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#contrappunti

La perdita del senso di territorialità e del senso di appartenenza ha fatto sì che, con l’arrivo della globalizzazione, specialmente dagli anni Ottanta del Duemila,  si creasse un clima di sfiducia e di mancanza di autorità da parte della gente verso il proprio Stato o il proprio governo, creando così il terreno fertile per la nascita di movimenti populisti e sovranisti che si stanno sviluppando in quasi tutti gli Stati occidentali. Ciò che è importante, oggi, è che tale stato di precarietà e di sfiducia nel governo degli Stati e nel governo del proprio territorio sta creando un clima di odio e di conflittualità contro ogni forma di accoglienza dei migranti provenienti purtroppo da zone disagiate e da Stati, come l’Iraq, l’Afghanistan, la Siria, la Giordania, il Libano, che in questi ultimi anni stanno conoscendo la guerra e lotte intestine fra etnie, religioni e partiti politici contrastanti. Un clima che sta alla base della diffusione del fenomeno delle migrazioni  e, quindi, dell’erezione di muri e di nuove barriere da parte degli stati confinanti, ma anche da parte delle nazioni più ricche, come i paesi europei, per difendere e conservare la loro sovranità, ma soprattutto la loro territorialità. In questo senso si ha oggi un ritorno al senso di territorialità e di appartenenza, che purtroppo si basa principalmente sulla discriminazione non solo razziale e quindi etnica, quanto sul piano culturale e spesso religioso. 

E a tale proposito C. S. Maier nel suo libro  Dentro i confini.  Territori e potere dal 1500 a oggi (Einaudi, Torino 2019), afferma  che il concetto di territorio ha subìto nell’arco dei secoli una evoluzione in senso restrittivo, proprio in seguito a diversi fenomeni, fra cui il fenomeno delle migrazioni e del fenomeno della globalizzazione. Purtroppo, la globalizzazione, che avrebbe dovuto portare ad un progressivo abbattimento delle barriere rimaste, è stata in realtà causa di rinati timori sulla sicurezza. Un terzo dei paesi del mondo presenta attualmente recinzioni, di diverse tipologie, lungo i suoi confini. Da ciò si presume che stiamo ritornando ad un mondo in cui i confini tendono a diventare delle barriere invisibili di difesa e di protezione. Barriere che ormai stanno diventando, come stiamo vedendo nel mondo arabo, ai confini di Israele, veri e propri muri fisici, barriere invalicabili per tanta gente che fugge dalle guerre e dal riscaldamento del clima. Se un tempo il territorio è diventato una risorsa importante per lo sviluppo degli Stati e delle economie, fino a diventare, in alcuni casi, come stiamo vedendo oggi, un’ossessione, oggi, con la globalizzazione, il concetto di territorio è stato minato dalla base, in nome del libero mercato e di una politica geoglobale, fondata sulla eliminazione di ogni barriera e di ogni ostacolo al libero commercio. Purtroppo oggi tutto ciò è messo in discussione.

La territorialità non sembra più una risorsa per garantire i mezzi di sussistenza, escludere gli stranieri, o mantenere la coerenza dei valori. Non fornisce più la stessa capacità di controllo, anche se i territori rimangono il nucleo di fedeltà primaria. Spazio identitario e spazio decisionale tendono ormai a divergere. C. S. Maier è convinto che la globalizzazione può minare la capacità di governare il territoriale, cioè erodere lo spazio decisionale, anche se non necessariamente indebolisce lo spazio identitario, la presa dell’immaginazione territoriale e forse neppure la persistenza ostinata delle frontiere. A tale proposito Tim Marhall, nel suo libro  I muri che dividono il mondo (Garzanti, Milano 2018), parla di muri, di confini invalicabili fra stati e nazioni. Egli afferma: “Siamo tornati a costruire muri. Sono, infatti, oltre 6000 i chilometri di barriere innalzati nel mondo negli ultimi dieci anni. Le nazioni europee avranno ben presto più sbarramenti ai loro confini di quanti non ce ne fossero durante la guerra fredda. Il mondo a cui eravamo abituati sta per diventare solo un vecchio ricordo: dalle recinzioni elettrificate costruite tra Botswana e Zimbabwe a quelle nate dopo gli scontri del 2015 tra Arabia Saudita e Yemen, dalla barriera in Cisgiordania fino al mai abbandonato progetto del presidente Donald Trump al confine tra Stati Uniti e Messico. Non appena una nazione si appresta a far nascere un nuovo muro, subito i paesi confinanti decidono di imitarla: quello tra Grecia e Macedonia ne ha generato uno tra Macedonia e Serbia, e poi subito un altro si è alzato tra Serbia e Ungheria. Innumerevoli sono le ragioni alla base di queste decisioni spesso dettate da paura, disuguaglianze economiche, scontri religiosi”. Altrettanto afferma  D. Frye nel suo libro Muri. Una storia della civiltà in mattoni e sangue (Piemme, Milano 2019).  Così si legge nella scheda di presentazione:Per migliaia di anni, l’umanità ha vissuto dentro e dietro a muri. Muri di confine, città fortificate, barriere hanno separato e protetto le popolazioni dal nemico, dall’estraneo, o semplicemente dall’ignoto. Per migliaia di anni, gli uomini hanno costruito muri, li hanno assaltati, ammirati e oltraggiati. Grandi mura sono apparse in ogni continente, hanno accompagnato il sorgere di città, nazioni e imperi, eppure il loro ruolo è poco studiato nei libri di storia. Quali influenze avranno avuto i muri sul modo di vivere, pensare e creare di chi viveva al di qua e al di là di essi? Per stare ai tempi recenti, basti pensare al Muro di Berlino e a come ha modellato non solo la vita quotidiana dei berlinesi, ma anche l’immaginario complessivo del secolo scorso”. Un bisogno e una necessità che purtroppo rimangono attualissimi, come spiega Frye, perché in tutto il mondo i Paesi stanno costruendo – anche ora – muri e barriere, tanto da decidere  di eliminare, per esempio, dalla carta geografica, lo Stato di Israele e i suoi confini, con il mondo islamico, fra cui l’Iran, la Siria, il Libano, la Giordania.  Oggi, sottolinea  Frye, ci sono più di 70 paesi diversi che  hanno fortificato i loro confini, tanto che   i muri vengono eretti anche per prevenire l’immigrazione, il terrorismo, il flusso di droghe illegali e, oggi, anche la diffusione di malattie infettive, come il “coronavirus”. Tant’è vero che dentro e fuori le mura, spiega sempre Frye, si svilupparono stili di vita molto diversi. Quando i muri protettivi sorsero in tutto il mondo, influenzarono il modo in cui le persone vivevano, lavoravano e combattevano. Anche se più di ogni altro singolo fattore, i muri sono stati i diretti responsabili dell’ascesa della civiltà. Lo dice la storia dell’umanità. Chi sostiene il contrario tifa il caos e le barbarie.

 

Il mondo islamico a Israele e i suoi confini

[Il mondo islamico a Israele e i suoi confini]

Robin Cohen, con  Migrazioni. Storia illustrata di popoli in movimento (Giunti, Firenze 2019),  pone l’accento sul fenomeno migratorio, da cui sono scaturiti, specie in questi primi  anni del Secondo Millennio, i vari muri nel mondo. Del resto, si desume dalla lettura del testo che: “Le migrazioni esistono fin dagli albori dell’umanità, ma in anni recenti dominano le prime pagine dei giornali e i titoli dei TG come mai prima d’ora”. Il libro del professor Robin Cohen indaga tutto l’arco della storia per offrire un quadro di uno dei fenomeni umani più antichi. Se il fenomeno delle migrazioni è vecchio come il mondo, perché ora è un argomento tanto rilevante a livello politico? Perché i migranti partono? Dove vanno, in quanti e per quali motivi? I migranti rappresentano una minaccia per l’ordine sociale e politico? Sono necessari per fornire manodopera, portare sviluppo nei paesi d’origine, aumentare il consumo e generare ricchezza? Le migrazioni si possono fermare? Su questi e su molti altri interrogativi indaga Robin Cohen. Sullo stesso argomento è uscito in questi ultimi giorni il libro di Gaia Vince,  Il secolo nomade. Come sopravvivere al disastro climatico (Bollati Boringhieri, Torino 2023), in cui  l’autrice esplicitamente afferma che “saranno in qualche modo proprio le migrazioni a salvarci… Le migrazioni sono ciò che ci hanno resi ciò che siamo, un aspetto imprescindibile della natura della nostra specie. Centinaia di migliaia di anni fa, i nostri antenati hanno sviluppato l’adattabilità a vivere ovunque. Dal punto di vista storico, sono le nostre identità e i nostri confini nazionali a costituire l’anomalia”.

Tutto ciò ha influito, inoltre, sull’immaginario collettivo, cambiando così gli attributi del territorio che sono cambiati in modo rapido e radicale, tanto da minare dalla base quello che era il concetto di territorio e, quindi, di un mondo stabile. Purtroppo, con la globalizzazione è venuto meno progressivamente il senso di appartenenza, non solo delle persone all’interno del proprio territorio, quanto anche delle cose, tanto da creare la sensazione che tutto è basato sul libero scambio, a vantaggio non del proprio benessere ma delle regole del mercato. Inoltre, viene meno il senso identitario, che un tempo permetteva  di essere un tutt’uno con il proprio territorio. Oggi tale senso è scomparso in quanto vengono meno la sicurezza del lavoro e, quindi, la stabilità familiare.  In altri termini, la territorialità non sembra più una risorsa per garantire i mezzi di sussistenza, giungendo, come si vede, anche ad escludere gli stranieri dal proprio territorio, contravvenendo ad alcuni valori di solidarietà e di accoglienza.

#contrappunti

Il problema esposto urge un intervento, non solo informativo e mediatico bensì formale e fattivo del comune di pertinenza. Qui c’è in ballo la sicurezza pubblica e sanitaria, che dalle immagini non lasciano alcun dubbio sulla pericolosità.

La scuola che fu, un tempo esistente, funzionante e frequentata, di Macchia -frazione di Monte Sant’Angelo- oggi è un rudere a cielo aperto, con tutti gli annessi che lo caratterizzano per la sua pericolosità.

Da oltre quindici anni abbandonata a sé stessa, senza nessun intervento delle amministrazioni comunali che si sono succedute -si parla di consiliature di ambedue le coalizioni politiche-, la scuola persiste in pericolosissime condizioni strutturali, con l’aggravante che è un ricettacolo per chiunque, anche per l’illegalità. Qui si potrebbe consumare l’ennesimo necrologio di cronaca che l’Italia ci riserva nei suoi TG.

Nel comune dove la parola “Legalità” è diventata il vessillo primeggiante di ogni azione, seppur pare formalmente il format propagandistico per attirare solo l’attenzione, purtroppo bisogna constatare che incombono situazioni che rasentano le liceità nell’affrontare problematiche urbane nella frazione di Macchia.

 

Macchia ScuolaAbbandonata nov2023 03

 

Monte Sant’Angelo è il comune di pertinenza di questa frazione. Un luogo dove un tempo, quello che fu e mai ritornato, era dedito all’agricoltura e pastorizia, dove la costa era l’incanto del luogo, dove finanche il comune limitrofo di Manfredonia continua a chiederne l’annessione. Da anni -e si parla di tempi ancestrali- chi vive a Macchia ad ogni sindaco, che si è insediato legittimamente con il voto dei Montanari, ha chiesto interventi infrastrutturali importanti, come rete idrica e fognaria, pubblica illuminazione, viabilità sicura su strade e non sterrati come ancora insistono, politiche sociali, di lavoro, per il turismo. Mai a pensare che una scuola potesse chiudere e trasferire alunni e maestre nel vicino comune di Manfredonia. È come se una costola della società civile sia stata recisa e buttata nel calderone della brodaglia amministrativa cui molti comuni cucinano per i loro contribuenti.

Eppure quella struttura fu utilizzata da un precedente sindaco -di oltre dieci anni fa- sia per riunioni dell’allora Amministrazione, sia come sede per qualche Consiglio comunale. C’era perfino un locale adibito ad ambulatorio medico, quello di base. Insomma, ha avuto un importante ruolo. E ora?

 

Macchia ScuolaAbbandonata nov2023 02

 

Quella scuola urge di importanti interventi di messa in sicurezza. Di essere risistemata strutturalmente con tutti i servizi per renderla funzionale, ripulita, disinfestata, sanificata e igienizzata, recintata, ripristinando così anche quel po’ che rimane della legalità cui un edifico pubblico, di proprietà del comune -perciò il sindaco è il primo e diretto responsabile di oneri e onori su quella struttura- deve avere almeno per esistere. Poi si penserà cosa farne, giacché di scuola a Macchia non se ne parla.

Un’idea potrebbe essere riconvertire quella struttura in un centro di aggregazione sociale, inclusivo per tutte le età e etnie, un luogo dove incontrarsi, fare cultura solidale, arte, fieristica e hobbistica, semmai anche con un bar per scambiare quattro chiacchiere tra amici mentre si socializza o si legge il giornale. Non un dopolavoro per dar sfogo alle già innumerevoli lamentele di chi grida urbanizzazione e il minimo di civiltà.  

Macchia ha bisogno di ritornare a vivere e non di avere un’ulteriore macchia che la sporca.

 

Macchia ScuolaAbbandonata nov2023 04

 

Da tempo Macchia di Monte Sant’Angelo è morta socialmente e con essa chi vi abita, seppur continua a versare le tasse nelle casse comunali. Un ossimoro sociale e istituzionale creato dal comune stesso. Quel comune de ”La Città dei due siti UNESCO”, di “Un Monte in Cammino” che si prepara al vertice della cultura regionale, dopo la débâcle nazionale.

Un tema che anni fa fu affrontato a Foggia, con l’attuale Parcocittà, oggi centro sociale polifunzionale molto efficiente, dapprima abbandonato per anni nell’incuria totale delle amministrazioni comunali, diventando da anfiteatro e auditorium a fulcro dell’illegalità, dello spaccio di droga, nel polmone verde del capoluogo, Parco San Felice. Basta chiedere a chi oggi lo gestisce e saprà come procedere -tra l’altro amico a questa amministrazione comunale e amico ventennale dello scrivente -.

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Sui social c’è chi in questi giorni l’ex scuola di Macchia l’ha paragonata a Gaza City ringraziando il sindaco per l’abbandono. Chi invece ricorda che dieci anni fa Padre Bortolo avrebbe affermato che c’erano fondi per la messa in sicurezza per quella scuola. Ma di quei fondi non se ne seppe più nulla.

Un dato è incontrovertibilmente vero. Quella struttura pubblica, un tempo una scuola, urge di un intervento di messa in sicurezza e sanitaria, sperando che poi venga riaperta ai cittadini, quei pochi che continuano imperterriti a vivere a Macchia, perché lì hanno la loro casa. Recintarla e renderla interdetta sarebbe la sconfitta del comune di Monte, la disfatta della legalità in territorio che di essa ha fame e sete.

Chi amministra quel manufatto abbandonato e pericolante si responsabilizzi e ascolti i Macchiaioli e prenda spunto da chi sta suggerendo soluzioni.

La testata giornalistica è qui, pronta a dar voce all’Amministrazione comunale e chiunque voglia intervenire per ridare vita a quella ex scuola.

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Ad Maiora!

#puntidisvista ♨️ #freethinker #MacchiaMonteSantAngelo #MonteSantAngelo #Foggia #legalità #scuola #LaCittàdeiDueSitiUNESCO #UnMonteinCammino

#contrappunti

«Finite le vacanze estive 2023, al ritorno dal villaggio Ippocampo, vicino Manfredonia, mi sono fatto accompagnare a casa da mio cognato Matteo Spagnuolo, Presidente dell’omonima Ditta Spagnuolo di Manfredonia, il quale mi ha portato a far conoscere i luoghi  e gli insediamenti industriali dell’ex stabilimento Anic-Enichem.

La mia meraviglia è stata quella di trovarmi davanti ad uno spettacolo di inaudito abbandono di tutta la zona, con capannoni industriali dismessi e diroccati, su una estensione di diversi chilometri  di terreni, che appartengono al Comune di Monte Sant’Angelo e di Manfredonia. Vi sono attive solo 3 o 4 industrie, con pochi addetti  e, alcune di esse, come la Şişecam, sono di proprietà straniera, fra cui i turchi. Tutto il resto, quasi il 90 % degli antichi insediamenti dell’Enichem, è tenuto in abbandono, con capannoni in uno stato di degrado ambientale tale che vi regna un silenzio e un abbandono generale, quasi un deserto.

Un territorio quasi del tutto privo di servizi e di infrastrutture, completamente  in abbandono, che avrebbe bisogno soprattutto di una profonda e duratura bonifica, lasciata incompleta sia dall’Eni che dai Comuni che confinano con la Piana di Macchia, Monte Sant’Angelo, Manfredonia e Mattinata. E tutto questo da quando c’è stata la chiusura dell’Enichem, dal 1978, senza che la politica  o il mondo economico, abbia fatto qualcosa per creare delle condizioni di salvaguardia dell’ambiente  e di sviluppo locale, inerenti alle potenzialità dell’intera Piana di Macchia, purtroppo lasciata a se stessa, senza che il mondo politico, oppure investitori italiani ed stranieri potessero sollevare le sorti di una delle zone più belle del Gargano, ma anche dell’intera Capitanata.

Tutto questo nel silenzio assoluto della popolazione locale, che insieme a quella di Manfredonia, Monte Sant’Angelo e Mattinata raggiunge quasi Settantamila abitanti. Gente che purtroppo cerca di trovare lavoro e che di lavoro se ne vede poco, tanto che la maggior parte dei nostri figli e dei nostri giovani sono costretti ad emigrare e a trovare lavoro al Nord. La politica è incapace di sollevare le sorti della Piana di Macchia, né gli incontri bilaterali fra i sindaci di Manfredonia e di Monte Sant’Angelo raggiungono dei risultati positivi per lo sviluppo della zona. Infatti, recentemente c’è stato un incontro, il 26 Settembre 2023,  fra il Sindaco d’Arienzo di Monte Sant’Angelo e il Sindaco di Manfredonia, Gianni Rotice, sul destino dell’area SIN della Piana di Macchia.

Il Sindaco d’Arienzo ha tenuto a sottolineare che “Dopo diversi anni dalla chiusura dell’Enichem, stiamo ancora a ragionare delle bonifiche e di cosa fare di quel terreno. Sto spendendo i miei mandati sulla questione e provo un po’ di sconforto nel momento in cui mi rendo conto che il tempo che un’Amministrazione ha non le permette di incidere a tal punto da arrivare ad una soluzione”. Inoltre si è ribadito che della questione Enichem, purtroppo, nemmeno l’ENI, se ne è occupato.

La causa?

Una deficienza normativa. Ad ogni buon conto, il Sindaco d’Arienzo ha informato che il Comune di Monte Sant’Angelo ha ricevuto un finanziamento di 1,4 milioni di euro, “non per la bonifica, essendo una somma insufficiente per realizzarla, ma perché indagare su quali terreni bisogna incominciare ad intervenire”. Da più parti è venuta la proposta di prendere in considerazione l’idea di una Area produttiva paesaggisticamente ed ecologicamente attrezzata, cioè uno “strumento di pianificazione urbanistica a forte valenza partecipativa”. Cioè creare una APPEA territoriale che preveda la riqualificazione dell’area, salvaguardando l’ambiente e a beneficio di tutta la popolazione».

#contrappunti

«Che fine ha fatto la Questione Meridionale? Senza voler azzardare previsioni poco deferenti per chi è al governo del Paese, non ci si allontana dal vero se si afferma che la Questione Meridionale non interessa poi tanto. Anzi, sarebbe meglio dire che non è all’ordine del giorno di alcun partito dell’arco parlamentare.

Già nel 1974 Manlio Rossi-Doria, tra i più grandi interpreti del pensiero meridionalista, ammoniva ricordando che la Questione Meridionale è una questione nazionale. Allora come oggi, il divario Nord-Sud rappresenta il vulnus dell’Italia e non affrontarlo significa non potersi porre come interlocutori credibili nello scenario internazionale. Va da sé che un Paese a due velocità è debole. Né ci può essere margine di crescita per uno Stato che rifiuta a priori il contributo di una parte importante del suo territorio e dei suoi cittadini.

‘‘Il Sud, in cui vive un terzo degli italiani, produce un quarto del prodotto nazionale lordo; rimane il territorio arretrato più esteso e più popoloso dell’area dell’Euro”: è quanto viene riportato nella Consultazione pubblica SUD - Progetti per ripartire, del 23 marzo 2021 della Banca d’Italia.

Allora come oggi, l’inerzia e l’incapacità politica hanno contribuito alla decrescita del Paese, e dal Sud la miseria avanza lambendo oramai la Linea Gotica.

La Questione Meridionale risale ai tempi dell’Unità d’Italia, con ciò intendendo lo stato di arretratezza economica del Mezzogiorno rispetto alle altre regioni italiane, soprattutto quelle settentrionali. Nel 1861, anno in cui avvenne la proclamazione dell’Unità d’Italia, il reddito per abitante nel Mezzogiorno era di un quarto inferiore rispetto a quello delle regioni del nord Italia.

Da quell’anno si creò una frattura che non ha mai smesso di allargarsi, tanto che nel 1911 La Voce, uno dei più importanti periodici del Novecento, pubblicò su una sua intera prima pagina un articolo dal titolo “Le due Italie”. Quella crepa, diventata voragine, rischia di far precipitare nel baratro l’intero Paese.

È del 2014 il patto del Nazareno, l’accordo politico tra Matteo Renzi e Silvio Berlusconi, l’uno segretario del Partito democratico e l’altro presidente di Forza Italia. Dal patto, secondo gli estensori, dovevano scaturire una serie di riforme (alcune poi diventate leggi, ancora in vigore), tra cui quella del titolo V della Costituzione, la trasformazione del Senato in "Camera delle autonomie" e l'approvazione di una nuova legge elettorale. Emergeva – ed emerge - un dato comune di fondo dall’intero impianto legislativo: l’esclusione della partecipazione popolare. Questo vale principalmente nel Meridione, dove il Partito democratico ha radicato un suo sistema di governo, infeudando i tanti comuni, gestiti da ristrette oligarchie. Come in Puglia, per esempio.

Giorgia Meloni, nel discorso d’insediamento del 2022, dichiarava alle Camere: “Sono convinta che questa svolta che abbiamo in mente sia anche l’occasione migliore per tornare a porre al centro dell’agenda Italia la questione meridionale. Il Sud non più visto come un problema ma come un’occasione di sviluppo per tutta la Nazione. Lavoreremo sodo per colmare un divario infrastrutturale inaccettabile, eliminare le disparità, creare occupazione, garantire la sicurezza sociale e migliorare la qualità della vita. Dobbiamo riuscire a porre fine a quella beffa per cui il Sud esporta manodopera, intelligenze e capitali che sono invece fondamentali proprio in quelle regioni dalle quali vanno via”. A rileggerle ora, queste parole suonano come una ulteriore beffa ai danni del Sud.

Ad ottobre prossimo, l’attuale Esecutivo (composto da 15 esponenti del Nord, 5 del centro e 6 del Sud e delle Isole) compirà il suo primo anno di attività. Riuscirà a rompere i sistemi di potere delle nuove e vecchie classi dirigenti meridionali, spesso un tutt’uno con pezzi poco trasparenti della società politica, burocratica e imprenditoriale?»

#contrappunti

[ndr.] Un grido di dolore di un Montanaro emigrato al Nord, che "vive" Monte attraverso ciò che la stampa pubblica e soprattutto dalle testimonianze di parenti e amici che lo informano. Quest'estate ha deciso di trascorrere le vacanze nella sua città natia, constatando di persona ciò che gli vien detto, vivendo amaramente ciò che sapeva [ndr.]

«Gentile Direttore, ho scelto di trascorrere l’estate del 2023 a Monte Sant’Angelo, paese in cui ho vissuto fino alla maggiore età. Da allora – sono nato nel 1977- tante cose sono cambiate. In peggio, però.

Il rientro - seppure momentaneo – in Puglia, mi ha indotto a riflettere su quello che il mio paese era un tempo e sulle condizioni in cui versa, ora.

Cos’è, oggi, Monte Sant’Angelo? Esso si presenta come un aggregato urbano abbandonato a sé stesso, che soffre di tutti i mali del Sud e privo della speranza di redimersi. È un paese dove manca l’aula consiliare. Quanti comuni in Italia ne sono privi? Le pratiche di buona amministrazione, adottate e realizzate da comuni virtuosi, a Monte Sant’Angelo risultano totalmente assenti. Gli abitanti del comune garganico, esclusi coloro i quali fanno parte della tifoseria partigiana ad oltranza, si mostrano rassegnati o, tutt’al più, disabituati solo ad immaginare un territorio diverso da quello in cui vivono. Di residenti ne sono rimasti in pochi, in verità. Il calo demografico è costante: dal 2017 al 2022, la popolazione è diminuita di 177 unità all’anno, quasi il doppio rispetto ai quindici anni precedenti. E non può essere diversamente. Nel comune dell’Arcangelo Michele sembra sia in vigore l’autogestione individuale: grava l’assenza del governo della città, distante dai problemi della comunità locale. L’élite municipale resta blindata nel Palazzo.

Si prenda, per cominciare il lungo elenco dei disastri esistenti, l’arredo urbano, che mostra tutto il suo degrado: strade dissestate, carenti di segnaletica verticale e orizzontale; verde pubblico non curato; bagni pubblici chiusi; suppellettili varie vetuste, ormai sul punto di implodere su sé stesse. I diversi cantieri di lavori pubblici paiono bloccati: durante il tempo di vacanza trascorso in paese, non ho mai visto le maestranze al lavoro.

Anche il cimitero non se la passa bene. Altro che luogo dove si onorano i cari defunti! La situazione è penosa: i servizi igienici, posti appena varcato l’ingresso, presentano muri scrostati e anneriti, la sala mortuaria è inagibile. Nel complesso, ci si accorge della scarsa attenzione dedicata al camposanto.

Stesso discorso vale per la biblioteca comunale, ridotta a deposito. Sebbene ubicata nel centro storico, essa sconta il disinteresse degli amministratori locali: nessun acquisto di nuovi libri, nessun abbonamento a periodici e/o quotidiani locali e nazionali. Il medesimo stato di abbandono vale anche per il museo civico e per gli eremi di Pulsano, alcuni di questi ultimi già interessati da crolli.

Le frazioni comunali sono anch’esse dimenticate. Pur essendo un paese di montagna, l’assistenza sanitaria è precaria. Ne è testimone quello che una volta era l’ospedale locale, in cui i vari reparti sono stati dismessi da tempo. Mancano le strutture primarie di una comunità, quali cinema, librerie.

Da tali premesse, è facile dedurre l’inesistenza di potenziali ipotesi di sviluppo. Se una volta Monte Sant’Angelo aveva un peso determinante nel contesto garganico, al giorno d’oggi rischia di scomparire. Politiche per invertire la rotta, purtroppo, non se ne vedono. È paradossale l’esistenza di un territorio caratterizzato da un ecosistema unico per le sue molteplici bellezze naturali (senza tralasciare il ricco patrimonio storico di cui è dotato: castello, chiese, abbazie, monumenti, ecc..), che mal si concilia con la dilagante povertà socio-economica presente.

È fuorviante la comunicazione sui canali istituzionali locali (social media), che spesso non rispondono a logiche informative: la censura è quasi diventata una procedura per bloccare il confronto civile e democratico. È questa la capitale della cultura?

Per quanto tempo ancora potrà resistere un paese di montagna, abbandonato al suo destino?»

#contrappunti

«Le recenti dichiarazioni del procuratore DDA Roberto Rossi in merito al rischio di un’ondata di ritorno delle organizzazioni criminali, devono indurre ad un’attenta e profonda riflessione, anche perché ritengo che la Città si sia finora sottratta da un’analisi approfondita su gli eventi eccezionali che hanno travolto la nostra comunità. L’eccellente lavoro svolto dalla “squadra stato” ha certamente creato le premesse affinché ci si possa liberare dall’oppressione mafiosa, causa di un profondo impoverimento di un’intera provincia. Ma ciò non significa che il pericolo sia scongiurato e il procuratore Rossi coglie nel segno. In questi ultimi anni lo Stato ha rivolto grande attenzione alla “questione Foggia”, impegnando le risorse migliori e la nomina del prefetto Raffaele Grassi, colui che ha dato il via al commissariamento del Comune di Foggia per infiltrazione mafiosa, a Vice Capo della Polizia è la dimostrazione più eloquente; la successiva nomina di Maurizio Valiante a prefetto di Foggia, ha confermato questo atteggiamento.

Certamente non assisteremo più alla presenza di esponenti della criminalità a presidiare alcuni seggi elettorali, da me denunciata in occasione delle ultime elezioni amministrative, ma certamente permangono ancora, nonostante la penetrante azione dell’attuale struttura commissariale, zone grigie nella tecnostruttura che, per effetto di una legge imperfetta, resta esente da giudizi e da provvedimenti di legge. Fermo restando le gravissime responsabilità sul piano politico, è incontestabile che sia prevalso un atteggiamento di acquiescenza da parte di alcuni funzionari infedeli se, per esempio, decine e decine di alloggi popolari risultano nella disponibilità della criminalità o se il servizio di manutenzione della videosorveglianza comunale veniva artatamente affidato a soggetti contigui alle organizzazioni criminali.

Ed è con queste premesse che chiunque si candidi a governare la Città, al fine di bonificare le cosiddette zone grigie e mettere a nudo le ambiguità richiamate dal procuratore Rossi, assuma l’impegno solenne, e ad alta voce, di proseguire con pervicacia l’azione portata avanti dallo Stato e salvaguardare i risultati finora raggiunti. Solo in questo modo sarà possibile restituire dignità alla nostra Città ed assicurarle crescita e sviluppo sul piano economico, sociale e culturale».

 

#contrappunti

Ricordi di un tempo che fu. La Foggia ferragostana dal periodo del CoVid-19, ed è giustificabile, e da quando è stata commissariata, non giustificabile, non è più la stessa. È una Foggia spenta, senza luce, senza la sua tradizionale festa di Ferragosto.

La città non festeggia più perché manca l’aria festosa. Quella creata ad hoc, sempre voluta dal Comune e da chi lo amministrava, dalla Curia, dalle associazioni, da chi aveva a cuore questo periodo. Pare che tutto sia andato perso perché chi doveva “dettare” la scaletta ora la salta.

Una città senza luminarie, senza quelle bancarelle di ambulanti che animavano e accompagnavano lo struscio serale dei foggiani e che facevano tanto felici i bambini. Una Foggia spogliata delle sue tradizioni, del suo folclore, delle sue ricorrenze sacre e pagane, dove finanche la processione del 14 agosto ha ridotto percorsi e tempistiche. Una “Foggia spenta, senza luce”, dove perfino le solite vie in festa, spesso con l’aiuto dei commercianti, pullulavano di gente sorridente e soddisfatta. Sarà anche vero che la crisi economica ha ridotto le aspettative, ma c’è chi volutamente le ha abbattute, edulcorandone i motivi con sicurezza e legalità e nascondendoli sotto il tappeto come si fa con la polvere.

Quest’anno si è solo pensato ad accontentare i cittadini presenti, e statene pur certi che a Foggia il 15 agosto ritornano i foggiani, animando la tre giorni, 13 – 14 e 15, con due concerti musicali e i fuochi pirotecnici. Oddio, due eventi musicali di rilievo per gli artisti esibiti, Antonino e Tiromancino, con un finale pirotecnico dal Pronao della Villa Comunale. Ma non ha saziato i foggiani, sempre malinconici per l’assenza di luminarie e ambulanti per quelle vie da decenni animate, festose, illuminate e attese da un anno.

Il sentore si è avuto fin dal 16 luglio, ricorrenza della Madonna del Carmine, quella festa tanto sentita quanto voluta e vissuta, che quest’anno si è svolta smorzata e solo grazie alla confraternita locale ha avuto i suoi botti d’artificio e qualche bancarella innanzi la chiesa. Si è proseguito con quella di Sant’Anna, il 26 luglio, che non si è svolta. Quest’ultima una festa lontana nei secoli e sempre viva, negata per la tanto urlata e poco compiuta sicurezza urbana che una Commissione straordinaria prefettizia del Comune di Foggia con il beneplacito della Prefettura hanno negato ai foggiani. «Quest’anno “pizz fritt e ciammaruchelle” sop’ a via Sant’Sant’Antonio l’hamm vist cu binocolo» il commento in vernacolo dei più anziani legati alla Festa di Sant’Anna. Mentre i bambini reclamavano le ormai consuete giostre, appuntamento atteso di ano in anno.

Ma non è tutto, perché oltre alle due istituzioni laiche anzidette, ve n’è una terza, religiosa, quella Curia verticisticamente comandata da un monsignore che nel tempo, con le direttive di Prefettura e Comune commissariato, ha modificato tragitto e tempistiche della Santa Processione dell’Assunta, di quella Madonna a noi tanto cara e protettrice di Foggia, L’iconavetere Madonna dei Sette Veli. Se un tempo, che fu ormai, la processione ripercorreva le storiche e antiche vie foggiane dove, secondo scritti e leggende, fu ritrovato il Sacro Tavolo dell’iconavetere, oggi quel Tavolo è portato in spalla trascurando Via Arpi, la via più antica di Foggia e menzionata nelle scritture religiose. Una mancanza che ha indignato il popolo foggiano, che più volte si è chiesto il perché di questa assurda scellerata scelta, specie se in testa alla cerimonia c’è un prelato. Meno male che non è stato reciso anche quello storico e tradizionale cordone ombelicale che vuole il Sacro Tavolo passare innanzi al luogo del ritrovamento dell’Iconavetere, quell’antica pozza d’acqua, ora fontana, dove due buoi si inginocchiarono alla vista del volto della Madonna dei Sette Veli. Tradizioni annullate, recise dalla storia di una città devota alla sua protettrice, per mano della sua stessa istituzione.

Ascoltando molti fedeli, giovani e attempati, parrebbe che la Curia negli scorsi mesi abbia ricevuto alcune lettere di richieste di spiegazioni su questa scelta, già fatta l’anno scorso. Missive senza risposte, tranne una, Monsignore non risponde ai fedeli e se la processione non passa da Via Arpi, in particolar costeggiando la chiesa di San Tommaso, è per la sicurezza del Sacro Tavolo, che potrebbe cadere per le scadenti condizioni del piano stradale. Una “bufala”, si suppone, grande quanto chi l’ha artatamente architettata, poiché per decenni quella strada, anche in peggiori condizioni, ha ospitato la processione. “Boutade” decisa dal Comune di Foggia, dalla Curia o dalla Prefettura, sapendo bene che Via Arpi è sempre stata costituita da lastroni di pietra per mantenere lo status antico? La risposta non si saprà mai, giacché i loro “capi” non rispondono al popolo foggiano. Non risponde monsignore, credendo di essere ancora quel Generale dell’Esercito Italiano, in quiescenza dall’ordinariato militare per l'Italia, a cui pare che manchi la truppa ora costituita da credenti e fedeli civili che meritano risposte. Non rispondono, miseri loro!

Sicurezza urbana a fronte di non far più svolgere feste tradizionali, in una provincia zeppa di eventi storici, religiosi, musicali, festosi, folcloristici. In Capitanata anche quest’anno si sono svolte tantissime sagre e i foggiani si son spostati lì.  Solo nel capoluogo non s’ha da fare.

E perché? A Foggia c’è la mafia, c’è la criminalità, si spacciano droga e armi, si commettono omicidi, si chiede il pizzo, l’usura cresce, prospera la prostituzione in casa e quella in strade cittadine e extraurbane, ci sono le baby-gang, ci sono i parcheggiatori abusivi, spesso violenti, nei parcheggi dei centri commerciali, antistanti le istituzioni e ospedali, e in molte aree cittadine transitate dalla Forze dell’ordine, ci sono i motocicli e monopattini che sfrecciano tra la folla al passeggio, c’è l’area pedonale diventata parcheggio abusivo per autovetture, ci sono le bancarelle di ambulanti spacciate per abusive, ci sono palchi rionali con cantanti neomelodici che secondo quei “capi” cantano l’illegalità. Ma chi li deve sanzionare, chi è deputato al controllo della sicurezza urbana, dov’è?

È vero ed è sotto gli occhi di tutti, specie nelle ore serali e nei weekend, sono a fare posti di blocco stanziali, sempre negli stessi luoghi e lontano da dove davvero pullula la criminalità, per casse istituzionali sempre più fameliche e resoconti da mostrare al Viminale per poi far stillare relazioni che immancabilmente fanno sprofondare Foggia. E se qualche volta con una retata si “grida” al successo dello Stato per un’operazione che arresta già arrestati si crede di avere ristabilito la tanto all’occasione urlata legalità, termine usato e abusato all’occorrenza. È la Foggia degli stalli blu tout court volgendo pagina ad alcune norme del Codice della Strada. Intanto a Piazza Mercato, nel quartiere Ferrovia, dentro la Villa Comunale con boschetto annesso e non illuminato, a Parco San Felice, nei rioni CEP e Candelaro, e chi he più ne metta, prolifica l’illegalità, la violenza, l’intimidazione, le risse, la vendita di alcolici ai minori, lo spaccio di droga, gli scippi, gli abusi fisici, furti di auto e negli appartamenti, le rapine.

Ma le feste religiose rionali non s’hanno da fare e con esse anche quelle tradizionali con luminarie e bancarelle annesse, negando al Sacro Tavolo di essere venerato dai fedeli nell’antica Foggia e negando ai bambini la gioia dei colori festosi che solo poche volte all’anno possono ammirare.

Un modo per annientare tradizioni che sono storia e cultura locale, sono valori che vanno preservati, ricordati e realizzati di generazione in generazione.

La processione si vede quando si ritira” dice un detto. A breve finirà quella di monsignore e dei commissari, sperando in quella politica, che sia migliore e onesta delle precedenti, senza ritorni di chi ha ricoperto Foggia di vergogna, un'onta indelebile ma smacchiabile, e poi riscattabile. Al futuro Sindaco, Giunta e Consiglio comunale si chiede tutto ciò, altrimenti non candidatevi.

Ad Maiora!

#puntidisvista ♨️ #freethinker #Foggia  #legalità #Iconavetere #MadonnaSetteVeli #contrappunti #ferragosto

#contrappunti

«Ho la vaga impressione che alcuni giornali del Nord spingano i turisti a lasciare la Puglia per l'Albania».

È quanto ha scritto in un post su facebook il prof. Michele Eugenio Di Carlo, collaboratore per alcuni giornali italiani ed esteri, storico e promotore culturale per il Sud dell’Italia, che viste le molteplici risposte sul suo profilo social, ha voluto approfondire l’argomento regalandoci l’articolo che segue.

«La comunicazione politica dai toni populistici, divisivi, ultimativi, definita dagli esperti di marketing politico “liquida”, tesa in maniera spasmodica alla continua ricerca di un consenso elettorale effimero, facendo leva più sull’emotività che sulla razionalità, si è fortemente insinuata nell’ambito dei social, ma si è anche avvalsa di una potente rete di media nazionali tramite i normali canali di divulgazione televisiva e alcuni dei maggiori giornali italiani, che hanno contribuito anche ad alimentare non pochi luoghi comuni e pregiudizi che presentano il Mezzogiorno con un’ottica distorta.

Da quest’ultimo punto di vista, non solo l’informazione politico-mediatica “liquida” ha fatto scuola, anche il sistema pubblico dell’informazione ha contribuito decisamente a far percepire il Mezzogiorno come un’area dalle problematiche irrisolvibili.

Infatti, i docenti universitari di sociologia dei processi comunicativi Stefano Cristante e Valentina Cremonesini, in un testo pubblicato nel 2015 (La parte cattiva dell’Italia. Sud, media e immaginario collettivo), hanno reso noto i loro studi statistici: il TG1 della RAI, negli ultimi 35 anni, ha dedicato solo il 9% delle notizie al Mezzogiorno e quasi solo per parlarne male: cronaca nera, criminalità, malasanità, meteo. Tralasciando le statistiche di giornali e tv di proprietà privata che mettono quotidianamente in cattiva luce il Mezzogiorno, colpisce nello studio dei due studiosi che anche il Corriere della Sera e la Repubblica abbiamo dedicato spazi esigui al Sud, passando dai 2000 articoli del ventennio 1980-2000 ai 500 del decennio 2000-2010, occupandosi quasi solo di metterne in rilievo i mali e ignorandone sistematicamente gli estesi e avanzati processi culturali nel mondo dell’arte, della musica, del cinema, della cultura in generale.

C’è una convergenza perfetta, e sospetta, tra il potere politico-finanziario nord-centrico e i media negli ultimi 35 anni.

Tornando alla comunicazione politica “liquida”, è indubbia la preoccupazione che essa genera visto che occupa una fascia importante dell’informazione che conta, peraltro quasi totalmente accentrata nelle mani di poteri politici-finanziari di parte sia dal punto di vista politico sia dal punto di vista geografico e territoriale, creando nelle popolazioni con una vera e propria operazione di distrazione di massa continue ansie, paure, incertezze, odio verso nemici spesso immaginari e nei confronti della parte debole e abbandonata del paese: il Mezzogiorno.

Buona parte della televisione italiana ha da anni inaugurato una comunicazione dominata dalla presenza di una ventina di commentatori a vario titolo onnipresenti (politici, intellettuali, giornalisti, sociologi, economisti), che impongono con un linguaggio urlato, supponente, arrogante le posizioni politiche, culturali, economiche pretese da chi finanzia, gestisce e produce il talk show televisivo. Talk show che ha, tra gli altri, il fine di produrre profitti attraverso le sponsorizzazioni.

Ed ecco che commentatori politici e non, dai curriculum dilatati e spesso improbabili, vengono messi su di un piedistallo e diventano famosi, al prezzo di assolvere l’unico ruolo per il quale sono stati selezionati: dare sempre e comunque ragione al conduttore, urlando e sbraitando selvaggiamente contro chiunque dissenta dalla scontata e spesso squallida linea redazionale, trovando sempre il conforto e il supporto di un pubblico plaudente a comando che alimenta la percezione in telespettatori, spesso sprovveduti, che quello sia il modo onesto e persino serio di affrontare problematiche spesso inventate di sana pianta. E’ così che molti cittadini italiani hanno assorbito odio e paranoie, convincendosi attraverso il supporto di statistiche spesso non certificate che la delinquenza sia aumentata, che gli stupri siano compiuti da un’etnia particolare, che i clandestini siano il primo problema in Italia, che vi sia in atto una sostituzione etnica e religiosa, che le case popolari siano assegnate a profughi ed extracomunitari, che chi affoga in mare se la sia cercata, che il Sud è la palla al piede dell’Italia e, in questi tempi di emergenza sanitaria, che i meridionali non rispettino le regole, mentre viene continuamente evidenziato che le carenze strutturali della sanità meridionale sono sempre e solo questione di mafia, di amministratori incapaci, di mentalità sottosviluppata della gente.

Mai che, oltre alle gravi responsabilità di una classe politica meridionale incapace di governare il proprio territorio, vengano rivelate le responsabilità precise di governi nazionali, di destra e di sinistra, che hanno deciso con scelte politiche chiare di non ridurre il divario Nord-Sud e di non affrontare di petto la questione mafia, alimentando e aggravando i fenomeni di degrado, di abbandono, di miseria, l’emigrazione e lo spopolamento di intere aree territoriali.

Ma come siamo arrivati ad una televisione del genere? Una televisione in cui i conduttori e gli ospiti fissi esercitano spesso un ruolo decisivo nell’influenzare l’opinione pubblica al servizio di interessi particolari (finanziari, politici, promozionali), esulando dalla funzione di intrattenere il pubblico dando un’informazione corretta e certificata con dati chiari.

Una televisione che non va assolutamente sottovalutata perché, seppur spesso non avente un grande seguito, taluni talk show vengono continuamente rilanciati sui social da referenti politici di riferimento e da sponsor raggiungendo decine di milioni di persone e riuscendo a rappresentare nella percezione comune una realtà distorta, spesso fingendo di colpire le élite mentre ne sono lo strumento, amplificando la voce di personaggi da macchietta per confutare e confondere quella di veri intellettuali ed esperti, facendo persino passare le vittime come delinquenti beneficiati e i delinquenti come vittime.

Cosa fare di fronte allo scempio informativo e al disastro culturale imposto da queste trasmissioni dal potere politico-mediatico fortissimo?»

#contrappunti

Fatti, non parole, ci vorrebbero per ridimensionare una città a misura di quel cittadino che vorrebbe vivere tranquillo e all’occorrenza vedere Amministratori e Autorità intervenire laddove la legalità è violata. Ma a Foggia non è così. In un paese normale e dove le Autorità sono Autorità  e gli Amministratori lavorano per la Res Publica, e non privata, tutto questo non accadrebbe.

Sarà pure che in due decenni la criminalità è dilagata spaventosamente, inserendo i suoi tentacoli dappertutto, con mafie, microcriminalità, baby-gang, amministratori pubblici che hanno disonorato il mandato facendo commissariare un Comune, aree cittadine destinate ad altro e che invece ogni giorno sono sopraffatte da incuria e sporcizia, parcheggiatori abusivi anche violenti, traffico bordeline e aree pedonali diventate soste d'auto "autorizzate", furti d’auto e in appartamenti, scippi, movide violente, ma è anche vero che le Autorità son state brave a utilizzare il termine legalità ma razzolando non bene. Certo, tutte le operazioni messe in campo per arrestare criminali e mafiosi hanno ripulito la superficie foggiana, ma il substrato rimane sempre sporco, per rigenerazioni che andrebbero stroncate sul nascere.

La città è stanca di cespugli, vuole vetrate pulite e trasparenti, quelle di chi senza fini privatistici si mette in gioco per cercare di garantire legalità. Cercar di garantire, appunto, perché la certezza non è mai assodata. Quando si amministra, obtorto collo, ci si sporca le mani, ma bisogna anche comprendere come e quando e dove. Del resto lo diceva un decano della Prima Repubblica, il senatore del fu PSI, Rino Formica: «La politica è sangue e merda»: ora tocca a chi governa o amministra saper fermarsi a quanto sangue e quanta merda imbrattarsi per non superare quel fatidico confine tra legalità e illegalità.

Foggia sta per accingersi a scegliere chi la deve amministrare, dopo un commissariamento per infiltrazioni mafiose, e dove tutto si è detto e pochissimo si è fatto. Basta osservare lo status quo della città, come vive, anzi sopravvive, come affronta i problemi e come li risolve, anzi li proroga o li lascia decantare. Tra questi c’è l’annoso problema del parcheggio “Zuretti”, una goccia nel mare di melma cui stiamo vivendo, che Comune e Prefettura non riesce a sistemare, o perlomeno a sedare. O il "quartiere Ferrovia" un'area ormai consegnata nelle mani di forestieri che non osservano le nostre leggi e che impongono le loro, con usanze barbare e contro ogni sicurezza sanitaria e urbana, mal fronteggiata dalle nostre Autorità, spesso condiscendenti in nome di un'inclusività a senso unico. E peggio ancora Piazza Mercato sempre più violenta, anche se “attenzionata”, che purtroppo rimbalza alle cronache nazionali.

Sia presente che questa non è una riflessione o presa politica di parte. Qui nessuno tifa per qualcuno e qualcosa, sapendo bene che non mancheranno i travisamenti mentali di chi politicamente si sente colpito e o escluso da questa riflessione. A loro si dice di intervenire con fatti, progetti fattibili e non solo sui programmi elettorali, o peggio ancora silenti per non perdere consensi dove si cela il problema. Utilizzare il termine "legalità" va fatto con ponderata e intelligente misura e non come accade da alcuni anni in certe amministrazioni che ne hanno fatto un intercalare ad uso, abuso e sopruso, specie se membri di associazioni che la promuovono. Questa, bensì, è lucidamente una riflessione pragmatica sul piano civile e urbano, per la sicurezza e legalità di cittadini che vorrebbero Foggia libera da abusi, soprusi, inettitudine, incapacità e soprattutto da clientelismi e spallucce.

Le tre scimmiette certe persone, alcune autorità e amministratori, le vadano a fare oltre i nostri confini.

Infine, per chi crede il contrario, la stampa serve a questo e non a colorare le zone d’ombra che prolificano in città, volute da chi la stampa la utilizza come strumento propagandistico e o servile. Questa testata i cespugli li sfoltisce, li sfronda e spesso li recide.

Ad Maiora!

#puntidisvista  ♨️ #freethinker  #Foggia #legalità

#contrappunti

[ndr.] Un già amministratore di Monte Sant’Angelo, il dott. Giovanni Ciliberti, interviene sull’ultima infrastruttura cantierizzata nella piana dove oggi si dedica all’attività agricola. Lo fa per amore del suo territorio, anche per spronare giovani amministratori a veder lontano ricordando che da lontano arrivano certi finanziamenti e non da attuali governance, redarguendoli che le bugie hanno le gambe corte.  Il 31 luglio 2023 l’annuncio da parte del vice presidente della Regione Puglia, Raffaele Piemontese, e congiuntamente dal sindaco di Monte Sant’Angelo, Pierpaolo d’Arienzo (segretario provinciale del PD Foggia e coordinatore di Avviso Pubblico Puglia), e del PD montanaro. Ieri la disamina di Ciliberti a far chiarezza, perciò a certificare, quanto detto. Si tratta dell'approvazione del progetto di rifunzionalizzazione ed estendimento della rete idrica a Macchia sfornato dalla Regione Puglia. Sfornato perché, da quanto detto e scritto da chi antecedentemente ha partecipato a questo progetto, il suddetto sarebbe datato da decenni. Lo avevamo preannunciato scrivendo che “Finalmente (dopo decenni di arsura) Macchia avrà altra acqua corrente”, ponendo in evidenza anche che non esiste solo Macchia, ma nel perimetro comunale di Monte esistono e insistono altre contrade, anch’esse afflitte dal problema “ancestrale” acqua e fogna. Come pure si è evidenziato che nella piana di Macchia è stato inserito l’ennesimo progetto con un finanziamento da ben 5,5 milioni di euro dell’Autorità idrica pugliese, che fa da spalla a quelli già cantierizzati per l’intera area che da vocazione ambientale, naturalistica, agropastorale, anche turistica per una bellissima e caratteristica costa, sta mutando in industriale contro il voler delle popolazioni locali. A Macchia probabilmente avranno esultato «Tempus erat! Bibimus aquam», ma c’è tanto, davvero tanto da fare, e bene [ndr.].

Giovanni Ciliberti: «Ieri ho letto il magnifico intervento del Sindaco e del Vice Presidente del consiglio comunale di Monte.

Entrambi esaltavano il grande impegno profuso dall'amministrazione comunale per risolvere in modo definitivo le problematiche relative all'impianto idrico-fognante di Macchia che alla data odierna sono le seguenti:

* L'acqua arriva in una parte limitata delle abitazioni della frazione e di quelle sparse nella piana

* La fogna è priva dei due impianti di depurazione previsti nel primitivo progetto.

Esistono dei tronchi fognanti nei tratti della litoranea, in parte della statale 89 e della frazione.

Lo stato di efficienza e uso è il seguente: la fogna non è stata mai attivata mentre l'acquedotto funziona in modo parziale tanto che nelle due precedenti estati è mancata l'acqua per lunghi periodi, anche per oltre 30 giorni di seguito

I due amministratori hanno esaltato la loro azione a favore di Macchia affermando di essere riusciti, impegnando tempo e risorse, a risolvere sia il problema idrico-fognante di Macchia che l'allargamento della litoranea.

La verità è un'altra perchè le risorse per la litoranea di Macchia risalgono all'amministrazione Nigri, sono fondi del contratto d'Area da impiegare per completare le strutture viarie che portano all'area industriale ex-Enichem.

(a tale riguardo bisognerebbe vedere se gli espropri fatti per realizzare la pista ciclabile sono compatibili con la finalità dell'assegnazione del finanziamento ed ancora se, il finanziamento era già esistente quando si è insediata la prima giunta D'Arienzo, perché l'opera è stata appaltata dopo 5 anni con costi assai maggiori tanto che si riesce a realizzare solo 3 km?).

Per quanto riguarda l'impianto idrico-fognante si comprende bene, dalle parole del vice Presidente della Regione Puglia, il nostro magnifico concittadino Raffaele, che si tratta di interventi regionali per evitare l'inquinamento delle falde che si riversano nelle acque del Golfo di Manfredonia.

Le opere da realizzare per circa 45 milioni di euro, interessano i comuni di Mattinata, Monte Sant'Angelo (Macchia) e Manfredonia fino al suo confine con Zapponeta.

Non si tratta così un Montanaro doc che ha perso le elezioni al parlamento proprio per i circa 1.000 voti in meno che ha preso a Monte rispetto alle precedenti regionali. A Raffaele ne bastavano poco più della metà per essere eletto deputato al Parlamento!

Macchia e Monte hanno bisogno di gente che si prende i meriti che ha dando ad altri il riconoscimento di quello che fanno per il nostro territorio».

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