[ndr.] Un grido di dolore di un Montanaro emigrato al Nord, che "vive" Monte attraverso ciò che la stampa pubblica e soprattutto dalle testimonianze di parenti e amici che lo informano. Quest'estate ha deciso di trascorrere le vacanze nella sua città natia, constatando di persona ciò che gli vien detto, vivendo amaramente ciò che sapeva [ndr.]
«Gentile Direttore, ho scelto di trascorrere l’estate del 2023 a Monte Sant’Angelo, paese in cui ho vissuto fino alla maggiore età. Da allora – sono nato nel 1977- tante cose sono cambiate. In peggio, però.
Il rientro - seppure momentaneo – in Puglia, mi ha indotto a riflettere su quello che il mio paese era un tempo e sulle condizioni in cui versa, ora.
Cos’è, oggi, Monte Sant’Angelo? Esso si presenta come un aggregato urbano abbandonato a sé stesso, che soffre di tutti i mali del Sud e privo della speranza di redimersi. È un paese dove manca l’aula consiliare. Quanti comuni in Italia ne sono privi? Le pratiche di buona amministrazione, adottate e realizzate da comuni virtuosi, a Monte Sant’Angelo risultano totalmente assenti. Gli abitanti del comune garganico, esclusi coloro i quali fanno parte della tifoseria partigiana ad oltranza, si mostrano rassegnati o, tutt’al più, disabituati solo ad immaginare un territorio diverso da quello in cui vivono. Di residenti ne sono rimasti in pochi, in verità. Il calo demografico è costante: dal 2017 al 2022, la popolazione è diminuita di 177 unità all’anno, quasi il doppio rispetto ai quindici anni precedenti. E non può essere diversamente. Nel comune dell’Arcangelo Michele sembra sia in vigore l’autogestione individuale: grava l’assenza del governo della città, distante dai problemi della comunità locale. L’élite municipale resta blindata nel Palazzo.
Si prenda, per cominciare il lungo elenco dei disastri esistenti, l’arredo urbano, che mostra tutto il suo degrado: strade dissestate, carenti di segnaletica verticale e orizzontale; verde pubblico non curato; bagni pubblici chiusi; suppellettili varie vetuste, ormai sul punto di implodere su sé stesse. I diversi cantieri di lavori pubblici paiono bloccati: durante il tempo di vacanza trascorso in paese, non ho mai visto le maestranze al lavoro.
Anche il cimitero non se la passa bene. Altro che luogo dove si onorano i cari defunti! La situazione è penosa: i servizi igienici, posti appena varcato l’ingresso, presentano muri scrostati e anneriti, la sala mortuaria è inagibile. Nel complesso, ci si accorge della scarsa attenzione dedicata al camposanto.
Stesso discorso vale per la biblioteca comunale, ridotta a deposito. Sebbene ubicata nel centro storico, essa sconta il disinteresse degli amministratori locali: nessun acquisto di nuovi libri, nessun abbonamento a periodici e/o quotidiani locali e nazionali. Il medesimo stato di abbandono vale anche per il museo civico e per gli eremi di Pulsano, alcuni di questi ultimi già interessati da crolli.
Le frazioni comunali sono anch’esse dimenticate. Pur essendo un paese di montagna, l’assistenza sanitaria è precaria. Ne è testimone quello che una volta era l’ospedale locale, in cui i vari reparti sono stati dismessi da tempo. Mancano le strutture primarie di una comunità, quali cinema, librerie.
Da tali premesse, è facile dedurre l’inesistenza di potenziali ipotesi di sviluppo. Se una volta Monte Sant’Angelo aveva un peso determinante nel contesto garganico, al giorno d’oggi rischia di scomparire. Politiche per invertire la rotta, purtroppo, non se ne vedono. È paradossale l’esistenza di un territorio caratterizzato da un ecosistema unico per le sue molteplici bellezze naturali (senza tralasciare il ricco patrimonio storico di cui è dotato: castello, chiese, abbazie, monumenti, ecc..), che mal si concilia con la dilagante povertà socio-economica presente.
È fuorviante la comunicazione sui canali istituzionali locali (social media), che spesso non rispondono a logiche informative: la censura è quasi diventata una procedura per bloccare il confronto civile e democratico. È questa la capitale della cultura?
Per quanto tempo ancora potrà resistere un paese di montagna, abbandonato al suo destino?»
“Due anni fa il consiglio regionale approvò il ripristino della liquidazione di fine mandato inserendo la norma a sorpresa in un diverso provvedimento. Come sapete bene, espressi il mio totale dissenso per questa vostra scelta e vi chiesi di abolire immediatamente la legge che avevate approvato.
Vi pregai di non ricorrere più a simili modalità di approvazione delle leggi, in particolare quando queste ultime incidevano sui vostri interessi economici. Avete inteso riproporre la legge in questione per il consiglio regionale di domani e questo sta provocando una mobilitazione di associazioni e cittadini che sono contrari all’accantonamento della vostra liquidazione da parte della Regione, anche se le vostre aziende datrici di lavoro, a causa dell’aspettativa concessavi per lo svolgimento del mandato elettorale, hanno dovuto smettere tale accantonamento.
Ancora una volta non avete spiegato all’opinione pubblica che la Regione Puglia (assieme all’Emilia Romagna se non sbaglio) è l’unica assemblea legislativa italiana a non accantonare la liquidazione come avviene per ogni altro lavoratore del Paese. Capisco il vostro disappunto nel sentire le critiche persino dei vostri colleghi del passato che, avendo incassato tale liquidazione in misura molto maggiore di quella prevista dal vostro disegno di legge, e godendo del vitalizio che a voi è stato eliminato, adesso si ergono a ipocriti moralisti, fuorviando l’opinione pubblica ed esponendovi al pubblico ludibrio, come se steste ripristinando un privilegio e non un diritto spettante ad ogni lavoratore, quello alla liquidazione, e cioè alla retribuzione differita, peraltro partecipando voi stessi ad una parte dell’accantonamento.
Capisco la vostra rabbia nel sentire che parlamentari titolari dello stesso diritto che voi intendete ripristinare addirittura vi “ordinano” di non farlo, per mere ragioni di immagine del partito di riferimento. Eppur tuttavia devo chiedervi di soprassedere al vostro legittimo intendimento perché altrimenti il rischio è quello di rovinare il magnifico lavoro che maggioranza e opposizione hanno svolto nelle legislature cui ho potuto partecipare come vostro collega.
Comprendo che essere gli unici in Italia cui è negato il diritto alla liquidazione dà una sensazione di ingiustizia difficile da metabolizzare, ma capirete che adesso è necessario tutelare la vostra storia politica ad ogni costo, anche rinunciando ad un diritto che vi è stato sottratto da vostri colleghi che invece quel diritto si sono tenuti ben stretto.
Vi chiedo di soprassedere al voto di domani e di affrontare questa vicenda a viso aperto, senza timidezze o vergogna. Provate a spiegare e a chiarire a chi ve lo chiede perché avete proposto il disegno di legge e di ripensare di approvarlo solo quando sarete sicuri di essere stati compresi.
Non date il destro a nessuno che vuole distruggere la vostra immagine e, insieme alla vostra, l’immagine della Regione. Rinunciando all’approvazione guadagnerete il diritto di dire a chi vi sta insultando quello che pensate di loro e della loro ipocrisia. E comunque con le somme cui rinuncerete avrete il privilegio di poter dire a chi ha raddoppiato - giustamente- tutti gli stipendi dei sindaci d’Italia e sta pensando - giustamente - di reintrodurre l’elezione diretta dei rappresentanti delle Province, di rinunciare anche loro - i parlamentari tutti e capi di partito- alle loro liquidazioni, equiparando alla legge pugliese ed emiliano-romagnola anche le leggi per il Parlamento della Repubblica e per i sindaci. Se proprio c’è bisogno di una scelta simbolica, che sia almeno uguale per tutti”.
È questa la lettera aperta del Presidente della Regione Puglia Michele Emiliano a tutti i consiglieri regionali.
La posizione del gruppo Pd
Dichiarazione del presidente del gruppo Pd Filippo Caracciolo sul trattamento di fine mandato.
«Non abbiamo fretta, l’approvazione del provvedimento può tranquillamente slittare, ma sia chiaro, sul Tfm non facciamo alcun passo indietro.
Perché dovremmo? È un diritto dei consiglieri regionali della Puglia, esattamente come lo è per i consiglieri delle altre regioni, per i Sindaci e per i parlamentari.
Si vuole privare i Consiglieri regionali pugliesi di questo diritto? Bene, si faccia lo stesso con tutti i consiglieri d’Italia e con tutti i parlamentari. Si revochi l’aumento che tutti i sindaci d’Italia si stanno applicando proprio in questi giorni. Si revochi l’aumento stabilito per i capigruppo di Camera e Senato, anche quella una questione di questi giorni. Rinunci a pensioni e vitalizi Vendola, che è così bravo a fare la morale, quando però riguarda gli altri, senza rendersi conto che il suo tfm incassato è pari a quello che dovrebbero prendere 51 consiglieri in un anno. In pubblico si dice una cosa, nel privato ne vale un’altra. La politica della doppia morale che soffia sul vento del populismo e della demagogia per spostare l’attenzione dai privilegi dei sindacalisti, dalle loro pensioni. Quando si soffia sul populismo non si indebolisce solo la politica ma anche il sindacato e sappiamo bene quanto questo abbia pesato anche negli anni dei tagli. Se si contesta il nostro tfm, questo vale per tutti gli incarichi politici quando si sta in aspettativa, anche per quelli sindacali.
Prendendo di mira i consiglieri regionali della Puglia, la Regione più virtuosa d’Italia in tema di costi della politica, fanno un incredibile autogol.
Li aspettiamo per un confronto sereno, ma a carte scoperte. Le carte di tutti, non solo le nostre. E poi raccontiamo tutto ai cittadini, alle associazioni, ai comitati e vediamo chi sono i bugiardi, i furbi, i privilegiati, i doppi moralisti.
Accogliamo l’invito del Governatore, soprassediamo per il momento al voto e affrontiamo i nostri detrattori a viso aperto».
Non solo gruppi politici e associativi vari, quelli culturali e professori, che chiedono la rivisitazione del progetto comunale di ristrutturazione della scalinata di Via Torre dei Giganti. Ora, in attesa dei cittadini che diventano gruppo e che diranno la loro sui media, oltre quello già espresso sui social, prende la parola, nel caso carta e penna, Pasquale di Bari, Vice Presidente Italia Nostra - Sezione Gargano Terre dell'Angelo.
«Gentile Sindaco di Monte Sant'Angelo,
Mi rivolgo a lei in relazione alla bellezza scenografica delle scalinate della Torre dei Giganti e del castello, ricadenti nel buffer zone che caratterizzano la nostra amata città dei due siti UNESCO.
Desidero sottolineare l'importanza di preservare l'integrità e l'autenticità di questi luoghi storici, insieme alle scalinate sempre in pietra calcarea, site in largo Tomba di Rotari e zona Carmine, ancora superstite testimonianza degli straordinari capacita tecniche ed estetiche dei nostri avi che costituiscono un patrimonio di inestimabile valore per la comunità e per i visitatori che vengono da tutto il mondo.
Uno degli elementi che contribuisce alla magia di queste scalinate è l'utilizzo dei materiali di cava originali, che riflettono l'anima e l'identità del territorio garganico. L'assenza di tali materiali potrebbe influire negativamente sull'estetica e sull'atmosfera di questi luoghi unici.
Ricordiamo che le scalinate ricadono in zona buffer zone in sito Unesco e come tale meritoria di tutela e di un approccio culturale all’altezza del bene storico e artistico che rappresentano, sicuramente mai demolitivo.
È emblematico il fatto che una amministrazione che ha partecipato alle fasi finali per divenire capitale della cultura italiana 2025, di fatto capitale della cultura 2024 della regione Puglia, possa commettere una tale barbarie culturale.
Le motivazioni apportate dall’ Amministrazione per la scelta progettuale radicale, demolitiva è per l’assenza di materiale lapideo calcareo di cava locale.
In questo contesto, desidero proporre un'idea che potrebbe essere presa in considerazione. Se la disponibilità di materiali di cava originali dovesse rappresentare una sfida, potrebbe essere valutata l'apertura di una cava nel territorio, appositamente dedicata a fornire i materiali necessari per il restauro e il mantenimento delle scalinate. Questo consentirebbe di utilizzare materiali autentici, che rispecchiano l'essenza del territorio garganico, preservando così la bellezza scenografica di questi luoghi senza comprometterne l'integrità storica.
Questa proposta potrebbe offrire una soluzione equilibrata e sostenibile, garantendo la disponibilità di materiali locali per i futuri interventi di conservazione e restauro. Inoltre, l'apertura di una cava potrebbe avere ricadute positive sull'economia locale, creando opportunità di lavoro e promuovendo lo sviluppo sostenibile del territorio.
Mi permetto di suggerire che molte basole antiche di pietra locale, sono giacenti nel deposito di inerti prospicente l’ospedale. In passato, molte altre basole antiche sono state depredate ed usate per fare muri a secco, nell’ indifferenza e la compiacenza degli organi amministrativi comunali che invece di preservarli ed utilizzarli come nel caso in oggetto, mi riferisco al rifacimento di via Cavallotti centinaio di basole antiche ed uniche depredate.
La invitiamo a considerare attentamente questa possibilità e a coinvolgere esperti del settore, architetti, geologi e rappresentanti delle associazioni culturali locali per valutare la fattibilità e l'opportunità di tale soluzione.
Riteniamo che la salvaguardia del patrimonio culturale debba essere una priorità e che sia necessario adottare soluzioni innovative e rispettose dell'identità territoriale. Siamo pronti a offrire il nostro supporto e la nostra collaborazione per preservare la bellezza e l'importanza storica di queste scalinate.
Confidiamo nella sua sensibilità e nell'attenzione che lei e la nostra comunità dedicherete a questa questione cruciale per il futuro della nostra città.
Ovviamente la sezione locale di Italia Nostra sta producendo nota-denuncia sia alla Soprintendenza che al Ministero competente.
Distinti saluti»
FOCUS
- Monte Sant'Angelo, Scalinata di Torre dei Giganti. Non distruggetela anche storicamente
- Monte Sant'Angelo, Scalinata di Torre dei Giganti. Parte integrante delle mura antiche
Pubblicata su Facebook il 1° aprile 2023, ma ripresa da pochissimi media, la “Lettera aperta al Maestro Renzo Arbore” scritta dal prof. Pasquale Episcopo ha in seno argomenti validi per una sana discussione affinché “Casa Arbore e le sue cianfrusaglie” abbiano altra destinazione. L’Ente Provincia ha deciso che sarà una sala di Palazzo Dogana a conservare i ricordi di una vita di Renzo Arbore, ovviamente con un progetto artistico-culturale a supporto. Tuttavia molti concittadini dell’eccentrico foggiano Arbore, napoletano d’adozione, hanno un’altra idea, dividendosi, finanche tra chi è del mondo culturale e mediatico. I media, purtroppo, non hanno ripreso appieno l’appello del prof. Episcopo, che merita attenzione e profonda riflessione sulla valenza delle “cianfrusaglie” di Renzo Arbore. A distanza di due mesi e visto che nessuno ha voluto divulgare un libero pensiero, oggi lo proponiamo. È la prerogativa del giornalismo, quello libero. [ndr.]
«Gentile Dott. Arbore,
questa lettera è un appello alla Sua sensibilità di foggiano e uomo di cultura.
Con essa Le rivolgo la preghiera di riconsiderare il progetto di realizzazione di “Casa Arbore” a Palazzo Dogana e di chiedere alle istituzioni pugliesi (Regione, Provincia, Comune) che venga individuata una diversa sede per gli oggetti della Sua collezione permettendo, in tal modo, che l’edificio storico più rappresentativo di Foggia sia utilizzabile per impieghi più direttamente legati alla storia della città e che possano contribuire alla sua ripartenza dopo la crisi sociale e istituzionale che l’ha colpita relegandola agli ultimi posti, per qualità della vita, in molte graduatorie nazionali.
Gli oggetti della Sua collezione privata, tra cui capi di abbigliamento (costumi, gilet, cappelli, cravatte) e cimeli di plastica (borse, occhiali, bigiotteria e oggetti cult) che Lei stesso chiama “cianfrusaglie”, non hanno alcun legame con la storia della città di Foggia e non andrebbero collocati nel suo edificio storico più rappresentativo. Tra gli impieghi ipotizzabili per Palazzo Dogana ci sarebbe quello di destinare parte delle sue sale e dei suoi spazi alla realizzazione di un Museo della Transumanza o un Museo Federiciano o entrambi.
Come Lei sa Federico II di Svevia visse e governò a Foggia per oltre un quarto di secolo, dal 1221 al 1250, ancorché in maniera discontinua. A differenza di quanto accaduto in altre zone della Puglia, Foggia fino ad oggi non è stata in grado di valorizzare adeguatamente l’immagine del personaggio più famoso del Medioevo facendone punto di forza della sua identità storica, ponendola alla base di iniziative per la promozione culturale, sociale ed economica della città e dell’intero territorio. A causare questo stato di cose ha contribuito certamente il destino infausto che ha avuto il Palazzo imperiale, scomparso nel nulla. A tale sorte si è aggiunta una poco lungimirante amministrazione della città che, con scelte sbagliate o, semplicemente, mancate, ha contribuito alla “damnatio memoriae” che, obliando il passato, ne ha minato il futuro.
Tra le cose che sono mancate a Foggia, negli ultimi decenni in particolare, c’è a mio avviso anche l’aiuto di un illustre foggiano disposto “a metterci il nome e la faccia”, ovvero a spendersi personalmente per la valorizzazione della città. Lei queste qualità le avrebbe, ma non vive a Foggia.
Ma allora perché non provare a reindirizzare l’iniziativa “Casa Arbore” lasciando che gli spazi ad essa destinati vengano utilizzati per finalità di valorizzazione dell’identità storica e culturale della città che Le ha dato i natali? Perché non offrire alla Sua città un aiuto più grande, più bello e più forte, più nobile e generoso, quello di essere Lei stesso patrocinatore di un Museo Federiciano da realizzarsi a Palazzo Dogana nella prospettiva di un ritorno alla normalità con l’elezione di un nuovo Sindaco? Le dico questo perché le delibere di Provincia e Regione che hanno approvato “Casa Arbore” hanno avuto luogo con il Comune di Foggia sotto commissariamento, dunque privo della propria identità rappresentativa. Ripeto, non Le chiedo di rinunciare a “Casa Arbore”. A Foggia ci sono certamente posti più adatti dove poter collocare la Sua collezione. Mi risulta che, prima del commissariamento, l’Amministrazione comunale Le aveva offerto la Pinacoteca 900.
Il patrocinio di un Museo Federiciano sarebbe il più bel regalo che Lei potrebbe fare ai foggiani perché contribuirebbe a ricostruirne l’identità culturale. Il regalo riguarderebbe soprattutto i più giovani e i giovanissimi. Conoscere la storia della propria città li aiuterà ad amarla, magari a non lasciarla quando saranno adulti. I foggiani hanno bisogno di riconciliarsi con se stessi, di diventare orgogliosi di se stessi e della propria storia. Con Federico II la grande storia universale è passata da Foggia facendo della città e dell’intera Capitanata il centro del mondo che allora contava.
A Jesi, dove Federico II vide la luce il 26 dicembre 1194 e dove da neonato non trascorse che pochi giorni, pochi anni fa è stato realizzato il primo museo interamente dedicato al grande personaggio storico. L’ho visitato e ne sono rimasto entusiasta. Il Museo “Federico II Stupor Mundi” non ha reperti storici originali: è stato concepito con pannelli, ricostruzioni, proiezioni, scenografie e installazioni virtuali grazie alle quali si raccontano passaggi salienti della vita pubblica e privata di Federico II. L’inaugurazione è avvenuta il 1° luglio 2017 ad opera della Fondazione Marche e alla volontà, in particolare, dell’Ing. Gennario Pieralisi, Cavaliere del Lavoro e imprenditore dell’agro-alimentare, che l’ha voluto “per amore verso la sua città” finanziandolo con un milione di euro.
Dott. Arbore,
non Le sto chiedendo di mettere mano al portafogli. Se Le racconto questi particolari è perché è questa, a mio modesto avviso, la via da seguire: una “best practice” attuata con successo solo pochi anni fa. Nei primi sei mesi il museo jesino ha avuto “15.000 visitatori paganti” che hanno contribuito a sostenere l’economia della cittadina marchigiana. Questo numero è stato reso noto dalla Prof.ssa Anna Laura Trombetti Budriesi dell’Università di Bologna, curatrice scientifica dell’allestimento, in un’intervista, disponibile su YouTube, effettuata nel gennaio 2018 in occasione della presentazione del museo a Stoccarda, capitale del Land del Baden- Württemberg, nel cuore dell’antica Svevia. L’organizzazione dell’evento venne curata dall’Istituto Italiano di Cultura di Stoccarda e dalla Regione Marche con la collaborazione di Comune di Jesi e della Fondazione Federico II di Hohenstaufen. Circa duecento cittadini parteciparono alla presentazione. In quell’occasione il vicesindaco e assessore alla cultura di Jesi Luca Butini sottolineò le potenzialità del Museo Federico II Stupor Mundi quale contributo all’offerta turistica della città marchigiana.
La presentazione del museo di Jesi a Stoccarda è stato un modo efficace di fare squadra tra i rappresentanti delle istituzioni locali e quelli della cultura (e tra parentesi aggiungo che la Prof.ssa Trombetti Budriesi nel 2000, illustre studiosa dello Svevo, ha pubblicato l’edizione, in latino e in italiano, del De Arte Venandi cum Avibus, il trattato di falconeria al quale Federico II si dedico dal 1221 al 1250 (Stürner), dunque certamente anche a Foggia, nel parco dell’uccellagione ubicato tra il Pantano e San Lorenzo in Carminiano, dove l’Imperatore aveva una seconda residenza).
Perché dunque non realizzare anche a Foggia, che fu sede preferita dell’Imperatore, un Museo Federiciano?
Federico II di Svevia scelse Foggia per farne “REGALIS SEDES INCLITA IMPERIALIS”, capitale del Sacro Romano Impero e del Regno di Sicilia. Fu nel palazzo imperiale di Foggia che venne concepito il Liber Augustalis, poi promulgato a Melfi, che sarebbe rimasto in vigore per i sei secoli successivi. Definito “monumento giuridico” della storia del diritto e rimasto in vigore fino al 1819, alla sua stesura contribuirono i giuristi più eruditi e raffinati dell’epoca guidati dal protonotario Pier della Vigna, capo della cancelleria imperiale. Fu da quel palazzo che partirono ordini, mandati, privilegi e lettere destinati a papi, re e dignitari d’Europa. Fu nel Palazzo di Foggia che l’Imperatrice Isabella d’Inghilterra trascorse gli ultimi anni della sua vita e vi morì, il 1. dicembre del 1241. Era sorella del Re Enrico III d’Inghilterra, figlia di Re Giovanni Senza Terra, il Sovrano che sottoscrisse la Magna Carta, ma Foggia non le ha dedicato nemmeno una strada. Fu tra i letterati che animavano la vita di corte di quel palazzo che la lingua italiana fece i suoi primi timidi passi, con la cosiddetta Scuola Siciliana, tra essi Jacopo da Lentini, l’inventore del sonetto. Fu intorno alla corte foggiana che si raccolse una fitta schiera di artisti e scultori, in primis Nicola di Bartolomeo da Foggia poi detto “Pisano”, che avrebbero influenzato l’arte e l’architettura nell’intero Regno e nel resto d’Italia.
Con loro Foggia diventò città d’arte di primaria importanza. Ho già menzionato il Parco dell’Uccellagione, dove Federico osservò e studiò moltitudini di volatili, e il suo “De Arte venandi cum Avibus” un libro che a tutt’oggi è considerato pietra miliare del metodo scientifico. “In questo libro di falconeria vogliamo descrivere le cose che sono, come sono” queste le parole del suo illustre autore. Il libro ci è pervenuto in una trascrizione attribuita a Manfredi corredata da miniature bellissime che ne fanno un inno al creato. Otto secoli fa Federico fu un ambientalista “ante litteram” ed oggi più che mai dovrebbe essere ricordato e studiato per la sua attualità dirompente.
Ebbene tutto ciò, e molto altro, può essere ricostruito, a Foggia, in un Museo Federiciano che rappresenti punto di attrazione nazionale e internazionale della città, della provincia e dell’intera Puglia. Oggi che Foggia dispone nuovamente dell’Aeroporto Gino Lisa, il museo può diventare punto di partenza per un turismo colto, anche internazionale, diretto alle diverse località federiciane dei dintorni, da Lucera a Castel del Monte, da Troia a Monte Sant’Angelo e, non da ultimo, Castel Fiorentino, luogo di morte dell’Imperatore, sito archeologico di grandi potenzialità, vera miniera d’oro a cielo aperto che attende solo di poter promuovere cultura e produrre ricchezza.
Dott. Arbore,
preso dalla foga della scrittura non mi sono ancora presentato e me ne scuso. Alcune brevi informazioni sulla mia persona le ho messe in Post Scriptum. Ma non è importante chi sono, importante è la preghiera che Le rivolgo.
Spero che vorrà apprezzare e accogliere le parole di uno che, come Lei, ha lasciato Foggia e che, come Lei, non ha dimenticato quella città sfortunata. Amo Foggia e ne desidero il riscatto. La nostra è una città che ha subito tante disgrazie, tante privazioni, tante ferite. A quelle sventure si sono aggiunte, recentemente, umiliazioni che non meritano neppure di essere menzionate. Con il Suo patrocinio e con l’accordo della Provincia e della Regione, Palazzo Dogana può diventare il fulcro della rinascita della città basata sulla sua identità storica e culturale.
Un altro museo che, a pieno titolo, potrebbe essere ubicato a Palazzo Dogana sarebbe quello della transumanza. In Capitanata la pratica della transumanza delle greggi è attestata fin dall’epoca romana repubblicana. Fu certamente in uso in epoca normanna, sveva e angioina. La Regia Dogana della “Mena delle pecore” ebbe il suo atto di fondazione in un Privilegio di Re Alfonso d’Aragona del 1447. Con esso la rete di sentieri percorsi dai pastori assurse a struttura demaniale vitale per lo sviluppo dell’economia in ben cinque regioni meridionali, Abruzzo, Molise, Puglia, Campania e Basilicata. Per secoli Foggia è stata crocevia di “tratturi, tratturelli, bracci e riposi” che formavano una fitta rete di 3000 chilometri ed oltre. Milioni di pecore svernavano in pianura per poi ritornare sui monti in primavera. In un tempo in cui si parla sempre più spesso di salvaguardia ambientale e sviluppo sostenibile, un museo della transumanza contribuirebbe a ricostruire l’identità culturale di un territorio che su quella pratica, come anche sull’agricoltura e in primis sulla coltivazione del grano, ha basato per secoli la fonte del suo sviluppo sociale ed economico.
Infine a Palazzo Dogana potrebbe avere sede un Ufficio del Turismo, degno di questo nome, che lavori in sinergia con quelli, già esistenti, della provincia.
Dott. Arbore,
Lei è un uomo di spettacolo e certamente sa quanto oggi i cosiddetti “Social” siano diventati importanti nella comunicazione tra i cittadini, a volte anche tra i cittadini e i vip della politica, della cultura, dello spettacolo. Anch’io ho una pagina Facebook. Da circa tre anni la dedico esclusivamente ai miei contatti “foggiani”. I miei post riguardano Foggia e la sua storia, in particolare quella legata a Federico II di Svevia. Nel maggio 2022, dopo aver appreso della delibera della Provincia, ho scritto su “Casa Arbore” dicendo quello che penso. Oltre duecento persone hanno sostenuto il mio punto di vista.
Dopo la pubblicazione (ottobre 2022), della Deliberazione della Regione Puglia afferente alla realizzazione di “Casa Arbore” a Palazzo Dogana, ho scritto al Presidente Michele Emiliano una lunga lettera chiedendo di sottoporre il progetto a revisione al fine di individuare una sede diversa e più idonea. La lettera, datata 23 gennaio 2023, l’ho inviata, per conoscenza, anche ad alcuni giornali, a molte istituzioni e associazioni culturali locali, a singole persone impegnate nella cultura. Anche in questo caso ho ottenuto diverse manifestazioni di sostegno. Non sono dunque il solo, a Foggia, a pensare che “Casa Arbore” non vada collocata a Palazzo Dogana. Anche la stampa ne ha parlato.
Se Lei accettasse sarei onorato e felice di incontrarLa, a Roma o dovunque preferisce. Lo dico senza arroganza, semmai con umiltà. Non è “Casa Arbore” ad essere oggetto di discussione, ma la sua collocazione.
Un Suo autorevole intervento potrebbe riportare le cose sui giusti binari individuando un’altra sede per la Sua collezione. L’annuncio di un Museo Federiciano a Palazzo Dogana da Lei patrocinato e quello di “Casa Arbore” in una diversa sede potrebbe essere il segnale che la città attende per la sua rinascita a partire dalla cultura. Poi ci sarà bisogno di un gran lavoro di squadra, da fare tutti insieme - ripeto: TUTTI INSIEME - quando Foggia avrà un nuovo governo liberamente scelto dai suoi cittadini.
Detto, in tutta sincerità, da un foggiano come Lei che, come Lei, ama la propria città natale.
Con distinti saluti».
Chi è il prof. Pasquale Episcopo.
Foggiano di nascita, ex-Ufficiale dell’Aeronautica, da 30 anni vive a Monaco di Baviera dove lavora come docente di italiano, lingua e cultura. Dal 1993 è giornalista iscritto all’albo pubblicisti del Lazio. E' membro della Società di Storia Patria per la Puglia e della Società di Storia degli Staufer con sede a Göppingen, città gemellata con Foggia dal 1971. E' stato il promotore del convegno internazionale (18 - 20 nov. 2021, Unifg), dedicato a Federico II di Svevia in occasione dell’VIII centenario del suo arrivo in Capitanata. Al convegno ha presentato una relazione sui Diplomi emanati dallo Svevo a Foggia e in Capitanata. Inoltre, è stato il promotore della Stele di Foggia, monumento alla memoria di Federico II. Il monumento è oggetto di donazione da parte del Prof. Johann Heinrich von Stein, economista di Stoccarda appassionato cultore di Federico II nonché iniziatore del progetto delle “Stauferstele” che dall’anno 2000 ha visto la collocazione di 39 monumenti in 6 paesi europei. Il professore, a cui lo lega un sentimento di profonda amicizia nel nome di Federico II von Hohenstaufen, cui sostiene che Foggia è il luogo che più di ogni altro merita il memoriale. A causa della crisi istituzionale, la collocazione e l’inaugurazione sono state rimandate a data da stabilirsi. In qualità di ex-Ufficiale, il 27 ottobre 2022 c/o Unifg, ha partecipato al convegno per il Centenario dell’Aeronautica con una relazione sui bombardamenti del 1943 e sul contributo della Regia Aeronautica combelligerante alla guerra di liberazione in Capitanata. Altra pagina importante, drammatica e gloriosa al tempo stesso, della grande storia di Foggia.
Cronaca e attualità è piena di storie di malasanità, purtroppo. E quando non è così pochi ne parlano, fors’anche che chi la vive non la racconta per pudore, per privacy o semplicemente sta bene, perché tutto è andato a buon fine. Il contrario avrebbe scatenato ire, denunce, pubblici processi. La sanità è sempre al centro di critiche, giuste e sbagliate ovviamente, specie se è del sud dell’Italia. Ma c’è, invece, che vuole che si sappia, che la sua storia, molto personale, venga condivisa con la pubblica piazza, sia per conferire meriti, sia per ringraziare, sia per donare positività e sprone a chi avrebbe bisogno di aiuto. La storia pubblicata di seguito è una “Lettera Aperta” arrivata presso la nostra redazione. Racconta di una donna garganica che ha sentito il bisogno di ringraziare il medico e il suo staff per aver ridato speranza e vita a sua sorella, paraplegica. [ndr.]
«Questa è la mia esperienza per far conoscere a tutti che la buona sanità esiste ed ha un nome e cognome.
Mi chiamo Michela e sono la sorella di Libera, una donna paraplegica.
Tutto ebbe inizio con una sua caduta accidentale. Rottura del ginocchio, intervento chirurgico e degenza a letto per lungo tempo.
Eravamo fiduciosi e curavamo a casa mia sorella con tutte le accortezze possibili e con le indicazioni del personale sanitario.
Purtroppo le cose sono andate storte e la ferita seppur curata si è ingrandita notevolmente fino a raggiungere l’osso del bacino. La situazione era drammatica e stava precipitando a causa della debilitazione fisica di Libera e della difficoltà nell’assumere cibi e bevande.
Eravamo disperati fino al giorno in cui ho conosciuto il dott. Luigi Semeraro, medico chirurgo vascolare di Casa Sollievo della Sofferenza di San Giovanni Rotondo il quale non ci assicurò niente data la gravissima situazione ma con grande umiltà ci garantì il suo massimo impegno e ci propose di tentare, di provare una nuova terapia a base di cellule staminali.
È stato un autentico «progresso miracoloso» che ha fatto rinascere la cara Libera.
Oggi le cure che stiamo alternando fanno ben sperare nel tanto agognato risultato finale.
Voglio esprimere il mio più convinto ringraziamento ad un uomo speciale, un sanitario eccezionale, professionale e «umano».
Il suo lavoro giornaliero per curare i pazienti è degno di encomio.
Grazie dottor Luigi Semeraro, dal profondo del cuore.
Lei ha ridato vita a mia sorella e anche a me».
A pochi mesi dal voto per eleggere il nuovo Consiglio comunale e Sindaco di Foggia, l’ing. Pippo Cavaliere, più volte Consigliere e Assessore comunale, perciò amministratore della città, fa il suo punto sul futuro politico e amministrativo che potrebbe assumere Foggia. Ritardi nelle scelte e decisioni su cui puntare. Ma anche suggerimenti di come porsi in essere per affrontare il futuro, ormai contemporaneo, dopo il commissariamento del Comune per infiltrazioni mafiose [ndr.].
«Alcuni giorni fa, un autorevole rappresentante delle istituzioni mi ha espresso il convincimento che il duro ed encomiabile lavoro svolto dallo Stato a partire dal 9 agosto 2017, il giorno del martirio dei Fratelli Luciani, potrà essere preservato e salvaguardato a condizione che la Città di Foggia, alla prossima tornata elettorale, dia vita ad una rappresentanza politica perfettamente impermeabile ad ogni forma di illegalità, ai tentativi di infiltrazione della criminalità, ai fenomeni corruttivi, oltre che capace ovviamente di risollevare la Città dal degrado in cui versa. Se non dovessimo riuscirci, l’impegno finora profuso potrà essere amaramente assimilato alle mitologiche fatiche di Sisifo.
Sono trascorsi circa due anni dal commissariamento del Comune per infiltrazione mafiosa, le elezioni sono ormai alle porte, eppure ho la sensazione che si sia perso tempo prezioso e l’occasione per analizzare a fondo e con spirito critico le cause e le motivazioni che hanno prodotto lo tsunami che ha letteralmente travolto la nostra città e individuare antidoti ed anticorpi per preservare la sfera pubblica da contaminazioni di ogni genere.
Si sarebbe potuto, ad esempio, dar vita a think tank e dibattiti pubblici per proporre e disegnare un nuovo modello di sviluppo economico del nostro territorio dalle mille potenzialità, che spaziano dal settore agroalimentare a quello turistico.
Quest’ultimo aspetto assume vitale importanza in quanto la creazione di posti di lavoro rimane l’arma più efficace per arginare il fenomeno malavitoso, che attinge manodopera e linfa vitale sfruttando il disagio economico.
Come sarebbe stato doveroso affrontare tematiche concernenti il welfare, la povertà educativa, la dispersione scolastica, per sancire il concetto che il sociale non è un costo ma un investimento, per di più prioritario.
Ma, al di là di qualche timido tentativo, niente di tutto ciò è stato finora fatto. Perplessità che trovano riscontro nel timore espresso giorni fa da Antonio Decaro, presidente ANCI e sindaco di Bari, di una città che non sembra ancora proiettata verso un radicale cambiamento a seguito dello scioglimento del consiglio comunale.
Prevalgono i tatticismi, si studiano le strategie, si sondano eventuali disponibilità, ma ancora nessun accenno verso quale futuro proiettare la Città e a proposte ed impegni cristallini che siano la voce messaggera di un vento nuovo che spazzi via la paura di reagire alla prepotenza criminale e spezzi le catene di un silenzio a volte connivente e colpevole».
Azioni concrete e non solo numeri per riempire registri da mostrare a fine anno come resoconto, posti di blocco diversificati e improvvisi e non solo nelle solte aree cittadine, lotta più asfissiante alla criminalità organizzata e mafiosa e alla dilagante minicriminalità giovanile. Questo e altro nella riflessione del dott. Giuseppe Mainiero, già Consigliere comunale a Foggia, che con rammarico, tra l’altro diffuso e condiviso da molti foggiani, in una “Lettera Aperta” inviata alla stampa punta anche il dito al commissariamento del Comune che doveva bonificare la città. [ndr.]
«Ciò che è accaduto qualche sera fa nel centro della Città pare sia passato sotto silenzio. O almeno mi sembra, per le modalità con cui è avvenuta la brutale aggressione che ha colpito un imprenditore, che sia mancata e continui a mancare un'attenzione speciale nei confronti di un'emergenza che sta mostrando tutta la sua brutale pericolosità.
È solo l'ultimo episodio in termini corologici. Ormai Foggia in determinate zone ed ore è terra di nessuno. Ostaggio di vere e proprie bande criminali.
Il fatto che un cittadino possa essere tranquillamente pestato e rapinato nel centro di Foggia alle 21, invece, dovrebbe consegnare a tutti – innanzitutto a chi ha responsabilità politiche di primo piano – l'urgenza di affrontare il tema del presidio e del controllo del territorio con maggiore serietà.
Sia chiaro: l'attività svolta dagli agenti delle Forze dell'Ordine è encomiabile e straordinaria. Come lo è quella di tutti gli organi dello Stato chiamati a lavorare nel campo delicatissimo della sicurezza. Ma il modello va ripensato in termini di efficacia.
È evidente che occorre una ridefinizione delle strategie e delle modalità stesse con cui si controlla la Città. Ed entrambe non possono non essere, soprattutto nella terra della "Quarta mafia", una priorità della politica e, nello specifico, del Governo e del Ministero dell'Interno.
Matteo Piantedosi sarebbe pregato di dare un segnale.
Dopo i risultati eccellenti conseguiti dalla DDA e dalla magistratura, che hanno letteralmente decapitato i vertici delle cosiddette "batterie" mafiose, Foggia oggi deve fare i conti in larga parte con le "terze e quarte" file di quei sodalizi criminali. E, in particolare, con forme di microcriminalità giovanile sempre più violente e feroci.
È chiaro che siamo in presenza di una situazione che richiede strategie di contrasto e di affermazione della presenza dello Stato nuove e, se vogliamo, diverse sul piano organizzativo ed operativo. Strategie che vanno messe in campo sulla base delle indicazioni elaborate dal Governo e dal Viminale, sempre ammesso che ne abbiano.
Purtroppo la mia sensazione è che su questo fronte, al netto di qualche dichiarazione propagandistica, l'attenzione politica di chi è al Governo sia largamente insufficiente. E mi sembra che nessuno dei parlamentari che sostiene l'esecutivo Meloni avverta la responsabilità di adoperarsi per segnalare l'esigenza di un cambio di passo e la necessità di rispondere in modo più efficace al bisogno di sicurezza della nostra Comunità.
Aver prolungato il Commissariamento del Comune di Foggia non serve a nulla se non si procede contestualmente alla bonifica della Città rispetto alla presenza di queste bande criminali che spadroneggiano indisturbate.
Come ho avuto modo dire in più occasioni, ad esempio, la dislocazione dei posti di blocco e dei pochi agenti che si sacrificano ogni giorno nelle nostre strade forse dovrebbe essere differente. Forse queste preziose risorse umane, oltre ad essere incrementate in termini numerici, dovrebbero essere impiegate presidiando innanzitutto i luoghi in cui la criminalità prolifera piuttosto che tenute, mi si passi la provocazione, a difesa della Fontana del Sele.
Quelle donne e quegli uomini, del cui impegno dobbiamo essere grati ogni giorno, potrebbero essere maggiormente utili – specie in un momento di carenza di organici – con un pattugliamento della Città più diffuso e con controlli più serrati laddove la microcriminalità si ritrova e si organizza.
Nessuno, tantomeno io, vuole ovviamente insegnare al Prefetto o al Questore come fare il loro mestiere. Ma le allarmanti notizie quotidiane che leggiamo ed ascoltiamo ci dicono che occorrono risposte diverse.
Non c'è tempo da perdere. A Foggia serve una politica che sappia fare la propria parte, con credibilità, consapevolezza, autorevolezza e competenza.
Il controllo del territorio non può prendere in considerazione solo numeri e dati da inviare al Ministero, in una sorta di logica ragionieristica che prevede il semplice riempimento di una scheda con le voci di veicoli fermati, persone identificate e pregiudicati.
Mi chiedo se sia possibile che una Città come Foggia non disponga di equipaggi "motomontati" in borghese con turni 8/24. Davvero pensiamo che la sicurezza sia far girare volanti con il lampeggiante acceso a favore di telecamere o di cittadino?
La sicurezza non è propaganda. La sicurezza è percezione e sostanza».
Il 29 marzo 2023, Padre Leonardo Marcucci, è ritornato alla Casa di Dio Padre. Di lui abbiamo ricordi indelebili e chi si recava all’oggi Policlinico Riuniti di Foggia lo incontrava, sempre.
Molte son state le note di cordoglio, da chi lo ha conosciuto a chi ha ricevuto una semplice visita di conforto durante la degenza ai Riuniti di Foggia e da chi si rivolgeva a lui per una preghiera di sostegno, non solo durante i ricoveri anche al di fuori del plesso ospedaliero.
Frate Cappuccino di 86 anni e Cappellano dell’Ospedale dal 1971, Padre Leonardo fu colui il quale sorresse l’allora Padre Pio, ora San Pio da Pietrelcina, quando ebbe un mancamento durante l’ormai famosa celebrazione della sua ultima messa eucaristica.
In un servizio giornalistico, ripreso da più giornali, Padre Leonardo ricordò che mentre teneva la mano di Padre Pio si accorse che le stimmate si stavano chiudendo. Quei due Frati non ci sono più, ma tra la santità di Padre Pio e la devozione altrui di Fra Leonardo, il filo conduttore è la fede e l’altruismo, che va ricordato. A Foggia Fra Leonardo era popolare e soprattutto amato.
Giuseppe Lacertosa, bancario in quiescenza e fotografo solidale (Diversa-Mente. Fotografando con obiettivo solidale) sempre in attività volontaria per regalare gioia e sorrisi, lo ricorda. E mentre lo fa, esorta chi vorrà seguirlo a tener viva la memoria di Padre Leonardo con ricordi.
[Giuseppe Lacertosa, a destra, con Vanni Natola, a sinistra, durante un corso di "Fotografando con obiettivo solidale"]
Ricordo di Padre Leonardo Marcucci (di Giuseppe Lacertosa)
Cari amici,
ho conosciuto Padre Leonardo da quando, poco più di un anno fa è stato nominato vice parroco del convento di Sant’Anna. (parrocchia in cui cerco di vivere e professare al meglio la mia fede).
Tanti sono gli aneddoti che ci ha trasferito proprio sulla vita di San Pio (ricordo anche l’ultima messa concelebrata).
Avrei voluto fermarli anche attraverso filmati e magari, doveroso, inserire dei sottotitoli come già avvenuto in una celebre intervista, non sempre ci sono riuscito.
Purtroppo ora quello che mi resta o resterebbe da fare è, o sarebbe, fare da collante, cercare del materiale e dar “sfogo” alla mia passione di fotografo solidale per realizzare un “qualcosa” che dia lustro a questo semplice fraticello a cui proprio Padre Pio indicò la strada che doveva percorrere: «Tu sarai vicino agli ammalati».
Così ha fatto per oltre cinquant’anni presso gli Ospedali Riuniti di Foggia (ora Policlinico) ma, anche per un breve periodo presso il Don Uva.
Vorrei e, mi rivolgo agli affezionati lettori, una semplice collaborazione, ma utile per dar lustro alla figura del fraticello.
Un grazie di cuore, un caro saluto e se qualcuno non me lo impedisce.
Che Dio vi benedica!
Proviamoci insieme!!! GRAZIE.
Farla vivere o farla morire? L’interrogativo, diventato dilemma, di tante persone. Il caso riguarda l’orsa JJ4, di razza “Orso Bruno Europeo”, resosi purtroppo protagonista, nella notte tra il 5 e 6 aprile 2023, di un assalto mortale a un runner, il 26enne del luogo sig. Andrea Papi, in un’area boschiva del Trentino Alto Adige. In quella regione, in parchi attrezzati per tal compito, sono ospitati più di un centinaio di orsi, ricollocati oltre trent’anni fa con il progetto Life Ursus. Tra questi ci sono JJ4, MJ5 e M62, tre orsi, rispettivamente una femmina e due maschi, definiti pericolosi per l’uomo. In Italia ci sono altre aree che ospitano orsi. C’è l’Abruzzo che con i suoi poco più 50 esemplari riesce a farli vivere in armonia con il territorio e l’uomo. E qui, come in Trentino, ci sono anche i lupi, ma ora occupiamoci dell’orso. Già tempo fa il TAR di Trento, ovvero il Tribunale Regionale di Giustizia Amministrativa (TRGA), evitò la morte a MJ5. Questa volta, invece, pare che la sorte di JJ4 sia stata già scritta. Le ultime decisioni, sempre del TAR di Trento, fortunatamente salvano JJ4, e con essa quella di MJ5 e M62. Nel frattempo è partita la caccia all’orso, principalmente per rintracciarlo e bloccarlo. Tuttavia, pare, che alcune organizzazione politiche siano indirizzate verso l’abbattimento dell’orsa, invece di ricollocarla e rieducarla, come avviene in altre strutture, in aree ben circoscritte e controllate a vista. Il mondo animalista, ovviamente non ci sta alla morte dell’orsa, pur riconoscendo la ferocia con la quale si è scagliata contro il runner, cui va la vicinanza alla famiglia per un incidente evitabile. Si è difesa per istinto quell’orsa, che ha visto invaso il suo territorio da una figura in corsa. E l’istinto, sappiamo, non è proporzionale al discernimento che ha l’essere umano. Istinto di sopravvivenza che lo tiene in vita, difendendosi da chi gli ostacola il passaggio, per allattare i suoi piccoli nel caso di mamme orse, a volte anche per fame. Sono ore concitate queste e le prese di posizione, legittime, sono varie. La dott.ssa Mariana Berardinetti dice la sua, con discernimento e scientemente, con quel distinguo che deve far riflettere chi oggi vuole la morte di una vita, seppur di un animale [ndr.].
«Io non ci sto!!!
Il caso dell'Orsa "Assassina"!
Psicologia sociale
"Le emozioni influenzano le decisioni"?
L’uomo, nel corso della storia è sempre stato esposto a rischi e pericoli, in qualsiasi luogo si trovasse e qualsiasi fosse la sua attività.
La comunicazione del rischio è la chiave di svolta di questa storia poiché utile ad assicurare che i cittadini vengano informati sugli eventuali rischi identificati e per evitare che insorgano preoccupazioni infondate.
Quando vediamo il pericolo vogliamo abbatterlo, questo ci insegna l'istinto, poi però noi detti Uomini cresciamo e veniamo educati a gestire le emozioni, l'istinto e soprattutto a scindere i comportamenti da adottare per vivere in maniera sufficientemente equilibrata nella comunità sociale che ci accoglie e continua a Formarci
Insomma ciò che ci distingue dagli animali non è il linguaggio ma la capacità di discernimento che acquisiamo attraverso l'educazione e poi la formazione.
In questa circostanza la revisione critica dov'è?
Prima scegliamo di ripopolare un luogo con gli orsi, poi ci rendiamo conto che non sappiamo gestire la cosa ed infine abbattiamo?
È questo gesto come lo chiamiamo se non crudeltà e mancanza di futuro-centrismo?
L' abbattimento dell'Orso non sarà un agito per spostare l’attenzione dalle responsabilità?
Ammazziamo un orso per pura voglia di deresponsabilizzazione?
Se ammazzassimo un uomo dopo una condanna per omicidio? Andremmo contro ad ogni principio di senso di umanità previsto dal codice penitenziario. Per l’uomo la legge prevede il procedimento di Sorveglianza, la rieducazione oltre la pena.
Critichiamo i paesi che utilizzano la condanna a morte ma stiamo facendo la stessa cosa, non la vediamo solo perché il condannato è un orso.
Questa condanna a morte viola ogni diritto e ci rende qualcosa di molto lontano dell’essere Uomini
Esistono misure di Sicurezza da adottare... Misure alternative...
Rifletti uomo perché ti sporchi di un delitto di onnipotenza che cambierà prima di ogni cosa la Popolazione futura.
Rifletti uomo perché questo gesto aprirà le porte alle Barbarie.
Io non ci sto!
La Legge è uguale per tutti!
In conclusione: ogni spazio vitale ha il suo potenziale di rischio (sia interno che esterno) ma, grazie ad una attenta analisi, possiamo renderlo quanto più adatto e sicuro al fine di agevolare la vita non soltanto del cittadino Uomo ma anche degli Animali, con i quali dobbiamo imparare a convivere non ad ammazzarli quando non rispondono ai nostri comandi».
È vero che a Foggia da qualche tempo è in atto una vera e propria bonifica dell'area urbana da alberi che possono, e già lo hanno fatto, danneggiare strade, marciapiedi, stabili, mettendo in pericolo la viabilità pedonale e stradale, anche le fondamenta di palazzi, Un risanamento estirpando alberi di grande e lungo fusto come lo è una varietà di pini. Ma è anche vero che tal bonifica è seguita da interventi di ristrutturazione dei riquadri per gli alberi, anche detti asole.
Il caso riguarda via Mazzini. Lì già vivono alberi, che non sono i tanto potati e/o estirpati pini, bensì di altra tipologia e perlopiù con fusti piccoli e medi. A lamentare un problema sono i residenti, che in questa lettera, inviata agli organi di stampa, chiedono di risolverlo, a fronte di seri problemi che innescano.
I residenti di Via Mazzini – Foggia.
«Nel piano di ristrutturazione messo a punto e già in atto del Comune di Foggia, “LAVORI DI RIFACIMENTO DEI MARCIAPIEDI DI VIA MAZZINI E PRECISAMENTE DA VIA M. DE ROSA SINO A VIALE OFANTO - CPV. 45233128-2 - CIG: 9097413EB0”, con procedura negoziata telematica, ai sensi dell’art. 36, comma 2, lettera c), del D. Lgs. n. 50/2016 e art. 1 comma 2 lettera b) della legge 120/2020 per l’affidamento, tutto è scritto, tutto è quantificato, tranne le misure delle asole degli alberi. Un progetto con un importo di gara pari a € 236.000,00, cui € 227.120,00 a ribasso e € 8.880,00 non soggetto a ribasso. Bei soldini ma che andrebbero spesi meglio.
E qui, sulle asole appunto, nasce il problema, tanto lamentato doverosamente dai noi residenti, che in un battito di ciglia ci siamo visti, si marciapiedi nuovi e ben strutturati, ma stalli per autovetture, doverosamente ben sistemati, con asole per gli alberi che misurano cm 170 x 170 e dal profilo tagliente, pericolose per gli pneumatici delle nostre auto e di quelli che le parcheggiano per servizi vari. Basterebbe leggere il progetto dove nel computo metrico, datato 12/10/2021, si parla solo di "Riquadrature di alberi esistenti..." senza nessun riferimento alle dimensioni. Come se fosse a discrezione del progettista.
A Foggia di asole ve ne sono tantissime, come peraltro nelle città del Belpaese, ma tutte di dimensioni inferiori, 130 x 120 cm, anche 120 x 120 cm, che ospitano alberi dal fusto ben più grande di quelli di via Mazzini, come per esempio quelli su corso Roma, su viale Giannone, sul vicino viale Matteotti, e così via. Siamo anche consapevoli che alte asole da cm 170 x 170 sono state fatte ma su vie periferiche, dove lo spazio c’è e abbonda, sia per i pedoni, sia per le autovetture, si veda via Napoli.
Noi residenti di via Mazzini abbiamo già rivolto le nostre rimostranze al Comune di Foggia, all’ufficio dei Lavori Pubblici, al geometra che sta realizzando il progetto suddetto, Carmelo Fredella, chiedendo lumi su tal scelta, che nel merito toglie centimetri agli stalli, tra l’altro a pagamento, per conferirli agli alberi.
QUI IL SERVIZIO VIDEOGIORNALISTICO DI TELEFOGGIA
È ovvio che nessuno di noi richiedenti è contro la vivibilità degli alberi. Anzi li vogliamo, ben contenti dato che abbelliscono il paesaggio e diminuiscono lo stress ma soprattutto depurano l’aria dalle polveri sottili e dagli agenti inquinanti, essendo via Mazzini un’arteria cittadina molto trafficata. Finanche, a detta degli scienziati, fanno risparmiare energia. Inoltre aumentano il valore degli immobili, influiscono sulle temperature grazie all’ombreggiamento ed all’evapotraspirazione, diventano anche piacevoli luoghi di aggregazione. Pertanto, qui non si è contro il verde, anzi è onorabile per il Comune aver finalmente risolto un problema annoso, ma togliere spazio ai cittadini, al passeggio, ai posti auto pare sia una posizione controproducente al godimento dei beni pubblici.
Interpellato il RUP, la risposta è parsa categoricamente “…va fatto così!”. Asole da cm 170 x 170 sul piano stradale in via Mazzini, ma sarebbe identico per altre vie cittadine, tolgono fattivamente centimetri agli stalli, limitandone la capacità e perciò fruibilità maggiormente per noi residenti. Insomma, minima capacità di parcheggio auto a fronte della richiesta.
Un progetto che varrebbe rivedere, semmai anche con l’ausilio di un agronomo che determinerebbe le giuste dimensioni delle asole per le tipologie di alberi esistenti in via Mazzini. Ed il Comune di Foggia un agronomo ce l’ha.
Ma nel problema ve n’è insito un altro, forse più grave e forse (repetita iuvant) dimenticato. Molte di quelle asole da cm 170 x 170 sono collocate dinanzi ai portoni degli stabili in via Mazzini, dove son stati costruiti sui marciapiedi gli scivoli per disabili, in base alle nuove leggi sull’abbattimento delle barriere architettoniche.
Bene! Peccato che gli scivoli sono distanti dalle nuove asole (170 x 170 cm) degli alberi di soli cm 180. Scivoli “intralciati” dalle asole, che ne diminuiscono l’utilizzo poiché le asole stesse, così dimensionate, hanno ridotto lo spazio fruibile agevolmente, da 120 cm dello scivolo a 90 cm, con l’aggravante che se le auto parcheggiano di fianco ridurrebbero drasticamente lo spazio di movimentazione dallo scivolo (le foto testimoniano finora quanto scritto). Insomma, da eliminare barriere architettoniche ne sono state costruite altre, dove inabili, disabili, anziani, deambulati, etc… potrebbero incorrere in movimenti ridotti e pericolosamente minatori per la loro salute. Eppure queste distanze sono stabilite dagli usi locali o da specifici regolamenti comunali e, in mancanza, valgono le norme previste dal Codice della Strada e quello Civile.
Cosa si chiede, per chi non ancora sia chiaro? Asole più piccole per alberi in via Mazzini, da cm 120 x 120, per alberi con radici che non procurano anni al suolo, come quelli sul vicino viale Matteotti, quelli su corso Roma, su viale Giannone, tutte arterie cittadine trafficatissime, con stalli a pagamento utilizzati dai residenti. Vie che hanno marciapiedi fatti bene con una superficie ottimale e funzionale al passeggio. Un traguardo atteso da tempo, tanto tempo, che non può essere adombrato da scelte univoche, senza un criterio funzionale e tecnico, che limitano il godimento degli spazi urbani e stradali, che contribuiscono a costruire nuove barriere architettoniche».