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Il culto di San Michele dall’Oriente all’Occidente

a cura del prof. Giuseppe Piemontese - Società di Storia Patria per la Puglia.

Fra i santuari più rinomati della cristianità dobbiamo annoverare quelli dedicati a S. Michele, le cui origini le troviamo proprio in Oriente, in Frigia, dove la devozione per l’Arcangelo è particolarmente diffusa e dove, probabilmente nella zona di Cheretapa-Colosse-Chonae, vi è il più antico e  celebre santuario. Secondo un'antichissima leggenda, pervenutaci in tre redazioni greche, si narra che nel luogo dove volevano che Michele fosse onorato, gli apostoli Filippo e Giovanni avessero fatto sgorgare una fonte miracolosa. I pagani, più tardi, deviarono due fiumi per distruggere la fonte e l’oracolo costruito lì presso; ma Michele aprì un abisso che inghiottì i due fiumi e cambiò  i pagani in statue. In questo luogo il culto micaelico è abbinato alle facoltà miracolose delle acque, la cui caratteristica rimarrà in seguito, tanto da diventare una delle peculiarità del culto di S. Michele.      

Dalla Frigia il culto micaelico si diffonde in quasi tutta l’Asia Minore, tanto che  un santuario molto noto lo traviamo a Pythia in Bitinia, sin dalla prima metà del VI secolo; vi scorrono acque termali, presso cui si recano, per curarsi, molti pellegrini provenienti soprattutto da Costantinopoli.  Ricca di testimonianze micaeliche è l’Egitto, dove, già nel IV secolo, troviamo santuari urbani e rurali dedicati agli Arcangeli Michele e Gabriele, presso i quali si effettuano pellegrinaggi anche da regioni molto lontane. Lungo la valle del Nilo, l’Arcangelo Michele  viene venerato molto spesso come patrono delle acque fluviali, dei naviganti e dei contadini ; altrove, sempre in Egitto, viene evidenziata piuttosto la funzione di psicopompo, medico e guerriero.

A Costantinopoli il culto di S. Michele è molto diffuso, tanto che già nel VI secolo esistono, nella capitale e nei dintorni, una decina di chiese dedicate a Michele (Michaelion). Gli storici Sozomeno, Niceforo e altri biografi fanno risalire all’imperatore Costantino (sec. IV)  la fondazione di un importante santuario dedicato a Michele presso il promontorio Hestiae  sul Bosforo,  sostituendo così il Santo alla dea Vesta. Sozomeno tramanda, inoltre,  che vi si pratica il rito dell’incubatio e si consegue la guarigione anche di persone afflitte da attacchi febbrili; ciò ha fatto supporre che Michele abbia sostituito, probabilmente, anche un dio medico, forse Esculapio. Del resto una delle caratteristiche del culto micaelico è che esso si sostituisce spesso ad antichi templi pagani, poi trasformati in chiese. Per esempio, ad Alessandria in Egitto, il tempio di Saturno viene trasformato in chiesa dedicata a S. Michele sotto il patriarca Alessandro, fra il 313 e il 326. Altro esempio è la trasformazione del tempio di Afrodite, ad Afrodisiade di Caria in chiesa cattedrale, dedicata a S. Michele, compiuta nel 443 ca. Nello stesso santuario di Pytia in Bitinia, probabilmente il culto del Santo subentrò ancora prima del VI secolo a quello di Eracle e di tre ninfe, divinità tutelari del luogo. Generalmente al momento della dedicazione della nuova chiesa costruita sul tempio pagano, veniva rispettata l’equivalenza fra l’eroe pagano, cui il tempio era dedicato e l’eroe cristiano, il santo che, in virtù di un processo di sincretismo, ne eredita alcune qualità e talvolta, grosso mondo, lo stesso aspetto fisico. Tale processo mimetico avvenne anche allorquando l’imperatore Costantino, dopo che aveva avuto in sogno l’immagine dell’arcangelo Michele, costruisce, come abbiamo detto, sulla sponda europea del Bosforo, la chiesa di S. Michele a Sosthenion, proprio su un tempio in cui gli Argonauti avevano posto una statua simile ad un angelo. Contemporaneamente, sempre in Asia Minore, il culto per S. Michele sostituisce via via quello di Attis, il compagno alato di Cibile. Tali insediamenti micaelici, generalmente,  sorgono in zone di montagna, vicino a sorgenti d’acque e in luoghi impervi, le cui peculiarità  si associano ad aree dedite ad attività pastorali ed agricole. Infatti, “secondo  un’indagine di Rohland, quello di Michele guaritore fu, tra i Bizantini, un culto essenzialmente popolare, diffuso soprattutto negli strati sociali dei meno abbienti; poveri ed  ammalati erano particolarmente devoti dell’Angelo e spesso ricevevano assistenza e aiuto negli ospizi e negli ospedali, costruiti talvolta accanto a chiese micaeliche  e da queste dipendenti; la classe dei nobili e dei ricchi, invece, disponendo di mezzi sufficienti per farsi curare, solo eccezionalmente ricorreva all’Angelo”.

In Occidente il culto di S. Michele arriva direttamente dall’Oriente, al tempo in cui è vescovo di Siponto, Lorenzo Maiorano, inviato direttamente  dall’imperatore bizantino Zenone (476-491) verso la fine del V secolo. L’evento fa parte del programma di restaurazione spirituale attuato nella diocesi sipontina, attraverso la costruzione di nuove chiese e l’abbellimento di quelle esistenti.

Tuttavia non è da escludere, anche in presenza delle ultime scoperte archeologiche (graffiti, iscrizioni, affreschi), che il culto micaelico abbia sostituito un precedente culto pagano, probabilmente quello di Calcante e Podalirio, i cui culti sono ubicati proprio sul monte Drion, attuale Gargano, dallo storico Strabone, il quale così afferma: “Intorno al colle denominato Drion soglionsi mostrare alcuni monumenti sacri ad eroi: l’uno di Calcante, collocato proprio sul vertice, dove coloro che vanno per avere responsi, sacrificano un ariete nero, poi si mettono a dormire sopra la pelle; un altro, sacro a Podalirio, trovasi al basso, vicino alla radice del colle, lontano dal mare cento stadi circa. E da questi luoghi scorre un fiume le cui acque sono universale rimedio a tutte le malattie degli animali”. Entrambi questi culti, di provenienza rodio-coa, erano a carattere iatrico-divinatorio, in cui si praticava la guarigione dei malati attraverso le proprietà terapeutiche dell’acqua. Il rito centrale di essi però era l’incubatio, che secondo Strabone era presente non solo nel culto di Podalirio, ma anche in quello di Calcante. Tale rito, come abbiamo visto, era presente anche nei santuari di Cherotopa, di Colosse e di Chonae, in Frigia, ed esso consisteva nel dormire di notte avvolti in una pelle di animale e ricevere in sonno il responso del dio. Ciò fa supporre che la regione garganica dovette essere un crogiolo di miti e riti diversi, e che nel IV secolo questi, attraverso un processo di esaugurazione, vennero progressivamente debellati, attraverso la fondazione di nuovi templi cristiani. Vedi per esempio la dedicazione del tempio di Giove Dodoneo alla SS. Trinità  di Monte Sacro, in territorio di Mattinata, il tempio di Giano, in territorio di S. Giovanni Rotondo, dedicato successivamente a S. Giovanni Battista. Inoltre  templi dedicati a Diomede in diverse città della Daunia, fra cui Arpi, Elpie, Canosa, Siponto, trasformati successivamente in culti cristiani; così pure il culto di Atena Iliaca, di cui esisteva un santuario a Lucera; il culto di Cassandra ad Elpie, e infine il culto di Vestae, nell’attuale santuario dedicato alla Vergine Merinum, in territorio di Vieste.        

Per quanto riguarda il culto micaelico, i Bizantini, sotto cui ricade la giurisdizione di Siponto e del Gargano, si rendono  promotori di un imponente programma di promozione spirituale, ristrutturando e ampliando il santuario di S. Michele, che in breve tempo diventa uno dei più importanti centri micaelici dell’Occidente. Il documento che riporta la fondazione del santuario di S. Michele sul Gargano è il Liber de apparitione sancti Michaelis in monte Gargano, un documento dell’VIII sec.,  in cui vengono riportati gli avvenimenti delle apparizioni di S. Michele al vescovo sipontino,  con la relativa consacrazione e dedicazione della grotta, nonché alcuni avvenimenti successi riguardante la conquista della Puglia settentrionale da parte dei Longobardi. Secondo G. Otranto:  “Si tratta di una singolare operetta, tipica del genere agiografico, nella quale abbondano gli elementi miracolistici, al di là dei quali si possono cogliere, sia pure a fatica, alcuni motivi storici. Consta di tre episodi, detti rispettivamente del toro, della battaglia, della consacrazione della basilica, e risale, nella stesura attuale, alla  fine dell’VIII o ai primissimi anni del IX secolo. In essa si intravedono due stadi redazionali: il più antico riflette la fase iniziale della storia del culto dell’Angelo sul Gargano (V-VI secolo), cioè l’arrivo del culto stesso, adombrato nel primo episodio, la consacrazione della basilica, fatta direttamente dall’Angelo (terzo episodio), e i riferimenti alle guarigioni operate dal Santo con l’acqua che sgorgava dalla roccia all’interno della grotta. Il secondo stadio redazionale riporta all’epoca successiva, a dopo cioè che i Longobardi di Benevento, sconfiggendo nel 650 i Bizantini (secondo episodio) si impadronirono del santuario, fecero eseguire alcuni lavori di ristrutturazione al suo interno e unificarono le diocesi di Benevento e Siponto sotto la giurisdizione di un solo vescovo. In definitiva  l’anonimo autore fonde nel racconto notizie riguardanti le origini del culto micaelico sul Gargano con elementi e motivi maturati nei secoli VII e VIII”. Tutto ciò ci porta ad affermare che gli episodi narrati nell’Apparitio segnano il momento in cui il cristianesimo sconfigge e sostituisce il paganesimo, rappresentato del resto dalla stessa figura di Gargano, un eroe eponimo,  che incarna alcuni caratteri propri della società pagana agricola e pastorale.

Uno dei primi pellegrinaggi al santuario di S. Michele  sul Gargano, storicamente documentato in età bizantina, riguarda S.  Artelaide, giovane  figlia di Lucio proconsole a Costantinopoli, la quale, nella seconda metà del VI secolo,  all’epoca in cui era imperatore Giustiniano, era fuggita dalla capitale per non sottostare ai desideri dell’imperatore, si diresse per terra a Valona (Bulona), sulla costa dell’attuale Albania, per raggiungere, attraverso il mare, lo zio a Benevento: un certo Narsus o Narsete, che viene identificato col comandante delle truppe bizantine in Italia. Arrivata a Siponto, la giovane è avvicinata da un personaggio non meglio identificato che le fa richiesta di denaro per effettuare alcuni lavori, che aveva in animo di fare “in ecclesia sancti Michaelis quae sita est in monte Gargano”. Artelaide però preferisce salire di persona sulla montagna sacra e, dopo aver pregato sull’altare dell’Arcangelo “pro opere ipsius ecclesiae dedit triginta aureos”, fa ritorno a Siponto. Tutto ciò attesta che già nella seconda metà del VI secolo il santuario di S. Michele sul Gargano è al centro di un importante fenomeno di pellegrinaggio che si svolge fra l’Oriente e il Gargano e che la presenza dei bizantini è molto sentita se, dopo la nascita del culto micaelico e delle prime fabbriche dovute al vescovo sipontino Lorenzo Maiorano, essi si preoccupano di edificare una nuova chiesa più ampia ed accogliente per accogliere i numerosi pellegrini provenienti da ogni parte dell’Italia meridionale e dell’Oriente bizantino.   

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