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Dal 30 settembre 2021 al 20 febbraio 2022, la città di Firenze accoglierà una delle più grandi pittrici viventi e voce di primo piano nel panorama artistico internazionale, Jenny Saville, che sarà oggetto di un progetto espositivo ideato e curato da Sergio Risaliti, Direttore del Museo Novecento, in collaborazione con alcuni dei maggiori musei della città: Museo di Palazzo VecchioMuseo dell'Opera del DuomoMuseo degli Innocenti e Museo di Casa Buonarroti. La mostra, promossa dal Comune di Firenze, organizzata da MUS.E e sostenuta da Gagosian, rappresenta un incontro unico tra antico e contemporaneo e invita il pubblico a scoprire l'opera di Jenny Saville (7 maggio 1970, Cambridge) attraverso un approccio retrospettivo, con dipinti e disegni degli anni '90 e lavori realizzati appositamente per la mostra.           

Saville trascende i limiti tra figurativo e astratto, tra informale e gestuale, riuscendo a trasfigurare la cronaca in un’immagine universale, un umanesimo contemporaneo che rimette al centro della storia dell’arte la figura, sia essa un corpo o un volto, per dare immagine alle forze che agiscono dentro e contro di noi. Come nessun altro artista del nostro tempo si è lasciata alle spalle il postmoderno per ricostruire un serrato dialogo con la grande tradizione pittorica europea in costante confronto con il modernismo di Willem de Kooning e Cy Twombly e la ritrattistica di Pablo Picasso e Francis Bacon.           

Il percorso di mostra delinea la forte correlazione tra Jenny Saville e i maestri del Rinascimento italiano, in particolare con alcuni grandi capolavori di Michelangelo. Emergono alcuni dati, come la misura monumentale dei dipinti, tratto distintivo del linguaggio figurativo dell’artista fin dai primi anni della sua carriera, così come la sua ricerca incentrata sul corpo, sulla carne, e su soggetti femminili nudi, mutilati o schiacciati dal peso e dall’esistenza.       

Nelle sale del Museo Novecento, tra piano terra e primo piano, sarà esposta una serie cospicua di dipinti e disegni, circa un centinaio di opere di medio e grande formato che coprono un ampio arco di tempo, che va dagli inizi degli anni Duemila fino a questi ultimi mesi. Nel loggiato esterno del museo sarà aperta una vetrina affacciata sulla piazza per rendere visibile sia di giorno che di notte un dipinto di grande formato esposto sopra l’altare all’interno della ex chiesa dello Spedale, un ritratto monumentale di Rosetta II (2000-06), una giovane donna non vedente conosciuta dall’artista e ritratta come un cantore cieco o una mistica in estatica concentrazione. Un confronto fortemente voluto e ricercato dal direttore del museo con il Crocifisso ligneo di Giotto sospeso al centro della navata di Santa Maria Novella, ben visibile fin dall’esterno del sagrato quando il portale della basilica domenicana si trova aperto.             

Nel Salone dei Cinquecento in Palazzo Vecchio viene esposta l’opera monumentale di maggior risonanza, Fulcrum (1998-99), che consacrò definitivamente Jenny Saville con la sua prima mostra personale, Jenny Saville: Territories alla Gagosian Gallery nel 1999. Il grande dipinto di Saville entra dialetticamente in antitesi con i capolavori riuniti nella sublime cornice del Salone delle Battaglie, così detto per gli affreschi realizzati dal Vasari e dalla sua scuola per celebrare le vittorie dei fiorentini contro gli avversari. Il Salone è arricchito da gruppi scultorei con le Fatiche di Ercole (1562-1584) di Vincenzo de’ Rossi, nonché dal Genio della Vittoria (1532-34) di Michelangelo, straordinario esempio di contrapposto anatomico e di non finito. Dal punto di vista formale, l’opera di Jenny Saville pare voler esibire un confronto con il linguaggio della scultura, date le dimensioni monumentali delle sue immagini e la forte plasticità delle figure. Lo spazio di rappresentazione di Fulcrum è interamente occupato dalla massa di tre corpi riversi, anzi dalle carni e mal si distinguono i volti e le individualità delle due donne e della giovinetta, costrette in un abbraccio dai toni drammatici.          

L’appassionato e coinvolgente dialogo di Saville con le opere e le iconografie di Michelangelo raggiunge l’acme al Museo dell’Opera del Duomo di Firenze, parte del complesso monumentale dell’Opera di Santa Maria del Fiore. Qui, nella sala dove si conserva la Pietà Bandini (c. 1547-55), tra le ultime ‘fatiche’ del ‘divino’ Buonarroti, sarà esposto un disegno di grande formato – circa tre metri di altezza – a cui l’artista londinese ha iniziato a dedicarsi dopo un sopralluogo a Firenze due anni orsono. Il corpo levigato e lucente del Cristo della Pietà michelangiolesca, fortemente disarticolato nella sua posa, l’espressione amorevole di Nicodemo, che cela l’autoritratto dell’artista stesso e che sostiene il peso del Messia, lo strazio contenuto della Madre, trovano nel disegno Study for Pietà (2021) di Saville un naturale contraltare animato dagli intensi sguardi dei personaggi che sorreggono un giovane ragazzo, vittima forse della barbarie politica o ideologica, magari un migrante, un antagonista o un martire del terrore. Evitando di identificare spazio e tempo, disegnando le figure senza abiti e segni riconoscibili in quanto ad appartenenza sociale, politica, etnica, ecco che Saville dichiara, in una versione contemporanea ma altrettanto universale e archetipica, la condanna di ogni violenza umana, facendo parlare con segni drammatici il tema della pietas, l’esperienza del lutto e del compianto. Un Wesperbild attuale, presente e senza tempo, di una stessa universale poetica tragicità quanto quella del gruppo scultoreo realizzato da Buonarroti nell’estrema fase della sua carriera artistica.       

Allo stesso modo, la concezione della figura femminile in relazione alla maternità è racchiusa nei due dipinti presentati nella Pinacoteca del Museo degli Innocenti. Tra la Madonna col Bambino (1445-50 ca.) di Luca della Robbia e la Madonna col Bambino e un angelo (1465-76) opera giovanile di Botticelli, il grande quadro The Mothers (2011) di Jenny Saville, di forte impatto evocativo, rivela il fulminante cortocircuito atemporale di questa tematica, accolta in un edificio dove, fin dai tempi del progetto di Brunelleschi, si è avvertito il bisogno di un impegno nell’accoglienza dei bambini abbandonati e nella promozione e tutela dei diritti dell'infanzia. Qui verrà esposto un secondo disegno di grandi dimensioni, Byzantium (2018), una diversa versione di Pietà in cui il lavoro grafico accompagnato da interventi di colore assai risentiti sembra non essersi fermato alla ricerca della giusta posa, seguendo altresì il movimento dei corpi.

Nelle sale di Casa Buonarroti, luogo della memoria e della celebrazione del genio di Michelangelo, i disegni di Jenny Saville Study for Pietà I (2021) e Mother and Child Study II (2009) presentano un omaggio consapevole e per nulla anodino ai disegni e ai bozzetti michelangioleschi (1517-1520). Non mancano tuttavia, con dipinti quali Aleppo (2017-18) Compass (2013), le tematiche care alla poetica di Saville, così tenacemente legate alla contemporaneità. Disegni di forte impatto emotivo e segnico concertano con una delle opere su carta più celebri ed ammirate del Buonarroti, il cosiddetto ‘cartonetto’, Madre con bambino (1525 ca). Completano questo dialogo tra artista e artista due bozzetti in terra, uno attribuito ad un artista della cerchia di Michelangelo e l’altro di Vincenzo Danti, una riproduzione in piccola scala della Madonna Medici, oltre a una coppia di piccole invenzioni michelangiolesche per una Trasfigurazione e un’urna cineraria etrusca.

Considerata erede della cosiddetta ‘Scuola di Londra”, Saville è convinta, come Bacon, Freud o Andrews, che le potenzialità della pittura siano ancora da esplorare superando la distinzione tra astratto e figurativo, così come quelle tra espressionismo e informale. Sempre alla ricerca della verità in pittura per mettere a nudo l’immanenza espressiva del corpo, l’artista lavora sul modello in studio e sulla fotografia. Per costruire le sue immagini, così potenti e abbaglianti, così travolgenti e impressionanti, raccoglie fotografie e ritagli da giornali e cataloghi, mescolando storia dell’arte e archeologia, immagini scientifiche e di cronaca, senza creare gerarchie o distinguo tra bellezza e abiezione, brutalità e venustà, tenerezza e crudeltà. I suoi soggetti appartengono alla tradizione classica: volti, corpi nudi, gruppi di più figure, figure distese o in piedi, maternità e coppie di amanti presentati in pose che ricordano la statutaria etrusca o modelli classici della tradizione rinascimentale e moderna, l’arte egizia o arcaica.   

Se il giovane Michelangelo è divenuto il più grande scultore della sua epoca per aver dato vita a una statua monumentale, alta più di cinque metri, il David, campione di bellezza maschile secondo la cultura neoplatonica, Jenny Saville, al contrario, ha raggiunto la fama grazie alle enormi raffigurazioni di corpi femminili nudi, ritratte in posa su sgabelli o riverse, che esibiscono forme sessuali procaci confrontandosi su questo piano con altri pittori come Tiziano e Gustave Courbet.

Dal 6 all’ 8 agosto tre giorni di inaugurazione con visite guidate con gli artisti, letture portfolio, talk, videoproiezioni, laboratori ed eventi speciali da mattina a sera. Progetto speciale dedicato al Corpo commissionato a Mustafa Sabbagh – Intervento di Street Art con ERON e Danijel Žeželj. A Cala Porta Vecchia una mostra su piattaforme galleggianti e una sottomarina di sculture da visitare con gli occhialini mentre si fa il bagno.

Diverse e di grande effetto le location, vecchie e nuove, individuate dagli organizzatori per la VI edizione di PhEST – See Beyond the Sea, festival internazionale di fotografia e arte in programma dal 6 agosto al 1° novembre a Monopoli. Organizzato dall’associazione culturale PhEST, il festival ha la direzione artistica di Giovanni Troilo e la curatela fotografica di Arianna Rinaldo.

Nella nostra passeggiata virtuale abbiamo deciso di iniziare dalla zona “sud” del centro città dove si trova lo skate park a ridosso del mare. Qui si trova il progetto fotografico di un’amica di PhEST, Sanne De Wilde, già autrice due anni fa del progetto speciale sul territorio, che quest’anno torna con il suo lavoro The Island of the Color Blind. Camminando verso Cala Porta vecchia si incontra l’isolotto su cui campeggia il progetto di arte contemporanea di Alicia Eggert - You Are (On) An Island, mentre sul fondo marino è allestita la mostra di sculture subacquee dell’artista Erich Turroni Muse Silenti, entrambe a cura di Roberto Lacarbonara, come quella di Tomaso Binga e Roberto Pugliese. Galleggia invece sull’acqua, su piattaforme calpestabili, il progetto Comfort Zone di Tadao Cern. Di fronte, l’antica muraglia è stata scelta per stupire i visitatori con la gigantografia del progetto Humanae di Angélica Dass. Sul Belvedere di Porta Vecchia si trova invece Albino Beauty di Paola de Grenet.

Arrivando all’inizio del lungomare Santa Maria incontriamo la prima mostra in interni magicamente allestita nell’antica Chiesa di San Salvatore: è il progetto Flesh Love All del giapponese Photographer Hal, il cui lavoro prosegue anche con il capitolo Flesh Love Returns sul lungomare Santa Maria. Un’altra mostra-installazione è allestita sul muretto dopo il bastione dove si trova la russa Alena Zhandarova con il suo Hidden Motherhood.

Sempre sul lungomare Santa Maria, affacciandosi sul mare sottostante, poco prima del bastione, sarà allestita sui frangiflutti una selezione dei lavori finalisti della call internazionale PhEST Pop Up Open Call. Con una piccola deviazione a sinistra, raggiungibile anche da un vicolo strettissimo adiacente al bastione, si raggiunge la deliziosa Piazzetta Santa Maria, dove una postazione selfie permetterà di partecipare alla call #KissForPhEST: qui ci si immerge in un momento di interattività analogica in cui i visitatori sono i veri protagonisti.

Andando verso il Porto Vecchio, all’inizio del molo Margherita, allestita a filo del mare, troviamo Nancy Floyd con il progetto Weathering Time, tra i partecipanti del PHmuseum  Photography Grant 2021.

Sulle pareti del Porto Vecchio campeggiano invece le fotografie di Mustafa Sabbagh con il progetto Corpus Fugit, realizzato in residenza artistica a fine luglio su commissione di PhEST e dedicato agli adolescenti.

Uscendo dall’antica porta del Porto Vecchio, svoltando a sinistra, si incrocia Via Comes, dove ritorna la selezione del meglio di PhEST Pop Up Open Call, che incontreremo di nuovo anche su via Garibaldi, con l’allestimento sospeso tra i balconi delle case.

Da via Comes, svoltando a sinistra su via San Pietro, incontriamo la chiesa sconsacrata di SS Pietro e Paolo che accoglie il progetto Maybe di Phillip Toledano. Usciti dalla chiesa, affacciandosi su Largo Palmieri, incontriamo l’allestimento a cura del nostro partner Kublaiklan per Fontanesi.

E finalmente si arriva alla sede eletta di PhEST, l’antico Palazzo Palmieri, perla tardo barocca della città, che espone ben 14 mostre, esposte nell’androne del palazzo, al primo piano e al piano nobile.

Gli artisti esposti in questa sede sono Mustafa Sabbagh con una personale intitolata Onore al nero, Mario Cresci con un estratto del progetto Ritratti reali, l’artista Eliška Sky con Womaneroes, David Vintiner & Gem Fletcher con I Want to Believe, e ancora la cinese Yufan Lu con Make Me Beautiful, Milan Gies con State of Identity, la mostra robotica di Roberto Pugliese Equilibrium Variant e la collezione di video in 3D Uncanny di Esteban Diácono. L’androne del palazzo, sospeso tra gli archi dei due piani, ospiterà l’Alfabeto poetico monumentale di Tomaso Binga, oltre che un originale allestimento sopra a un tavolo da pranzo del progetto di Piero Percoco per Tormaresca. Al primo piano, i risultati dell’open call #ReunionCalling e i 2 vincitori, uno internazionale e uno pugliese, della call internazionale PhEST Pop-Up Open Call.

Anche per questa edizione il festival allestirà in piazzetta Garibaldi, all’Info point turistico del Comune di Monopoli - Sala dei pescatori, un corner PhEST per la distribuzione dei percorsi per le mostre e la vendita di gadget PhEST.

Se avete paura di perdervi, non vi preoccupate. In giro per la città non mancherà la segnaletica stradale, orizzontale e verticale, con il giallo PhEST che indicherà ai visitatori la direzione da seguire per non perdere nessuna delle mostre, indicando anche la giusta distanza da mantenere per godere al meglio della loro visione oltre che fruirne in sicurezza rispettando la normativa anti-Covid19.

Ultima tappa del viaggio, che richiede un piccolo sforzo in più con una passeggiata di circa 10 minuti, la nuova location Ex Deposito dei Carburanti, che ospiterà al suo interno, nel grande capannone che copre un’area di circa 400mq, una mostra che racconta 5 anni di PhEST, ovvero lavori di artisti protagonisti delle passate edizioni, presentati al pubblico con una installazione a sospensione. Mentre sulle facciate esterne, METAMOR, lo spettacolare intervento di street art di ERON e Danijel Žeželj, in residenza d’artista per questa sesta edizione, a cura di Giorgio de Mitri.

Da non perdere, nelle giornate inaugurali le visite guidate con gli artisti, con distanziamento, che saranno seguite da 5 artisti che hanno garantito la loro presenza, e ancora letture portfolio gratuite, talk e tavole rotonde, videoproiezioni, laboratori, workshop ed eventi speciali da mattina a sera.

Per chi volesse approfondire la conoscenza degli autori e dei loro lavori, PhEST ha inserito sui pannelli di presentazione di ciascuna mostra un QR code con contenuti extra in grado di raccontare le mostre ai visitatori.

Il Progetto PhEST – festival internazionale di fotografia e arte a Monopoli – VI Edizione è realizzato dall’associazione culturale PhEST, nell’ambito del “FSC 14-20: PATTO PER LA PUGLIA. INTERVENTI PER LA TUTELA E VALORIZZAZIONE DEI BENI CULTURALI E PER LA PROMOZIONE DEL PATRIMONIO IMMATERIALE. CUSTODIAMO LA CULTURA IN PUGLIA 2021 - Misure di sviluppo per lo spettacolo e le attività culturali”. Anche quest’anno il Festival ha ricevuto il sostegno del Comune di Monopoli e il patrocinio di numerosi soggetti istituzionali, a partire da PugliaPromozione, Fondazione Apulia Film Commission, Autorità di Sistema Portuale del Mare Adriatico Meridionale e Politecnico di Bari. E ci sono poi gli sponsor privati: Tormaresca, Volkswagen Zentrum Bari; Torre Coccaro, Acqua Orsini, Hevo, BCC Alberobello; le partnership culturali di LensCulture, GUP, Fondazione De Mitri, Sartoria, PHMuseum, Leica Akademie Italy, FIAF, Circulation(s), Il fotografo, Mneo, Camera service, PLD Artech; la media partnership di Sky Arte HD. I partner di PhEST sono anche: ASP Romanelli Palmieri, Palazzo Fizzarotti – Fondazione HEART, Associazione Minimum, Polo liceale di Monopoli, Istituto Compensivo Melvin Jones - Orazio Comes, Kublaiklan, SOUxOstuni – Officine Tamborrino, Associazione OTM, Dirockato, Kambusa, Gozzovigliando. Sponsor tecnici: Pubblicità & Stampa, Santa Maria 24, Torre Cintola, EPC Srl.

Le dichiarazioni in conferenza stampa e l’annuncio di una 31esima mostra.

È stata presentata nella mattinata del 02 agosto, nel padiglione 152 della Fiera del Levante a Bari la sesta edizione di PhEST - See Beyond the Sea, festival internazionale di fotografia e arte che è ormai uno degli appuntamenti fissi e più importanti dell’estate pugliese. Tema centrale di questa sesta edizione, proposta dal direttore artistico Giovanni Troilo e dalla curatrice fotografica Arianna Rinaldo, è Il corpo letto con una serie di diverse declinazioni, per una trentina di mostre di artisti internazionali, che consentiranno al pubblico di stupirsi, interrogarsi e riflettere. Quella del 2021, che si inaugura il 6 agosto alle 20, è una edizione che si presenta ancora una volta fuori dagli schemi e con lo sguardo rivolto non solo a Monopoli, alla Puglia e al Mediterraneo ma a tutto il Mondo, per consentire a tutti i visitatori di approcciarsi al bello, alla creatività, alla fotografia, all’arte e ai colori, andando oltre le difficoltà del momento storico che stiamo attraversando.

L’intera programmazione, gli artisti e gli eventi di questa edizione sono stati presentati in conferenza stampa, svelando anche l’arrivo di una 31esima mostra appena chiusa. Si tratta di Paolo Cirio con il lavoro Capture che denuncia i potenziali usi e abusi derivanti dall’utilizzo delle tecnologie di intelligenza artificiale legate al riconoscimento facciale. La Rinaldo ha annunciato anche i vincitori della #PopUpOpenCall: per la categoria internazionale Dongwook Lee, per la categoria puglia Claudia Amatruda. Menzione speciale invece per Nuvola nome d’arte di Valeria Gentile, illustratrice monopolitana.

Le dichiarazioni in conferenza stampa:
Presidente della Regione Puglia, Michele Emiliano: «PhEST a Monopoli ha raggiunto livelli straordinari, con eventi in programma veramente magnifici. Il tema di questa edizione è il legame tra il corpo e la vita di ciascuno di noi, stigmatizzato dalla situazione di pandemia nella quale ci troviamo, ma non solo. C’è un’infinita serie di situazioni di disabilità, di lontananza, di difficoltà nella vita fisica, che sconnettono il corpo dalla mente e dall’anima. Questa manifestazione che durerà mesi, restituisce alla Puglia il ruolo di ospite di una grande iniziativa. PhEST è un importante tentativo di coniugare l’arte figurativa, in tutte le sue espressioni, con la vita reale delle persone. Una grande contaminazione che ci affascina».

Massimo Bray, assessore regionale alla Cultura, Tutela e sviluppo delle imprese culturali, Turismo, Sviluppo e Impresa turistica: «Phest in un lasso di tempo così breve è passato dalla prima edizione ad essere già una realtà di rilievo europeo. Sorprendente risultato se teniamo in conto anche tutte quelle che sono state le difficoltà affrontate nell’ultimo anno e mezzo - ha commentato Massimo Bray, Assessore alla Cultura e Turismo della Regione Puglia - Reputo che il lavoro del direttore artistico Giovanni Troilo, della curatrice Arianna Rinaldo, sommato a quello di tutti gli operatori coinvolti, rappresenti il perfetto esempio di quanto la creatività ed il gusto per l’estetica siano scintilla per le ricadute positive sui settori del turismo e della cultura. Accomunare una mostra diffusa e di alto pregio intellettuale ad una scenografia incantata come quella della splendida città di Monopoli, sono convinto che sia una eccellente combinazione per una valorizzazione fondata sulla qualità del nostro territorio. Un modello, quello di Phest, che meriterebbe di essere esportato e mutuato anche in altre località. A mio parere il tema “Corpo”, scelto per questa quinta annualità, è stato sviluppato da tutti gli artisti toccando le corde della sensibilità per un’umanità ferita alla ricerca di un senso di appartenenza identitario quanto collettivo. Infine tengo a sottolineare quanto sia lodevole la scelta di utilizzare più linguaggi stilistici, codici e mezzi, in un continuo rimando fra artista e fruitore, fra digitale e analogico, via da sempre percorsa da Phest».

Angelo Annese, Sindaco di Monopoli: «Phest quest’anno guarda al Mediterraneo partendo da Monopoli con la città al centro di un evento culturale che va oltre i suoi confini. Come ogni anno siamo pronti ad ospitare questa manifestazione che grande successo ha riscosso negli anni precedenti, riuscendo ad attrarre visitatori da ogni parte d’Italia e non solo. È uno dei pochi casi in cui non è il visitatore a raggiungere il museo ma il contrario, in una location naturale che da sempre affascina. Il Comune di Monopoli ci crede e Phest è ormai una realtà consolidata negli appuntamenti estivi ed autunnali della città», afferma il Sindaco di Monopoli Angelo Annese.

Cristian Iaia, assessore al Turismo del Comune di Monopoli: «Phest è un evento lungo due stagioni: parte a metà estate e prosegue fino a autunno inoltrato, consentendo alla Città di Monopoli non solo di intercettare quel flusso turistico già presente in estate durante il mese di agosto ma anche di attrarre visitatori nei mesi successivi. È un evento dal forte respiro internazionale che eleva l’offerta turistico-culturale della città e che porta a scoprire Monopoli in ogni angolo, anche il più nascosto», afferma l’Assessore al Turismo Cristian Iaia.

Rosanna Perricci, assessore alla Cultura del Comune di Monopoli: «In un’estate in cui Monopoli ha investito molto in cultura, Phest rappresenta la ciliegina sulla torta. È un evento ormai consolidato che è punto di riferimento culturale e artistico dell’estate pugliese intesa a 360 gradi. Ben trenta mostre dedicate al tempa de “Il corpo” tra le quali mi piace ricordare quella dell’artista italo palestinese Mustafa Sabbagh, uno dei cento fotografi più influenti al mondo"e l'unico italiano fra i quaranta ritrattisti di nudo più importanti a livello internazionale. Nel progetto, infine, sono coinvolti ben quaranta adolescenti, rappresentando un bel momento di aggregazione e partecipazione giovanile», afferma l’Assessore alla Cultura Rosanna Perricci.

Giovanni Troilo, direttore artistico di PhEST – Festival internazionale di fotografia e arte: «Il tema del corpo, immaginato qualche anno fa per questa edizione, si è rivelato particolarmente attuale - spiega il direttore artistico Giovanni Troilo - La migrazione dei corpi verso il mondo immateriale della rete, accelerata dalla pandemia, ha rivelato la estrema fragilità del corpo ma anche la sua necessarietà. Uomo e corpo di nuovo insieme, inesorabilmente. Il mio corpo, spietata topia, ripeterebbe Foucault. Trappola, condanna, ma sempre punto di partenza per ogni esplorazione, per ogni utopia».

Arianna Rinaldo, curatrice fotografica di PhEST – Festival internazionale di fotografia e arte: «Avere a PhEST la partecipazione di tanti artisti è importante. Per questo sono nate le nostre social open call che raggiugono migliaia di partecipanti da tutto il mondo. Quest’anno la prima lanciata è stata #reunioncalling ispirata al racconto di Mario Cresci (in mostra con Ritratti Reali) sulle famiglie migranti che componevano le foto di famiglia con collage di foto diverse».

Cinzia Negherbon, project manager di PhEST – Festival internazionale di fotografia e arte, motore del PhEST, che ha raccontato il programma delle giornate inaugurali e ringraziato tutti i partner che ogni anno continuano a sostenere e a credere in PhEST e a lavorare per rendere ogni edizione sempre più bella e speciale.

 

 

Ancora una mostra di eccellenze italiane, proposte dal gallerista foggiano Giuseppe Benvenuto. Presso la Contemporanea Galleria d’Arte, in Via Nicolò Piccinni, 226, a Bari, da sabato 18 settembre, in mostra 25 capolavori del maestro Ugo Nespolo.

All’inaugurazione sarà presentato il recente libro di Ugo Nespolo Per non morire d’arte” (Giulio Einaudi Editore); interverranno Raffaele Piemontese – Vice Presidente Regione Puglia, Rosa Barone - Assessore al Welfare, Politiche di benessere sociale e pari opportunità, Programmazione sociale ed integrazione socio-sanitaria, Francesca Pietroforte – Consigliera Città Metropolitana di Bari con Delega alla Cultura, Ines Pierucci – Assessore alle Politiche Culturali e Turistiche di Bari, Giancarlo Chielli – Direttore Accademia delle Belle Arti di Bari, Pietro Di Terlizzi - Direttore Accademia delle Belle Arti di Foggia, Gianfranco Terzo – Critico d’Arte, Moderatore: Avv. Michele Vaira.

La mostra accoglie circa 25 opere, che attestano la ricchezza e la versatilità della produzione dell’artista, la galleria offre al pubblico pugliese la possibilità di avvicinare l’opera di Ugo Nespolo, artista tra i più interessanti ed affermati a livello internazionale.

La ricerca del Maestro piemontese si muove sul terreno del dialogo, attraverso un confronto con la tradizione artistica e con l’universo iconografico della “civiltà dei consumi”. La sua opera, caratterizzata da cromatismi accesi e dalla scomposizione e ricomposizione delle immagini, appare come visione gioiosa e vitale di una contemporaneità, la cui bellezza è ravvisabile tanto nella realtà museale più blasonata quanto nelle vetrine delle nostre metropoli o nei protagonisti simbolici di questi tempi: i numeri.

Nespolo porta avanti la convinzione che l’arte debba immergersi completamente nella vita; ed è per questo che oltre ad essere pittore, scultore, scenografo e regista di corti d’autore, nella sua poliedrica produzione lo vediamo spaziare in diversi ambiti della realtà fino a sconfinare nel terreno del design e della pubblicità: note sono le sue collaborazioni con i marchi Campari, Toyota, RAI e Azzurra per l’America’s Cup. Ugo Nespolo nasce a Mosso (BI), si diploma all’Accademia Albertina di Belle Arti a Torino e si Laurea in Lettere Moderne. Nei tardi Anni Sessanta fa parte della Galleria Schwarz di Milano che conta tra i suoi artisti Duchamp, Picabia, Schwitters, Arman. La sua prima mostra milanese, presentata da Pierre Restany, dal titolo “Macchine e Oggetti Condizionali” – in qualche modo – rappresenta il clima e le innovazioni del gruppo che Germano Celant chiamerà “Arte Povera”. Negli Anni Sessanta si trasferisce a New York dove si lascia travolgere dalla vita cosmopolita della metropoli e subisce il fascino della nascente Pop Art, mentre negli Anni Settanta milita negli ambienti concettuali e poveristi. Nel 1967 è pioniere del Cinema Sperimentale Italiano a seguito dell’incontro con Jonas Mekas, P. Adams Sitney, Andy Warhol, Yōko Ono, sulla scia del New American Cinema. Assieme a Mario Schifano Nespolo si dedica al Cinema d’Avanguardia e tra il 1967 e 1968 realizza numerosi film che hanno come protagonisti gli amici e colleghi Enrico Baj, Michelangelo Pistoletto e Lucio Fontana. A Parigi Man Ray gli dona un testo per un film che Nespolo realizzerà col titolo “Revolving Doors”. I suoi film sono stati proiettati e discussi in importanti musei, tra i quali il Centre Pompidou a Parigi, la Tate Modern a Londra, la Biennale di Venezia. Assieme a Enrico Baj Nespolo fonda L’Istituto Patafisico Ticinese ed è, ad oggi, riconosciuto come una delle più alte autorità nel campo. Nei tardi Anni Sessanta con Ben Vautier dà il via ad una serie di Concerti Fluxus, tra questi il primo concerto italiano dal titolo “Les Mots et les Choses”. Nonostante le contaminazioni americane non dimentica gli insegnamenti delle Avanguardie europee; è infatti molto marcata l’influenza di Fortunato Depero dal quale Nespolo trae il concetto di un’arte ludica che pervade ogni aspetto della vita quotidiana. Il concetto di arte e vita (che è anche il titolo di un libro pubblicato dall’artista nel 1998) sta alla base dell’espressività di Nespolo ed è eredità del Movimento Futurista: “Manifesto per la Ricostruzione Futurista dell’Universo” (1915). Da qui anche il suo interesse per il design, l’arte applicata e la sperimentazione creativa in disparati ambiti quali la grafica pubblicitaria, l’illustrazione, l’abbigliamento, scenografie e costumi di opere liriche. La sua ricerca spazia anche da punto di vista dei materiali. Lavora su molteplici supporti e con tecniche differenti: legno, metallo, vetro, ceramica, stoffa, alabastro. Sicuro che la figura dell’artista non possa non essere quella di un intellettuale, studia e scrive con assiduità dei fatti e delle discipline che han da fare con l’estetica ed il sistema dell’arte. Nel gennaio 2019 l’Università degli Studi di Torino gli conferisce la Laurea Honoris Causa in Filosofia. La sua arte è, quindi, strettamente legata al vivere quotidiano e carica di apporti concettuali: “non si può fare arte senza riflettere sull’arte”. L’oggetto è al centro delle sue ricerche, è mezzo espressivo, linguaggio creativo; viene estrapolato dal suo uso comune ed acquista valore di opera d’arte. Allo stesso modo non dimentica il passato, lo rivisita, lo reinterpreta, lo rende attuale attraverso la citazione e la rievocazione, dandogli nuova vita, rendendolo spunto di riflessione.

La mostra sarà visitabile dal lunedì a venerdì dalle 15,30 alle 20,30 | sabato e domenica - matt: dalle 10,30 alle 13,00 - pom: dalle 15,30 alle 20,30.

 

Il Complesso Museale Santa Maria della Scala ospita dal 20 luglio al 20 ottobre 2021 la mostra DI SEGNI E DI SOGNI di Lorenzo Marini.

Non si tratta di una mostra tradizionale ma di un viaggio itinerante tra cinque installazioni, l’ultima delle quali nella Piazza del Campo.

Il progetto ha come tema centrale l’interpretazione creativa delle lettere liberate, nelle loro più disparate dimensioni linguistiche.

Dopo l’importante mostra tenuta a Venezia presso la Fondazione Bevilacqua La Masa, gli inediti al Gaggenau hub di Milano e la personale ancora in corso a Los Angeles presso l’Istituto Italiano di Cultura, Siena ospita una mostra che celebra il percorso artistico del creatore della corrente “TypeArt”, liberando definitivamente le lettere.

“Siena è una città unica al mondo, una cornice culturale dove l’importanza della tradizione viene celebrata per contrasto da un linguaggio così innovativo e sperimentale. Per me le lettere sono nate libere e come gli uomini sono creature sociali ma anche individuali. È tempo di celebrare la bellezza della geometria che le compone e lasciare il gregge della tipologia alfabetica. Non sono necessarie solo per leggere o per scrivere, ma anche per alimentare la fantasia”. Così commenta Lorenzo Marini il suo legame con Siena e l’importanza di questa mostra.

Il curatore Luca Beatrice scrive: "L’unione delle lettere forma parole, dunque significati che mutano a seconda dell’idioma. All’origine però sono segni, immagini. Su questo concetto apparentemente semplice, eppure fondativo nella storia dei linguaggi lavora Lorenzo Marini. Utilizzare gli elementi prima della comunicazione e trasformarli in fantasmagoria visiva attraverso associazioni cromatiche indotto. Nell’arte di Marini siamo noi a scegliere, a entrare nel meccanismo tentando in qualche modo di ricomporlo e di dare senso a un’esperienza. Elegante, divertente, esplosiva, riflessiva, la sua poetica ridisegna e ridipinge i confini dell’universo, ponendo l’attenzione sulle regole del comunicare, dove lo sforzo è superarle alla ricerca di nuovi alfabeti, misteriosi e infantili, concettuali e ludici”.

La mostra si compone di cinque “momenti”, tra cui una personale nella sala San Pio con 22 opere mixed media on canvas, che comprendono le ricerche iniziali sul type e sugli alfabeti. Le altre cinque installazioni rappresentano storie visive dell’ alfabeto ricreato.

Dalla installazione di acciaio specchiato “MirrorType” nella Cappella del Manto, al monolite che si accende e si spegne dopo secoli di silenzio nella sala Sant'Ansano.

Dalla rappresentazione della tastiera QWERTY portata a una dimensione cento volte maggiore, alla pioggia di seimila lettere sospese tra le volte della sala San Galgano. Tutte le installazioni immersive comprendono una colonna sonora appositamente creata da Mariella Nava, una tra le più sensibili autrici di musica italiana.

Oltre agli spazi museali di Santa Maria della Scala l’artista ha voluto omaggiare Piazza del Campo attraverso un alfabeto scomposto fatto di 35 type circolari attraversabile e percorribile, un'opera che si completa per mezzo del pubblico attivo e non solamente spettatore.

DIVIDERE L’ATOMO LINGUISTICO: LORENZO MARINI E LA LIBERAZIONE DELLE LETTERE

PETER FRANK

Nel 1912, Filippo Tommaso Marinetti produsse il “Manifesto tecnico della letteratura futurista”, dichiarando ufficialmente il suo movimento futurista come un fenomeno applicabile a qualcosa di più della semplice arte visiva. Nel Manifesto, Marinetti proponeva la libertà delle parole dai loro ormeggi sintattici, lasciando libere le loro particolari caratteristiche grafiche e sonore dalla “tirannia” del linguaggio quotidiano.

La lingua non sarebbe mai più stata la stessa.

La scrittura e la stampa pittografica risale a migliaia di anni fa e ogni progresso nelle tecnologie alfabetiche provoca un’espansione dell’intermedia visuale- verbale. Ma la proposta futurista di liberare le parole era un impulso preventivo e pro attivo per rimodellare il nostro concetto di linguaggio scritto, per consentirgli di esplodere nell’elaborazione grafica anche se tradiva le origini universali della parola scritta nella scrittura pittorica.

A un secolo dalla dichiarazione di Marinetti, il nostro mondo rimane invischiato in una concezione futurista della scrittura. Il nostro graphic design, la nostra tecnologia informatica e la totalità del nostro mondo visivo ci mettono a disposizione una sovrabbondanza di design di testi ed effetti testuali. Ma se la parola è stata liberata, la lettera no. La proposta del futurismo secondo cui la parola liberata sarebbe diventata più intrinsecamente dinamica ed espressiva non è realmente filtrata fino alla prossima granularità. Lorenzo Marini propone che la lettera possa essere liberata come la parola che la contiene - anzi, che la lettera possa essere intrinsecamente dinamica ed espressiva, indipendentemente dal fatto che una parola la contenga o meno. Ecco: il trattamento tipico della lettera da parte di Marini rappresenta le lettere in libertà.

Una lettera, propone Marini, ha una personalità propria separata dal carattere della parola, così come la parola ha una personalità separata dalla frase. Questi elementi costitutivi all’interno degli elementi costitutivi del linguaggio scritto ricapitolano la struttura atomica dell’universo. Una frase è una molecola, i suoi atomi sono le parole e le parole stesse, costruite dalle lettere, possiamo considerarle le particelle subatomiche. Marini non ha liberato le lettere dalla scienza del linguaggio, ma dal loro ruolo servile nella versione normativa di questa scienza.

La Type Art di Marini considera quindi le lettere come qualcosa di più - più integrale, più autoreferenziale - dei componenti di un sistema dominante. Il sistema è fisso nel design ma non nella struttura: se Marini libera le lettere al suo interno, queste non sfuggono al sistema ma lo valorizzano. Lo scrittore Marinetti cercava di far evolvere la scrittura, non di distruggerla; e Marini sta cercando di far evolvere l’immaginario notazionale fuori e, di nuovo, dentro la scrittura.Tale pensiero incorpora la nozione di calligrafia ma incorpora anche molti altri approcci alla scrittura visiva - poesia concreta, calligramma di Apollinaire, notazione della performance, collage drammatico di caratteri tipografici persino paralleli sonori.Tutti questi fenomeni scritti e quasi scritti, vecchi e nuovi, portano al compito della liberazione del loro potere e della loro integrità, e Marini ha distillato le loro essenze in una procedura chiara: lasciate che la lettera parli da sola, e parlerà più forte e meglio dell’intera parola, frase, poesia ...

INFORMAZIONI
Complesso museale Santa Maria della Scala - piazza del Duomo, 1 - 53100 Siena
CALL CENTER 0577 286300 (dal lunedì al venerdì ore 8.30 -17.00)
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"Semi di cielo è una sorta di mosaico le cui tessere che lo definiscono sono questi 300 frammenti che portano nella loro bicromia fatta di bianco e di blu i semi di speranza per una nuova umanità".

Stasera, martedì 20 luglio alle ore 20:30, all'Art Restaurant La Rotonda di Mattinata s'inaugura la mostra "Semi di Cielo - frammenti di umanità" dell'artista Maddalena Gatta.

Presenta Gianfranco Piemontese, storico dell'arte, coordina Franco Salcuni, direttore della Green Cave di FestambienteSud.

L'inaugurazione sarà accompagnata da un'apericena.

La Mostra si inserisce nel programma di mostre estive Sguardi in Tour, esposizioni itineranti di artisti tra la Green Cave a Monte Sant'Angelo e l'Art Restaurant La Rotonda di Mattinata. Le opere saranno pertanto per metà a Monte Sant'Angelo e per l'altra metà a Mattinata.

Di seguito al presentazione della mostra curata da Gianfranco Piemontese

Semi di cielo

Frammenti di Umanità

La mostra che andiamo a presentare è molto particolare. Perché questa sera qui a Mattinata ed in contemporanea a Monte Sant’Angelo, non ci troveremo davanti ad un dipinto ma troveremo centinaia anzi per l’esattezza 300 frammenti che concorrono a definire un quadro, un’opera di Maddalena Gatta. Una precisazione questa, non solo numerica ma anche di significato, quella di Maddalena Gatta è una opera concettuale composta da 150 frammenti esposti qui al Mare e 150 alla Montagna. Semi di cielo è una sorta di mosaico le cui tessere che lo definiscono sono questi 300 frammenti che portano nella loro bicromia fatta di bianco e di blu i semi di speranza per una nuova umanità.

Un tempo ormai lontano se io avessi detto “umanità nova” qualcuno avrebbe subito colto il riferimento al pensiero anarchico e libertario di una nuova e libera umanità. Ecco oggi l’opera di Maddalena Gatta ci ripropone sotto forma di colore e di materico quella stessa aspirazione che gli anarchici italiani del XX secolo avevano scelto per il loro giornale nazionale.

Ma proviamo a ripartire dal titolo: “Semi di Cielo” e da quello che l’autrice ha scritto in proposito, brevi righi ma di intenso valore per la lettura di quest’opera che provocherà sicuramente in ognuno di voi diverse e differenti reazioni. E’ questa una: ”Opera aperta, in continua espansione costituita da un numero indefinito di frammenti.” Maddalena così scrive nella sua presentazione, una introduzione per comunicarci che ognuno di questi semi è già un pensiero che si moltiplicherà. Un seme d’amore, così lo definisce l’artista, di tipo concettuale e non fisico, concretezza che si manifesta nel suo essere dipinto con malta acrilica su 300 tavolette di legno. Semi che vogliono stimolare i fruitori affinché s’approccino a “piantare e far germogliare nel terreno dell’animo umano per farlo divenire un Pensiero d’amore”. Ogni frammento ha una sua specificità, un suo momento, immaginiamoli in un moto perpetuo muoversi.

Semi come momento di riflessioni in continua trasformazione ed evoluzione. Un tema quello trattato  in quest’opera che poi non si distacca da altre precedenti esperienze artistiche di Maddalena Gatta, penso al ciclo di lavori che hanno avuto come tema la Dea Madre, ovvero la progenitrice dell’umanità stessa. Perché questi semi possiamo sentirli come un medium che ci faccia avere una visione più universale del senso di creazione, non solo umana, ma anche di tutto quanto ci circonda. L’opera mi ha fatto pensare ad una interpretazione contemporanea di quel dipinto di Gustave Courbet che nella giusta e cruda visione realistica chiamò L’Origine del mondo. Mai titolo fu più appropriato. Ma attenzione, sicuramente in questi frammenti potremmo intravvedere e/o riconoscere la vulva materna da cui tutti noi siamo usciti. Non fermiamoci ad una unica e diretta interpretazione: il blu è l’acqua, è il cielo; il bianco è la Luce, è la umana semenza. Al termine della vostra visita saranno sicuramente molteplici le sensazioni ed i significati che ognuno riscontrerà. E così come avviene nella Natura, i semi, a volte attecchiscono altre volte no, così avviene nella mente umana. Perché l’idea cardine di Maddalena Gatta è quella di far circolare questi semi tra le persone. Creare una rete nel mondo che contribuisca ad elevare il senso di Umanità.

Il cielo come terreno dove seminare, il cielo che copre tutta l’umanità, e qui non posso fare a meno di citare una strofa di una canzone : “ il cielo non appartiene a nessuno” la cantava Dalida. La volta celeste che ci copre diventa la casa comune dell’umanità, senza distinzioni di etnie e di confini fisici. Ecco spiegato il titolo: Semi di cielo dell’opera. I semi in natura viaggiano liberi, a volte trasportati dal vento a volte attraverso gli uccelli, ritrovandoli nei punti più lontani e imprevedibili della nostra terra.

Questi semi che vedrete stasera qui, sono in attesa di essere presi e portati fuori da uno spazio per entrare in circolo, arrivare nelle vostre case e da qui ripartire per continuare a girare. Da un seme arriva il nostro nutrimento più antico: il pane. Il chicco di grano ci conferma come si possa raggiungere qualsiasi luogo della terra per sfamare la fame umana, i semi di cielo, semi d’amore facciamoli viaggiare affinché germogli nell’animo delle persone quell’umanità che spesso oggi vediamo calpestata, così da divenire nutrimento della mente umana.

Con quest’opera oggi Maddalena Gatta, come una novella Ulisse dantesca, è come ci invitasse a quella ricerca della conoscenza che poi è stata alla base del nostro più importante momento artistico letterario: il Rinascimento. Il sommo poeta ha magistralmente definito nei versi del XXVI canto dell’Inferno l’idea di un ricercare per conoscere perché anche attraverso la conoscenza si affermi una umanità nova: “Considerate la vostra semenza: fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e conoscenza”. Ecco questi semi di cielo sono una sorta di viatico per veicolare semi d’amore da far germogliare per una Umanità Nova.

Gianfranco PIEMONTESE

Da giovedì 15 luglio, al Museo Novecento è presente la mostra SOLO. Arturo Martini e Firenze, a cura di Lucia Mannini con Eva Francioli e Stefania Rispoli, allestita nelle sale al secondo piano del museo, aperta fino al 14 novembre 2021. 

L’esposizione si inserisce all’interno del ciclo Solo dedicato ai maggiori artisti del Novecento, pensato per raccontare aspetti peculiari e meno noti della vita e della pratica di grandi protagonisti nella pittura e scultura del secolo scorso. Dal 2018 il Museo Novecento ha dedicato progetti espositivi a Emilio Vedova, Piero Manzoni, Vincenzo Agnetti, Gino Severini, Fabio Mauri, Mirko e Medardo Rosso, il grande scultore che può essere considerato un precursore delle avanguardie del XX secolo. Concepite come veri e propri assoli, le mostre presentano di volta in volta un gruppo ristretto di opere, unito a documenti e apparati di vario genere, provenienti dalle collezioni civiche o da prestiti concessi da istituzioni e collezioni private. Il progetto Arturo Martini e Firenze è realizzato in concomitanza con la grande retrospettiva dedicata a Henry Moore, un altro gigante della scultura moderna e contemporanea

“Con questa nuova mostra dedicata ad Arturo Martini e al suo periodo fiorentino - commenta l’Assessore alla Cultura Tommaso Sacchi - il museo Novecento si conferma un’istituzione di primissimo piano nel panorama artistico novecentesco e contemporaneo, in un mix di collezioni permanenti ed esposizioni temporanee che ne denotano la continua volontà di evolversi progettando e curando nuove mostre, sia durante la pandemia che soprattutto adesso in questo momento di ripartenza generale dell’arte e della cultura”. 

“Il Museo Novecento con tutto il coraggio e la passione che sono richiesti in questa fase di ripartenza conferma il suo impegno nella valorizzazione della sua magnifica collezione, l’unica in città di questa importanza e consistenza” – dichiara Sergio Risaliti, Direttore del Museo Novecento. “E lo fa dedicando una mostra assai intelligente ad Arturo Martini tra i grandi maestri del Novecento europeo, artefice di una scultura moderna che ha saputo mantenere vivo il mistero dell’arte, senza mai distaccarsi dalla figura e da alcuni motivi poetici a lui cari come quelli dell’attesa, della contemplazione, della trascendenza. Siamo orgogliosi di questo lavoro di ricerca che ci ha impegnato negli ultimi due anni. Desidero ringraziare la curatrice Lucia Mannini che assieme a Eva Francioli e Stefania Rispoli è stata capace di costruire un percorso molto inedito. Ne sono testimonianza due opere. La prima, Ofelia, appartenuta al grande compositore fiorentino Castelnuovo Tedesco. La seconda, una terracotta giovanile scoperta e attribuita a Martini e di cui fino a pochi mesi fa non si era a conoscenza. Lo ripeto, il museo è un luogo di formazione e di ricerca che persegue una linea curatoriale non necessariamente spettacolare, spinto dalla necessità o urgenza di produrre conoscenza e nuova sensibilità”.  

La presenza di Arturo Martini a Firenze si ricostruisce sia attraverso la sua partecipazione a importanti esposizioni, sia perché è stato immediatamente oggetto di interesse da parte di collezionisti privati, come attesta la presenza di una serie di sue sculture conservate nel capoluogo toscano. Già nel 1922, Martini è tra i protagonisti della Fiorentina Primaverile, presentato da Alberto Savinio. Tornerà a Firenze nel 1931, anno del successo ottenuto alla Quadriennale di Roma cui segue pochi mesi dopo la doppia personale con il pittore Primo Conti nei locali della galleria Bellini, in Palazzo Spini Feroni, che suscitò ampia partecipazione e interesse a livello nazionale. A distanza di circa quarant’anni, un importante nucleo di opere del maestro approdò in città grazie al generoso lascito dell’ingegnere Alberto Della Ragione. Tra le 241 opere donate da questi alla Città di Firenze, all’indomani dell’alluvione del 1966, spiccano alcuni capolavori di Arturo Martini, come le grandi sculture La Pisana (1933 ca.), il Leone di Monterosso (1933-1935 ca.) e L’Attesa (1935 ca.), oltre a un nucleo di piccole terrecotte che indagano la figura femminile quali Le collegiali (1927 - 1931 ca.), La cinese (1931 - 1933 ca.) e il Nudino sdraiato (1932 ca.).  

Tra le collezioni private fiorentine, va indubbiamente ricordata quella all’interno della Villa Vittoria dei Contini Bonacossi, dove si trovava un altro significativo nucleo di sculture di Martini, tra le quali la Donna al sole, premiata alla Quadriennale di Roma del 1931. L’ingresso di opere di Martini nella raccolta dei Contini Bonacossi, resa nota attraverso le fotografie pubblicate su Domus nel 1933, rappresentava il naturale esito del sodalizio che aveva legato lo scultore con il poeta Roberto Papi, genero dei collezionisti, del quale Martini era stato ospite all’inizio del 1931, ma anche della mostra personale con Primo Conti, alla galleria Bellini in Palazzo Spini Feroni.  

Il legame tra Arturo Martini e Firenze si declina dunque nella presenza, e nel ritorno, di alcune sue opere fondamentali degli anni Trenta - un breve ma rilevante capitolo che attesta la dinamicità culturale della città in quel periodo - e infine anche nel rapporto con le fonti visive che i musei fiorentini avevano potuto offrirgli. La scelta di legare l’opera di Martini a Firenze e alla Toscana non è dunque dettata da una smania campanilista, ma dal proposito di offrire ai visitatori e agli studiosi l’opportunità di vedere opere di grande interesse - alcune delle quali recentemente “riscoperte” - e di riconsiderare alcuni aspetti del percorso biografico e artistico dello scultore che emergono attraverso legami speciali”, come spiega Lucia Mannini, curatrice della mostra.   

Il legame affettivo con Roberto Papi aveva portato Martini a stabilirsi per alcuni mesi a Firenze all’inizio del 1931, giungendo a ipotizzare di comprarvi un podere con il premio in denaro ottenuto con la vittoria alla Quadriennale. Vi rimarrà invece solo alcuni mesi, lasciandovi, nella villa che l’aveva ospitato una scultura in gesso ritenuta dispersa e che oggi, rintracciata, è presentata in mostra a introdurre quel momento cruciale all’inizio degli anni Trenta. Nel corso del 1931 Martini manteneva intensi contatti con Roberto Papi in vista della mostra personale, con Primo Conti, dell’anno successivo.  

L’ingresso di quattro opere nella raccolta che i Contini Bonacossi stavano allestendo a Villa Vittoria (come La moglie del marinaio, oggi in collezione privata, e L’ospitalità, concessa in prestito dal FAI) confermava l’interesse dei collezionisti per Martini. A seguito di quella mostra altre opere entrarono o in collezioni cittadine, come quella Valli (Testa di ragazza ebrea, concessa in prestito dalla Galleria Internazionale d’Arte Moderna di Cà Pesaro) e quella di Mario Castelnuovo Tedesco, musicista dalla cultura complessa e raffinata, autore di opere tratte dalla mitologia classica, dalla religione ebraica, dalla letteratura, come Machiavelli e Shakespeare. L’attenzione di Castelnuovo Tedesco era caduta su Ofelia, terracotta di toccante sensualità e tragicità. Nel 1939 Mario Castelnuovo Tedesco, ebreo, dovette lasciare l’Italia con la sua famiglia a causa delle leggi raziali, riuscendo però a salvare i propri beni. L’Ofelia, a lungo conservata negli Stati Uniti, rientra eccezionalmente oggi a Firenze, offrendo la straordinaria opportunità agli studiosi e agli appassionati di Arturo Martini di trovarsi davanti a un’opera non più visibile da molto tempo, consentendo anche di affrontare una riflessione sull’interesse di Mario Castelnuovo Tedesco per le arti visive contemporanee. 

Un rapporto di stima reciproca è quello che lega Martini al pittore Felice Carena, avviato già nel periodo trascorso da entrambi ad Anticoli Corrado e rinsaldato negli anni successivi, seppur a distanza. Ad attestarlo in mostra è la versione in bronzo, inedita, dell’Ulisse del 1935, regalata da Martini a Carena e a sua moglie Mariuccia Chiesa con ogni probabilità intorno alla metà degli anni Trenta, quando Carena, in risposta a un invito rivolto agli artisti italiani, riceveva dallo scultore una sua opera grafica destinata all’Accademia di Belle Arti di Firenze, di cui era direttore all’epoca.  Il percorso della mostra si chiude con il ritrovamento sul territorio di un’opera giovanile, l’Aratura, a conferma di quanto il collezionismo locale possa ancora offrire spunti allo studio dell’opera di Martini e come questo “assolo” del Museo Novecento possa configurarsi quale momento di ricerca.  

 “Mostra nella mostra”, a settembre è prevista l’apertura della sezione “Martini e Carrara” dedicata a quel rapporto speciale che Martini, come tanti altri scultori, intrattenne con le Apuane, dove dai tempi dell’antica Roma si estraeva il marmo statuario, preferito dagli artisti per la sua purezza e luminosità. Il rapporto di Martini con Carrara e con il marmo ha il carattere della scoperta e dell’avventura (vi era approdato alla metà del 1937 a seguito del contratto per il grande bassorilievo La Giustizia corporativa, destinato al Palazzo di Giustizia di Milano) e, in mostra, le forme elusive e misteriose della Donna che nuota sott’acqua, che fluttua sospesa, galleggiante nello spazio, su tre perni metallici ideati dall’architetto Carlo Scarpa per la presentazione dell’opera alla Biennale di Venezia del 1942.

Nata nello stesso frangente del monumento dedicato allo storico latino Tito Livio, l’opera in marmo era giunta alla rifinitura, quando Martini decideva di decapitarla, con un colpo netto e spietato, creando così il frammento e il sublime effetto dell’irraggiungibile compiutezza. L’eccezionale prestito concesso dalla Fondazione Cariverona vale a rappresentare la ricerca estrema condotta da Martini negli anni Quaranta, cui si affiancano documenti e dipinti come Le cave del marmo con il quale si ricorda quella profonda insoddisfazione che lo aveva indotto ad abbandonare temporaneamente la scultura per dedicarsi alla pittura.  

La mostra Arturo Martini e Firenze - in linea con una visione scientifica del museo inteso come laboratorio di ricerca e formazione - è frutto di una collaborazione tra il Museo Novecento e il Dipartimento SAGAS dell’Università degli Studi di Firenze. Nell’ambito del progetto Dall’Aula al Museo, avviato nel 2019 con il prof. Giorgio Bacci, due giovani studentesse del corso magistrale di Storia dell’arte contemporanea, Margherita Scheggi e Valentina Torrigiani, hanno lavorato insieme a Lucia Mannini e allo staff curatoriale del Museo alla organizzazione dell’esposizione. Con tale progetto si intende, infatti, avvicinare il settore della ricerca accademica a quello della formazione museale e della divulgazione al grande pubblico, offrendo al contempo un’occasione unica di approfondimento dei grandi maestri del Novecento italiano e di valorizzazione del nostro patrimonio. 

Informazioni 

Museo Novecento 

Piazza Santa Maria Novella 10 | Firenze 

e.mail: Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo." target="_blank">Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo. | Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo." target="_blank">segreteria.museonovecento@musefirenze.it 

www.museonovecento.it

Orari Museo Novecento (fino al 30 settembre)

Lunedì - domenica 11.00 - 21.00

Giovedì chiuso

Giunta alla sua quinta edizione, la mostra cinofila è organizzata dall’Enpa sezione di Torremaggiore

Il 9 luglio, a Torremaggiore, nel Piazzale Palma-Piacquaddio, saranno protagonisti i cani di razza, cani meticci e cuccioli. Una sfilata di prim’ordine con esemplari locali e nazionali.

Per ogni categoria ai primi tre classificati saranno consegnate delle coppe, per tutti gli altri un attestato di partecipazione.

La giuria sarà rappresentata dall’Assessore Ilenia Coppola, dalla senatrice Gisella Naturale e da una rappresentante della Polizia Locale Alessandra Di Cesare.

Per chiedere info o per le iscrizioni si potranno contattare i numeri WhatsApp Silvana 3381233008, Fontana 3804631820, Mariapia 3343433871 oppure ci si potrà rivolgere presso Animal Beauty Center e Fattoria Akira.

L’inizio della gara è previsto per le 19,30

A Centuripe, cittadina a metà strada tra Enna e Catania, domenica 3 luglio 2021, sarà  inaugurato, con la presenza dell’Assessore regionale dei beni culturali e dell’identità Siciliana Alberto Samonà, il primo centro espositivo con la mostra SEGNI. Da Cézanne a Picasso, da Kandinskij a Miró, i maestri del '900 europeo dialogano con le incisioni rupestri di Centuripe, a cura di Simona Bartolena, che illustra la straordinaria produzione grafica dei più importanti artisti del Novecento europeo.

Centuripe, dall’incredibile pianta a forma di stella, è arroccata su un sistema montuoso che si affaccia di fronte all’imponente mole dell'Etna. Il progetto del nuovo centro espositivo ha l’ambizione di diventare uno dei fiori all’occhiello della nuova politica culturale del paese, un luogo di produzione artistica per le prossime generazione, cosa inimmaginabile fino ad oggi. Lo spazio, storicamente uno dei più interessanti del territorio, è nel chiostro di un ex convento agostiniano, costruito nel Cinquecento, che nel corso dei secoli ha cambiato destinazione ed è stato anche, fino al 2000, sede dell’Antiquarium comunale.

"Sono molto orgoglioso - sostiene il Sindaco Salvatore La Spina - non solo per aver dotato il paese di un centro espositivo comunale ma anche per aver inaugurato lo spazio con una mostra che permette da un lato di poter ammirare le opere grafiche dei più importanti artisti moderni ma anche di valorizzare il nostro territorio. Un progetto che mette in rete tanti attori da ogni parte d’Italia con i nostri giovani di Centuripe, ed è stato reso possibile grazie al supporto di tante aziende del nostro territorio che hanno creduto in noi.  Mi auguro che questo sia solo l’inizio di una vera rinascita”.

L’idea di questa esposizione nasce non solo per inserire Centuripe nel circuito dei grandi centri espositivi siciliani, ma anche con l’idea di valorizzare il patrimonio culturale ereditato. La mostra ha come obiettivo quello di mettere in relazione i maestri del ‘900 con le importanti testimonianze storiche ed antropologiche del territorio, in particolare con il sito archeologico Riparo Cassataro, fino ad ora sconosciuto, che viene mostrato per la prima volta al mondo, e che custodisce le uniche testimonianze in Sicilia sud-orientale di pitture rupestri risalenti al periodo preistorico, fonte di ispirazione per molti artisti presenti alla mostra.  

Le opere esposte, 82 opere tutte originali (alcune molto rare, quando non uniche), propongono un percorso nell’opera dei Peintres-graveures (pittori-incisori) dalla fine dall’Ottocento al secondo dopoguerra, con l’intenzione di sottolineare il ruolo delle tecniche di stampa nell’evoluzione dei linguaggi, degli stili e delle modalità espressive dei movimenti avanguardistici europei del secolo scorso e dei loro esponenti. È una sorta di “riassunto” della storia dell’arte del primo Novecento europeo che inizia simbolicamente alla fine dell’Ottocento, con l’opera di personaggi chiave per gli sviluppi dell’arte nei decenni successivi – su tutti Paul Cézanne e Toulouse-Lautrec – per proseguire poi tra i vari movimenti d’avanguardia e i loro principali interpreti: da Picasso a Matisse, da Pechstein a Dix, da Kandinskij a Klee, da Miró a Giacometti, da Hartung a Dubuffet, da Vedova a Fontana. Una panoramica esaustiva della scena artistica europea di questo periodo storico, che testimonia, attraverso i fogli di alcuni autori del tempo, l’importanza della stampa d’arte come mezzo espressivo autonomo, uno strumento prezioso nella loro ricerca a cui affidare le sperimentazioni tecniche più ardite e importanti passaggi stilistici.

Gli artisti selezionati per la mostra non considerano la stampa come un semplice mezzo di riproduzione e diffusione di un’immagine ma come un’opera d’arte tout-court. Esiste una definizione, coniata da Ambroise Vollard, che ben identifica gli artisti del XX secolo che hanno prodotto stampe di invenzione e non di riproduzione: Peintres-graveures. E proprio di questo si tratta, di artisti che usano le tecniche di stampa con la medesima mentalità e la medesima intenzione con cui usano il pennello, la tavolozza, i colori a olio. La questione di “proseguire la ricerca oltre alla pittura” è un tema molto sentito dagli artisti che hanno frequentato le tecniche a stampa. Per Picasso, Rouault, Miró, Morandi o il gruppo degli artisti di Die Brücke, per citare solo i primi casi che vengono in mente, la realizzazione di opere a stampa costituisce un momento importante di sperimentazione creativa.

“In Italia, purtroppo, la stampa d’artista è ancora poco considerata dal grande pubblico” sottolinea la curatrice Simona Bartolena. “Vittima di pregiudizi senza fondamento, l’opera grafica è poco raccontata. Le collezioni di molti musei internazionali, ad esempio quella del Moma di New York, vantano una sezione di opere a stampa di migliaia di esemplari, in dialogo con la pittura, la scultura, la fotografia, l’editoria e il design. Questa esposizione offre una straordinaria opportunità di seguire l’esempio internazionale e considerare l’opera grafica come una parte importante, talvolta fondamentale, della ricerca dei maestri del Novecento. La preferenza di una tecnica sulle altre, la scelta di un metodo di stampa, l’approccio stesso alla matrice da incidere e alla carta da imprimere rivelano sfumature interessantissime della ricerca di un artista o del linguaggio di un movimento, offrendo un punto di vista diverso da quello, più noto, della pittura e della scultura. La mostra è quindi uno splendido “viaggio” nella storia dell’arte del Novecento attraverso i suoi protagonisti, ma anche un’occasione per scoprire le tecniche e i processi di stampa e le loro peculiarità. Curarla è stato entusiasmante. Spero lo sarò anche visitarla!”.

Per Centuripe, SEGNI acquisisce, inoltre, un significato speciale, offrendo un ulteriore spunto di riflessione. I massimi protagonisti delle Avanguardie storiche di inizio Novecento si sono ispirati all’arte africana e primitiva, dando vita al fenomeno del cosiddetto Primitivismo. Le pitture rupestri preistoriche del Riparo Cassataro, eccezionale sito scoperto nel 1976, creano un inedito confronto con alcune delle opere esposte, su tutte il celebre Toro di Picasso. La relazione strettissima tra la ricerca di un nuovo codice estetico e i linguaggi primigeni di civiltà diverse e distanti nello spazio e nel tempo, emerge con chiarezza, suggerendo nuovi percorsi di lettura e motivi di approfondimento.

All’interno del Riparo Cassataro, anfratto roccioso costituito dall’accatastamento di enormi blocchi di arenaria, si individuano due serie di pitture: una più evidente in ocra rossa e l’altra più sbiadita di colorazione nera. Quest’ultima, più visibile in foto all'infrarosso, rappresenta un bue con lunghe corna e una figura antropomorfa che abbraccia un tamburello ed è ritenuta la più antica, databile al neolitico sia per lo stile sia per i ritrovamenti ceramici nei pressi della rocca.

La scena in ocra rossa sembrerebbe appartenere a un periodo più tardo, con buona probabilità all’età del bronzo. Si individuano una serie di figure antropomorfe, da sinistra verso destra, con un grado di semplificazione e astrazione crescente. Le figure prima provviste di arti vengono poi semplicemente raffigurate come dei quadrati smussati muniti di testa all'interno. La curiosa forma sembra dovuta ad una stilizzazione di persone oranti o in festa con le braccia alzate. Le figure antropomorfe si distribuiscono attorno ad un grande disegno centrale che ne costituisce il fulcro, molto complesso che al momento non ha fornito elementi chiari di decifrazione. Potrebbe rappresentare una grande costruzione, forse una capanna/sacello oppure una figura importante come una divinità o una persona di rilievo della comunità. Il disegno ha alcuni tratti in comune con le figure stilizzate antropomorfe ma presenta una maggiore ricchezza e complessità dovuta anche ad una struttura a reticolo che potrebbe rappresentare le maglie di una veste.

Nel riparo si distingue una parte del basamento dove è evidente una numerosa serie di coppelle scavate di probabile utilizzo cultuale. Il Riparo Cassataro, custodito all’interno di una proprietà privata, sarà eccezionalmente visibile per la prima volta durante l’intera durata della mostra, previa prenotazione.

La mostra, patrocinata dall’Assessorato regionale dei beni culturali e dell'identità siciliana, dall’Assessorato regionale turismo Regione Sicilia e dal Comune di Centuripe, nasce da un progetto di Enrico Sesana, è prodotta da Vidi Cultural srl ed è realizzata grazie al contributo ed al patrocinio dell’Ars (Assemblea Regionale Siciliana), dalla sponsorizzazione di LuxEsco e di Barbera International, e dal supporto di Verzì Caffè e del Consorzio Utenza Acqua “Aragona”, e dal supporto tecnico di Crimi per l’edilizia.

Prima tappa alla Galleria Rossocinabro di Roma questo giugno, per “Here We Are”, mostra itinerante curata da Cristina Madini e Joe Hansen.

La mostra presenta opere di artisti internazionali, pittori, scultori, fotografi e videomaker. L'edizione di Roma partirà il 23 giugno.

"Here we are" si è evoluta attraverso un processo di selezione aperto e affronta diversi temi e idee come l'isolamento e la libertà durante il lockdown, l'identità femminile, il paesaggio naturale e gli edifici architettonici, il rapporto tra l’esistenza e la vita, le identità umane e una critica all'industria della moda.

Le opere qui esposte rappresentano un filo conduttore, una celebrazione della vita. Gli artisti selezionati sono sia emergenti che affermati nelle loro carriere.

Quando abbiamo iniziato a pensare di curare “Here We Are”, sapevamo di volerlo per celebrare un certo filone dell'arte contemporanea che abbiamo sempre amato e che non è sempre presente nelle mostre ufficiali.

È stato un privilegio straordinario riunire questa collezione di opere che ci hanno influenzato così tanto nel corso degli anni. Forniscono un ritratto dell'arte contemporanea, in tutte le sue sfumature, sia eccezionali che mondane, aspre e austere. È lo spirito di quelle opere – a volte irreali, idealistiche, a volte inaspettate, ma sempre veritiere – che ha guidato la nostra collezione di giugno”.

In mostra opere di: Daniel Agra, Ekaterina Aristova, Heike Baltruweit, Steve Bicknell, Marciana Biasiello, Oleg Bregman, Joy Caloc, Roderick Camilleri, Dénes Csasznyl, Marie-Pierre de Gottrau, Fanou Montel, Gabi Simon Artworks Concept, Hillbrand Juliet, Agnieszka Kopczyńska-Kardaś, Alexandra Kordas, Lize Krüger, Caroline Kusters, Linda Liao, Judith Minks, Susan Nalaboff Brilliant, Vera Nowottny, Roanne O'Donnell, Sal Ponce Enrile, Belle Roth, Olgu Sümengen Berker

Dopo Roma, dall'1 al 10 dicembre sarà il momento del debutto a Shanghai.

‘Here We Are’ è a cura di Cristina Madini e Joe Hansen per Rossocinabro

Roma, Via Raffaele Cadorna, 28
Curator Cristina Madini, Joe Hansen

 

A Pienza,città di luce, al Palazzo Piccolomini – Conservatorio San Carlo - Palazzo Borgia - Monticchiello - Museo del TEPOTRATOS, dal 19 giugno al  15 novembre 2021.

La Regione Toscana, il Comune di Pienza e la Società di Esecutori di Pie Disposizioni, con l’organizzazione di Opera Laboratori, presentano la mostra cinemaddosso i costumi di Annamode da Cinecittà a Hollywood a cura di Elisabetta Bruscolini. Una “mostra volante”, prodotta dal Museo Nazionale del Cinema e Annamode che mette in scena la magia del cinema raccontata da chi, da sempre, “fa” il cinema.

Cento costumi per quaranta film, un percorso dove ogni abito è esposto come un’opera d’arte e raccontato grazie a un allestimento fortemente immersivo, firmato da Maria Teresa Pizzetti, e interattivo, grazie alle produzioni video realizzate dallo Studio Convertino & Designers e curate da Massimo Mazzanti.

Nelle sale di Palazzo Piccolomini e del Conservatorio S. Carlo a Pienza e in quelle del Museo Tepotratos di Monticchiello scorrono 70 anni di un'avvincente storia imprenditoriale al femminile, dalla "Dolce Vita" ai giorni nostri, quella delle sorelle Anna e Teresa Allegri che, con i loro costumi e le loro invenzioni, hanno reso celebre in Italia e nel mondo la Sartoria Annamode.

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“Le opere realizzate da Annamode e presentate in questa suggestiva mostra possono essere considerate come un vero e proprio documento di cultura materiale - dice Eugenio Giani, Presidente della Regione Toscana - che, oltre a ripercorrere la storia del cinema, ci mostra e ci ricorda come lo stile italiano, frutto della nostra tradizione manifatturiera artigiana, sia sempre stato e sarà sempre unico nel mondo per la sua eleganza, esclusività, attenzione ai dettagli e qualità”.

“È la prima volta che a Pienza si realizza un'operazione di questo genere, cui non mancherà la risonanza e il successo meritato – afferma Manolo Garosi, Sindaco di Pienza – ; l’arte cinematografica, ma soprattutto le capacità di riproduzione artigianale dei realizzatori si incontrano nella Città Ideale creando un armonioso luogo di dialogo delle arti e vero e proprio ‘guardaroba’ di una bellezza che tocca la storia, il cinema in costume, quello neorealista e rievocativo, l’artigianato artistico e la creatività umana. La storia del Cinema è passata e ancora passerà per Pienza e Pienza riconosce al Cinema quella straordinaria funzione comunicativa probabilmente insuperabile”.

"Siamo particolarmente lieti di ospitare nelle stanze del Palazzo Piccolomini la mostra Cinemaddosso commenta Biagio Lo Monaco, Rettore della Società di Esecutori di Pie Disposizioni – che nella sua raffinata bellezza, dopo un periodo particolarmente difficile quale quello che abbiamo vissuto, rappresenta una promessa di felicità della quale tutti noi abbiamo estremo bisogno”.

“L’importante collezione di abiti autentici raccolti nei decenni da Anna e Teresa Allegri e i costumi più belli da loro realizzati - aggiunge Elisabetta Bruscolini, curatore della Mostra - costituiscono il patrimonio di una Fondazione che porta lo storico nome e che ha promosso assieme al Museo Nazionale del Cinema, questa mostra che approda ora a Pienza e a Monticchiello con un nuovo allestimento e una selezione di nuove “opere”, che si aggiungono a quelle esposte alla Mole Antonelliana a Torino. Così le creazioni delle sorelle Allegri e della nuova generazione di Annamode tornano nella loro Toscana, da cui tutto è partito. I meravigliosi costumi di scena esposti e i loro dettagli raccontano il talento, la creatività e la sapienza artigianale di un atelier che si è trasformato in impresa mantenendo inalterate la passione e la cura che hanno reso il Made in Italy famoso nel mondo”.

La mostra sarà aperta al pubblico dal 19 giugno al 15 novembre 2021 dalle ore 11 alle ore 18, con chiusura settimanale il martedì.

I luoghi della mostra

Palazzo Piccolomini – Pienza

GUERRIERI E PULZELLE

Il percorso inizia con uno dei soggetti più iconici del cinema, il guerriero nelle sue tante declinazioni, dal crociato ai protagonisti delle saghe nordiche, dai cavalieri di re Artù, fino a Giovanni dalle Bande Nere. Contributo video: oltre a una sequenza di film, special project con Francesco Gaudiello ne La vestizione del guerriero, regia di Lorenzo Caproni.

DAME E CAVALIERI Le dame borghesi mostrano la loro nuova condizione sociale e si accompagnano alla piccola nobiltà terriera e agli ufficiali che, tra un duello e l’altro, animano la vita mondana dei salotti e le serate a teatro.

Contributo video: oltre a una sequenza di film, special project con Anna Manuelli ne La vestizione della dama, regia di Lorenzo Caproni.

CORTIGIANI E PRINCIPESSE Il passato vive ancora a corte tra regine, principesse e nobildonne di tutte le età, cortigiane, favorite e favoriti, re, nobili e alti ufficiali.

Contributo video: oltre a una sequenza di film, special project con un’animazione tratta dal diorama teatrale Praesentation eines schönen Spasier Gang mit einer Fontaine (Un loggiato con fontana), disegno di Jeremias Wachsmuht, acquaforte colorata a mano, Martin Engelbrecht, Augsburg, prima metà XVIII sec.

ARTISTI, MUSE E MECENATI - L’epoca dei personaggi che popolano i libri di storia, degli artisti e dei loro committenti, delle nobili dame, al contempo modelle ispiratrici e finanziatrici della creatività del tempo, un sodalizio tra artisti muse e mecenati che durerà per molti secoli.

Contributo video: oltre a una sequenza di film, special project con animazione di ritratti rinascimentali.

Conservatorio San Carlo -Pienza

DONNE FATALI Dive, icone, donne misteriose e affascinanti, sfuggenti, pericolose, inafferrabili. Magnetiche e fasciate in abiti seducenti tempestati di pietre o realizzati con rasi lucidi e stoffe argentate, le donne fatali del cinema, i loro meravigliosi capi di abbigliamento e preziosi accessori stregano e ipnotizzano il mondo.

Contributo video: oltre a una sequenza di film, special project cinegrafica con l’attrice Sara Serraiocco. SIGNORE E SIGNORI - Il Novecento entra prepotentemente sulla scena. Il cambiamento è la parola d’ordine anche nella moda, le gonne si accorciano, il corpo non è più modellato dai busti e gli abiti, che si accostano alla figura femminile, sono realizzati con tessuti leggeri, a volte impalpabili, fioriscono gli atelier e nasce l’alta moda.

Contributo video: sequenza di film.

FELLINI E TOSI PER TOBY DAMMIT “Pierino, mi fai un vestito che si accende come un fiammifero?” Contributo video: sequenza dell’episodio.

Palazzo Borgia – Pienza

INFOPOINT

Cinemaddosso: il video

Museo del TEPOTRATOS - Monticchiello

STREGHE, VAMPIRI E ALTRI MUTANTI Siamo nella terra delle ombre, nel mondo di mezzo delle favole e delle leggende, dei racconti tramandati di padre in figlio e delle storie di autori fantasy.

Contributo video: oltre a una sequenza di film, special project con maschere della serie Luna nera, trattate in morphing.

Per info
www.operalaboratori.com

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