[ndr.] Una storia, anche una querelle, che si protrae da ben 14 anni, da quel 2009 data che avrebbe posto termine alla fine dei lavori di adeguamento e messa a norma del Teatro comunale di Foggia Umberto Giordano. Invece, tutto ritorna, a ricordare e sentenziare decisioni che nel corso di questi anni hanno alimentato anche dicerie, oltre che ribaltoni giuridici e politici. Alla fine, questa dell’ultima sentenza del Tribunale di Foggia, c’è una condanna che graverà sulle spalle dei cittadini, non su chi ha colpe omesse. Pippo Cavaliere, all'epoca assessore, dice la sua e mostra le carte. [ndr.]
Pippo Cavaliere: «Credevo e speravo di non dovermi più interessare del Teatro Giordano, invece la recente sentenza emessa dal Tribunale di Foggia, che condanna il Comune al pagamento di oltre due milioni di euro, mi induce ad un’amara riflessione.
La sentenza si fonda su un presupposto, a mio parere, errato, ossia su quanto attestato nel certificato di ultimazione dei lavori, regolarmente depositato agli atti, a firma del solo appaltatore, anche se sembra che successivamente sia comparso un certificato a firma anche del direttore dei lavori, come previsto per legge. Con detto certificato si attesta che i lavori sono stati completati a giugno 2009, entro cioè il termine contrattuale. A quella data all'appaltatore, avendo “ultimato” i lavori, viene pertanto liquidato l'intero importo contrattuale sulla scorta di un registro di contabilità, anche questo agli atti, di cui sarebbe utile conoscere le firme di sottoscrizione.
A sconfessare quanto sopra in maniera inconfutabile, esiste però numerosa documentazione che dimostra che non risponde al vero quanto attestato nel certificato di ultimazione; i lavori sembrerebbero infatti completati ben oltre il 2009 e comunque non prima del 2012. Si riportano di seguito, affinché i lettori ne abbiano contezza, parte di questi elementi, anche questi agli atti o attinti dalla relazione del CTU:
- il verbale in data 24.04.2012 da cui si evince che l'impresa esecutrice, a distanza di ben 3 anni dalla presunta ultimazione dei lavori, non ha ancora consegnato le dichiarazioni di conformità e le certificazioni relative alle opere eseguite, che avrebbero consentito il benestare dei Vigili del Fuoco all’utilizzo della struttura; detto verbale risulta sottoscritto dallo stesso appaltatore;
- il verbale della commissione di vigilanza in data 01.03.2011, in cui si attesta che i lavori non sono stati ancora ultimati, che gli stessi sono stati eseguiti in difformità del progetto approvato e che alcuni degli impianti eseguiti non sono funzionanti. Detto verbale è sottoscritto da numerosi soggetti, tra cui un ingegnere del comando dei VVF ed il comandante della polizia municipale;
- il contratto di subappalto in data 04.01.2011, con cui l'impresa esecutrice affida ad altra ditta i lavori di completamento degli impianti;
- la proposta di delibera G.M. n° 43 del 19.02.2015 e l'allegata relazione a firma del dirigente del settore LL.PP., con cui si contestano all'impresa esecutrice una serie di inadempienze, tra cui la ritardata ultimazione dei lavori;
- la nota dell'AVCP (ora ANAC) in data 12.03.2013, con cui si contesta al Comune di Foggia la mancata risoluzione del contratto d'appalto a causa delle numerose inadempienze dell'appaltatore, tra cui la ritardata ultimazione dei lavori;
- l'ordine di servizio n° 7 del 12.03.2010 con cui il direttore dei lavori contesta la mancata ultimazione dei lavori; in detto ordine di servizio le opere non completate vengono dettagliatamente indicate e risultano ben superiori a quelle indicate nel certificato di ultimazione di giugno 2009; con l’occasione la direzione lavori minaccia il ricorso alla rescissione contrattuale;
- il verbale della visita di collaudo in corso d’opera del 25.06.2010, in cui il direttore dei lavori conferma la mancata ultimazione dei lavori e dichiara che “i tempi contrattuali sono ampiamente scaduti.....con consequenziale grave danno per l’Amministrazione Comunale”;
- il verbale della visita di collaudo in corso d’opera del 28.07.2010, in cui l’impresa esecutrice s’impegna a completare ben 22 categorie di opere non eseguite, che vengono dettagliatamente elencate;
- la nota del 6.10.2010 con cui il direttore dei lavori minaccia nuovamente il ricorso alla rescissione contrattuale;
- la nota del 23.11.2010 con cui il direttore dei lavori fa rilevare che l’impresa non ha ancora completato i lavori impiantistici e non ha prodotto le certificazioni di legge;
- la nota del 20.12.2010 in cui il direttore dei lavori scrive: “Premesso che....... non è pervenuta alcuna certificazione relativa agli impianti eseguiti ed ai materiali impiegati .... Considerato che allo stato attuale nessuna attività lavorativa viena svolta da codesta impresa......... Rilevato altresì̀ che tale condotta omissiva sta arrecando notevoli danni all’Amministrazione Comunale, si comunica l’avvio della procedura rivolta alla risoluzione del contratto d’appalto…per grave inadempienza e ritardi ..........”
- il verbale della riunione del 23.03.2011 in cui l’impresa esecutrice conferma la volontà̀ di completare i lavori;
- la nota del 13.07.2011 con cui il direttore dei lavori contesta all’impresa esecutrice il perdurare di alcune inadempienze;
- nella nota allegata al verbale della riunione tenutasi il giorno 17.04.2012, il direttore dei lavori dichiara che i lavori “...non ancora sono stati completati nel rispetto del progetto approvato; inoltre l’impresa non ha ancora prodotto tutte le certificazioni, più volte richieste relative agli impianti....”.
Quindi da una parte c’è un certificato di ultimazione, originariamente sottoscritto dal solo appaltatore, che attesta che i lavori sono stati completati a giugno 2009, a cui fa seguito la liquidazione all’appaltatore stesso dell’intero importo contrattuale. Ad attestare invece che i lavori sono stati ultimati ben oltre giugno 2009, e quindi con notevole ritardo rispetto agli obblighi contrattuali, c’è il direttore dei lavori e responsabile del procedimento, il collaudatore in corso d’opera, il comandante dei vigili urbani, l’ingegnere dei Vigili del Fuoco, l’AVCP (ora ANAC) e persino lo stesso appaltatore! È del tutto evidente che se si dovesse partire dal presupposto che quanto attestato da questi ultimi rappresenta la verità dei fatti, la narrazione della vicenda giudiziaria porterebbe a conclusioni ben diverse da quelle a cui perviene la recente sentenza, anche perché verrebbero meno le ragioni su cui si fondono le riserve, oltre all’applicazione delle penali previste per legge conseguenti alla ritardata ultimazione.
Ebbene, tutto ciò premesso, pur in presenza di elementi inconfutabili e tutti correttamente evidenziati dal Comune di Foggia, appare quanto mai singolare che nei numerosi atti finora prodotti nel corso della vicenda giudiziaria, non venga contestato il suddetto verbale di ultimazione, ma si continua a ritenere, ahimè, che i lavori sono stati completati a giugno 2009 e a dichiarare che gli stessi sono stati eseguiti regolarmente. Potrà così liquidarsi all'appaltatore l'ulteriore somma di oltre due milioni di euro, dopo che il teatro è rimasto inagibile per ben nove anni e riaperto nel 2014 e cioè a distanza di oltre 5 anni dalla “dichiarata” ultimazione dei lavori. E a rimetterci saranno ancora una volta le tasche dei cittadini.
Rimane la profonda amarezza che circostanze e situazioni di questo genere alimentano non pochi dubbi nei cittadini ed accrescono la sete di giustizia e di verità».
Venerdì 7 maggio alle ore 17.00 in diretta streaming dalla pagina della Fondazione.
Per la rassegna "Incontri d'Autore" (in streaming) la Fondazione Tatarella presenterà il libro di Alessandro Sallusti e Luca Palamara “Il sistema. Potere, politica, affari: storia segreta della magistratura italiana”, edito da Rizzoli.
La presentazione, nel rispetto delle norme anti Covid, avverrà in collegamento streaming, sulla pagina Facebook della Fondazione Tatarella, venerdì 7 maggio, alle ore 17.00.
Dopo i saluti di Fabrizio Tatarella, vice presidente della Fondazione, interverranno con uno degli autori, Alessandro Sallusti, direttore de “Il Giornale”, l’on. Francesco Paolo Sisto, Sottosegretario di Stato alla Giustizia, Alfredo Mantovano, magistrato e vicepresidente del Centro Studi Livatino, Francesco Giubilei, presidente della Fondazione Tatarella.
In questo libro, che è stato il caso dell’anno e che ha fatto emergere un quadro decisamente allarmante dell’amministrazione della giustizia nel Paese, Palamara racconta cosa sia il “Sistema” che ha pesantemente influenzato la politica italiana.
Almeno agli alti livelli, poiché, come ha affermato Sallusti, “la maggior parte della magistratura non c’entra nulla. Anzi, in fondo è penalizzata dal fatto che per far carriera sia necessario aderire ad una delle correnti politiche che governano il mondo delle toghe, passaporto ben più decisivo rispetto al curriculum professionale per accedere ai piani alti”.
Un libro-intervista che vede al centro Luca Palamara, magistrato ed ex presidente dell’Associazione Nazionale Magistrati. Palamara, ex membro del Consiglio superiore della magistratura, che nell’ottobre 2020 viene radiato dalla magistratura dopo essere stato accusato di avere tenuto rapporti indebiti con imprenditori e politici e di aver lavorato illecitamente per orientare incarichi e nomine, diventando l’emblema del malcostume giudiziario.
“Inaccettabili ed infamanti” son stati i termini utilizzati dall’Associazione Nazionale Magistrati per accusare l’ex sindaco di Cerignola, Franco Metta, di offesa verso due magistrati della Procura di Foggia. La vicenda si connota nelle continue comunicazioni che Metta, attraverso un canale tv, fa contro la magistratura, riprendendo la vicenda che lo ha visto lasciare Palazzo di Città per le note vicende dello scioglimento dell’Amministrazione comunale di Cerignola per infiltrazioni mafiose. Metta non ci sta e tambur battente dice la sua. Questa volta, però, la Magistratura interviene e chiede iniziative disciplinari.
Di seguito il comunicato stampa dell’ANM, diffuso dalla Procura della Repubblica.
«La Giunta distrettuale dell’ANM di Bari
rilevato che, nella trasmissione “Il cielo è sempre più blu” gestita su una piattaforma di comunicazione pubblica, l’avv. Francesco Metta, in data 20 settembre scorso, servendosi anche di espressioni di contorno di inaudita confidenza ed intollerabile dileggio, ha mosso inaccettabili ed infamanti accuse nei riguardi dei pubblici ministeri del Tribunale di Foggia, dott. Enrico Infante e dott. Marco Gambardella, sostenendo che sia in corso un loro uso distorto delle indagini per ottenere visibilità mediatica e condizionare l’azione politica;
evidenziato che il luogo del confronto tra accusa e difesa è certamente solo quello, civile, regolamentato e rispettoso dei ruoli di ciascuno, del procedimento penale e non già una improvvisata ribalta pubblica impiegata per la divulgazione di informazioni non rispondenti al vero, oltre che in alcun modo rettificabili dai destinatari delle accuse sorprendenti e delle frasi insolenti;
rilevato che gli addebiti, gratuitamente formulati ed infatti privi di qualsiasi fondamento anche con riguardo alla durata delle indagini ed alla loro genesi, non devono offuscare, nemmeno in minima parte, l'alto profilo umano e professionale dei due colleghi ingiustamente attaccati;
chiede che le autorità competenti intervengano immediatamente per impedire la reiterazione di simili comportamenti, ancor più gravi in quanto provenienti da un avvocato penalista di lunga esperienza, e che siano adottate tutte le iniziative, anche disciplinari, trattandosi di condotte ricorrentemente evocanti il proprio impegno lavorativo ma evidentemente del tutto disallineate rispetto alle puntuali prescrizioni dettate dal codice deontologico forense, che attengono anche agli aspetti della vita privata in grado di ledere l'immagine professionale».
Dopo le dure accuse di un cittadino anonimo, comparse sui muri foggiani, dal titolo "Sesso nel Tribunale di Foggia", che puntava il dito contro la sezione fallimenti del Palazzo di Giustizia, ecco la dura replica dell'Associazione Nazionali Magistrati sottosezione di Foggia. In corso ci sono indagini della Procura per risalire all'ignoto che prodotto i manifesti e poi affissi.
"La Sottosezione di Foggia dell’Associazione Nazionale Magistrati ha avuto notizia dell’affissione di manifesti anonimi nel centro abitato di Foggia contenenti gravissime accuse nei confronti dei magistrati del Tribunale di Foggia, ed in particolare contro i giudici della sezione fallimentare.
A fronte di accuse così gravi e generalizzate, anche se espresse in forma anonima, questa Sottosezione ritiene doveroso tutelare la reputazione personale e professionale dei magistrati di questo Tribunale, che svolgono la loro attività con abnegazione e spirito di sacrificio, sostenendo carichi di lavoro superiori al limite di normale esigibilità ed operando spesso in condizioni ambientali obiettivamente difficili, esposti come in questo caso ad attacchi indiscriminati da parte di chi, anziché avvalersi dei mezzi ordinari previsti dal sistema giudiziario per l’impugnazione di singoli provvedimenti e l’accertamento di presunte responsabilità individuali, fa ricorso a metodi e mezzi impropri idonei e diretti a ledere l’immagine dell’intero Tribunale, nascondendosi dietro l’anonimato".
Di seguito il testo dei manifesti comparsi in città qualche giorno fa.
«A Foggia non uccide solo la mafia quando spara, ma uccido anche i giudici del tribunale, sezione fallimenti, quando emettono ingiuste sentenze di fallimento dichiarando il falso e travisando le prove. A Foggia si muore quando i giudici fanno fallire gli imprenditori anche quando i concordati preventivi vengono approvati dai creditori e commissari giudiziari, rovinando la vita degli imprenditori e arrecando gravi danni ai creditori. A Foggia si muore quando i giudici rigettano i concordati fallimentari senza chiedere ai creditori il parere di convenienza economica, arrecando ulteriore danno agli stessi creditori.
A Foggia si muore perchè i giudici hanno trasformato il tribunale, sezione fallimenti, in un bordello, in una casa di appuntamenti e luogo di malaffare.
È inaccettabile e vergognoso che i giudici di Foggia, sezione fallimenti, con metodi mafiosi ed esercitando un abuso di potere e d’ufficio inaudito e con premeditazione esasperata, facciano fallire le aziende e gli imprenditori per poi assegnare gli incarichi di curatori fallimentari a belle e disponibili avvocatesse con cui poter fare sesso a go-go, con ripetuti rapporti sessuali. Le indagini della Procura di Lecce hanno scoperto che i giudici del tribunale di Foggia, sezione fallimenti, in costanza di gestione dei fallimenti, hanno instaurato plurime relazioni sessuali con le curatrici a cui avevano assegnato gli incarichi.
Vergognoso che nessuno ravveda in tali plurime relazioni sessuali tra giudici e curatrici il reato della corruzione sessuale e di istigazione alla prostituzione.
Vergognoso che i giudici del tribunale di Foggia, sezione fallimenti, con premeditazione fanno fallire gli imprenditori per poi assegnare incarichi a curatori fallimentari, a ctu, a commercialisti, ad avvocati e altri professionisti incapaci ed incompetenti ma disponibili a modificare e falsare le loro relazioni e perizie su indicazioni e su pressioni dello stesso giudice da cui hanno ricevuto l’incarico.
Inaccettabile che il pm della procura abbia archiviato il reato di furto di un curatore fallimentare sorpreso a rubare in costanza di gestione fallimentare, reato accertato e verbalizzato dagli agenti di polizia.
Vergognoso che lo stesso pm, pur di non decidere e di non rinviarlo a giudizio, evidentemente pressato e consigliato con metodi mafiosi, ha pensato bene di inviare, per competenza, alla Procura di Lecce il fascicolo inerente al curatore ladro e in modo grottesco la Procura di Lecce ha rimandato a Foggia lo stesso fascicolo per incompetenza! Con la conseguenza che il curatore ladro, tuttora indagato, frequenta impunemente e liberamente il tribunale di Foggia senza che nessuno si attivi per sospenderlo dall’incarico.
Inaccettabile che alcuni giudici della sezione fallimentare, siano tuttora indagati per corruzione per aver accettato in regalo quadri d’argento, per abuso d’ufficio e altri gravi reati e alcuni curatori fallimentari siano tuttora indagati per corruzione avendo intascato mazzette in denaro e nessuno ha il coraggio di sospenderli dai loro incarichi.
Vergognoso che i giudici del tribunale di Foggia, sezione fallimenti, abbiano frequentazioni private con commercialisti e avvocati che ricoprono – a vario titolo – incarichi nell’ambito di procedure a loro assegnati (fatti accertati dalla Procura di Lecce).
Inaccettabile l’immobilismo del presidente del tribunale, del presidente della III Sezione Civile, del giudice delegato, del procuratore e del prefetto.
Firmato da un cittadino indignato»