Sono già oltre trenta giorni, precisamente dalle 23,59 del 6 giugno, che Maurizio Bolognetti, giornalista, segretario dell’associazione Radicali Lucani, è in sciopero della fame (inclusi alcuni giorni di digiuno a sola acqua) per chiedere che venga rispettato il diritto umano alla conoscenza e rivendicare un dibattito pubblico sulla TV di stato, che dia ai cittadini tutti di questo Paese la possibilità di ascoltare le voci, anche quelle dissonanti e finora silenziate, di tutta la comunità scientifica in materia di pandemia, di strategie sanitarie di contrasto e sui loro effetti.
In questo periodo Bolognetti, sempre sotto osservazione medica, ha rilasciato dichiarazioni, interviste, ha più volte posto domande ai massimi vertici della RAI, in primis a Marcello FOA, presidente del consiglio di amministrazione RAI.
Nelle richieste di Bolognetti, c’è la lettera, condivisa ad oggi da circa 700 firmatari, a sostegno della sua azione non violenta.
Ecco il suo contenuto:
STOP all’attentato contro i diritti politici del cittadino
«Noi, cittadini di questa Repubblica, facendo nostre le ragioni di questa lotta,
siamo qui a tentare di rompere il silenzio che incombe da più tempo su questa azione nonviolenta, condotta, ormai da mesi, in varie forme da Maurizio Bolognetti, che, mettendo in gioco tutta la sua persona, chiede verità su dati negati e informazioni nascoste in relazione a un’emergenza sanitaria, che, come egli stesso sostiene, si è fatta emergenza democratica.
In un Paese quale il nostro, assistere al soccombere alla sopraffazione di atti quali libertà di parola e di veicolazione di informazione è veramente grave.
- grave, altresì, che la stessa azione nonviolenta, attuata da un operatore dell’informazione e militante dei diritti umani per reclamare il sacrosanto diritto dei cittadini a poter conoscere per deliberare, venga schiacciata sotto una montagna di silenzio, ovvero di rumore comunicativo, unico, univoco e reiterato. Sostenendo, quindi, con forza la fame di verità di Bolognetti, chiediamo il ripristino costituzionale dell'alterità
- scientifica, cognitiva e dialogica - e che le ragioni di questa lotta possano essere rese note attraverso le reti televisive pubbliche, finanziate con i soldi di tutti i contribuenti».
VIDEO - MAURIZIO BOLOGNETTI OSPITE DI PATRIZIA CORGNATI SU LINEA ITALIA PIEMONTE
La lettera indirizzata al presidente RAI Marcello FOA.
Bolognetti: intendo onorare la risposta del Presidente Foa con un vasetto di yogurt. Il digiuno prosegue ad oltranza.
«Gentile Presidente Foa,
senza ironia alcuna le dico che ho apprezzato molto la sua “attenzione”.
Credo che la capacità di ascoltare e di prestare attenzione siano fin troppo sottovalutate in questo tempo, che, a volte, non concede tempo all’approfondimento, al ragionare, al capire, al conoscere.
Sì, Presidente, ho davvero apprezzato la sua attenzione e intendo corrispondere a questa parola così preziosa che lei ha usato, assumendo un piccolo vasetto di yogurt alla sua salute. Per il resto, come comprenderà, restano intatte e irrisolte le questioni che abbiamo voluto sottoporre alla sua attenzione. Resto e sono convinto che sia in atto un attentato ai diritti politici dei cittadini di questo Paese.
Per sua opportuna conoscenza allego alla presente un aggiornamento dell’elenco di coloro che hanno sottoscritto la lettera-appello che lei ha avuto modo di leggere. Per il resto e in coscienza, onorata la sua risposta nel modo in cui intendo onorarla, prestando attenzione alla sua attenzione, l’azione nonviolenta - alimentata dalla fame e dal digiuno, fame di verità, democrazia, diritti umani - non può che proseguire ad oltranza. Gaetano Salvemini diceva, Presidente, “mentre la verità si allaccia ai calzari, la bugia fa dieci volte il giro del mondo”. Sono convinto che occorra garantire ai cittadini di questo Paese la possibilità di poter ascoltare tesi e opinioni totalmente rimosse in questi 17 mesi di emergenza sanitaria che, a mio modo di vedere, è sempre più anche e soprattutto emergenza democratica».
È un accorato appello dell’Ing. Gennaro Amodeo, fondatore del Movimento Popolare Progetto Moldaunia, una lettera aperta da conterraneo che invita l’ex Presidente Giuseppe Conte a riflettere sulle imminenti scelte alla guida apicale del M5S, guardandosi bene nel condividere strategie politiche con Beppe Grillo e Alessandro Di Battista.
«Caro Giuseppe, mi chiedo se pensi seriamente di assumere la guida del Movimento pentastellato, che viene da una storia distinta e distante dalla tua, che ha fatto la sua fortuna politica all'insegna dell' -uno vale uno-, prescindendo quindi da qualsiasi gerarchia interna ed affidandosi alla democrazia diretta, espressa telematicamente attraverso la piattaforma Rousseau.
Sarebbe un imperdonabile errore di arroganza politica assumere la guida di un Movimento già esistente, che ha una paternità storica acclarata, per violentarne la costituzione intrinseca, oltre che snaturarne lo spirito interclassista ed autonomista.
Oltretutto, mi sembra politicamente scorretto arrampicarsi sulle spalle degli altri per conseguire i propri obiettivi, politici o sociali che siano, perché, prima o poi, la base ti si rivolterebbe contro e ti espellerebbe, come corpo estraneo al Movimento.
E, quantunque tu riuscissi a farti accettare alla guida del Movimento, resteresti sempre un capo sotto tutela, come è stato finora.
Ergo, forse sarebbe più appropriato partire da zero ed intraprendere un nuovo percorso, creando un contenitore personale del tutto autonomo, sulla base di una propria visione politica ed istituzionale estrinsecata attraverso un corrispondente programma politico - amministrativo. Che ne pensi?»
La nota di seguito proposta, che è una Lettera Aperta ai Montanari e a chi li amministra, è del dott. Giovanni Ciliberti, persona nota, non solo a Monte Sant’Angelo, già amministratore del comune garganico, già primario nella sanità locale, ora quiescente e felicemente produttore agricolo. Ha sempre detto la sua, senza remore. Una virtù del politico vecchio stampo, di una scuola fatta da anni di militanza e seminari, che oggi manca, evidenziate dalla scarsità contemporanea di una classe dirigente politica e istituzionale priva di basi e pudore etico-morale ma molto ricca, come dice Giovanni nel caso specifico, di autoreferenzialità e di autoassoluzione. Ciliberti pone un interrogativo, punti di domanda solo di chi davvero ama la sua città, dandosi anche delle risposte, sperando che siano da esortazione a chi dovrebbe rispondere e, perciò, decidere sulle sorti di una Monte Sant’Angelo che, dulcis in fundo, (ndr.) nei festeggiamenti dei suoi dieci anni di sito UNESCO della Grotta dell’Arcangelo Michele, (ora #LaCittàdeiDueSitiUNESCO per le faggete della Foresta Umbra) preferisce festeggiarli con pochi e con artisti vicini a chi li ha invitati, piuttosto che con tutta la popolazione e dando spazio a personaggi locali che come altri promuovono la legalità. L’evento, come suggerito, poteva svolgersi sempre in sicurezza sanitaria utilizzando altri spazi all’aperto e molto più ampi, che a Monte non mancano (ndr.)
«È stato pubblicato un elenco di città pugliesi particolarmente adatte per accogliere i pensionati.
Per il Gargano l'unica indicazione riguarda Carpino.
Non credo che il clima invernale inclemente possa essere stato un elemento ostativo perché quasi tutte le città garganiche si affacciano sul mare.
Mi sono chiesto perché Monte sia rimasta fuori pur offrendo la tranquillità del bosco Quarto e della Foresta Umbra o il clima mite e il mare di Macchia o il paesaggio mozzafiato del Belvedere o la bellezza delle case a schiera dello Junno o del castello o dei tanti monumenti o dei musei senza trascurare la possibilità di acquistare case a prezzi assai favorevoli o il basso costo della vita o il culto micaelico o l'essere stata per XV secoli al centro della storia del Gargano.
Perché Monte no?
Mi sono dato delle risposte:
Perché gli amministratori di oggi e di ieri hanno solo pensato a restaurare, ad asfaltare e a rendere più piacevole la vita dei pensionati locali o il soggiorno estivo dei montanari che arrivano in vacanza ad agosto.
Perché la città non è stata dotata di servizi che potessero attirare i pensionati (locali dedicati, servizi navetta Monte mare e Monte boschi con relativi locali di accoglienza dove fermarsi anche per il pranzo etc.).
Certo la presenza del cimitero di capannoni abbandonati o di qualche azienda ancora in vita del contratto d'area non sono elementi attrattivi allo stesso modo dell'insensata volontà di realizzare un impianto per il deposito e trattamento di materiali di plastica e secondo alcuni anche di un termovalorizzatore. Stessa cosa dicasi per il continuare a parlare da oltre 40 anni di incapacità di bonificare i terreni ex-Enichem.
Perché le città del Gargano sono state presentate come luoghi dove la mafia sia infiltrata ovunque e noi sappiamo che a Monte non è così.
Perché la città non viene dipinta per come è nella realtà? Tranquilla, con rare intemperanze, e innanzitutto ospitale?
La colpa è solo dei mass media che hanno evidenziato tutte le caratteristiche della quarta mafia o è venuta meno in molti di noi la forza per affermare che Monte è una città sana e che non c'è bisogno di dire il contrario per incrementare i propri consensi?
Di questi tempi i paladini della legalità sono sempre ben accetti ma essi devono avere, specie se occupano posti istituzionali di rilievo, la capacità di mettere in essere risorse ed azioni per favorire il rispetto della legalità, delle persone e delle attività economiche non solo del nostro territorio.
Purtroppo quasi tutti gli amministratori, non solo montanari, sono affetti dal morbo dell'autoreferenzialità e dell'autoassoluzione».
In una “Lettera Aperta” alla città di Foggia, Pippo Cavaliere risponde a chi in questi giorni commenta le sue decisioni in merito allo scandalo politico-giudiziario, qui ribattezzato “Affari in Comune”, che hanno travolto il Consiglio comunale. Cavaliere non ci sta alla gogna mediatica accusatoria per sue scelte in merito al pubblico silenzio sulle tangenti, o presunte tali –sarà la Magistratura inquirente a stabilirle, non i media- intercorse tra alcuni Consiglieri della maggioranza, Sindaco e Presidente del Consiglio compresi. Ribatte a ogni sua azione messa alla berlina, motivandola e ribadendo la sua figura da anni impegnata al servizio della città e soprattutto come presidente della Fondazione antiusura Buon Samaritano, che tanto ha fatto e continuerà a fare a sostegno di chi è vittima di usurai e del racket. Tuttavia, questa testata, ha detto la sua in un editoriale il 26 maggio 2021 -Tra l’incudine e il martello-, ribadendo che non esiste solo la denuncia diretta, che avrebbe potuto esporre il denunciante a querele diffamatorie e incriminazioni di calunnia senza una prova concerta e sostanziale e con la controparte rea confessa, esiste anche la denuncia passiva e la delazione. E chissà non siano state fatte. Il tempo sarà galantuomo, per il bene della comunità e delle persone che da anni hanno promosso azioni di legalità, con denunce contro le mafie e malaffari istituzionali. Non si accusa nessuno, ma è certo che qualcosa è cambiato e che potrà essere risanato solo dopo a inchiesta chiusa. (ndr.)
«Quando si riveste un ruolo pubblico, si ha il dovere morale di spiegare le proprie ragioni e rendere conto di ciò che si è fatto ed anche di ciò che non si è fatto.
Come uomo, avrei preferito evitare di rispondere ai recenti attacchi – francamente privi di consistenza - rivolti alla mia persona. Ma come politico, non posso sottrarmi.
Come ormai noto, l’ex presidente del consiglio comunale mi parlò apertamente di una tangente da lui percepita e della quale avrebbero beneficiato non meglio precisati consiglieri comunali. La “confidenza”, pur nella sua genericità, mi lasciò sbigottito per l’impudenza, non per un modus operandi che sospettavo.
Pensai subito di denunciare, naturalmente nelle sedi competenti, quanto appreso quel giorno, ma fui dissuaso da esperti legali in quanto, anche a voler dare per scontata la veridicità dei fatti, difficilmente lo Iaccarino avrebbe confermato dinanzi a terzi ciò che ebbe a raccontarmi, non fosse altro che perché si trattava di ammettere di aver commesso gravi reati.
Ciò avrebbe potuto espormi, nella migliore delle ipotesi, ad una denuncia per calunnia, reato che prevede pene pesantissime.
Ascoltato recentemente nelle sedi competenti, non ho avuto alcuna remora a raccontare quanto ebbi ad apprendere.
Dopo quella “confidenza” compresi, però, che la situazione era giunta al punto di non ritorno, e che si dovevano moltiplicare gli sforzi per pervenire allo scioglimento del consiglio comunale. Esito che si poteva ottenere solo convincendo alcuni consiglieri di maggioranza a unirsi alle dimissioni.
E non è stato certo un caso che le dimissioni del sindaco siano pervenute poche ore prima del terzo tentativo di recarsi dal notaio per la raccolta delle firme, a dimostrazione dell'efficacia dell'azione portata avanti dall’intera opposizione.
Non avrei avuto alcuna ragione né remora a denunciare un reato. D’altronde, la mia storia di impegno per la collettività e di denunce del malaffare, di ogni genere e sorta, non nasce oggi ma viene da lontano, dentro e fuori il consiglio comunale.
Come nel giugno del 2019, nella lettera aperta ai cittadini di commento alle elezioni, quando denunciai la compravendita dei voti e soprattutto la presenza di “presìdi” organizzati da oltrepassare per raggiungere alcuni seggi elettorali, presìdi animati da personaggi ambigui ed inquietanti. Di quelle circostanze in tanti ne erano e ne sono a conoscenza, ma nessuno, ivi compresi i “poveri untorelli” di oggi, ha ritenuto di farne parola. Io l’ho detto e l’ho scritto.
Non mi sono mai tirato indietro, neanche quando subii una violenta quanto vile aggressione, per una denuncia di usura, che mi costrinse lunghi giorni in ospedale.
E nemmeno quando mi venivano recapitate minacce di morte sull'uscio di casa.
Chi oggi inquina i pozzi, deformando i fatti e piegandoli a logiche personali, non fa bene alla comunità in un momento così delicato!
E dov’era quando, da consigliere comunale ho denunciato la presenza dei più noti esponenti della criminalità negli alloggi popolari, presenza confermata nell’operazione giudiziaria "decima azione bis"? O quando chiesi pubblicamente come si può combattere la quarta mafia se poi i criminali li ospitiamo a casa nostra?
Mi chiedo ancora dov’era quando scrivevo degli intrecci perversi ed inquietanti tra alcuni consiglieri comunali ed esponenti della criminalità, avvenuti all’ombra della meritoria e lodevole azione portata avanti dalla “squadra stato”?
Chi avvelena oggi i pozzi sa (o dovrebbe sapere) che, a conclusione di queste gravi denunce sono stato convocato persino dalla Commissione Nazionale Antimafia per un’audizione, secretata, che si è tenuta il giorno 10 marzo 2021.
E sa (o dovrebbe sapere) che, per ben ventidue volte mi sono costituito parte civile nei processi per usura, personalmente presenziando nelle aule di giustizia, incurante degli sguardi torvi e minacciosi degli imputati, per testimoniare la vicinanza della Città a chi era stato vittima di soprusi ed ingiustizie. Nell’ultima occasione abbiamo rincorso gli usurai fino in Cassazione, spuntandola anche lì.
Viene da chiedersi piuttosto quale sia la finalità degli attacchi rivolti alla mia persona e da dove provengano. Infangare altri, accreditare l’idea – contraria ai fatti, all’evidenza e alla logica - che siano “tutti uguali” è il modo per attenuare le gravissime responsabilità di chi ha ridotto l'assise comunale ad un “mercato”. È bene che costoro sappiano che non funzionerà. Atti, condotte, ruoli e distinzioni sono chiarissimi: non erano, non eravamo, non siamo affatto “tutti uguali”.
Questa, nella sua banale semplicità, è la verità dei fatti, con la quale ogni giudizio retrospettivo è destinato a confrontarsi. Ma non posso accettare, come politico e come uomo, la deformante operazione di equiparazione di fatti e persone la cui storia è stata ben diversa.
Non accetto che oggi si faccia passare, recitato come un mantra, l’idea del “così fan tutti”, perché sostenere questo significa offendere l’intelligenza e la logica minimale.
Ed i cittadini, in questo momento di smarrimento e di bancarotta morale, hanno bisogno di verità.
Questo vale non solo per chi ritiene di trovare attenuanti nella logica del “tutti uguali”, ma anche per chi pensa di poter lucrare posizioni e vantaggi da questa drammatica vicenda. Il serpente cambia pelle, ma resta sempre serpente».
Il Prof. Giuliano Volpe, huffingtonpost.it, cui è la fonte, una Lettera Aperta per chiedere regole e codici etici per il lavoro nel patrimonio culturale.
ha voluto condividere con noi un suo articolo pubblicato sul suo blog dell'Il lavoro nel patrimonio culturale è ancora eccessivamente dominato dal precariato e dalla mancanza di regole, di diritti e doveri, di deontologia, di codici etici.
Alcune figure, poi, sono ancora prive di una forma di riconoscimento: in primis le professioni museali. Basti pensare che la legge 110 del 2014, pur rappresentando un importante progresso, perché ha finalmente apportato una modifica al Codice dei beni culturali e del paesaggio introducendo alcune figure professionali non regolate dagli Ordini, come quelle dell’archeologo, archivista, bibliotecario, demoetnoantropologo, antropologo fisico, esperto di diagnostica e storico dell’arte e ha previsto anche l’istituzione di specifici elenchi presso il Ministero della Cultura, effettivamente poi attivati con un decreto (DM 244/2019), ha escluso i professionisti dei musei, come anche altre figure professionali del patrimonio culturale.
Per tale motivo, negli anni in cui sono stato presidente del Consiglio superiore ‘Beni culturali e paesaggistici’ volli attivare un gruppo di lavoro, in collaborazione con il Consiglio Universitario Nazionale, che produsse un corposo documento sulla formazione, sulle forme di collaborazione tra i Ministeri dell’Università e della Cultura e sulle figure professionali, comprese le professioni museali, grazie anche all’impegno di un grande economista della cultura recentemente scomparso, Massimo Montella.
Pertanto ho colto volentieri l’invito di alcuni autorevoli colleghi a sottoscrivere un documento, stimolato da un caso recente relativo alla direzione del Museo di Santarcangelo di Romagna. Un caso tra i tanti, purtroppo. Ecco di seguito la nostra lettera aperta.
«La crisi dei comparti culturali in tempo di pandemia ha portato allo scoperto problemi che erano noti e sopportati, ma che il fermo delle attività ha reso insostenibili: è il caso del precariato strutturale, permanente, di moltissimi tecnici e operatori diversi del settore dello spettacolo.
Nel caso dei musei l’attenzione è stata concentrata, più che sugli operatori, sulla separazione fra collezioni e pubblico. Ma nel diradarsi delle attività in presenza, dei cosiddetti “eventi”, emerge la debolezza strutturale di troppi musei di enti locali, che, nella folle politica dei tagli lineari, sono stati progressivamente lasciati vuoti di personale. Non di rado la direzione - ICOM Italia lo denuncia da tempo - viene posta in capo a dirigenti amministrativi, lasciando poi di fatto al vertice della struttura (o persino di una rete) professionisti inquadrati a vita come conservatori, con mansionari da tuttofare, ai quali non si dà prospettiva di acquisire qualifica e ruolo di direttore.
Qualche volta, invece, si fanno selezioni per individuare un vero direttore. Ed è il caso, da ultimo, di Santarcangelo di Romagna (Rimini), ove la procedura selettiva tuttora in corso (anche se è scaduto il termine per la raccolta delle “manifestazioni d’interesse”, più che un vero concorso pubblico) riguarda il «Direttore Scientifico dei Musei gestiti, per conto del Comune di Santarcangelo, dalla Fondazione Fo.cu.s.». Insomma, un vero direttore, che verrà scelto dalla Fondazione Culture Santarcangelo, fra candidati cui si chiede un curriculum robusto e la presentazione di una proposta strategica; gli impegni che si profilano sono così numerosi e sfidanti, che solo un impegno quotidiano, costante, potrebbe farvi fronte, se a svolgerlo fosse un professionista davvero esperto dotato di una struttura di supporto adeguata.
E invece: il compenso è di 20.000 (ventimila) euro l’anno, ossia meno dell’importo di un semplice assegno di ricerca per un giovane ancora in formazione in Università.
È un caso fra i tanti, ma emblematico. Fra l’altro il direttore dovrà occuparsi del Museo che fu “di Mario Turci”, antropologo che ha fatto scuola nella museologia italiana, ma andato da qualche anno in pensione.
Non è il caso qui di scendere nel dettaglio del bando, che è pubblico; merita invece fare istanza al Comune perché, prima che si ufficializzi la conclusione del procedimento, si ponga in autotutela, chiedendo alla Fondazione di annullare la procedura selettiva. Non vi è infatti alcun rapporto ragionevole tra le funzioni richieste dal bando (impegnative, strategiche, ma con scadenza a brevissimo termine: tre anni), entità della retribuzione (sessantamila euro per tre anni di lavoro precario), incertezza di inquadramento nell’esercizio di funzioni pubbliche, vaghezza di autonomia, di responsabilità.
Dal 2001 l’Italia dispone di un ben noto Atto di indirizzo sui criteri tecnico-scientifici e sugli standard di funzionamento e sviluppo dei musei, articolato in otto ambiti, il quarto dei quali è dedicato al personale. Del Direttore vi si dice che ha «Responsabilità dell’attuazione delle politiche museali e della gestione complessiva del Museo, della conservazione, valorizzazione e godimento pubblico dei beni culturali in esso contenuti» anche nel caso in cui operi in condivisione di tempo su più strutture museali; gli si richiede «Diploma di laurea - specializzazione in discipline attinenti la tipologia del Museo - corsi di formazione specifici». Il bando di Santarcangelo esige anche precedente esperienza direzionale. C’è da chiedersi dunque quale sia l’inquadramento professionale che risponda a questi alti requisiti e compiti, necessari per una rete di musei, e che inoltre possa ritenersi adeguatamente remunerato per la somma che la Fondazione rende disponibile. L’incongruenza è evidente, anche in riferimento alla Carta delle professioni museali, che così si esprime:
«Al centro della Mappa delle professionalità museali è collocato il direttore, la figura centrale e inderogabile del museo. Il direttore è il garante dell’attività del museo nei confronti dell’amministrazione responsabile, della comunità scientifica e dei cittadini. A lui afferisce la piena responsabilità dell’attuazione della missione e delle politiche del museo, della sua gestione, della conservazione, valorizzazione, promozione e godimento pubblico delle collezioni, nonché della ricerca scientifica svolta dal museo. È il responsabile diretto e indiretto delle risorse umane e finanziarie, dell’attuazione delle funzioni del museo e dell’insieme delle sue relazioni interne ed esterne».
Altra sarebbe stata la nostra valutazione, se un importo del genere fosse stato destinato a cofinanziare lo studio preliminare di un piano strategico, sulla cui base ridefinire la mission della rete museale, lo sviluppo, l’organizzazione, il funzionigramma, le alleanze, le funzioni civiche, i lavori urgenti; insomma: il piano strategico di gestione, conservazione e valorizzazione di medio periodo. Al contrario, dietro la maschera dell’aggettivo “scientifico”, resta malcelata una figura svilita e sottovalutata, di incerto inquadramento; insomma, una specie di tappabuchi usa-e-getta.
È solo l’ultimo episodio di troppi; ma speriamo che, con l’auspicato azzeramento, sia pure in extremis, della procedura, diventi invece il primo caso di una completa reimpostazione del comportamento degli enti e uffici pubblici, ovvero dei loro affidatari, che hanno responsabilità gestionali di musei in coerenza anche con le più recenti disposizioni in tema di Sistema museale nazionale.
Occorre che le Regioni si assumano efficacemente la responsabilità che è loro propria, fin dal 1972, in materia di regolamentazione dei musei di enti locali, valutando la possibilità, in caso di incongruenze così evidenti, di revocare l’accreditamento o riconoscimento eventualmente concesso, a salvaguardia del pubblico interesse alla buona gestione dell’eredità culturale.»
Massimo Bottini, Piero Petraroia, Valeria Villa, Giuliano Volpe
Lettera Aperta a cura di Matteo Notarangelo.
«Porre domande a chi governa è un diritto naturale, oltre che politico e giuridico.
In questa città siamo a un livello di evoluzione pre-politico: manca l'idea di ciò che è la politica.
Quanto accade, non è questione di orientamento politico-ideologico (magari lo fosse!), bensì di diatribe da bar.
In una comunità semplice, ci sono individui che riconoscono il bene di vivere insieme e diventano comunità per raggiungere questo fine: il bene di tutti.
La giusta e salutare divisione si vive al momento della scelta, a causa delle diverse visioni della vita e dei mondi possibili.
Non la faccio lunga.
Con questi presupposti, l'individuo si rimette a un principio politico inclusivo: "democrazia occidentale", ossia un sistema in cui prevalgono i deliberati di una maggioranza.
Quanto accade nella comunità è utile e necessario per formare l'idea e far conoscere le diverse visioni del mondo.
A questo punto, i tanti Catoni dovrebbero riconoscere la loro "inciviltà" politica, causa dell'"assassinio" della democrazia civica.
Costoro non hanno alcun diritto umano di azzittire chicchessia, al di là dei trascorsi politici, e misurare l'idea e il valore della persona in base al consenso elettorale, tra l’altro, spesso estorto con promesse e fonte di illegalità.
Gli illusi e accecati dai ruoli del "potere" dovrebbero riconoscere il valore civico di chi, in modo democratico e civile, ha posto delle domande pubbliche e legittime di interesse collettivo.
Le stesse persone-istituzioni hanno l'obbligo, politico e di governo, di dare le dovute risposte e ringraziare l'attento membro della comunità per aver aperto un democratico e civile confronto.
Come vedete, siamo lontano dal giusnaturalismo giuridico e molto intriso in pratiche di governo rozze.
Questo è il momento di rendere plurale il governo della città e di iniziare a dire che non si può lasciare il futuro di una comunità a una setta di tre individui chiusa in un disadorno palazzo».
Lettera Aperta nei ricordi di personaggi, storia e valori, a cura di Enrico de Monte.
Monte è l'ARCANGELO MICHELE.
Monte è la sua storia millenaria.
Monte è la sua fede religiosa.
Monte è il Vescovo Ursus.
Monte è il Beato Illuminato.
Monte è il Beato Salcione.
Monte è frate Palmerio, discepolo di San Francesco d'Assisi.
Monte è il Vescovo Gregorio de Galganis, precettore di Federico II.
Monte è il Vescovo Bartolomeo Gambadoro.
Monte è il Vescovo Leone Garganico
Monte è la sua storia politica.
Monte è il Conte Enrico.
Monte è il condottiero della prima crociata Gaidelasio Tocco.
Monte è Domenico Giordani.
Monte è Gian Tommaso Giordani.
Monte è il deputato e arcidiacono Nicola Mantuano.
Monte è il deputato Raffaele Basso.
Monte è il deputato Matteo Amicarelli.
Monte è i suoi beni culturali.
Monte è il rione Junno.
Monte è la sua cultura e la sua arte.
Monte è Acceptus, iniziatore della scultura romanico pugliese.
Monte è gli architetti Giordano e Maraldo.
Monte è Tancredi e De Cristofaro.
Monte è Ciro Angelillis.
Monte è Francesco Paolo Fischetti.
Monte è Filippo Ungaro.
Monte è Vincenzo Amicarelli.
Monte è i fratelli Perna.
Monte è il chirurgo Filippo Ciociola.
Monte è il fotografo Michele Cassa.
Monte è il pittore Herbert Voss.
Monte è il pittore Matteo Accarrino.
Monte è il pittore Jean Hannot.
Monte è il maestro Peppino Prencipe
Monte è il maestro Chiaffarelli.
La mafia non si combatte con le parole e "i tavoli", ma con la pratica quotidiana della legalità e con la promozione di questo nostro straordinario patrimonio storico.
Riceviamo e pubblichiamo con relative risposte e riflessioni, pubblicate sulla pagina facebook di Donato Troiano
Donato Troiano
Matteo Notarangelo
«Illustre Ministra,
L’esistenza stessa di un Ministero per il Sud o Mezzogiorno che sia, denota chiaramente una mortificante condizione di sussidiarietà di un’intera importante area della Nazione.
Un Ministero ad acta è cosa che da decenni si ripropone senza che vi siano risultati concreti, anzi le politiche sinora adottate risultano fallimentari, nella loro evidenza di fatti e numeri, laddove inconfutabilmente, tutti i gap fra le aree del Paese si vanno solo allargando e non il contrario.
Oggi si presenta l’opportunità del “Recovery fund”, vale a dire 209 miliardi di euro a disposizione dell'Italia dall'Unione Europea.
L’Europa, che pare conscia della condizione generale di sottosviluppo delle regioni meridionali, non ha mancato di indicare l’idonea distribuzione di detti fondi che per il 70% e cioè per ben 145 miliardi di euro dovrebbero essere assegnati alle regioni del sud.
Ci giunge notizia che “le grandi manovre in atto” intendano destinare al Meridione solo il 34%, applicando l'illegittimo criterio basato sulla percentuale della popolazione residente nel Mezzogiorno rispetto al resto d’Italia! Eppure l’Europa non ha mancato di mettere in evidenza che nel sud la disoccupazione è 3 volte superiore a quella del resto del paese e il PIL pro capite ne è la metà.
La logica adottata da ogni governo da 160 a questa parte e che ogni privilegio economico sia riservato alle aree ove si produce maggiormente, dove hanno sedi le grandi aziende industriali commerciali, cioè quelle del nord, considerate “locomotiva produttiva d’Italia”: come se tutte le regioni del sud fossero vagoni sgangherati di terza classe che tali devono restare per sempre.
È tempo d’invertire la rotta decisamente. Ben 400 sindaci, che amministrano altrettante città dell'Antico Regno delle Due Sicilie oggi meridione d’Italia, chiedono a gran voce di essere considerati ed ascoltati: intendono sottolineare la gran voglia di riscatto, la laboriosità e le eccellenze dei loro territori, la volontà di essere protagonisti in una radicale svolta per l’Italia che parta da sud e che riporti la nazione ai vertici mondiali in tutti i settori, industriale, turistico, manifatturiero e agricolo.
Non ci sembra esagerato affermare che una distribuzione dei fondi del Recovery diversa da quella indicata dall’Europa non potrà che definirsi una truffa ai nostri danni, ai danni di quel Sud che Lei oggi rappresenta ai vertici delle istituzioni italiane.
Sappiamo e sa bene gli enormi problemi irrisolti di tutto il meridione: dal rilancio delle nostre Università alla ricerca, dal potenziamento di porti e aeroporti a quella stradale, dall’Alta velocità dei treni alla realizzazione stessa di tratte ferroviarie oggi inesistenti, dalla difesa delle nostre produzioni agricole al rilancio di quelle artigianali e commerciali, dalla salvaguardia della piccola impresa all’incentivazione alla nascita di altre piccole aziende.
In tutto questo il Recovery può contribuire in modo decisivo ma può non bastare se non ci si prefigge in modo massiccio di defiscalizzare al massimo l’imprenditoria del sud per renderlo effettivamente concorrenziale con altre aree all’interno dell’Europa stessa in condizioni economiche e di sviluppo pari a quelle del sud ma con costo del lavoro molto ben più basso delle nostre regioni.
Confidiamo e ci appelliamo a Lei Onorevole Ministra Carfagna, sicuri che onorerà l’alto incarico affidatole in sintonia con le affermazioni del Presidente Draghi: “la priorità è quella di colmare il divario tra le regioni meridionale e il resto d’Italia" ma, aggiungiamo noi, anche nei confronti del resto d'Europa.
Rimaniamo a disposizione con i funzionari del Suo ministero per ogni possibile e fattiva collaborazione anche presentando nostre proposte.
Le inviamo nel frattempo i nostri più cordiali saluti e auguri per un proficuo lavoro che certamente porterà benessere alle regioni che noi rappresentiamo e all'intera Nazione tutta».
Partito Meridionalista
Michele Ladisa - Segretario Generale
Andrea Salvo - Presidente
I dirigenti: Giuseppe Picciariello, Antonella Cirese, Roberto Massaro, Mariagabriella Sabato, Rocco Michele Renna, Francesco Benedetto, Totò Messina, Nicola Cornacchia, Roberto Golisciano, Teresa Gaudioso, Andrea Moro Michele Filipponio, Antonio Asta, Gianfranco Roffi, Paolo Greco
È giunta in redazione una “Lettera Aperta” della dott.ssa Tiziana Conte, pedagogista-formatore, consulente per la famiglia e per la persona, vice presidente ANPE Puglia e Basilicata e docente scuola dell’infanzia, nonché editorialista per alcune testate giornalistiche e autrice di un volume dal titolo “ Peter Pan ha deciso vuole crescere: ricostruire la relazione educativa scuola famiglia nella prospettiva dell’educazione alla responsabilità”. La lettera è un accorato appello al Ministro della Pubblica Istruzione, prof. Patrizio Bianchi. (ndr.)
“Tu.. Tu..., annunciamo che il deposito bagagli è aperto dalle ore 08.00 (per tutti) alle ore 16.30 (solo per chi usufruisce di mensa)”
a cura della prof.ssa Tiziana Conte
«Ministro!
La scuola non può in nessun modo essere ridotta al luogo” dell’abbandono momentaneo” dei ragazzi perché non si sa dove lasciarli, essa è comunità di intenti e ricchezza e orgoglio di una Nazione che ne riconosce il valore e l’importanza per il suo progresso e il suo sviluppo. Ridurre la scuola ad un deposito bagagli non fa onore a nessuno, la scuola e l’istruzione non sono diritti acquisiti, in molti paesi del mondo c’è chi ancora combatte guerre per andare a scuola e di morti per lo stesso diritto il nostro Paese ne conta tanti, la scuola non è un diritto della famiglia ma è un diritto della Persona sancito dalla nostra Costituzione (art. 30 33 34) e in particolare sottolineo l’ articolo 30 che cita “ è dovere e diritto dei genitori mantenere, istruire ed educare i figli….”.
Premetto che non sono una sostenitrice della scuola virtuale ma so bene che cosa non è la scuola e che cosa invece lo è. Non sto qui a dilungarmi ripercorrendo pagine di storia della scuola, ma voglio solo ricordare che essa è da sempre il luogo in cui si costruisce il futuro di una Nazione, è il luogo in cui nascono le idee, in cui si attua il riscatto sociale, luogo di opportunità e di cura di talenti, luogo in cui si sperimenta la democrazia, in cui si tramanda la cultura di un Paese.
Il lavoro svolto quotidianamente, da chi ha studiato, pensando un giorno di poter essere al di là della cattedra e contribuire alla promozione e al progresso del proprio Paese, è un lavoro che ha pari dignità i importanza rispetto ad altre nobili professioni. E’ il lavoro di chi sente forte il senso di responsabilità per chi ha difronte, di chi condivide con i giovani le stesse passioni e gli stessi ideali, anche se avanti con gli anni, di chi è convinto nonostante i fallimenti e gli errori legislativi rivolti alla scuola nel corso degli anni, che nella scuola ci sia l’unica possibilità di crescita di una generazione, di una comunità di un Paese.
Lo sappiamo tutti che la Dad non è scuola, lo sanno i ragazzi costretti davanti ad uno schermo per ore, i bambini lontani dalle relazioni tra pari e dalle emozioni che solo il banco di scuola e l’aula affollata possono dare, lo sanno i maturandi della scorsa maturità a cui è mancato più di ogni cosa il suono dell’ultima campanella che sanciva la fine di un’ epoca e l’ingresso nel tempo della scelta. Ma la scuola non è un “ deposito bagagli” chiunque si ostina a considerarla tale manca di rispetto ai propri figli, al proprio Paese a se stesso.
Egregio Ministro con molto rammarico e soprattutto con molta rabbia che da qualche giorno leggiamo su molte testate giornalistiche articoli in cui diverse categorie professionali lamentano la chiusura delle scuola e la prosecuzione della DAD, DID, e FEAD in quanto non si sa dove lasciare i figli nel tempo lavorativo.
Credo infine che Lei non possa non prendere posizione su questo atteggiamento svilente e umiliante rivolto nei confronti della scuola italiana di ogni ordine e grado».