L’archivio del santuario di San Michele e la platea della Celeste Basilica

a cura di Giuseppe Piemontese - Società di Storia Patria per la Puglia.

La storia di una nazione o di una città si costruisce attraverso le fonti scritte e i resti archeologici, siano essi del passato che del presente. Non c’è cultura o narrazione  storica se il tutto non viene rapportato alle fonti e quindi alle testimonianze riguardante un determinato avvenimento. E questo vale sia per le persone che per gli oggetti, fra cui le testimonianze scritte. Nel nostro caso vogliamo rapportarci alla storia del nostro santuario, con riferimento alla città in cui esso è sorto e precisamente Monte Sant’Angelo, oggetti da molti anni delle mie ricerche storiche, oltre che religiose, con specifico riferimento al fenomeno del pellegrinaggio micaelico, diffuso non solo in Italia, quanto in Europa, grazie alla nascita di altri insediamenti micaelici, fra cui Mont Saint-Michel in Normandia e della Sacra di San Michele sul Monte Pirchiriano a Torino. Tuttavia sulla ricostruzione storica dei primi secoli del nostro Santuario, fino al Seicento,  pesa un’ombra, o una mancanza fondamentale che è quella di aver perso nel passato l’Archivio storico-religioso, che a detta di molti scrittori, doveva esserci nei locali del santuario ben custodito, fino a quando la furia degli eventi, ma anche la mancanza di cura degli stessi custodi del santuario non hanno fatto si che l’Archivio andasse perduto e quindi distrutto. Probabilmente per motivi accidentali, ma anche per motivi di interesse di alcuni personaggi noti all’interno del santuario stesso, tanto da ipotizzare un’azione fraudolente nel far sparire documenti che attestavano la proprietà di alcuni beni del santuario a vantaggio di qualcuno. Ma questa è una storia tutta da provare. In ogni modo quello che sappiamo è che fino al 1600 nel santuario di San Michele vi era un vero e proprio archivio. Ce lo attestano alcuni storici dell’epoca, fra cui il Cavalieri e il Sarnelli, oltre che il Notar Domenico Marrera di Vieste, nel compilare, nel 1678,  per ordine del Cardinale Orsini,  la Platea, dove,  nel trascrivere l’elenco dei beni del santuario, si fa riferimento esplicito dell’esistenza di un vero e proprio Archivio. Afferma a tale proposito Ciro Angelillis: “Il fatto che non può essere mai abbastanza deplorato è soprattutto la perdita completa del prezioso Archivio capitolare di cui i locali della Canonica erano depositari, e che troviamo spesso citato in tutte le memorie sulle nostre Chiese.  Il Cavalieri ed il Sarnelli rievocano spesso nei loro scritti documenti, pergamene, bolle, decreti da essi consultati nel nostro Archivio e il notar Marrera si servì appunto dei medesimi per la redazione della sua Platea” (Angelillis, 1956, p. 39).  Tale Archivio venne a costituirsi attraverso i secoli e precisamente dal VI secolo in poi, allorquando si ebbe la fondazione del santuario di San Michele in seguito alle tre Apparizioni, quella del 490 detta del toro,  del  492 della Consacrazione e del 493 della Vittoria dei Longobardi sui Napoletani-Greci, così come si legge nel Liber de Apparitionis allorquando l’Arcangelo Michele volle che in una grotta del Gargano,  sorgesse il suo culto, che doveva espandersi in pochi secoli in tutta Europa, attraverso la presenza di vari popoli, come i Bizantini, Longobardi, i Normanni,  gli Svevi, gli Angioini e gli Aragonesi attraverso la fondazione di numerosi santuari micaelici, dando così vita a vari itinerari micaelici tanto da gareggiare con quelli di più ampia portata, come la Via Francigena, la Via Romea e la Strada di Gerusalemme. Insomma un grande percorso itinerante europeo che si racchiudeva nel trittico DEUS ANGELUS HOMO. L’Archivio del Santuario di San Michele sul Gargano doveva testimoniare tutto ciò che riguardava le sue vicende storiche, le testimonianze di fede e di religiosità popolare, oltre che testimoniare la presenza di personaggi noti e meno noti, tanto da creare le basi per una vera e propria storia religiosa del Gargano, da cui proveniva l’alto magistero della presenza micaelica in Europa. Una presenza che aveva avuto origine dell’Oriente e che poi si era riversata ed espansa in Occidente tramite il Gargano.  Nell’opera di Ciro Angelillis, Il santuario del Gargano e il culto di San Michele nel mondo, pubblicato in due volumi nel 1955-1956,  l’Autore  fa una ricostruzione storico-ideale dell’Archivio del Santuario, con riferimento alla presenza di Pergamene, Diplomi, Codici, Decreti,  Bolle, Lettere apostoliche, Registri, ecc. Documenti che un tempo dovettero esistere, in parte,  anche nel Grande Archivio di Napoli, che purtroppo è andato in molte parti distrutto dai bombardamenti dell’ultima guerra mondiale. Uno degli storici che ha tentato di raccogliere notizie riguardanti l’Archivio del nostro santuario è stato il Dr. Ruocco, il quale nel 1929 ha pubblicato un libretto sulle  Fonti della storia di Monte Sant’Angelo, in cui si faceva riferimento ad una lunga  serie di Atti che dal 1487 (epoca aragonese) andavano sino al 1732 (inizio dell’epoca borbonica), additandoci in tale elenco il volume, l’anno, il foglio da rintracciare per ogni singolo obbietto.  Diversi testi e documenti riguardanti la storia del santuario di San Michele vengono riportati anche  nella Memoria del 1864 redatta dal Canonico D. Donisio De Cocchi, dove venivano  citati documenti e diplomi principeschi a favore della nostra Chiesa,  in relazione, specie in età durazzesca e aragonese, ad onorificenze, immunità, franchigie concesse alla nostra Basilica e ai Suoi Ministri, nonché Diplomi in pergamena che dovettero costituire fra i più importanti documenti del nostro Archivio. Tali documenti sono riportati anche nella Platea del 1678, ordinatagli dal Cardinale Orsini al Notar Marrera, dove vengono trascritti  i documenti, fra cui Pergamene e Diplomi,  presenti nell’Archivio del Santuario. Come del resto  ebbero a confermare gli stessi scrittori del Seicento, il Cavalieri e il Sarnelli, i quali nel compilare le loro opere  Il Pellegrino al Gargano (1680) e la Cronaca de' Vescovi e Arcivescovi Sipontini (1680), dovettero servirsi delle scritture depositate nella Basilica di San Michele. Fra queste Pergamene, per esempio, troviamo  la concessione della cosiddetta Gabella dell’Atrio, con cui attraverso un decreto o diploma del 1362 la Duchessa Giovanna di Durazzo Signora dell’Onore di Monte Sant’Angelo, stabiliva che  chiunque traesse utile o guadagno in rapporto al Santuario doveva  corrispondere un tributo a favore del Capitolo. Inoltre venne stabilito, ad ogni compagnia di pellegrini che entrava dalla Porta di Carbonara, un diritto di pedaggio, che venne chiamato  Scotto, da cui deriva la denominazione del luogo lo  Scotto. Cosi come un Decreto reale dell’allora re Ferdinando I di Aragona, in data 13 settembre 1475, demandava in tutto il Regno di Napoli ai soli artefici di Monte Sant’Angelo, di riprodurre l’immagine di San Michele, per cui essi vennero chiamati  da allora  Sanmichelai.  Inoltre, in questa Platea, vi si faceva riferimento a  vari  Diplomi di concessioni di denaro elargite al Capitolo del Santuario da parte di Re e Principi durazzeschi e aragonesi, nonchè vari Privilegi  e Diplomi riguardanti le saline, le decime frumentarie, i lasciti di forestieri deceduti, vari diritti su chiese e monasteri  del Regno,  e infine varie Bolle papali, fra cui quelle  di Clemente VI del 1343 riguardante il riconoscimento della nostra Chiesa a Cappella ducale dei Durazzeschi; di Bonifacio IX del 1401 e del 1403, riguardanti la proclamazione della Chiesa garganica a Concattedrale con la Chiesa di Siponto e la concessione dell’Indulgenza plenaria alla nostra Chiesa; di Giulio III  del 1555,  riguardante l’istituzione di una Confraternita di San Michele in Gargano con speciali privilegi cui possono spiritualmente iscriversi persone di ogni paese dell’uno  e dell’altro sesso, istituzione  tuttora esistente e funzionante;  di Pio V  del 1569, contro alcune alienazioni di beni appartenenti a San Michele del Gargano;  di Gregorio XIII del 1576, riguardante il suffragio quotidiano dei morti;  di Benedetto XIII del 1590,  in  cui si riconosceva il privilegio di indossare le Mitre bordate di argento; di Alessandro VII del 1657, a proposito della conferma riguardante la sacralità della Sacra Pietra concessa nel 1656 dall’Arciv. Puccinelli a proposito della Peste. Inoltre certamente vi dovettero essere nell’Archivio  vari manoscritti e documenti riguardante  la storia del santuario e del culto micaelico, fra cui per esempio il più antico codice della “Legenda Principis Angelorum” che i Bollandisti affermano si conservasse nei più remoti tempi nella stessa Chiesa del Gargano; Codici antichi della Vita di S. Lorenzo Maiorano, fondatore del culto micaelico; una pergamena di Ferdinando I d’Aragona relativa ad alcune sue donazioni in oggetti in argento; un antichissimo Codice contenente la Vita di S. Giovanni da Matera, fondatore dell’Abbazia di Pulsano,  in caratteri longobardi; una copia riguardante l’istrumento di fondazione della Chiesa e del Monastero della Santissima Trinità in Monte Sant’Angelo, e così via. Tutti documenti molto importanti per ricostruire la storia non solo del Santuario, ma della stessa città di Monte Sant’Angelo. “Tutto questo, afferma C. Angelillis, è solo un’idea approssimativa  di quanta dovizia di documenti ebbe a contenere il nostro vecchio Archivio capitolare, cui certo dovettero accompagnarsi tante altre carte e scritture e stampe di Concili, Sinodi, Decreti, oltre a Memorie e corrispondenza di vario genere specialmente con le grandi Badie viciniori di Pulsano e di Monte Sacro… Naturalmente non poterono neppure mancare nell’Archivio Allegazioni giuridiche ed estensioni di sentenze relative ai vari clamorosi processi che il Capitolo in varie epoche dovè sostenere con la Curia sipontina, contro il proprio Comune e contro il Regio Fisco italiano, nelle quali fu svolta tanta secolare storia del nostro Ente”.” (Angelillis, 1956, p. 52-53). Oggi di tutto quel materiale riunito e collezionato nella nostra vecchia Canonica non rimangono quasi nulla, se non due vecchi Registri, e precisamente la Platea  e un  Liber fundationis Monasterii Monialium SS. Trinitatis Ordinis S. Clarae Civitatis Montis Gargani, ordinato quest’ultimo dall’Arciv. Cardinale Orsini nel 1675 e seguitato ad annotare fino alla soppressione del Convento.

A proposito della Platea, la sua sede originaria, come del resto di  tutto l’Archivio del Santuario, dovette essere i locali della Canonica, dove un tempo si riunivano i rappresentanti del Capitolo che amministrava la Basilica. Essa è menzionata nella Platea  del 1678, ordinata dal Cardinale Orsini, futuro papa Benedetto XIII, al Notar Marrera, nel  trascrivere l’elenco delle proprietà del Santuario, in cui vi erano elencati tutti i documenti e i libri custoditi nell’Archivio, insieme a quadri, statue e manoscritti. L’Archivio scomparve del tutto con il saccheggio del 1799, ad opera dei Repubblicani francesi, anche se in seguito, da parte degli Arcivescovi di Manfredonia e dei Canonici della Basilica ci furono vari tentativi di rimettere su l’Archivio, ma sempre essi fallirono. In seguito l’Archivio del Santuario venne spostato nei locali della Chiesa della Libera, che era la parrocchia di San Michele, per poi essere trasferito a sua volta nei locali della Chiesa di Santa Maria Maggiore, anche se c’è da sottolineare che sia la Platea che il Liber fundationis Monasterii Monialium SS. Trinitatis  rimasero nei locali del Santuario e precisamente nel nuovo Archivio, dove  Padre Francesco Giovanni Taronna ha potuto trascrivere la Platea  e pubblicarla in foto anastatica grazie ai Monaci Benedettini di Monte Sant’Angelo.

In conclusione noi oggi abbiamo ben poco della memoria storica del nostro Santuario,  tanto che “la scomparsa dell’archivio del nostro santuario ha costituito, secondo l’Angelillis, una vera e propria iattura che si è ripercossa sulla notorietà stessa del nostro santuario: iattura irreparabile che appena lievemente può essere attenuata dal rinverdire oggi la fama del perduto tesoro e dal rievocare con gelosa cura la memoria alla presente e alle future generazioni”.

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