L’ossessione identitaria. Le lotte per il riconoscimento

a cura del prof. Giuseppe Piemontese - Società di Storia Patria per la Puglia.

Il Ventesimo secolo è stato caratterizzato da numerose guerre che hanno avuto diverse cause e motivazioni. Cause di ordine economico, politico, sociale e culturale, ma fra queste dobbiamo annoverare anche cause che derivano da fattori identitari, e più specificatamente etnici, legati ad una determinata realtà territoriale e spesso culturale. In altre parole, guerre per difendere o acquistare una propria identità culturale o territoriale, tanto da creare le premesse per vere e proprie guerre fra regioni o fra nazioni. Del resto, a tale riguardo, molti sono  i conflitti che hanno avuto come casus belli l’identità  etnica, oppure l’identità religiosa o culturale. Basta citare a tale proposito la crisi dei paesi dell’ex Jugoslavia, o anche gli ex Stati dell’Unione Sovietica, che in nome della loro identità hanno dovuto affrontare vere e proprie guerre civili, ricorrendo alla violenza e, a volte, allo sterminio del nemico.  Per non parlare, poi, dei conflitti in corso, fra Israele e i palestinesi, in Iraq, Afghanistan, Siria, Libia, Ucraina, Nigeria, ecc. In questi paesi i conflitti sono non solo religiosi o politici, quanto di natura etnica o identitaria, legati alla storia di ognuno e alle loro culture o religioni. In questi paesi, infatti, si combatte per la supremazia di un’identità culturale e religiosa e, quindi, per l’annientamento di una di essa. Purtroppo, è paradossale che, come afferma Massimo Nava sul Corriere della Sera: “Nell’era della globalizzazione, della modernità tecnologica, della laicità persino esagerata, che a volte fa perdere di vista il senso ultimo dell’esistenza, il fattore religioso moltiplichi notizie di cristiani perseguitati, di minoranze umiliate, di simboli religiosi distrutti, di un fondamentalismo islamico che pretende di instaurare antichi califfati, del sangue che scorre all’interno dello stesso mondo arabo/musulmano”.
      Tuttavia, oggi il concetto di identità acquista una valenza più ampia, non specificatamente legata alle etnie o a fattori politici o religiosi di alcuni popoli o di alcune regione del mondo. L’identità, oggi, si manifesta soprattutto attraverso la convivenza sociale fra i popoli, che, purtroppo, sono costretti ad emigrare non solo per motivi di lavoro, ma soprattutto per motivi politici e di sopravvivenza, specie là dove sono in atto i conflitti armati e le violenze quotidiane.  Purtroppo, oggi, si uccide in nome della propria identità e del proprio credo politico e religioso, senza tenere conto dei valori di solidarietà e di libertà dei popoli.  

Vi sono alcuni autori che hanno esaminato il concetto di identità e ne hanno tracciato la storia e l’evoluzione nel tempo. Fra questi Zygmunt  Bauman in un suo libro-intervista (Z. Bauman, Intervista sull’identità, Laterza, Roma-Bari 2003), che ha come tema principale il concetto di identità. Infatti, Z. Bauman afferma che in una società  interculturale corretta ed evoluta, c’è sempre bisogno di “riconoscersi” nell’identità; senza la coscienza di ciò che si è, è impossibile aprirsi all’altro, e così anche accettarlo e assimilare qualcosa da lui (Bauman, 2003).   Così come afferma Carlo Truppi, a proposito della diversità nell’identità: “Appartenere a una comunità, afferma Carlo Truppi, implica il rispetto della cultura comune. Non viviamo più in contesti banalmente omogenei, l’attuale mondo è formato da una eterogenea compresenza di multiculturalità. Ancor più, quindi, la consapevolezza e la valorizzazione della propria identità costituisce la base dell’accoglienza della diversità, altrimenti l’identità scompare. Il recupero e la valorizzazione dell’identità diventa invece la base dell’accettazione della diversità” (Truppi, 2011, p. 81). A proposito di identità lo scrittore libanese Amin Maalouf afferma: “Tutti noi rivestiamo più ruoli, di conseguenza abbiamo un'identità multipla, definita come identità sociale. È opportuno, infatti, chiarire che l'identità è contestuale e relazionale, cioè essa può variare in base al contesto, al ruolo che si intende assumere in tale contesto ed alla posizione, autodeterminata o meno, che si gioca (o ci viene fatta giocare dagli altri con le loro identità) all'interno della rete di relazioni e percezioni (simmetriche ed asimmetriche) al cui interno ci si trova inscritti ed attivi” (Maalouf, 2005). Amin Maalouf  è convinto che contro la follia di chi ogni giorno e in tutto il mondo, incita gli uomini a suicidarsi in nome della loro identità, egli si rifiuta di contemplare questo massacro con fatalismo e rassegnazione. Il suo stesso destino di uomo d'Oriente e d'Occidente lo spinge a spiegare ai suoi contemporanei, con parole semplici e riferimenti diretti alla storia, alla filosofia e alla teologia, che si può restare fedeli ai propri valori senza sentirsi minacciati dai valori di cui gli altri sono portatori.

Tuttavia oggi vi sono  molti sociologi e antropologi che  mostrano i loro sospetti nei confronti del concetto stesso di identità: fra questi Francesco Remotti che parla di ossessione dell’identità da cui liberarsi. Oppure c’è chi ritiene opportuno andare oltre il concetto di identità, in quanto considerato ambiguo, contenutisticamente poco significativo e inutile sul piano euristico. C’è chi invece considera l’identità un problema fondamentale delle società post-moderne e nell’età della «modernità liquida», come Zygmunt Bauman, considerandola fluida, mutevole e costantemente ricostruita, aperta a revisioni e aggiustamenti. Così come Amartya Sen collega l’identità con la violenza, riconoscendone in  diverse guerre la matrice.  E su questo c’è molto da discutere e da studiare. Anche perché vi sono stati a tale proposito diversi altri autori che hanno parlato di riconoscimento della propria identità o delle proprie identità, come hanno fatto Paul Ricoeur,   Barrington Moore, Arjun Appadurai.  

Oggi il concetto di riconoscimento è molto importante, di cui ha fatto la sua bandiera il filosofo Paul Ricoeur.  Per la prima volta il pensiero filosofico si interroga sul "riconoscimento", un termine mai prima oggetto di una specifica riflessione. Ricoeur ripercorre i principali testi dell'Occidente, da Omero ai nostri giorni, passando per Aristotele, Descartes, Hobbes, Kant, Hegel, alla luce delle svariate accezioni del riconoscimento nel loro scandirsi attraverso la storia delle idee filosofiche. La posta in gioco consiste nello scoprire le varie modulazioni dell'agire che il riconoscimento dischiude, soprattutto sul piano etico e politico.

In campo psicologico, la perdita della propria identità porta, spesso, verso la perdita della propria riconoscibilità e, quindi, della propria personalità come valore identitario e come  valore soggettivo.  Questo specie in una società in cui il capitalismo, e quindi la globalizzazione,  ha determinato anche il modo di vivere a livello soggettivo e a livello comunitario. Un capitalismo in cui ogni persona si sente partecipe, nel bene e nel male, di un processo economico e culturale, di cui non può fare a meno.  Crisi identitaria che proviene, oggi, da un vero e proprio disagio culturale oltre che psicologico. Del resto, già all’inizio del Novecento ne parlava lo stesso Freud quando scrisse il libro  Il disagio della civiltà (1929), come espressione della precarietà della vita. Purtroppo oggi il concetto di identità è studiato specialmente a livello psicologico, in quanto la sua mancanza o la sua crisi influisce sulla personalità del soggetto, in quanto senza di essa, il soggetto perde, come afferma Thomas Reid, il “senso comune” . Per cui  si va verso “un mondo di fantasia senza realtà”. In questo senso, quando viene meno il nostro convincimento dell’identità, significa aprire la strada alla follia, all’insanità” (Reid, 1969).

Purtroppo, nell’attuale società contemporanea, molti sono soggetti alla depersonalizzazione, che significa perdita di identità e di riferimento a tutto ciò che li circonda, specie se il tutto viene visto sia all’interno del nucleo familiare, sia nel contesto urbano, come per esempio vivere in una periferia, al di fuori di ogni riferimento identitario della città e del proprio territorio. Oggi, sia la psicoanalisi che la psichiatria si interessano sia della crisi dell’identità che della depersonalizzazione, che, spesso, crea il fenomeno deviante di sradicamento e di alienazione. Del resto, sappiamo che  i nuovi soggetti negli spazi urbani, che si sono sviluppati come contenitori “neutri” di diaspore e delocalizzazioni, elaborano profili culturali sovversivi e in profonda conflittualità con quelli rassicuranti del passato. In questo senso, oggi, spesso si parla di crisi esistenziale o di crisi di identità, con riferimento specifico a crisi di identità affettiva e sociale. Quando queste identità vengono meno, o si hanno dei cambiamenti repentini per quanto riguarda i rapporti familiari, i rapporti con amici o con partner sentimentali, oppure la perdita del proprio luogo di appartenenza, allora si va verso la crisi esistenziale che può comportare un cambiamento dell’immagine di Sé e una perturbazione emotiva che può durare, a seconda di ognuno di noi, più o meno a lungo ed essere più o meno intensa. E, spesso, si ricorre all’automedicamento, come il ricorso agli psicofarmaci, all’alcool, alle droghe, a cui si chiede di smorzare quel senso di angoscia, di agitazione emotiva. Oppure allo "stordimento di coscienza", ovvero di allontanamento e dispersione di attenzione dal proprio essere, attraverso l'impulso all'acquisto esagerato, anche se non abbiamo bisogno di quei particolari prodotti. Purtroppo, il Ventesimo secolo, oltre ad essere l’età della violenza, è anche il secolo dell’alienazione e dei desideri inappagati, dovuti al benessere e all’idea di progresso ad ogni costo.

 

 

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