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Martedì 8 novembre 2022, alle ore 11:00, presso la Sala della Ruota di Palazzo Dogana di Foggia si terrà la presentazione della mostra “Pasolini icona POP”.

Organizzata dll’ARCI comitato provinciale di Foggia, la mostra, visitabile dal 12 novembre, è la prima ed unica documentale della Capitanata dedicata al Centenario Pasoliniano 1922-2022.

All’evento interverranno oltre ai curatori, i rappresentanti delle istituzioni civili e culturali della Provincia e della Città di Foggia.

Noi crediamo al ritorno dell’artista solitario, dell’uomo mistico e visionario.

INGRESSO LIBERO, senza prenotazione.

La mostra si svolgerà dal 10 al 30 novembre 2022, dal lunedì al sabato, dalle ore 11:00 alle 17:00.

A novembre, a Roma, Rossocinabro festeggia il suo tredicesimo compleanno con una collettiva dal titolo BE. Lo spazio, diretto da Cristina Madini è dalla sua nascita in prima linea per promuovere l’arte contemporanea internazionale, ospiterà per l’occasione una collettiva di artisti che con le loro opere rappresentano generazioni e correnti differenti. Rossocinabro non vuole essere rappresentativa di una tendenza, non mira a divenire il tempio dell’astratto o del figurativo, punta sulla qualità, su quello che resterà sempre. Noi crediamo al ritorno dell’artista solitario, dell’uomo mistico e visionario, che produce in solitudine nel suo atelier, che con le sue scelte interpreta le emozioni di noi tutti. Questi artisti sanno dipingere, sanno scolpire, sanno creare ed esprimono quello che la loro sensibilità ha scelto di raccontare. Le loro opere percorrono luoghi reali o codificati come spazio estraneo alle condizioni fisiche, alle dimensioni conosciute; spesso hanno attitudini di fuga, forse verso quella dimensione (mai definita) dove vivono le emozioni, una casa dove tutti abitiamo senza saperlo, senza vederla. Il Loro Mondo trasparente si dissolve tra gli enigmi di codici espressi nella cultura di questo nuovo millennio. Tutti vogliono superare la comprensione dell'esistenza e subentrare nelle sfere più profonde della conoscenza invisibile. "Be" è il tentativo di porre nuove frontiere ai quesiti, dove lo spettatore trova gli spunti necessari per identificarsi nella rete delle comunicazioni contemporanee.

Le opere esposte sono di:
Annamaria Biagini (Italy), Kimberly Adamis (USA), Brian Avadka Colez (USA), Donia Baqaeen (Jordan), Car Act Air (France), Carol Lee Cassin (New Zealand), Karen Castilho (Hong Kong), Mia Civita (USA), Nathanael Cox (USA), Johanna Elbe (Sweden), Ulf Enhörning (Sweden), Florence Fehrling (Sweden), GusColors (USA), Wiktoria Guzelf (Switzerland), Susumu Hasegawa (Japan), Tondi Hasibuan (Indonesia), Linda Heim (USA), Leena Holmström (Finland), Wioletta Jaskólska (Poland), Chuck Jones, PhD (USA), Corina Karstenberg (The Netherlands), Monika Katterwe (Germany), Rebeccah Klodt (USA), Kirsten Kohrt (Germany), Chikara Komura (Japan), Krista Korjus (Finland), Sonja Kresojevic (UK), Gil Lachapelle (France), Bartholomeus Langeveld (The Netherlands), Eva Lanska (Israel/UK), Fiona Livingstone (Australia), Francis Moreau (France), Miguel Marin Ordenes (Chile), Aristea Panagiotakopoulou (Greece), Helena Pellicer Ortiz (Spain), Kim Piffy (UK), Taru Rouhiainen (Finland), Orit Sharbat (Israel), Jens Peter Sinding Jørgensen (Denmark), Stein Smaaskjaer (Norway), Christophe Szkudlarek (France), Taka & Megu (Japan), Alisa Teletovic (Bosnia-Herzegovina), Maria Mina The (Romania), Janusz Tworek (Poland).

Il lavoro di ciascuno sarà presentato all’interno del sito di Rossocinabro in uno spazio proprio, permettendo così, pur all’interno del contesto unitario della mostra, di mantenere le specificità delle rispettive ricerche.

Rossocinabro
Roma
www.rossocinabro.com

 

Sabato 12 novembre 2022, alle ore 18.00, la Contemporanea Galleria d’Arte di Foggia, in via Viale Michelangelo 65, ospiterà l'inaugurazione della mostra di Paolo Masi.

Fino al 6 gennaio 2023 saranno venti in esposizione i lavori più rappresentativi dell’artista, una serie inedita di cartoni di piccole e medie dimensioni realizzati dagli anni ’80 ad oggi.

INGRESSO GRATUITO

Masi è ritornato al vocabolario segnico elaborato a partire dagli anni Sessanta: da una parte la ricerca di una struttura che sia tramite tra superficie e realtà, dall’altra l’intuizione che il gesto artistico ha rilevanza storica e sociale, ha proprietà di coinvolgimento essendo ponte tra passato, presente e utopia.

L’artista, alla soglia degli 90 anni, raccoglie l'eredità del passato (le prime mostre che presentavano lavori su cartone risalgono al 1974), riutilizzando un supporto che nella sua povertà è rappresentazione del paesaggio urbano, fonte continua di riflessione e ispirazione. Linearizzazioni, incisioni e coloriture si alternano a forature e riquadrature, si appropriano dello spazio della superficie modificandone lo stato preesistente per restituire nuove possibili letture.

Info e orari

Dal lunedì al sabato
Ore 10:00 – 13:00 | 16:00 - 20:00
domenica su appuntamento.

e-m@il: Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.
phone: 3467334054

L'importanza di guardare e vedere i diversi aspetti della realtà.

INGRESSO LIBERO

La mostra si svolgerà dal 24 al 29 ottobre 2022, con ricevimento di inaugurazione esteso dalle 17 alle 19.

Quante volte è capitato di vedere le cose da un solo punto di vista, una visione limitata dell'esistenza, chiusa e intrappolata dietro una lente, senza avere il coraggio di esplorare i nuovi significati di un quadro più ampio? La mostra collettiva “Così vicino, così lontano” esamina l'importanza di guardare e vedere da diversi aspetti della realtà, creando nuove comprensioni che solo uno spettatore attento può cogliere e apprezzare. Da lontano si può vedere e ammirare l'intera opera, come un paesaggio visto in tutta la sua maestosità e complessità. Avvicinandosi sempre di più si possono osservare e scoprire i dettagli ei segreti che l'immagine racchiude, come la corteccia degli alberi o la luce che filtra tra le foglie. La mostra accompagnerà il visitatore in un viaggio dove lo spazio diventa occasione per perdersi nei dettagli delle opere d'arte e il tempo è dilatato dalla percezione dello spettatore. Vicino e lontano sono due facce della stessa medaglia. Sebbene a volte estranei e distanti, entrambi svolgono ruoli ugualmente significativi nella realizzazione che un lato non è sufficiente.

Artists: Kimberly Adamis (USA), Brian Avadka Colez (USA), Donia Baqaeen (Jordan), Helga Borbás (Austria), Car Act Air (France), Carol Carpenter (USA), Laura Casini (Switzerland), Karen Castilho (Hong Kong), Mia Civita (USA), André Colinet (Belgium), Nathanael Cox (USA), Johanna Elbe (Sweden), Ulf Enhörning (Sweden),  Jasmin Genzel (France), GusColors (USA), Wiktoria  Guzelf   (Switzerland), Susumu Hasegawa (Japan), Tondi Hasibuan (Indonesia),  Leena Holmström (Finland), Wioletta Jaskólska (Poland), Corina Karstenberg (The Netherlands), Monika Katterwe (Germany), Kirsten Kohrt (Germany), Chikara Komura (Japan), Agnieszka Konopka (Poland), Alexandra Kordas (Germany), Krista Korjus (Finland), Sybille Lampe (Germany), Fiona Livingstone (Australia), Ewa Martens (Germany), Francis Moreau (France), Frédérique Nolet (Belgium), Aristea Panagiotakopoulou (Greece), Catherine Pennington-Meyer (UK),  Kim Piffy (UK), Sal Ponce Enrile (Philippines), Irena Procházková (Czech Republic), Taru Rouhiainen (Finland), Natalia Schäfer (Germany), Belinha Silva (Portugal), Jens Peter Sinding Jørgensen (Denmark), Luana Stebule (UK),  Taka & Megu (Japan), Elina Tammiranta-Summa (Finland), Serina Haratoka Tara (Turqey)

Rossocinabro
Roma
www.rossocinabro.com

Presso la Contemporanea Galleria d’Arte di Foggia, in viale Michelangelo 65, dal 8 ottobre al 9 novembre 2022, sarà possibile ammirare una corposa ed inedita mostra dedicata a Giosetta Fioroni.

La mostra è a cura di Giuseppe Benvenuto e Sara Maffei. Inaugurazione sabato 8 ottobre 2022, ore 18:30.

INGRESSO GRATUITO

La personale, curata da Giuseppe Benvenuto e Sara Maffei, comprende un corpus di circa trenta opere della celebre artista romana che, attraverso un’arte giocosa e leggiadra, ha saputo raccontare le donne, l’eleganza, la sensualità, gli sguardi, la moda e tutto un mondo interiore particolareggiato fatto di memorie, rimandi infantili, spunti fiabeschi ed elementi privati.

Presentazione a cura di Sara Maffei.

Nata a Roma negli anni Trenta del Novecento e figlia di artisti, Giosetta Fioroni guarda costantemente alla stagione dell’infanzia nel suo percorso artistico: “In tutto il mio lavoro c’è una specie di matrice comune che è l’infanzia, un’infanzia particolare, vissuta tra elementi molto legati alla visionarietà. […] Tutto questo ha avuto un ruolo importante nella scelta di certe cose, di certe inquadrature, […] di certi modi di immaginare lo spazio. Uno spazio sempre così lontano, come accade su un palcoscenico”.

La sua carriera prende avvio presso l’Accademia di Belle Arti di Roma dove è allieva di Toti Scialoja, un pittore e poeta italiano che influenza notevolmente la sua formazione, le cui lezioni sono per lei “una vera e propria iniziazione “erotica” all’espressività. Inizialmente comincia a dipingere nello stile di Scialoja che “preparava il pigmento del colore a parte, eppoi col Vinavil […] lo gettava su grandi tele grezze, coinvolgendo tutto il corpo nella pittura”. Dopo pochi quadri in detto stile, sente che questo lavoro non è davvero suo: “L’elemento puramente materico, senza figurazione, che era alla base della pittura di Scialoja, non corrispondeva più alle esigenze della mia generazione”.

Alla fine degli anni Cinquanta si trasferisce a Parigi dove frequenta le cinémathèque e si appassiona al cinema d’avanguardia francese e americano. È proprio il bianco e nero cinematografico all’origine dell’uso costante dell’argento, firma principale dell’artista: “L’uso dell’argento viene proprio da una specie di stretto colloquio con la fotografia, col cinema. Già quando facevo i quadri informali mi ero fissata sull’argento, sull’oro, sul rame, sui materiali che avevano la doppiezza un po’ dello specchio, che avevano questo naturale senso di astrazione, allusività, molteplicità di valenze visive, a seconda di come li si guardava, di come prendevano la luce”. Sin dagli esordi, i quadri d’argento risentono dell'influsso di Yves Klein, osservato durante gli anni parigini: “Ho visto da Iris Clert l’evento del Monochrome [Yves Klein] che è stato assolutamente per me stupefacente e brillante. […] Aveva intorno dei secchi di colore blu […] e con delle pennellesse grandi dipingeva i corpi nudi di ragazze veramente belle […]”.

Rientrata a Roma nel 1963, diviene la voce femminile dell’esperienza artistica della Scuola di Piazza del Popolo, accanto a Mario Schifano, Renato Mambor, Tano Festa, Pino Pascali e Franco Angeli: “Cominciavo a frequentare P.za del Popolo e i pittori che avevo conosciuto attraverso Scialoja: Afro, Burri, Perilli, Novelli, Dorazio e poi la galleria LA TARTARUGA di Plinio de Martiis”. A quest’ultimo Goffredo Parise, in Corriere d’informazione, rivolge una lode “per la passione con cui ha imposto al pubblico romano quella giovane arte figurativa […] che è nata sotto il nome di “pop art”. Secondo Giosetta Fioroni è possibile parlare di Scuola di Piazza del Popolo nei limiti che ogni etichetta impone: “È rapido e sintetico ricordare così un gruppo di pittori che con fare ancora romantico si riunivano in un luogo (Piazza del Popolo), si incontravano in un bar (Rosati), discutevano in una galleria (la Tartaruga). Più interessante […] ricordare qualcosa di meno identificabile, qualcosa che appariva nei loro quadri […] collegata con la luce, l’atmosfera, la geometria della Piazza. Qualcosa di fortemente malinconico, in fondo, che riguardava Roma e i sentimenti di queste persone”. Testimonianza della scuola di Piazza del Popolo sono gli Argenti, tele che hanno come soggetti preferiti le donne, evocate con smalti argento e oro, recanti scritte e simboli sovrapposti. A tal proposito, una costante delle opere della Fioroni è l’elemento della scrittura, ravvisabile dalle prime opere fino a quelle più recenti: “Il mio primo incontro è stato con la calligrafia. […] Quello che Restany chiama la “scrittura di Giosetta Fioroni” è appunto un misto di calligrafia, segni e disegni ideogrammati che vanno a comporre una particolare scrittura […] emotiva. […] Mi piace congiungere la parola […] al disegno”.

Spesso la partenza per un quadro diviene una foto o un ritaglio di giornale proiettato su tela: “Il criterio in base al quale sceglievo la foto era legato alla possibilità di fissare […] alcune particolarità, la femminilità, l’eleganza, lo stupore, l’attesa”. Si tratta di pose congelate attraverso le quali l’artista mira a creare “una sensazione di […] fissazione intesa come immobilizzazione del movimento”. Ciò che vuole raccontare è “il fascino, nell’onda dei capelli che si moltiplicava” così da “fermare il passaggio di un’emozione, di un’idea, di un sentimento”. È forse per questo, sostiene l’artista, che si è parlato dell’influenza di Andy Warhol sui suoi lavori ma, come lei stessa afferma, le sue immagini all’alluminio “sono dipinte col pennello […] a differenza del distacco industriale di Warhol! […] L’argento è memoria, recupero e sospensione di tempi differenti”. I soggetti di Giosetta Fioroni sono comunque molto diversi da quelli del padre della pop art americana: questi ultimi descrivono i grandi simboli del mondo del consumo, quelli dell’artista romana hanno un taglio narrativo più soggettivo: “Tra le esperienze della Pop art e ciò che faccio io non mi sembra che ci sia niente in comune, anche perché quello è un fatto legato ad un tipo di società americana. Personalmente mi ha influenzato di più un certo tipo di letteratura, un certo tipo proprio di sequenza e di apparizioni”.

A partire dagli anni Sessanta fino alle ultime opere realizzate, pallide apparizioni velate, cieli, monti, vallate, case, sentieri, labbra, cuori, telefoni e stelle diventano i segni più riconoscibili dei lavori di Giosetta Fioroni, elementi che delimitano “l’interno familiare”, insieme a lampadine, sbarre, rapidi movimenti e oggetti vari. Usando le parole di Giuliano Briganti, “Giosetta Fioroni sa dipingere lievemente, con i mezzi più poveri, sfiorando appena le cose con la punta delle dita come per ravvivare l’impronta evanescente di memorie lontane” come testimoniano “Paesaggio sentimentale” (2008) e “Volto” (2021), tele realizzate con quella cifra tipica dell’artista “di malinconia infantile”.  L’oro e l’argento sono colori che si ritrovano anche nelle più recenti opere presenti in mostra come Cuore oro (2022) ma anche  “Fata Volante” (2022), una tela in cui la sagoma femminile, catturata sul punto di librarsi in volo, è circondata da stelle, casette, scale e macchie di colore brillante qua e là, laddove “l’attesa è perenne, l’atmosfera immanente […] in un tempo estraneo al presente, fatto di risonanze”.

 

Giuseppe Benvenuto con Giosetta Fioroni

- Il gallerista d’arte Giuseppe Benvenuto con l’Artista Giosetta Fioroni -

Nel 1964 la Fioroni è tra i protagonisti della Biennale di Venezia, dove conosce Cy Twombly che “[…] arrivò a Roma […] portando […] quella sua grafia dell’assurdo, nevrastenica, a metà infantile, metà surreale […]”.

A metà anni Sessanta si dedica ad un gruppo di quadri ispirati ad immagini note della pittura italiana, tra cui Botticelli, Giorgione, Piero di Cosimo, Simone Martini, Carpaccio e via dicendo, determinando una differenza di tempo tra i ritratti di oggi e quelli del passato: “Botticelli ricercava nella sua modella la sua vita passata, presente e futura, oggi si ricerca un flash efficace e momentaneo”. Ciò che del vecchio quadro le piace sottolineare è “un Particolare, che diventa Protagonista” nel nuovo quadro: dunque dalla “Nascita di Venere” di Botticelli, il quadro che ne trae “è centrato sullo svolazzo dei capelli di Venere mossi dal vento, in un tremore ottico di linee e segmenti, fino a dissolversi completamente come in una sequenza cinematografica”.  Il tema della Venere botticelliana è ripreso anche in opere più recenti come la “Venere” (2014) presente in mostra assieme ad altre della medesima serie, una tecnica mista su carta in cui l’eterea sagoma rinascimentale, messa in risalto dal fluorescente connubio dell’arancione e del viola, è circondata da cuori pop.

Dalla fine degli anni Sessanta Giosetta Fioroni si avvicina al mondo della fiaba, dando vita ai suoi caratteristici “teatrini”, cassettine-teatro di legno dipinto al cui interno assembla ambienti immaginari pregnanti di memoria infantile, legati al mondo della madre marionettista. Il tema è raffigurato in “Teatrino” (2014), una tecnica mista su carta in cui sagome bianche e nere si stagliano su una base rosso vermiglio, circondati di stelle cadenti. Come afferma lo scrittore veneto Goffredo Parise (1975), compagno di vita dell’artista dagli anni Sessanta, “Giosetta Fioroni è una persona […] che vuole riprendere il tempo perduto per leggerezza. […] il tempo dell’ispirazione e del suo sentimento, così indispensabile, oggi, in arte figurativa. […] può improvvisamente fermarsi davanti a una vetrina di giocattoli e perdere molto tempo guardando i giocattoli: […] cose minime, certe volte quasi inesistenti […]. Giosetta Fioroni […] raccoglie per terra un oggettino, oppure qualche foglia da una siepe. […] sa benissimo che la vita non è soltanto rosa, ma siccome è un’artista e la sua ideologia non può essere altro che stilistica, il suo stile di artista è “rosa”.

Nel 1993 partecipa nuovamente alla Biennale di Venezia con una mostra personale e nello stesso periodo realizza importanti cicli scultorei in ceramica.

Nelle ultime opere Giosetta Fioroni tende a ricreare nel quadro “uno spessore di sentimento che suoni come un segnale di appartenenza”, come afferma Pier Giovanni Castagnoli. La Fioroni è infatti un’artista più lunare che solare: appartiene al mondo dell’infanzia attraverso il quale entra “in rapporto con le cose che ci circondano […] per avviarci a trovare il significato più profondo dell’esistenza, per aiutarci a trovare un senso alla vita”. Così, sulla superficie densa e spessa di colore ritornano, come suggerisce Ermanno Krumm, come lettere di un alfabeto, le figure care all’artista: “Case, scale, cuori, stelle, alberi, parole scarabocchiate […] elementi di un sogno ripetuto variato come geroglifici” e “ne risulta un linguaggio complesso nelle articolazioni, ma semplice nel racconto: una fiaba felice e ispirata”.

Appartengono alla medesima mostra,  rispettivamente Bambino (1969) e Dedica (1969)). Le opere della Fioroni degli anni ‘60 sono matita, smalto e alluminio su carta che rivelano la sua caratteristica visionarietà, attraverso la quale esprime la sua infanzia memore dei lavori di Klein, apprezzati negli anni parigini. Il soggetto si fa portatore di una narrazione e di un messaggio legato al ricordo e al substrato della memoria.

Info e orari

Dal lunedì al sabato
Ore 10:00 – 13:00 | 17:00 - 20:00

e-m@il: Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.
phone: 3467334054

 

L’installazione pensata per il giorno di San Francesco, Campo Minato, dell’artista abruzzese Lúcio Rosato, sarà fruibile al pubblico presso la Galleria di Arte Moderna e Contemporanea di Palazzo Dogana a Foggia, Piazza XX settembre 22, il giorno 4 ottobre dalle ore 9 alle ore 20.

INGRESSO LIBERO

L’installazione prevede 529 mine da disegno poggiate a terra, che fiancheggiano le opere di Joseph Beuys.

L’evento è stato organizzato dal Collettivo Mediante di Foggia e AVL, con il supporto dell’Associazione Giovanni Panunzio Eguaglianza Legalità Diritti.

Tutto è stato pensato nei minimi dettagli a partire dalla scelta del luogo, Palazzo Dogana, che è Patrimonio Testimone di una Cultura di Pace, individuato dopo un attento scouting condotto da collettivo artistico

529 mine
stanziano allineate nel silenzio
del quotidiano paesaggio e
come in una semina misurano
il campo di grafite e di pace
in attesa di ri-disegnare il mondo

“Il testo con cui l’autore descrive questa installazione è particolarmente esplicito - dice Pasquale Oa del Collettivo Mediante - lo sguardo di Lúcio Rosato, che per me è “il maestro”, è sempre rivolto a Sud: questo lavoro mira infatti ai territori a margine, ai confini, alle frontiere, che sono a fianco a noi o forse, (ancora più probabile) dentro di noi. Credo che ospitare un qualsiasi lavoro di Lúcio Rosato sia per il nostro territorio una preziosa occasione, penso infatti alle sue “altre architetture”, ai “territori limitrofi”, al “tappeto del silenzio” o alle “cose di francesco” e da cittadino di questo tempo ne colgo il senso, la ragione e l’urgenza”.

Campo minato è un momento di meditazione, un giorno per pensare, una riflessione sul significato delle cose e delle parole, sull’utilizzo proprio o improprio del nostro tempo. Un lavoro dedicato a San Francesco, pensando a quell’uomo che ha rinunciato a tutte le cose per diventare ogni cosa, e si realizza a Palazzo Dogana, il Monumento Testimone di una Cultura di Pace per essere stato nei secoli punto di riferimento per i popoli del Mezzogiorno. Inoltre, come a chiudere un cerchio, credo non è un caso che questa installazione venga accolta negli stessi spazi in cui sono allestite le opere di Joseph Beuys.

Pasquale Oa ammette: “ho sempre riconosciuto nella ricerca di Lúcio Rosato qualcosa in comune con le opere dell’autore tedesco”.

“Nella provocazione del titolo Campo Minato: penso alle soglie invalicabili, alle frontiere, ai cartelli dei limiti invalicabili, alle periferie inaccessibili, a quel momento prima di compiere un passo e a come è facile calpestare un sogno. Un campo di mine da disegno disposte in un ossessionato ordine, così rigoroso che è come se fossero pronte ad una “detonazione inversa” che “segna” per costruire e non per distruggere, è come se fossero loro a reggere quel vuoto che sposta il pavimento dal soffitto (o la terra dal cielo) per mostrare l’orizzonte, la strada, la possibilità di attraversare realmente un confine, con la mente, per fermarsi a pensare, prima del primo passo a come “ri-disegnare il mondo”, conclude Oa.

L’artista.
Lúcio Rosato (Lanciano 1960) architetto. Formatosi sotto la guida artistica di Ettore Spalletti e Franco Summa, viaggia sui territori al limite tra la concretezza del pensiero e l’astrazione della materia realizzando installazioni e architetture permanenti. Suoi scritti e progetti sono pubblicati in riviste di settore, suoi lavori sono stati esposti in rassegne nazionali e internazionali. Tra le pubblicazioni: Sui territori al limite, Librìa, 2007; la città negata, identità e modificazione, Franco Angeli, 2008; le stanze di Tonia, Librìa, 2012. Ha ricevuto numerosi riconoscimenti: dal premio Europan 4 “costruire la città sulla città” (Iraklion -Grecia) nel 1996, al Premio Architetture dell’Adriatico per una casa tra le case nel 2020. Ha insegnato teorie di progettazione all’Università Europea del Design e interior design alla facoltà di architettura di Pescara. Vive e prende appunti a Pescara.

 

Una raccolta di icone in esposizione nella Green Cave a Monte Sant’Angelo dal 24 settembre all’8 ottobre 2022.

Sabato 24 settembre 2022, alle 18.30, apre la mostra di icone di Maria Cristina Piccirillo intitolata “Finestra sull’invisibile”. La mostra resterà aperta fino al giorno 8 ottobre e sarà visitabile mattina e pomeriggio nella Green Cave, centro culturale di Legambiente, in via Garibaldi 27 a Monte Sant’Angelo.

Maria Cristina Piccirillo nasce a San Gallo -Svizzera- nel 1969. Si diploma presso il Liceo Artistico Statale di Benevento; consegue studi di architettura presso la Federico II di Napoli e successivamente studi teologici a Benevento. Si appassiona all'arte iconografica e conseguentemente a formarsi presso l'abbazia di Santa Maria di Pulsano a Monte Sant'Angelo. Approfondirà tale arte con l'iconologo e maestro Alfonso Caccese, con il quale successivamente ha tenuto conferenze e mostre a Lucera, Termoli, Benevento e San Salvatore Telesino e San Vitaliano a Caserta. Tra le mostre più importanti oltre quelle elencate pocanzi, ci sono quelle a Polignano, Benevento presso la sede della provincia, a Caserta, a Roma in via Margutta, Dugenta-BN-, Cusano Mutri.

Le sue opere fanno parte di collezioni private in Italia e all'estero - Libano e Malta -, mentre in Italia e più precisamente a Novara si trova il trittico Assunzione della Vergine, il Figlio stolto e San Charbel. A Dugenta -BN- si trova il ciclo della Misericordia, i volti dei Santi Pietro e Andrea e Giovanni e Giacomo, Santa Maria de flumine. Nella Cappella del SSmo Sacramento presso convento dei cappuccini a Benevento si trova un San Giuseppe con Emmanuele.

Hanno scritto su di lei: Abaut Art Online, articolo sulla relazione che intercorre fra l'arte e la Sindone; il libro “Via Sindonis, la Passione di Cristo documentata dal Sacro Lino” in collaborazione con la dottoressa Emanuela Marinelli, sindonologa di fama mondiale, e don Domenico Repice: nel suddetto sono presenti il disegno della VII stazione e un estratto di un suo articolo.

Sono, inoltre, presenti articoli sulle riviste Ottopagine e il Sannio.

A Siena, Santa Maria della Scala dal 15 settembre 2022 all'8 gennaio 2023.

Raccontare la storia dell’arte senese dal tardo Medioevo al Novecento, presentando al pubblico una serie di capolavori conservati nelle collezioni della Banca Monte dei Paschi di Siena: questo l’obiettivo della mostra che si terrà dal 15 settembre 2022 all’8 gennaio 2023 presso il Complesso Museale Santa Maria della Scala a Siena. Opere di maestri del calibro di Pietro Lorenzetti, Tino di Camaino, Stefano di Giovanni detto il Sassetta, Giovanni Antonio Bazzi detto il Sodoma, Domenico Beccafumi, Bernardino Mei, Cesare Maccari e Fulvio Corsini permetteranno di ripercorrere il secolare amore di Siena per le arti figurative, attraverso alcune grandi personalità artistiche capaci di affermarsi in patria e non solo, dando conto dello straordinario valore delle collezioni della Banca Monte dei Paschi di Siena, indissolubilmente legate alla città, alla sua memoria e ai suoi valori.

Le collezioni sono costituite da un numero impressionante di dipinti, sculture e arredi, per lo più di scuola senese dal XIV al XIX secolo, non senza interessanti incursioni sul Novecento italiano. Esse sono il frutto di una prolungata sedimentazione storica, avviata con vere e proprie committenze da parte di una pubblica istituzione fondata nel 1472, e proseguita in tempi più vicini a noi con importanti acquisizioni e con l’allestimento, negli anni Ottanta del secolo scorso, di veri e propri spazi museali nell’antica chiesa di San Donato, all’interno della sede storica di Piazza Salimbeni. La raccolta è stata peraltro incrementata grazie a nuclei di opere provenienti dalle banche incorporate nel corso degli anni e, particolarmente, con l’acquisizione di una parte della celebre Collezione Chigi Saracini di Siena: una delle più importanti collezioni private italiane che ancora oggi si conserva nel palazzo di Via di Città. Di tutto ciò la mostra offrirà una ponderata selezione, focalizzata sulle maggiori testimonianze di quella scuola senese che, per merito soprattutto dei grandi maestri del Trecento, è celebre in tutto il mondo.

Prodotta dalla Fondazione Monte dei Paschi di Siena, dal Comune di Siena e dalla Fondazione “Antico Ospedale Santa Maria della Scala” con il progetto scientifico e l’organizzazione a cura di Vernice Progetti Culturali-Impresa Sociale, la mostra è stata realizzata da Opera Laboratori e presenta un allestimento sostenibile orientato su materiali e tecniche che limitano al massimo l’impatto sull’ambiente.

Presso gli spazi della Contemporanea Galleria d’Arte di Bari, in via N. Piccinni, 226, dal 20 settembre al 30 ottobre 2022, si aprirà una sorprendente mostra dedicata a Giovanni Frangi, "Urpflanze Works on paper", uno dei pittori più interessanti del nostro Paese, alla cui presenza avrà luogo l’inaugurazione nella giornata del 18 settembre.

Interverranno Ines Pierucci, Assessore alla cultura del comune di Bari , Micaela Paparella, Consigliere del comune di Bari, Gianfranco Terzo, Assessore ai beni e alle attività culturali del comune di Sannicandro di Bari, Pietro di Terlizzi, Direttore dell'Accademia di Belle arti di Foggia.

La personale, curata Sara Maffei, Pio Savelli e Giuseppe Benvenuto comprende un corpus di circa quattordici opere appartenenti alla serie Urpflanze Works on paper, un ciclo di lavori su carta, recenti e non, tutti della medesima dimensione (un metro per un metro e quaranta) e parte di una sorta di ciclo unitario intorno ad alcuni temi legati alla natura che l’artista milanese ha indagato negli ultimi anni, quali ninfee, boschi selvaggi, Heliconia Paradise e sassi nell’acqua.

Presentazione a cura di Sara Maffei.

Quella di Frangi è una “pittura delle cose del mondo”, strettamente legata alla natura della quale offre, attraverso una peculiare stratificazione materica e l’uso vivo del colore, una rappresentazione lontana da sterili repliche, bensì totalmente nuova e inattesa. Le immagini rappresentate derivano da fotografie scattate dall’artista stesso nel corso del tempo, l’uso della fotografia è infatti per Frangi pratica quotidiana e contatto diretto con una realtà vista e poi trasformata a modo suo, come si evince in Ansedonia (2020) ed Heliconia Paradise (2021), opere presenti in mostra in cui pigmenti, primal e pastelli a olio proiettano su carta Hanhemühle un elemento naturale carico di una notevole e vibrante energia.
Nel suo recente libro intitolato L’Intervista, edito da Magonza e a cura di G. Agosti, Giovanni Frangi compie una specie di viaggio a ritroso nella sua vicenda di artista, dagli anni della formazione fino alla descrizione del suo metodo di lavoro. È in queste pagine che l’artista ribadisce come il suo rapporto con l’opera su carta sia sempre stato determinante e in qualche modo anticipatore della sua evoluzione, trovando con quel medium una felicità espressiva e una spontaneità del segno che lo ha sempre contraddistinto. Le opere sono realizzate con materiali differenti, talvolta mescolati tra loro, dal primal Ac 33 ai pigmenti, dai pastelli grassi e all’anilina mischiata con l’alcol, su una carta di fabbricazione tedesca chiamata Hahnemühle che Frangi comincia a usare alla fine degli anni Novanta, senza mai abbandonarla.
Dopo essersi diplomato presso l’Accademia di Belle Arti di Brera, Giovanni Frangi realizza nel 1983 la prima personale presso la Galleria La Bussola di Torino. Nel 1986, presentato da Achille Bonito Oliva, espone alla Galleria Bergamini di Milano. Nel 1997 vince il premio della XII Quadriennale di Roma e successivamente nel 2011 partecipa al Padiglione Italia della LIV Biennale di Venezia. Non si contano le numerose esposizioni che l’artista milanese realizza nel suo lungo percorso artistico: da Villa Panza a Varese al Museo Archelogico di Napoli, da quelle alla Galleria dello Scudo di Verona al Mart di Rovereto; ma citando solo quelle dedicate alle opere su carta ci piace ricordare l’antologica del 1997 a Casa dei Carraresi di Treviso a cura di M. Godin con un catalogo edito da Marsilio, quella presso la Galleria Lawrence Rubin di Milano del 2000 accompagnata da un testo di G. Agosti, Pasadena alla Gamud di Udine con G. Verzotti nel 2008 e poi a Francoforte e Il Rosso e il Nero presso il Parlamento europeo di Strasburgo nel 2012.
Il titolo della mostra trae origine dallo scrittore tedesco J.W. Goethe che usa il termine “Urpflanze” per la prima volta nel suo Viaggio in Italia per descrivere la natura come valore primordiale e come totalità dell’essere: "La natura appartiene a se stessa, l'essenza all'assenza; l'uomo le appartiene, essa appartiene all'uomo". Goethe, nei suoi studi botanici, rintraccia un elemento unitario nell’infinita varietà della natura, facendo derivare tutte le forme delle piante da un’unica pianta originaria, composta da pochi elementi infinitamente mutabili e duplicabili. La pianta primordiale permette dunque di creare una sintesi tra il singolo e l’universo, tra il sensibile e l’ideale, lasciando cogliere la legge interna alla manifestazione dei fenomeni. Così alla stregua della natura, che si conserva pur rinnovandosi, anche l’arte, dunque la creatività, rivela l’origine di uno Spirito Universale entro il quale, in perenne trasformazione il vivente lascia che accada la sua metamorfosi continua, restando tuttavia nel divenire sempre se stesso.

Orari e info

Martedì – domenica ore 16:00 – 20:00

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Presso la Casa Museo Stephanus di Termoli, storica Dimora ed ex sede del Palazzo Vescovile, dal 1° al 30 settembre 2022 sarà possibile ammirare una corposa ed inedita mostra dedicata a Giosetta Fioroni.

La personale, curata da Giuseppe Benvenuto e Sara Maffei, comprende un corpus di circa trenta opere della celebre artista romana che, attraverso un’arte giocosa e leggiadra, ha saputo raccontare le donne, l’eleganza, la sensualità, gli sguardi, la moda e tutto un mondo interiore particolareggiato fatto di memorie, rimandi infantili, spunti fiabeschi ed elementi privati.

Presentazione a cura di Sara Maffei

Nata a Roma negli anni Trenta del Novecento e figlia di artisti, Giosetta Fioroni guarda costantemente alla stagione dell’infanzia nel suo percorso artistico: “In tutto il mio lavoro c’è una specie di matrice comune che è l’infanzia, un’infanzia particolare, vissuta tra elementi molto legati alla visionarietà. […] Tutto questo ha avuto un ruolo importante nella scelta di certe cose, di certe inquadrature, […] di certi modi di immaginare lo spazio. Uno spazio sempre così lontano, come accade su un palcoscenico”.

La sua carriera prende avvio presso l’Accademia di Belle Arti di Roma dove è allieva di Toti Scialoja, un pittore e poeta italiano che influenza notevolmente la sua formazione, le cui lezioni sono per lei “una vera e propria iniziazione “erotica” all’espressività. Inizialmente comincia a dipingere nello stile di Scialoja che “preparava il pigmento del colore a parte, eppoi col Vinavil […] lo gettava su grandi tele grezze, coinvolgendo tutto il corpo nella pittura”. Dopo pochi quadri in detto stile, sente che questo lavoro non è davvero suo: “L’elemento puramente materico, senza figurazione, che era alla base della pittura di Scialoja, non corrispondeva più alle esigenze della mia generazione”.

Alla fine degli anni Cinquanta si trasferisce a Parigi dove frequenta le cinémathèque e si appassiona al cinema d’avanguardia francese e americano. È proprio il bianco e nero cinematografico all’origine dell’uso costante dell’argento, firma principale dell’artista: “L’uso dell’argento viene proprio da una specie di stretto colloquio con la fotografia, col cinema. Già quando facevo i quadri informali mi ero fissata sull’argento, sull’oro, sul rame, sui materiali che avevano la doppiezza un po’ dello specchio, che avevano questo naturale senso di astrazione, allusività, molteplicità di valenze visive, a seconda di come li si guardava, di come prendevano la luce”. Sin dagli esordi, i quadri d’argento risentono dell'influsso di Yves Klein, osservato durante gli anni parigini: “Ho visto da Iris Clert l’evento del Monochrome [Yves Klein] che è stato assolutamente per me stupefacente e brillante. […] Aveva intorno dei secchi di colore blu […] e con delle pennellesse grandi dipingeva i corpi nudi di ragazze veramente belle […]”.

Rientrata a Roma nel 1963, diviene la voce femminile dell’esperienza artistica della Scuola di Piazza del Popolo, accanto a Mario Schifano, Renato Mambor, Tano Festa, Pino Pascali e Franco Angeli: “Cominciavo a frequentare P.za del Popolo e i pittori che avevo conosciuto attraverso Scialoja: Afro, Burri, Perilli, Novelli, Dorazio e poi la galleria LA TARTARUGA di Plinio de Martiis”. A quest’ultimo Goffredo Parise, in Corriere d’informazione, rivolge una lode “per la passione con cui ha imposto al pubblico romano quella giovane arte figurativa […] che è nata sotto il nome di “pop art”. Secondo Giosetta Fioroni è possibile parlare di Scuola di Piazza del Popolo nei limiti che ogni etichetta impone: “È rapido e sintetico ricordare così un gruppo di pittori che con fare ancora romantico si riunivano in un luogo (Piazza del Popolo), si incontravano in un bar (Rosati), discutevano in una galleria (la Tartaruga). Più interessante […] ricordare qualcosa di meno identificabile, qualcosa che appariva nei loro quadri […] collegata con la luce, l’atmosfera, la geometria della Piazza. Qualcosa di fortemente malinconico, in fondo, che riguardava Roma e i sentimenti di queste persone”. Testimonianza della scuola di Piazza del Popolo sono gli Argenti, tele che hanno come soggetti preferiti le donne, evocate con smalti argento e oro, recanti scritte e simboli sovrapposti. A tal proposito, una costante delle opere della Fioroni è l’elemento della scrittura, ravvisabile dalle prime opere fino a quelle più recenti: “Il mio primo incontro è stato con la calligrafia. […] Quello che Restany chiama la “scrittura di Giosetta Fioroni” è appunto un misto di calligrafia, segni e disegni ideogrammati che vanno a comporre una particolare scrittura […] emotiva. […] Mi piace congiungere la parola […] al disegno”.

Spesso la partenza per un quadro diviene una foto o un ritaglio di giornale proiettato su tela: “Il criterio in base al quale sceglievo la foto era legato alla possibilità di fissare […] alcune particolarità, la femminilità, l’eleganza, lo stupore, l’attesa”. Si tratta di pose congelate attraverso le quali l’artista mira a creare “una sensazione di […] fissazione intesa come immobilizzazione del movimento”. Ciò che vuole raccontare è “il fascino, nell’onda dei capelli che si moltiplicava” così da “fermare il passaggio di un’emozione, di un’idea, di un sentimento”. È forse per questo, sostiene l’artista, che si è parlato dell’influenza di Andy Warhol sui suoi lavori ma, come lei stessa afferma, le sue immagini all’alluminio “sono dipinte col pennello […] a differenza del distacco industriale di Warhol! […] L’argento è memoria, recupero e sospensione di tempi differenti”. I soggetti di Giosetta Fioroni sono comunque molto diversi da quelli del padre della pop art americana: questi ultimi descrivono i grandi simboli del mondo del consumo, quelli dell’artista romana hanno un taglio narrativo più soggettivo: “Tra le esperienze della Pop art e ciò che faccio io non mi sembra che ci sia niente in comune, anche perché quello è un fatto legato ad un tipo di società americana. Personalmente mi ha influenzato di più un certo tipo di letteratura, un certo tipo proprio di sequenza e di apparizioni”.

A partire dagli anni Sessanta fino alle ultime opere realizzate, pallide apparizioni velate, cieli, monti, vallate, case, sentieri, labbra, cuori, telefoni e stelle diventano i segni più riconoscibili dei lavori di Giosetta Fioroni, elementi che delimitano “l’interno familiare”, insieme a lampadine, sbarre, rapidi movimenti e oggetti vari. Usando le parole di Giuliano Briganti, “Giosetta Fioroni sa dipingere lievemente, con i mezzi più poveri, sfiorando appena le cose con la punta delle dita come per ravvivare l’impronta evanescente di memorie lontane” come testimoniano “Paesaggio sentimentale” (2008) e “Volto” (2021), tele realizzate con quella cifra tipica dell’artista “di malinconia infantile”.  L’oro e l’argento sono colori che si ritrovano anche nelle più recenti opere presenti in mostra come Cuore oro (2022) ma anche  “Fata Volante” (2022), una tela in cui la sagoma femminile, catturata sul punto di librarsi in volo, è circondata da stelle, casette, scale e macchie di colore brillante qua e là, laddove “l’attesa è perenne, l’atmosfera immanente […] in un tempo estraneo al presente, fatto di risonanze”.

Nel 1964 la Fioroni è tra i protagonisti della Biennale di Venezia, dove conosce Cy Twombly che “[…] arrivò a Roma […] portando […] quella sua grafia dell’assurdo, nevrastenica, a metà infantile, metà surreale […]”.

A metà anni Sessanta si dedica ad un gruppo di quadri ispirati ad immagini note della pittura italiana, tra cui Botticelli, Giorgione, Piero di Cosimo, Simone Martini, Carpaccio e via dicendo, determinando una differenza di tempo tra i ritratti di oggi e quelli del passato: “Botticelli ricercava nella sua modella la sua vita passata, presente e futura, oggi si ricerca un flash efficace e momentaneo”. Ciò che del vecchio quadro le piace sottolineare è “un Particolare, che diventa Protagonista” nel nuovo quadro: dunque dalla “Nascita di Venere” di Botticelli, il quadro che ne trae “è centrato sullo svolazzo dei capelli di Venere mossi dal vento, in un tremore ottico di linee e segmenti, fino a dissolversi completamente come in una sequenza cinematografica”.  Il tema della Venere botticelliana è ripreso anche in opere più recenti come la “Venere” (2014) presente in mostra assieme ad altre della medesima serie, una tecnica mista su carta in cui l’eterea sagoma rinascimentale, messa in risalto dal fluorescente connubio dell’arancione e del viola, è circondata da cuori pop.

Dalla fine degli anni Sessanta Giosetta Fioroni si avvicina al mondo della fiaba, dando vita ai suoi caratteristici “teatrini”, cassettine-teatro di legno dipinto al cui interno assembla ambienti immaginari pregnanti di memoria infantile, legati al mondo della madre marionettista. Il tema è raffigurato in “Teatrino” (2014), una tecnica mista su carta in cui sagome bianche e nere si stagliano su una base rosso vermiglio, circondati di stelle cadenti. Come afferma lo scrittore veneto Goffredo Parise (1975), compagno di vita dell’artista dagli anni Sessanta, “Giosetta Fioroni è una persona […] che vuole riprendere il tempo perduto per leggerezza. […] il tempo dell’ispirazione e del suo sentimento, così indispensabile, oggi, in arte figurativa. […] può improvvisamente fermarsi davanti a una vetrina di giocattoli e perdere molto tempo guardando i giocattoli: […] cose minime, certe volte quasi inesistenti […]. Giosetta Fioroni […] raccoglie per terra un oggettino, oppure qualche foglia da una siepe. […] sa benissimo che la vita non è soltanto rosa, ma siccome è un’artista e la sua ideologia non può essere altro che stilistica, il suo stile di artista è “rosa”.

Nel 1993 partecipa nuovamente alla Biennale di Venezia con una mostra personale e nello stesso periodo realizza importanti cicli scultorei in ceramica.

Nelle ultime opere Giosetta Fioroni tende a ricreare nel quadro “uno spessore di sentimento che suoni come un segnale di appartenenza”, come afferma Pier Giovanni Castagnoli. La Fioroni è infatti un’artista più lunare che solare: appartiene al mondo dell’infanzia attraverso il quale entra “in rapporto con le cose che ci circondano […] per avviarci a trovare il significato più profondo dell’esistenza, per aiutarci a trovare un senso alla vita”. Così, sulla superficie densa e spessa di colore ritornano, come suggerisce Ermanno Krumm, come lettere di un alfabeto, le figure care all’artista: “Case, scale, cuori, stelle, alberi, parole scarabocchiate […] elementi di un sogno ripetuto variato come geroglifici” e “ne risulta un linguaggio complesso nelle articolazioni, ma semplice nel racconto: una fiaba felice e ispirata”.

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