IL MAGGIO MONTANARO: le compagnie dei pellegrini.

Maggio è da sempre il mese del pellegrinaggio “popolare” alla Grotta dell’Arcangelo.
Per secoli, pellegrini provenienti da ogni contrada dell’Italia centromeridionale, organizzati in “Compagnie” e guidati da un “Priore” laico, sono giunti al Monte Gargano seguendo autonomi ed antichi rituali devozionali.
Nell’ultimo trentennio però, con l’ammodernamento della società, l’antico fenomeno delle “Compagnie”, tipico di una società agricola, è stato sostituito da nuove forme di pellegrinaggio con pratiche devozionali diverse da quelle tradizionali.
Sono poche ormai le Compagnie che mantengono ancora viva la tradizione di arrivare in processione dal limite del paese fino al Santuario e ancor meno sono quelle che effettuano l’intero percorso a piedi dal loro paese di provenienza.

Tuttora il maggio montanaro viene aperto dalla Compagnia di BITONTO, la quale porta in dono l’olio per alimentare le lampade del Santuario.
Il suo nome si trova registrato “ab immemorabili” nei fasti del Santuario, avendo donato circa cinque secoli fa una lampada di grande valore, la quale purtroppo fu trafugata dai francesi nel saccheggio del 1799.
I pellegrini bitontini sono inoltre benemeriti del Santuario perché, a seguito del furto sacrilego avvenuto nel mese di agosto 1977, hanno offerto all’Arcangelo i gioielli che gli erano stati rubati, quali la Corona e la Spada che tuttora viene portata in processione.

Un’antichissima Compagnia era quella di POTENZA, detta della “Ferrizza”, dal fatto che era solita portare in processione un tempietto costruito di ferule tutto adorno di variopinte candele, nastri e fiori, che veniva offerto all’Arcangelo.
Questa Compagnia, presente fino alla metà degli anni ’50, aveva il privilegio di essere accompagnata, all’arrivo e alla partenza, dal suono festoso delle campane.
Sull’origine di tale usanza si riportano due tradizioni.
La prima è quella che i Potentini presero parte alla difesa di Monte Sant’Angelo quando i Turchi, nel 1620, saccheggiarono Manfredonia.
La seconda invece narra che la Compagnia sarebbe giunta a Monte Sant’Angelo in occasione della fusione della Campana Maggiore di San Michele (avvenuta nel battistero detto Tomba di Rotari il 6 maggio 1665) e, per devozione verso l’Arcangelo, uomini e donne presero i loro anelli e monili d’oro e d’argento e li gettarono nella fornace di fusione gridando “Viva San Michele”.

Altra Compagnia, che godeva del privilegio del suono delle campane per una secolare consuetudine, era quella di BOIANO. Questa compagnia, proveniente a piedi dal versante nord della montagna, prima della salita stazionava a Carbonara, dove il Priore teneva un sermone sulle pratiche devozionali da seguire in Grotta. Poi, iniziava una vera e propria “asta” per aggiudicarsi il privilegio di portare lo stendardo.

Altra importante ed assidua Compagnia era quella di ATINA.
Un vecchio rituale del pellegrinaggio di questa Compagnia prevedeva il “lavaggio dei peccati”: prima di arrivare a Monte ci si fermava presso una fonte e, dopo essersi lavati, i novizi si mettevano una corona di spine in testa e procedevano a piedi scalzi.

La Compagnia, che ancora oggi è presente in gran numero (oltre cinquecento), è quella di SAN MARCO IN LAMIS, il cui pellegrinaggio si snoda tutto a piedi fino a Monte e dura tre giorni.
Esso inizia ogni anno il lunedì successivo all’ottava di San Michele con la partenza all’alba da San Marco e la successiva benedizione con l’olio santo presso il convento di S.Matteo.
A mezzodì si fa sosta per il pranzo a Campolato e successivamente si riprende il cammino sino a Carbonara.
Da qui inizia la salita del Monte, caratterizzata dall’antico rito del perdono o della penitenza: i pellegrini si caricano sulle spalle una pietra che portano durante tutta la salita.
All’arrivo, le campane suonano a distesa per salutare il sopraggiungere della Compagnia, che scende in Grotta cantando inni popolari in onore di san Michele.
Il secondo giorno (martedì) è tutto dedicato alle pratiche devozionali e il terzo giorno (mercoledì), dopo la messa mattutina, si prende la strada del ritorno.
Tra i sammarchesi, fino alla fine degli anni ’70, si praticava anche il rito della “Comparizia di Monte”: il novizio veniva accompagnato dal suo padrino/madrina davanti al san Michele del “Pozzetto” e, dopo essersi bagnato con l’acqua sgorgante dalla roccia (la cd. Stilla), recitava un’invocazione all’Arcangelo.
Da ultimo va detto che la “Cumpagnia dei sammarchesi” aveva il privilegio di non pagare lo “scotto”, ossia la gabella dell’Atrio.

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La presenza quotidiana e massiccia di pellegrini provenienti dalle regioni viciniori ha da sempre comportato problemi di ordine pubblico, sia per la presenza di borseggiatori che agiscono nella confusione sia per il generarsi di incomprensioni tra i pellegrini di diverse compagnie o tra questi ed i montanari.

Uno spaccato del pellegrinaggio di maggio può essere conosciuto attraverso le relazioni di pubblica sicurezza che annualmente venivano redatte dalle Forze dell’Ordine, specie negli anni post-unitari, quando imperversava sul Gargano il fenomeno del Brigantaggio.

Tra le tante conservate nell’Archivio di Stato di Foggia merita di essere pubblicata, per la plastica descrizione degli accadimenti legati al pellegrinaggio di maggio, la Relazione di Pubblica Sicurezza redatta nel maggio 1874.
“…La guarnigione è stata sotto pressione acciocché oltre il normale impegno ci sono stati i pellegrini che hanno venuti a fiumi.
Sono arrivati in questa terra da tutti i luoghi, non sapevamo quale passo tenere sotto controllo, ma essendo villani gentili abbiamo riusciti a non far succedere nessuna sommossa eccetto un tafferuglio a causa di un fraintendimento tra alcuni abruzzesi e gente del posto appena arrivata perché secondo i paesani quelli avevano guardato con passione una donna di nome Antonietta Nardella appena arrivata con una compagnia e gli abruzzesi stavano partendo, nessun ferito perché i militi sono sopraggiunti subito e hanno sparato alcuni colpi in aria.
I venditori hanno tenuto la loro mercanzia nella norma.
Chi ha dato ospizio ai pellegrini ha chiesto il giusto e non c’è stata nessuna lamentela.
Le donnine sono state allontanate dalla terra per non creare disordine e ritorsioni con i canonici.
Si è avuto difficoltà a chiarirsi con uno straniero che non sapeva parlare nessuna lingua conosciuta eccettuato il suo linguaggio incomprensibile, ma coi segni e con un po’ di latino di un canonico ci siamo capiti.
Nella prima quindicina sono arrivati i pellegrini in compagnia da Rotello, Casalnovo, Vasto, Lacedonia, Castelmauro, Matrice, Bisaccia, Ripabottoni, Bitetto, Toritto, Sammarco in Lamis, Gildone, Riccia, Cerce, Pietrelcina, Bari, Vitonto, Potenza, Sannicandro, Rodi, Manfredonia, Boiano.
Mentre sono venuti singoli da diversi luoghi sia del regno che da fuori regno, alcuni anco francesi e anglesi tutti con i biglietti.
Siamo stati sempre dapresso ai canonici per avere tutto sotto controllo.
Abbiamo messo ai ferri duo de Potenza che hanno borseggiato nella Basilica, uno de Cerce che anco ha accoltellato un suo compaesano per motivi sconosciuti, non c’è stato il morto.
I pellegrini sono andati tutto per il loro verso…”
(ARCHIVIO: A S F – Anno 1874 - Atti di polizia serie I, fascio 249, fascicolo 2254, misure cm 20 x 29, scritto su ambedue le facciate).

Michele Picaro

 

 

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