Voglia di comunità

a cura del prof. Giuseppe Piemontese - Società di Storia Patria per la Puglia.

L’attuale situazione politico-istituzionale, in conseguenza anche della pandemia, ci porta ad esaminare il concetto di comunità su cui si esercita il mandato istituzionale dei partiti e in genere della politica. Un aspetto che oggi denota una separazione netta fra comunità e politica, tanto da mandare in crisi l’intero sistema istituzionale non solo dello Stato, ma anche delle città, su cui si abbatte con violenza la crisi socio-economica. Purtroppo sono diversi anni che si parla di crisi delle istituzioni e, quindi, della rappresentanza politica in seno alla società, tanto da creare uno iato o separazione fra i partiti e la società, fra la politica e la comunità, che in un sistema democratico, dovrebbero essere al centro di ogni progetto di sviluppo e di consenso. Purtroppo ciò è venuto meno, tanto da dare origini a nuovi partiti o movimenti, che in nome del popolo, si sono costituiti per governare le città e le nazioni. Da tutto ciò sono nati gli ultimi movimenti politici che si identificano, da una parte nel sovranismo e nell’altra nel populismo, i cui movimenti stanno condizionando a vari livelli gli Stati occidentali, dall’Europa agli Stati Uniti d’America, con conseguenze che purtroppo ancora non riusciamo a delineare e, quindi, a valutare. Da tutto ciò nasce quindi la convinzione che la civiltà occidentale, fondata sulla modernità e, quindi, su determinati valori legati all’Illuminismo, come il progresso, l’uso della ragione, la libertà, la democrazia, la parità dei diritti, il pensiero filosofico e scientifico, è ormai al tramonto, in un processo di declino, tanto da andar incontro ad una vera e propria apocalisse. Infatti, vari scrittori, filosofi, sociologi, economisti, politici, parlano di umanità perduta, di tramonto dell’uomo, di un mondo senza “noi”, di stato di paura, di un mondo liquido e non più solido. In altri termini di un mondo fuori controllo, con una crescente disuguaglianza sociale e culturale, il  tutto in un mondo diventato sempre più complesso e più  difficile da comprendere e governare. Una complessità che abbraccia molteplici problemi di ordine sociale, culturale, economico, politico e istituzionale. Per non parlare poi dei gravi fenomeni legati, per esempio, alle migrazioni, al surriscaldamento climatico e infine alla nascita di stati autoritari, anche se ancora non sono diventati dei veri regimi. Del resto è sotto gli occhi di tutti la crisi dell’Unione Europea, specie dopo che gli inglesi hanno scelto di uscire fuori dall’Europa, decretando la Brexit. Ma altri fenomeni sono legati a forme estreme di autoritarismo, che oggi si nascondono sotto la formula di populismo e di sovranismo.  In questo capitolo vogliamo soffermare la nostra attenzione su un volume pubblicato nel 2019 dall’Università Bocconi di Milano, di cui è autore Raghuram Rajan, intitolato Il terzo pilastro. La comunità dimenticata da Stato e mercati (EGEA, Università Bocconi Editore, Milano 2019), in cui l’Autore pone l’attenzione su tre fenomeni legati al mondo d’oggi: lo Stato, il Mercato e la Comunità. Rajan spiega perché il capitalismo abbia funzionato per più di sessant’anni e ora esso sia in crisi. Inoltre afferma che in questi ultimi anni il Mercato e lo Stato si siano sviluppati in mondo abnorme a discapito della Comunità. Del resto si è potuto constatare che specialmente il mondo occidentale, Stati Uniti e  Paesi europei, hanno privilegiato una economia basata prevalentemente sul capitalismo e sul libero mercato, tanto da sviluppare in maniera esponenziale il cosiddetto neoliberalismo, limitando gradualmente, da una parte, l’autonomia degli Stati, ormai prigionieri del libero mercato e dall’altra decretando la fine del concetto di società e, quindi, di comunità, verso cui il libero mercato è rivolto. Un’azione più che di salvaguardia della comunità, quanto di assoggettamento di essa alle regole del profitto e dell’arricchimento del mondo finanziario, basato sulle banche e sui grandi monopoli finanziari. Monopoli che hanno finito per destabilizzare il potere non solo dei singoli Stati, ma soprattutto il potere decisionale delle comunità, che si sono viste private del loro consenso. E tutto ciò nell’ambito di una progressiva rivoluzione tecnologica, legata da una parte al mondo dell’informatica e, quindi, al mondo finanziario, che utilizza la tecnica per fini propri, e dall’altra alla nascita, specie dagli anni ’80 del Novecento, allo sviluppo della globalizzazione. Quest’ultimo fenomeno ha accelerato e perfezionato le leggi legate al libero mercato, tanto da essere considerato come l’ultimo stadio del capitalismo postmoderno.

Secondo Rajan lo squilibrio fra i tre pilastri del mondo è molto forte. “Mercato e Stato, afferma Stefano Ugolini, sono oggi molto forti, mentre la dimensione locale è diventata troppo debole. Le comunità, da sempre fondamentali nell’organizzazione delle civiltà umane, sono state prima spolpate dal crescente strapotere dello Stato fino alla metà del Novecento, poi definitivamente divelte dalla globalizzazione e dalla rivoluzione telematica. Questi fenomeni hanno ridotto all’osso le relazioni di prossimità e prodotto una sempre più netta segregazione sociale, creando quelle larghissime sacche di disperazione (nei ghetti urbani e nelle aree  rurali) che sono oggi i granai dei demagoghi populisti: lo sradicamento dalle comunità reali di origine ha infatti incoraggiato i vinti della globalizzazione a ricercare protezione nelle nuove “comunità immaginate” proposte dagli imprenditori politici dell’odio”.

Tutto ciò porta verso una critica non solo del capitalismo in generale, quanto soprattutto della globalizzazione, per cui a questo punto ci si chiede: in che modo e con quali regole? In altri termini in che modo si può governare la globalizzazione, la quale, come stiamo vedendo, sta producendo dei veri e propri terremoti degli assetti politici e culturali nell’ambito della governance degli Stati, ma soprattutto attraverso l’emarginazione di una grande fetta della popolazione mondiale, che sta subendo un processo di ineguaglianza sul piano sociale ed economico. Del resto oggi il cittadino europeo o occidentale non si riconosce più nel suo paese, tanto da pensare che il suo status sociale è in serio pericolo, dando la colpa non solo alla globalizzazione, quanto a fenomeni esterni quali l’emigrazione, oppure il surriscaldamento del clima, dovuto al consumo e all’utilizzo del carbon fossile nel processo industriale. Fenomeni che messi insieme, emigrazione, surriscaldamento climatico e perdita di autorità dello Stato, che è incapace di governare l’attuale crisi economico-finanziaria, portano, come abbiamo visto, a nuovi movimenti xenofobi e quasi razzisti, tanto da creare continue tensioni in campo sociale, economico e culturale, per non dire politico.

 A questo punto R. Rajan propone il ritorno dell’economia al sociale e, quindi, al rispetto della Comunità. Cioè  ad una conciliazione positiva ed inclusiva fra Stato, Mercato e Comunità. Anche se ormai il processo della globalizzazione è così forte, che ben poche speranze ha l’uomo di governarla, se non fermare gradualmente tale processo, però a discapito dei paesi emergenti, come Cina, India e paesi indonesiani, che ormai vedono nella globalizzazione la sola via di sviluppo e di integrazione con i paesi occidentali.

In altri termini bisogna rivitalizzare le comunità basate sulla prossimità, in cui le persone siano considerate delle risorse. E questo può avvenire solo coinvolgendo la comunità nella fase decisionale. In altre parole la soluzione secondo R. Rajan è quella di dare maggiore peso alla società e, quindi, alla comunità,  che si deve riconoscere nel proprio luogo, in cui opera. In altri termini lo Stato dovrebbe decentrare molte competenze alle comunità locali, più capace di essere vicino ai cittadini. Dall’altro lato il mercato dovrebbe diventare più trasparente, concentrarsi sulla  creazione di valore piuttosto che di profitto e smettere  di sconfinare nella sfera politica ed etica, ripristinando in generale clima di fiducia nella democrazia e nella partecipazione del cittadino al “bene comune”.  

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