Il patrimonio artigianale di Monte Sant’Angelo

a cura del prof. Giuseppe Piemontese - Società di Storia Patria per la Puglia.

Da più parti mi chiedono dove sia finito il patrimonio artistico dei nostri artigiani, che nel passato hanno fatto grande la nostra città, attraverso i loro prodotti che un tempo erano esportati in tutta Italia, ma specialmente nelle regioni del Centro-Sud. Artigiani che erano esperti nella lavorazione del ferro, del cuoio, della pietra, del legno, del vestiario, dell’oreficeria, della lavorazione del pane e dei nostri prodotti locali. Un settore, che dava lavoro a molti montanari, ma soprattutto dava qualità alla nostra vita, specie negli anni Cinquanta e Sessanta. Infatti, in questi anni la città di Monte Sant’Angelo contava più di 22.578 abitanti e vi erano più di 800 botteghe artigianali, con quasi 70 botteghe di falegnameria. 

Oggi tutto questo mondo è finito.

Un mondo su cui si basava la nostra vita, un tempo in cui tutti noi sognavamo di diventare, non solo grandi professionisti, ma anche grandi artigiani e, quindi, bravi artigiani delle nostre tradizioni popolari. Le stesse che oggi vediamo nel nostro Museo Etnografico “Giovanni Tancredi”, fermo nella sua pesante staticità, un museo ormai spento e muto, dove non c’è più vita, né attività da parte di chi ne detiene la proprietà e la gestione.

Un Museo che dovrebbe essere alla pari con le nuove tecnologie e, quindi, capace di rigenerarsi e di raccogliere e tramandare ciò che oggi rimane dei nostri artigiani che hanno fatto grande le nostre tradizioni popolari. Invece il nostro Museo è fermo agli anni Cinquanta, al tempo del Tancredi, un Museo morto che non parla e non ha nessuna vitalità culturale e sociale. In questo senso è inutile che abbiamo un Museo che non ha alcun senso rispetto ad una città che vuole rigenerarsi e vuole trasmettere  e far conoscere ai nostri giovani il suo patrimonio culturale.  Purtroppo la politica oggi non ha la capacità di fa rivivere ed ampliare il suo Museo etnografico, con altri oggetti e altrettante  proposte museali, come l’Ecomuseo. 

Eppure ci sono artigiani che conservano ancora, nei loro locali  e nelle proprie case, oggetti artigianali di grande valore artistico, che  aspettano solo di essere contattati per continuare la grande tradizione di Giovanni Tancredi, nel raccogliere tali opere ed esporle nel suo Museo, oppure in un altro luogo che possa rappresentare oggi il grande patrimonio delle tradizioni  popolari del Gargano.

Di questo Museo, dedicato all’artigianato locale, dovrebbero far parte diversi nostri artigiani fra cui Michele Di Palma, in collaborazione con suo fratello Paolo, scomparso recentemente,  per la lavorazione del ferro battuto,  Domenico Quitadamo per la lavorazione del legno, Giuseppe Ricucci, detto “il Fiorentino”, per la lavorazione del ferro e di oggetti in acciaio, come le spade dell’Arcangelo Michele,  Domenico Palena, per i suoi lavori in cuoio, Matteo La Torre, per la lavorazione della pietra,  Matteo Giordano, per la riproduzione artistica dei monumenti e dell’architettura del  nostro Centro storico, Michele Renzulli, l’ultimo dei Sammecalére e infine la famiglia Dei Nobili, per l’oreficeria.

Un mondo che richiama le nostre tradizioni legate all’artigianato popolare del Gargano, un tempo rinomato in tutto l’Italia, tanto da esportarlo e da essere apprezzato da tutti.

Oggi tutto questo mondo è finito, quasi scomparso, con alcune tracce visibili in alcune piccole botteghe artigianali, che un tempo erano presenti specialmente nel nostro Centro storico, ma che man mano sono scomparse, lasciando nel più completo silenzio quasi tutti i quartieri dell’antico Rione Junno, che un tempo caratterizzavano il centro abitato della città micaelica. Artigiani che andrebbero oggi rintracciati, i cui prodotti dovrebbero essere depositati nel Museo Etnografico Tancredi, oppure in un Museo virtuale dell’artigianato locale.

Del resto molti di questi artigianati, che sono ancora in vita, sarebbero lieti di donare le loro opere al nostro Museo Etnografico o ad uno nuovo, tale da testimoniare la preziosità e il valore artistico delle loro opere.

Per esempio le bellissime spade in argento e oro del mastro fiorentino Giuseppe Ricucci, oppure le sue sculture in bronzo, tale da formare un unico corpus che oggi in parte possiamo ammirare lungo il viale campestre che porta alla Madonna degli Angeli, con la sua Via Crucis. Così come le opere di Michele Di Palma, con i suoi lavori in ferro battuto che racchiudono l’immagine di San Michele,  splendente nella sua bellezza serafica, oltre ad oggetti come le lampade che illuminano la nostra città,  gli oggetti scultorei dei nostri monumenti, fra cui il campanile; gli oggetti in legno del nostro bravo artigiano Domenico Quitadamo, fra cui oggetti in ceramica, in bronzo, in legno, fra cui i bellissimi comò con intarsio e altri oggetti di arredo, come i bassorilievi raffiguranti l’immagine di San Michele, alcuni scorci del Centro storico e diversi oggetti domestici, fra cui i mortai. E ancora  i lavori in pietra di Matteo Giordano, con le bellissime costruzioni dei nostri monumenti, fra cui la Basilica di San Michele, con il suo campanile, il Battistero di San Giovanni in Tumba, il castello normanno-svevo-angioino-aragonese e i vari aspetti architettonici del Centro storico.

Così come molto bravo è il maestro della pietra Michele Renzulli, che con le sue opere continua ancora l’arte dei Sammecalére. Per non parlare poi delle opere artigianali di Domenico Palena e di Matteo La Torre, con i loro lavori in cuoio, in pietra, in alabastro, novelli Sammecalére, che tramandano con le loro opere l’antico privilegio del re Ferdinando I d’Aragona del 1475. E infine il corredo ornamentale in oro della famiglia Dei Nobili, fini artigiani della lavorazione dell’oro, con i loro prodotti in filigrana. 

Tutto questo materiale andrebbe oggi raccolto e conservato nel Museo Tancredi, tale da continuare la sua opera, allo scopo di tramandare ai posteri il nostro patrimonio artigianale.

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