazionale. E a tutti i livelli. Uno dei primi passi per “educare le relazioni” è il completo abbandono della logica del potere: il potere è un talento che serve non per mettersi al di sopra dell’altro ma per condividerne il suo esercizio.  

Nel complesso, il testo insieme ai tanti temi esplorati finora, come il desiderio, la relazione, i sogni e il potere della narrazione nel colmare le distanze emotive, aggiunge anche quello del viaggio come ricerca della verità: verità su stessi ma anche la propria verità in rapporto/relazione all’altro. Al tema del viaggio poi si innesta quello del ricordo ossia del riportare/ritornare al cuore, come dice l’etimologia della parola stessa. Il ricordo richiama nel presente del cuore e del sentimento qualcosa che non è più qui o non è più adesso. Non nella sua forma originale. E che però, per il solo ritornare in cuore, rivive – non come sogno fatuo o fantasticheria – ma come sentimento concreto, esperienza diretta. Il ricordo è la possibilità di consultare il passato, di interrogarlo, di distendersi ancora – e non per fuggire malati di nostalgia, bensì per capire ed essere capaci di cura e di responsabilità nel presente e nel futuro, per tenere alta la consapevolezza sorridente di chi siamo, da dove veniamo e di dove abbiamo la possibilità di spingerci, per non perdere niente di quello che naturalmente esce dalla nostra vita. Niente e nessuno.

La grande incisività del testo è probabilmente dovuta al fatto che le Città visitate dall’autrice, narratrice dell'opera, sono sì invisibili, poiché nate dall'immaginazione della scrittrice senza alcuna corrispondenza a luoghi concreti, ma non per questo meno reali. Le Città Invisibili è un testo dedicato a tutti coloro che hanno un amore lontano, che l’hanno perso o che non possono stringere tra le braccia una persona cara. Perché l’amore non è solo quello passionale ma quello che ci fa battere il cuore.

Amare qualcuno è desiderare ciò di cui si sente la mancanza. Platone stesso ci ricorda che la filosofia è logos e eros, conoscenza e amore, tra i quali non c’è contrapposizione ma convergenza. È la nostra stessa esperienza personale che ci rivela come nel desiderio amoroso sia sempre presente una componente di conoscenza della persona amata e un bisogno di assimilazione ad essa: l’amore è apertura di un’anima ad un’altra, intreccio inestricabile di aspetti sentimentali e conoscitivi al tempo stesso. 

Don Giuseppe Russo
Dopo la licenza in Teologia biblica e la laurea in Filosofia, ha insegnato sia presso l'Istituto Superiore di Scienze Religiose di Foggia in qualità di docente di Esegesi AT, sia in scuole superiori pubbliche come docente di filosofia e storia. Il 23 novembre 2021 ha conseguito il dottorato di ricerca in Teologia biblica. Attualmente insegna presso il Liceo Scientifico "Marconi" di Foggia. Da aprile 2022 per il mensile diocesano di Cerignola "Segni dei tempi" firma la pagina Apostolato biblico.

 

Per un museo delle civiltà

Fino ad adesso, in riferimento alle civiltà e alle culture, da cui deriva l’arte delle varie epoche, ho pensato in maniera settoriale, con l’attenzione rivolta alla loro specificità, specie per quanto riguarda la città di Monte Sant’Angelo, ma in più in generale del Gargano  e, quindi, ai vari musei esistenti, da quello Archeologico al Museo Lapidario, dal Museo Devozionale al Museo Etnografico “G. Tancredi”. Musei generalmente legati al culto micaelico e all’arte medievale.

Oggi invece  vorrei parlare di un Museo delle Civiltà, in maniera tale da superare quella settorialità tematica e abbracciare in un unico contenitore l’insieme della produzione storico-artistica e antropologica che l’uomo è stato ed è tuttora  capace di riprodurre e creare. Un Museo vero e proprio delle Civiltà dell’uomo, incominciando da quello Archeologico legato alla Preistoria e quindi all’antichità, Antropologico legato all’uomo e al rapporto con i luoghi, Etnografico legato alla cultura popolare, Religioso legato al culto micaelico e quindi alla ritualità del pellegrinaggio cristiano e alla cultura religiosa popolare,  all’Arte in generale e, quindi, alla creatività dell’uomo come espressone del divino nell’uomo, come afferma Vittorio Sgarbi, e infine un Museo delle tradizioni popolari, legato ai mestieri e dell’artigianato in generale e così via, creando così un sincretismo culturale fra l’Antico, il Moderno e il Contemporaneo. Un legame stretto e imprescindibile delle nostre culture e delle nostre civiltà passate e presenti.

Un Museo della Vita e quindi della Bellezza, intesa in tutti i sensi e in tutti i modi, come creatività dell’uomo e come espressione di un linguaggio e forme espressive universali. In altri termini un Museo della creatività dell’Uomo, non solo come Arte e Cultura, ma soprattutto come Bellezza universale, dove ritroviamo l’essenza stessa del divino che ha voluto l’Uomo a sua immagine e a suo strumento. Un mondo, quindi, polisemico e polivalente, dove la creatività dell’uomo sia al cento di ogni manifestazione del Mondo e per il Mondo. Tutto ciò lo vorrei realizzare in un grande contenitore, non più diviso per settori, come oggi sono i Musei, ma per aree culturali e spaziali, legati ad un territorio o a più territori. Del resto, se pensiamo al Gargano e in particolare alla nostra città Monte Sant’Angelo,  ci accorgiamo che la storia e le civiltà che essi hanno espresso si sono manifestate attraverso  forme e contenuti legati alle varie epoche e alle varie e molteplici civiltà del passato, da quella Preistorica, legata al megalitismo e, quindi, ai dolmen e menhir di Valle di Pulsano, alla presenza di vari popoli, come i Dauni con le loro stele e la ceramica daunia, i Greci, con la loro civiltà e cultura classica, all’insegna della bellezza e dell’arte, i Romani, il cui impero è a fondamento della civiltà occidentale, e infine la civiltà medievale, con le sue cattedrali e i suoi palazzi signorili, simboli dell’arte romanica e del potere temporale. Popoli e civiltà da cui sono sorte le grandi  cattedrali dell’arte contemporanea, all’insegna della bellezza, che affonda le sue radici nel  passato, con i suoi culti e i suoi miti, di cui ritroviamo tracce nel culto di San Michele sul Gargano: culti e miti come quello di Calcante e Podalirio, di Diomede, di Pilunno, di Mithra e infine il culto cristiano dell’Arcangelo Michele, da cui poi nasceranno i grandi itinerari della fede quale espressione delle vie sacre legate al culto e ai santuari di Santiago di Compostela, Roma e Gerusalemme, da cui ha origine la civiltà occidentale e quindi l’idea di una Europa Unita. Il Gargano ne diventa così il centro propulsore di due grandi civiltà, quella orientale e quella occidentale, all’insegna dell’incontro fra i popoli e le loro culture. Il Museo delle Civiltà dovrebbe testimoniare appunto tale ideale, come espressione dell’incontro fra Occidente ed Oriente, attraverso quella che è la civiltà mediterranea, basata soprattutto sulla civiltà contadina, che affonda le sue radici nel mondo agro-pastorale e soprattutto nella religiosità popolare. Aspetti che noi ritroviamo in parte nei nostri Musei, fra cui quello Lapidario, Devozionale ed Etnografico. L’insieme di tutto dovrebbe costituire il Museo delle Civiltà che abbiamo in mente, attraverso la presenza oggettuale e simbolica di altri manufatti legati alla civiltà mediterranea e, quindi, all’Uomo quale espressione della Bellezza della Natura e del Divino.

Un grande Museo delle Civiltà che può essere ubicato nel nostro Castello, in quanto espressione della presenza di vari popoli che vi abitarono, come i Longobardi, i Normanni, gli Svevi, gli Angioini, gli Aragonesi,  ognuno portatori di culture e civiltà legate alla storia dell’Italia Meridionale.

Un Museo delle Civiltà quale espressione delle nostre radici  storiche, legate alle diverse culture e civiltà del passato, in un connubio fra il Mondo Occidentale e il Mondo Orientale, tale da creare un sincretismo fra la cultura greco-romana e la cultura cristiana, di cui il pellegrinaggio micaelico ne è la massima espressione. A tale riguardo ho incominciato a creare nel Castello un Museo Archeologico legato alla riproduzione artistica della ceramica daunia e quindi alla civiltà dei
Dauni in terra pugliese. Una civiltà legata non solo ai miti e ai culti del passato, quanto alla storia delle varie città sorte fra l’VIII e il IV secolo a. C., fra cui Arpi, Canosa, Siponto. per poi legare il tutto, attraverso la presenza dei Greci,  dei Romani e dei Bizantini,  al culto micaelico e, quindi, alla nascita della città di Monte Sant’Angelo, con il suo tipico Rione Junno, che ha origine proprio dalla presenza in loco del tempio di Pilunno e quindi del rapporto fra il mondo magico-dionisiaco dell’aldilà e il mondo tardo antico della civiltà rupestre, attraverso la presenza di vari popoli e culture legate ai Bizantini, ai Goti, ai germani e infine ai Longobardi, da cui nasce il pellegrinaggio micaelico e, quindi, la Via Sacra Langobardorum o Via Micaelica. In questo senso la storia e  la cultura della Città di Monte Sant’Angelo  affondano le loro radici non solo nella cultura cristiana, quanto nella civiltà precristiana, legata al mondo dei Dauni e, quindi, della Magna Grecia, attraverso Sipontum e, quindi, Arpi, Canosa, Brindisi e Taranto. Il Gargano sarà terra di approdo e di diffusione delle loro culture e delle loro civiltà legate alla Magna Grecia, un grande contenitore di culture e civiltà del mondo Greco-Romano, alla pari di Agrigento e di altre città della Magna Grecia. In questo senso anche noi meritavamo il riconoscimento di Monte Sant’Angelo Città della Cultura Italiana 2025.

Tuttavia,  per quanto riguarda la città di Monte Sant’Angelo,  ci sono tanti altri temi e tante testimonianze legate alla nostra grande tradizione storica e. quindi. al nostro grande patrimonio artistico e culturale, di cui  il Museo delle Civiltà potrebbe fare emergere, legando il tutto al presente, ma soprattutto al futuro, creando così un percorso della contemporaneità che si riconosca nel presente. Il Museo delle Civiltà serve proprio  a rendere visibile tale percorso storico-culturale, la nostra storia, la nostra cultura, la nostra civiltà, legate ai vari momenti della creatività dell’uomo, ma soprattutto con riferimento alle tante testimonianze che ancora il nostro territorio presenta, dal santuario di San Michele al Castello normanno-svevo-angioino-aragonese, dalla Tomba di Rotari alle numerose chiese sparse in ogni angolo del nostro  territorio, con le numerose pitture di età barocche e ottocentesche, tale da formare, come ho scritto in alcuni miei volumi ancora inediti,  una città dai Mille segreti, fra Miti, Misteri e Leggende, il tutto visto nell’ambito delle civiltà e della cultura religiosa legata al culto di San Michele e alla Via Sacra Micaelica, che ha unito lungo i suoi itinerari l’Europa, dando ad essa una unità politica, oltre che religiosa e culturale.

Tutto questo ha lo scopo di rendere visibile, attraverso il Museo delle Civiltà, il nostro patrimonio culturale, tale da rendere edotto e consapevole non solo la comunità, quanto i nostri giovani, da cui dipende il nostro futuro. Senza la conoscenza del passato, non vi può essere futuro, in quanto il presente si basa proprio sulle radici del passato.

Nella realizzazione di un Museo delle Civiltà c’è bisogno dell’apporto di tutti i componenti istituzionali e civili della Città, con il coinvolgimento di tutto il   territorio, di cui la Città ne è l’espressione. E questo con il fine di  creare le premesse per una visibilità globale della nostra storia e della nostra cultura.

La Natività con i santi Lorenzo e Francesco di Caravaggio, rubata nella piovosa notte del 17-18 ottobre 1969 da un oratorio di Palermo e stimata 20 milioni di dollari (nel 2005), resta sul podio della Top Ten Art Crimes, la classifica mondiale dei furti d’arte secondo l’FBI.

Tante le false piste e congetture sulla fine del quadro: oggetto di trattativa Stato-mafia, stendardo nei summit di Cosa nostra, scendiletto di Totò Riina, mangiato da topi e maiali in una stalla, venduto a pezzi, incendiato. Nel 2018 un’inchiesta della Commissione parlamentare Antimafia ha individuato in un antiquario svizzero, oggi deceduto, il primo acquirente della tela: l’affare fu gestito dal boss Gaetano Badalamenti.

A Monte Sant’Angelo (FG) le associazioni Presìdi del libro e Rhymers’ Club promuovono un incontro in cui sarà presentata la terza edizione del libro di Michele Cuppone “Caravaggio, la Natività di Palermo. Nascita e scomparsa di un capolavoro” (Campisano Editore). Il volume, il più aggiornato e completo sul tema, contiene novità sul fronte storico-artistico e della cronaca.

L’autore, in particolare, chiarisce la genesi della Natività, che Caravaggio dipinse nel 1600 dentro Palazzo Madama, dove abitava in quegli anni. Rivela, inoltre, nomi e fonti finora mai emersi dagli atti giudiziari, tra cui una lettera del 1974 relativa a una richiesta di riscatto, mentre un’ampia rassegna stampa consente di ripercorrere le cronache dell’epoca.

Speciale ospite dell’evento di Monte Sant’Angelo è il concittadino Libero La Torre, carabiniere Tutela Patrimonio Culturale. Distintosi per operazioni eccellenti, negli anni Settanta tentò di recuperare la Natività fingendosi un mercante d’arte.

Dopo i saluti istituzionali di Rosa Palomba, vicesindaco e assessore alla cultura di Monte Sant’Angelo, dialoga con l’autore Rosita Zucaro, avvocata e ricercatrice.

Appuntamento a sabato 16 dicembre alle ore 18,30 presso la Biblioteca Comunale “Ciro Angelillis”, nell’ex Monastero delle Clarisse in piazza de’ Galganis. L’ingresso è libero fino a esaurimento posti. Info: www.caravaggionews.com.

Ripartono gli eventi in preparazione del XXV Congresso Mondiale di Filosofia, inaugurati lo scorso anno e promossi dal direttore dell’’Ufficio per l’Educazione, la Scuola e l’Università dell’Arcidiocesi di Foggia-Bovino, don Bruno D’Emilio, e da Alessandra Beccarisi, prof. ordinario di Storia della Filosofia Medievale, presso l’Università degli Studi di Foggia, in partenariato con il Liceo Lanza-Perugini e con i due licei scientifici di Foggia “G. Marconi” e “A. Volta”.

La rassegna “Le vie dalla Filosofia”, patrocinata dal Congresso Mondiale di Filosofia, intende realizzare momenti di confronto, riflessione e ricerca sul tema portante del Congresso, “La filosofia attraversa i confini”. Il “confine”, però, non deve essere inteso come un limite, ma come luogo privilegiato in cui incontrare l’altro e in cui far confluire i vari saperi, in un’ottica in grado di oltrepassare le divisioni tra discipline e culture.

A questo proposito, l’équipe organizzatrice locale, composta dai docenti Alessandra Beccarisi, don Bruno D’Emilio, Monica Gigante, Lorenzo Scillitani e Francesco Torbidoni, ha coordinato la realizzazione di cinque eventi nei tre licei partner della programmazione.

In occasione del settantacinquesimo anniversario dell’adozione della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, il cartellone si apre con un incontro sui Diritti Umani e sulla necessità di una loro fondazione filosofica per garantirne l’universalità, che si terrà venerdì 15 dicembre 2023, alle ore 11.30, presso il Liceo Marconi. Dopo i saluti istituzionali della Dirigente Scolastica, Piera Fattibene, della prof. Alessandra Beccarisi dell’Università di Foggia e del prof. Lorenzo Scillitani dell’Università del Molise, a relazionare Marco Stefano Birtolo dell’Università del Molise e Domi Bufi, Responsabile della Circoscrizione Puglia e Matera di Amnesty International Italia.

La riflessione sulle aree tematiche del Congresso proseguirà giovedì 25 gennaio 2024, alle 9.20, presso il Liceo Scientifico A. Volta di Foggia, per discutere del rapporto tra filosofia e nuove generazioni attraverso l’analisi delle opere di Gilbert Keith Chesterton. Dopo i saluti della Dirigente Scolastica, Ida La Salandra, di don Bruno D’Emilio, (Direttore Ufficio per l’Educazione, la Scuola el’Università Arcidiocesi di Foggia-Bovino) e di Lorenzo Scillitani (Università del Molise), moderati da Damiano Bordasco, a discutere sul tema, Giovanni Maria Molfetta (Università del Molise) e le docenti del Volta Anna Laura Galano e Maria Teresa Speranza.

Al Lanza-Perugini, mercoledì 7 febbario 2024, alle ore 16.00, sarà affrontato il tema della  solidarietà. Dopo i saluti della Dirigente Scolastica, Mirella Coli, di Alessandra Beccarisi (Università di Foggia) e di don Bruno D’Emilio (Direttore Ufficio per l’Educazione, la Scuola e l’Università Arcidiocesi di Foggia-Bovino), Alessandro Volpe dell’ Università Vita-Salute San Raffaele di Milano dialogherà sull’argomento con Francesco Torbidoni, Direttore Dipartimento di Discipline Storico-Filosofiche e Giuridiche del Liceo.

Il cammino della ricerca filosofica nella nostra città proseguirà ragionando sul rapporto tra filosofia e poesia il 12 marzo 2024, alle ore 11.30, presso il Liceo Marconi. Dopo i saluti della Dirigente Scolastica, Piera Fattibene e di don Bruno D’Emilio (Direttore Ufficio per l’Educazione, la Scuola e l’Università dell’Arcidiocesi di Foggia-Bovino), le docenti Alessandra Beccarisi (Università di Foggia) e Marina D’Errico (Coordinatrice Dipartimento Lettere), moderate da Monica Gigante (docente Liceo Marconi), presenteranno la filosofia e la poesia come due diverse modalità per interpretare e risolvere i problemi e i quesiti della società.

Infine, mercoledì 24 aprile 2024, alle 9.20, presso il Liceo Scientifico A. Volta di Foggia, dopo i saluti della Dirigente La Salandra, Alessandra Beccarisi (Università di Foggia), Alessandro Palazzo (Università di Trento) e le docenti del Volta Anna Laura Galano e Maria Teresa Speranza rifletteranno sul rapporto tra filosofia e multimedia.

Storie di vite straordinarie quelle raccontate, ma soprattutto vissute, da chi decide di mettersi in cammino lungo la Via Francigena per giungere da ogni parte del mondo al centro del culto micaelico Monte Sant’Angelo.

Nei giorni scorsi abbiamo parlato di Morgane Le Moelle e di Gordon Platt e Dory Cameron, giunti a Monte dopo migliaia di chilometri a piedi.

Questa volta è un giovane francese ventenne, Samuel Crouzet, che spinto dalla forza di conoscenza, ha raggiunto il centro garganico.

Il suo è un viaggio in cerca di sé stesso, iniziando il suo cammino di Vita percorrendo a piedi migliaia di chilometri, fino a giungere al cospetto dell’Arcangelo Michele. Qui, come tutti i camminatori e pellegrini, è stato accolto dal gruppo Monte Sant’Angelo Francigena e poi presso il Centro Famiglia Parrocchiale del Carmine, riaprendo le porte ai Pellegrini e Camminatori, dopo aver accolto per ben 19 mesi gratuitamente una famiglia ukraina.

 Tanta tenacia e forza quella di Samuel, esempio per altri suoi coetanei e chi decide di far un viaggio interiore nell’estemporaneo paesaggio della Via Francigena.

«Benvenuto giovane grande uomo!», l’accoglienza del gruppo Monte Sant’Angelo Francigena.

Iniziamo con questo articolo un percorso di studi e ricerche riguardante la Montagna Sacra o più propriamente la Montagna dell’Angelo. Un percorso che ci vedrà impegnati su più fronti, attraverso vari aspetti storico-culturali della città di Monte Sant’Angelo, vista nell’ambito della storia e della cultura del Gargano e della Daunia, con specifico riferimento a: 1) La Montagna Sacra e i Sacri Riti delle Pietre; 2) Misteri e Leggende della Montagna dell’Angelo; 3) Monte Sant’Angelo Segreta. A tutti voi e a me in particolare buon viaggio.

Sono iniziati i lavori di scavo presso la zona archeologica di Valle di Pulsano, dove l’Arch. Raffaele Renzulli ha individuato alcuni esemplari di Dolmen e Menhir che ci riportano verso l’alba della nostra civiltà e precisamente in quel periodo storico che vedrà il  passaggio dal Paleolitico al Neolitico, allorquando il Gargano, ma specialmente la Daunia, avvia quel processo di civilizzazione basato sulla presenza di vari culti pagani legati al dio Sole, ma soprattutto alle forze endogene della Natura, che hanno alla base i sacri riti delle pietre, da cui ha inizio la civilizzazione dell’uomo. Un processo lento e pieno di significati, legati al culto e all’utilizzo della roccia, come i Menhir e i Dolmen, che diventano simboli di sacralità fra l’uomo e la divinità, ma soprattutto fra l’uomo e la Natura, che trova per la prima volta la propria sacralità nel fenomeno del Megalitismo, che si afferma appunto tramite i Dolmen e i Menhir presenti sul Gargano, il cui significato ci riporta alla sua essenza che è Gargan che significa “roccia”, “pietra”. Quindi,  con la presenza della Soprintendenza di Bari nel  Sito di Valle Spadella o Valle di Pulsano, ha inizio quel lungo percorso che vedrà il Gargano al centro del processo di sacralizzazione dei luoghi, attraverso la presenza di vari culti autoctoni legati alla roccia e quindi al fenomeno del Megalitismo. Tuttavia vediamo da vicino in che cosa consiste tale fenomeno, che sta alle origini della civiltà dell’uomo e quindi della sacralità dei luoghi e dei vari culti che sorgeranno nella Daunia, specie con l’arrivo dei Dauni e quindi degli eroi greci, fra cui Dauno, Diomede, Calcante e Podalirio, Pilunno e infine Mitra. Culti per la maggior parte provenienti dalle apposte sponde del Mediterraneo, dall’Illiria e poi dalla Grecia e infine da Roma, in un periodo di tempo che va dal XIII sec. a. C. fino al IV secolo d. C.  Tutto ciò determinerà, ancora prima del culto cristiano, la denominazione, per quanto riguarda il Promontorio del Gargano,  di Montagna Sacra, quale elemento fondante della roccia da cui ha origine la sacralità e quindi il rapporto simbiotico fra Uomo e Natura. Del resto il concetto di Montagna Sacra ci riporta alla simbologia della roccia e quindi al Megalitismo, quale elemento fondativo della Madre Terra, con le sue prerogative terapeutiche e curative. Quindi, elemento fondante della costruzione, simbolo della Terra-Madre e delle relazioni fra cielo e terra, concrezione primitiva dell’anima, immagine della stabilità, dell’equilibrio, della compiutezza e della durata, paradigma dello spazio e del tempo, la pietra è la prima mediazione strumentale nella storia dell’uomo tra natura e cultura, tra umano e ragione. Quando il primo ominide ha staccato le mani dal suolo ha incontrato la pietra, si è confrontato con essa, da essa ha ricavato l’amigdala, l’utensile su cui ha eretto il suo primato. In principio dunque fu la pietra, palinsesto delle vicende plurisecolari dei popoli, supporto materico dei primi segni umani, ideogramma che ha attraversato il tempo giungendo fino a noi inalterato nella sua struttura molecolare e nel suo statuto semiotico. Nessuna altra materia può considerarsi più emblematica e rappresentativa di eventi e di luoghi, tale da assumere la funzione strumentale di parametro di riferimento nell’individuazione di siti territoriali e di sequenze cronologiche. Nell’atto di scheggiare la pietra, umile gesto che rinvia all’orizzonte mitico e storico delle nostre origini, base strutturale della cultura materiale di tutti i popoli, si coniugano come in un archetipo le operazioni eminentemente umane del fare e del rappresentare, l’universo delle cose e quello dei segni, inestricabili e indissociabili aspetti di un unicum continuum. Dalla pietra nuda e grezza a quella lavorata e manipolata si sviluppa il lungo inarrestabile processo di ominazione e di domesticazione della natura. Nel punto di snodo di questo cruciale passaggio è possibile collocare la genesi dei culti magico-religiosi connessi all’uso dei materiali litici. Dalla pietra ha inizio la civiltà dell’uomo, legata alla sua prima dimora la grotta, quale elemento di vita e di rigenerazione. “Nelle grotte, afferma il Prof. Cosimo Damiano Fonseca,  è nata la civiltà dell’uomo”, la cultura dell’urbanizzazione, da cui sono nate le città. Quindi in principio era la grotta, elemento fondante e simbolo della pietra. Di pietra sono i monumenti che rappresentano gli dei, gli eroi, i defunti, gli accadimenti. Alla base degli stessi culti cristiani, presso santuari, siti generalmente su crinali di montagna o in cavità scavate su formazioni rocciose, si struttura, nella maggior parte dei casi, un medesimo evento prodigioso: il ritrovamento dell’immagine sacra, scolpita o pitturata su pietra, come per esempio nel mito iranico dove si racconta che Mitra, il Deo Soli Invicto, nato il 25 dicembre, non fu concepito da una vergine mortale, bensì dalla pietra genetrix, una roccia fecondata magicamente dal fulmine fallico di Padre Cielo; così come nella leggenda di San Michele, dove ritroviamo l’immagine del piede impressa sulla roccia del Santuario di San Michele sul Gargano, dove probabilmente in età pagata esistevano diversi culti, fra cui quello di Calcante e di  Podalirio, oltre che di Mitra. Dalla pietra nasce  il santuario, casa di Dio, o la casa,  sulla cui pietra si radica la dimora del tempo, dove con la pietra si innalza il monumento delle memorie familiari, si chiudono i confini fisici e mitici dello spazio abitato. «È connaturata alla pietra da taglio – ha annotato Leonardo Sciascia (1985:7) – l’idea del fondamentale, dell’essenziale, del duraturo, del costruire, dell’edificare; l’idea della geometria, dell’ordine, dell’armonia che all’uomo è possibile estrarre dal caos; l’idea, insomma, della civilisation. Un’idea che è di per sé bellezza». La pietra è, dunque, il fondamento, la sicurezza, la domesticità, metafora della proprietà individuale e dell’identità sociale. “Se la terra dà il carattere alla casa. la pietra riconnette la costruzione al suolo da cui nasce e su cui s’innalza, ne assume la grana e il colore, la naturale plasticità, la peculiare capacità di assorbire, stemperare e riflettere le variazioni luminose a secondo dell’orientamento del sole, l’intrinseca disposizione a ripetere e secondare l’andamento e la morfologia del terreno” (Epifanio 1939:10).

 

Raffaele Renzulli e il Prof. Giuseppe Piemontese

[Raffaele Renzulli e il Prof. Giuseppe Piemontese]

La sacralità della pietra è da ricondurre alla sua stessa origine uranica, alla sua incorruttibilità fisica, al suo essere presenza dominante e permanente del paesaggio, all’idea di solidità, di durata e di resistenza cui è associata, alla sua “alterità”. «Per la coscienza religiosa del primitivo, la durezza, la ruvidità e la permanenza della materia sono una ierofania. Non v’è nulla di più immediato e di più autonomo nella pienezza della sua forza, e non v’è nulla di più nobile e di più terrificante della roccia maestosa, del blocco di granito audacemente eretto. Il sasso, anzitutto, è. Rimane sempre se stesso e perdura; cosa più importante di tutte, colpisce» (Eliade 1976: 222).

In tutto questo discorso entrano di diritto alcuni simboli e oggetti cultuali, i cosiddetti megaliti, forme e segni di forze trascendenti, siano esse divinità o anime dei morti, in cui  le pietre occupano in tutte le culture un ruolo teofanico, qualcosa che rivela, incarna o trasfigura la potenza di un dio. Cadute dal cielo sulla terra e per ciò stesso investite di naturali poteri soprannaturali, esse sono all’origine delle più arcaiche simbologie religiose, potendo provocare la pioggia in tempo di siccità, assicurare fecondità alle donne sterili e fertilità ai campi, segnarne i confini per certificarne la proprietà. Del resto di pietra sono i monumenti che presentificano numi, eroi, defunti, accadimenti. I monumenti megalitici non sono però soltanto emblemi funerari. Sono immagini aniconiche di divinità, materializzazioni di culti, rappresentazioni figurate o metaforiche di giganti, di oracoli e di antenati. I menhir, le steli e i dolmen delle civiltà neolitiche, l’omphalos di Delfo, la pietra nera di Cibele, la Ka’ba della Mecca, il macigno che a Gerusalemme sosteneva l’Arca dell’Alleanza sono traduzioni e plasmazioni culturali diverse di una medesima teofania che affida al monolito la funzione di custodire e manifestare la presenza di un dio vivente. In quanto sacre, queste pietre sono simbolicamente assunte a strumenti di rinascite e di rifondazioni umane, luoghi di presentificazioni e di epifanie magiche, centri di cosmogonie e ombelichi del Mondo. Nel Vecchio Testamento, nel punto in cui si narra la storia del sogno di Giacobbe, la pietra che fa da guanciale al vecchio patriarca diventa parte imprescindibile e costitutiva della rivelazione del destino riservato da Dio alla sua discendenza (Genesi: 28, 11-29). Nell’innalzarla «a guisa di colonna» per trasformarla in cippo sacro presso il quale finiranno con il raccogliersi in pellegrinaggio folle di israeliti, Giacobbe ha convertito quella pietra in «casa di Dio», segno identificativo di un atto rituale compiut in nome suo, non meno che agente e referente della memoria dell’intero popolo ebraico. Il culto della pietra non è, infatti, separabile dalle operazioni di discretizzazione dello spazio sacro e di costruzione del tempio o santuario. Nel Nuovo Testamento il Cristo fonderà la sua Chiesa proprio sulla Pietra, allorquando dirà a San Pietro: “Tu fonderai la mia Chiesa sulla Pietra”, da cui sorgeranno Chiese, Monasteri e Santuari, Case di Dio e dell’Uomo, dove la dimensione rituale del lavorare la pietra per piegarla alle empiriche funzioni dell’abitare vale a conferire senso al sistema territoriale, concorre a dare ordine, forma e significato al caos naturale. Del resto l’erezione di un edificio si configura, infatti, come un sacrilegio, una violazione dell’equilibrio naturale, qualcosa che postula un riscatto, un risarcimento a favore degli spiriti della terra. Il rito che tradizionalmente accompagna le fasi della messa in opera delle fondamenta si costituisce, dunque, come una vera e propria azione cosmogonica che riattualizza il mito della creazione del mondo. L’uso dominante, se non esclusivo, della pietra nelle opere di costruzione resta dunque fondamentalmente permeato da questo complesso sistema di rappresentazioni mitico-rituali. Strumenti d’ordine territoriale, entità apotropaiche e simboli cosmogonici, i massi, le rocce, i sassi appartengono alla terra, partecipano delle vicende telluriche, sono il prodotto del millenario prodigio geologico ma sono anche unità elementari dell’architettura umana, misure del costruire e dell’abitare, tessere modulari di una essenziale geometria dello spazio e del tempo. «Ogni pietra – ha scritto Marguerite Yourcenar nelle sue Memorie di Adriano (1981:77) – rappresenta il singolare conglomerato d’una volontà, d’una memoria, a volte di una sfida. Ogni edificio sorge sulla pianta di un sogno». Del resto, come vedremo, le vicende della pietra, la cui ampia diffusione in natura ha favorito una straordinaria versatilità d’impiego, attraversano tanto l’architettura maggiore quanto quella minore, interessando sia la costruzione di chiese e palazzi monumentali sia quella più umile delle case contadine e dei casolari di campagna, come in terra garganica i cosiddetti pagghère. Infatti sul Gargano, il cui nome deriva da Gargan che significa “roccia”, la pietra è stata a fondamento della civiltà garganica, come elemento di assoggettamento della Madre Terra e, quindi, del paesaggio, spesso rude e selvaggio, per dare sostentamento all’uomo e al suo operare. Una continua lotta fra l’uomo e la natura, fra l’uomo e la terra, costituita  più da roccia che da terra, tanto da creare in ogni luogo i cosiddetti “muri a secco”, per potere raccogliere la terra e farne oggetto di coltivazione. Pietra come elemento  non solo di vita ma anche di culto, per ringraziare gli dei nel creare situazioni favorevoli all’uomo e alla sua attività. Del resto nell’antichità la Pietra è diventata il primo elemento cultuale proprio lungo le coste garganiche, tanto da avere un paesaggio megalitico, formato dai Dolmen e dai Menhir come li troviamo nella Valle di Pulsano, che domina l’intero Golfo di Manfredonia e quindi della Daunia, dove Menhir è un parola di origine bretone e indica un monolito, cioè la singola pietra eretta, conficcata nel terreno, quale elemento di sacro al dio Sole; il Dolmen  invece è una sepoltura megalitica chiamata a camera semplice e consiste in due, tre o più pietre erette verticalmente, con un lastrone di pietra che ha funzione di copertura (il ‘tetto’) appoggiato orizzontalmente sulle altre. Elemento simbolo della sacralità della vita dopo la morte. Inoltre, in età paleolitica,  la grotta è stata luogo di culto specialmente per la venerazione dell’acqua, come elemento vitale. Infatti, una delle Grotte più interessanti del paesaggio dauno, quella che oggi è al centro di varie scavi archeologici, è  Grotta Scaloria in territorio di Siponto, così come altre grotte ritroviamo in tutto il territorio del Gargano, fra cui Grotta Paglicci, Grotta Manacore, Grotta Pucci, ecc., da cui ha inizio la civiltà rupestre del Gargano.

 

Pagliaio a Monte Sant’Angelo

[Pagliaio a Monte Sant’Angelo]

Infine, al di là di tutto ciò, il culto megalitico o della pietra santa, è stato a fondamento di diverse leggende e miti, fra cui quello di Dauno e di Diomede, per quanto riguarda le stele daunie, i sacri riti della pietra legata al pellegrinaggio, l’usanza di lasciare nei santuari graffiti e segni antropopaici sulle pareti,  le decorazioni delle cattedrali attraverso sculture e simboli sacri come rosoni e statue, fra cui le statue dei cosiddetti Sammicalére, ecc. Tutto questo lo vedremo accuratamente nei prossimi capitoli, dove la ritualità cultuale della civiltà daunia e del culto micaelico si basa soprattutto sulla simbologia della pietra, quale elemento di sacralizzazione dei luoghi, ma soprattutto di salvezza delle anime. Da ciò derivano diverse fondazioni di chiese e santuari mica elici sorti attraverso le pietre sacre della Grotta di San Michele, come il santuario di  Mont Saint-Michel in Normandia, la Sacra di San Michele a Torino, il Monastero di Saint-Michel in Islanda, ecc. Per non parlare, poi, delle case contadine e quindi  dell’architettura popolare che si caratterizza soprattutto  attraverso un rapporto simbiotico fra l’uomo e la natura, dove la pietra rappresenta l’elemento  di vita, di civiltà, di progresso e nello steso tempo di conquista e di dominio dell’uomo verso la natura circostante. Ne sono testimoni i numerosi pagghiére o case in pietra, disseminati in tutto il Gargano, sia al’interno che lungo le coste,  tanto da creare l’inizio della territorializzazione sacra della Montagna dell’Angelo.

BIBLIOGRAFIA

  • GIANNELLI G., Culti e miti della Magna Grecia, Firenze 1963.
  • ORIO R., Mitra. Il mito della forza invincibile, Marsilio, Venezia 1998.
  • KERÉNYI K., Miti e misteri, Bollati Boringhieri, Milano 2017.
  • La Montagna Sacra. San Michele Monte S. Angelo Il Gargano, a cura di G. B. Bronzini, Ed. Congedo, Galatina 1991.
  • MAZZEI M.-TUNZI A. M., Gargano antico. Testimonianze archeologiche dalla Preistoria al Tardoantico, Claudio Grenzi Editore, Foggia 2006.
  • PACILLI A. M., Le Pietre del Ritorno. Diomede, la Grecia adriatica, i percorsi della critica e una proposta di interpretazione, Vol. I, Andrea Pacilli Editore, Manfredonia 2020.
  • PIEMONTESE G., Architettura rurale e insediamenti rupestri del Gargano, Foggia 1980.
  • PIEMONTESE G., Civiltà garganica tra passato e presente, Bastogi Editrice Italiana, Foggia 2003.
  • PIEMONTESE G., Monte Sant’Angelo e il Santuario di San Michele Patrimonio Mondiale dell’UNESCO, BastogiLibri, Roma 2022.
  • RENZULLI R., La Valle dei Dolmen sul Gargano. Megaliti e riti del sole nel territorio di Monte Sant’Angelo, Andrea Pacilli Editore, Manfredonia 2015.
  • TUNZI SISTO A. M., Ipogei della Daunia antica. Preistoria di un territorio, Claudio Grenzi Editore, Foggia 1999, p. 43.
  • VINCI F., I misteri della civiltà megalitica. Storia della preistoria del mondo, LEG Edizioni, Gorizia 2020.

 

Di queste storie se ne possono raccontare tante. Il luogo offre spunti quotidiani. E tutti incentrati nella devozione, lungo la Via Francigena, che attraversa mezza Europa, collegando i santuari di San Michele Arcangelo.

Pellegrini, camminatori, di ogni età, sesso, estrazione sociale, anche religione, che affrontano migliaia di chilometri pur di raggiungere, e spesso ritrovarsi, nel centro del culto micaelico.

È Monte Sant’Angelo quel centro, dove la Basilica di San Michele è visitata da migliaia, anche milioni, di persone. Un punto di riferimento cementato nel tempo, dove volti e sguardi si incrociano, impreziosendo la cultura montanara, rinvigorendo quell’identità che caratterizza il centro garganico, fatto di accoglienza, storia, cultura, fede, inclusione e soprattutto bellezza.

Il gruppo Monte Sant’Angelo Francigena in questi giorni, come del resto avviene per tutto l’anno, ha ospitato Morgane Le Moelle, una donna francese partita il 1° luglio 2023 da Mont-Saint Michel, in Francia, e giunta a Monte il 1° dicembre scorso. 3.300 km fatti a piedi in 5 mesi. Una donna che, con volontà e tenacia, ha dimostrato che la determinazione è forza. Lo ha fatto senza clamori, lontana dai media, camminando tra la natura, visitando luoghi e le bellezze che offrono, incontrando persone e condividendo con loro le sue emozioni, esperienze, anche sogni.

Un cammino arduo ma fattibile, perché Morgane lo ha fatto. E come lei, seppur con l’ausilio dei mezzi di trasporto per ovvie ragioni geografiche, Gordon Platt e Dory Cameron che da Ottawa, nel Canada, hanno raggiunto Monte Sant’Angelo percorrendo la Via Francigena.

 

Via Francigena percorso

A loro va tutta la nostra ammirazione, il ringraziamento per aver dimostrato che quando si vuole si può, scegliendo Monte come meta d’arrivo, ma anche di partenza per nuove avventure e sempre lungo la Via Francigena.

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L'estate sembra essere un buon periodo per trascorrere alcuni giorni in Puglia,…
Dic 22, 2023 635

Foggia. Al Gino Lisa stanziati 10 milioni di euro a sostegno del regime SIEG

in Politica by Redazione
Sull’aeroporto “Gino Lisa” di Foggia la Regione Puglia moltiplica i suoi impegni,…
Dic 22, 2023 693

Foggia, concittadini emigrati che rientrano. Accolti da Italia del Meridione…

in Politica by Redazione
Le segreterie cittadine e provinciali di IdM, unitamente alla rappresentanza consiliare…
Dic 22, 2023 660

A Roseto Valfortore il Centro territoriale di prima accoglienza della fauna…

in Notizie Capitanata by Redazione
Con l’approvazione della convenzione tra la Regione Puglia e il comune di Roseto…
Dic 22, 2023 489

Viabilità Capitanata. Traffico alternato sulla SP5 al km 1+095 per lavori

in Notizie Capitanata by Redazione
Il Dirigente del Settore Viabilità della Provincia, ing. Luciano Follieri con Ordinanza…
Dic 22, 2023 764

Da Caravaggio a José de Ribera. Monte urge di una Pinacoteca o un Museo d’Arte

in Cultura by a cura del prof. Giuseppe Piemontese, storico locale della “Società di Storia Patria per la Puglia
La presentazione dell’ultima edizione del libro di Michele Cuppone su “Caravaggio, la…
Dic 22, 2023 589

San Severo è Capitale Italiana della Gentilezza 2024

in Notizie Capitanata by Redazione
E’ avvenuto il 17 dicembre 2023 a Novara, in Piemonte, in maniera ufficiale, il passaggio…
Dic 22, 2023 597

Di che pasta siamo fatti? Dagli spaghetti ai fusilli l’Unione Italiana Food…

in Cronaca Gargano e Capitanata by Redazione
Un'indagine Nielsen rivela le preferenze degli italiani in fatto di pasta. Nella…
Dic 22, 2023 652

Donatori sangue, la Regione Puglia firma convenzione con associazioni e…

in Cronaca Gargano e Capitanata by Redazione
Nella giornata odierna il presidente della Regione Puglia Michele Emiliano ha…
Dic 22, 2023 502

Puglia, Servizio Civile. Ammessi i progetti Anci per 446 giovani volontari…

in Cronaca Gargano e Capitanata by Redazione
Con la pubblicazione odierna da parte del Dipartimento Politiche giovanili e SCU del…

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