Per una politica del “bene comune”

a cura del prof. Giuseppe Piemontese - Società di Storia Patria per la Puglia.

Mai, come in questo momento, il concetto di “bene comune” è più appropriato alla nostra esistenza, messa in pericolo da un virus invisibile, che sta mietendo morte e sofferenza in tutto il mondo.

Bene comune rivolto soprattutto alla salvaguardia della salute e, quindi, alla necessità di preservare la vita, messa in pericolo da coloro che non credono nella medicina e, quindi, nella sanità, che oggi come non mai, deve essere considerata come “bene comune”, non solo di alcune persone o nazioni, ma di tutto il mondo.

Del resto siamo consapevoli che ciò che ci sta succedendo è un fenomeno non più ristretto a poche persone o a poche nazioni, ma  a tutto il mondo, tanto da considerare la salute come il “bene comune” primario del nostro Pianeta e quindi dell’intera umanità.

Ma al di là di ciò che oggi è considerata l’emergenza del Covid-19 dobbiamo approfondire il concetto stesso di “bene comune”, troppo spesso non tenuto presente da molti, tanto da  assistere purtroppo a tante guerre e a tante discriminazioni, in campo sociale, culturale, economico, ma soprattutto in campo razziale.

Tuttavia bisogna affermare che, oggi, la tematica di “bene comune” sta acquisendo una valenza quanto mai attuale, specie nei momenti di grave crisi economica e sanitaria, quest’ultima intesa come salvaguardia della salute, non solo individuale ma collettiva. Quindi, necessità di un buon vivere, intesa come salvaguardia del “bene comune, innanzitutto dell’onestà, della giustizia sociale, dell’uguaglianza, che purtroppo in questo periodo di pandemia,  è stata messa in crisi, creando i presupposti per una maggiore disuguaglianza, tanto da colpire la maggior parte delle persone a basso reddito. Crisi che riguarda specialmente lo stare bene in società, che poi si ripercuote nel vivere in una comunità e, quindi, in una città a dimensione d’uomo.

Da tutto ciò deriva la necessità di recuperare il senso sociale, come parte essenziale del “bene comune”. Tuttavia ciò non basta, se l’individuo, nella sua relazionalità con gli altri, ma anche con il suo habitat, non crea in se stesso una propria coscienza e un proprio senso di appartenenza, tale da creare  i presupposti per una maggiore qualità del vivere insieme.

Purtroppo veniamo da una società che ha dimenticato i valori specifici riguardanti la cultura dello stare insieme e, quindi, dell’abitare, quei valori di cui ci hanno parlato M. Heidegger e C. Norberg-Schulz, allorquando hanno affermato che lo stare insieme significa costruire, pensare, essere nel e per il mondo, tanto da creare le basi per  una identificazione con i luoghi, in un rapporto simbiotico fra uomo e ambiente, fra uomo e la sua città, tramite il sentimento dell’appartenenza. In questo senso città e individuo sono un tutt’uno, nella loro globalità e complessità esistenziale.

La qualità urbana, intesa anche e soprattutto come “bene comune” è essenziale per sviluppare il senso dell’appartenenza, ma soprattutto per trasmettere alle nuove generazioni il patrimonio culturale della società. A questo punto ci chiediamo: Che cos’è lo spazio urbano?

Certamente in questa categoria entrano diverse peculiarità, fra cui la fisicità del territorio, l’aspetto compositivo ed estetico dell’architettura, nonché i relativi significati simbolici associati. Inoltre la razionalità e la funzionalità degli spazi urbani.

Tutto questo va a comporre lo spazio urbano e, quindi, il patrimonio urbano, che si integra poi all’interno del suo territorio in senso globale, ossia come un sistema complesso, costituito dall’insieme delle sue tre componenti inseparabili che sono: l’ambiente naturale, l’ambiente costruito e  l’ambiente umano.

La valutazione della qualità urbana si baserà essenzialmente sulla ricerca dell’equilibrio di tutte e tre le componenti, cioè quella morfologica, funzionale ed economica. Purtroppo il più delle volte nella qualità urbana ha finito per privilegiare il soddisfacimento di alcune esigenze particolari a danno delle altre, per esempio, solo quelle economiche e non ambientali o culturali. Così a volte si sacrifica il bene patrimoniale pubblico alle esigenze private, togliendo così alla collettività il vero significato di “bene comune”, formatosi nell’arco dei secoli.

Purtroppo succede che  gli abitanti di un luogo o di una città non hanno alcun potere di determinare la valutazione del “bene comune”, per cui tutto è affidato alla politica, che spesso non tiene presente la dimensione collettiva del “bene comune”.

Tutto ciò è molto più grave nelle regioni del Sud, dove la pandemia ha creato maggiormente una divaricazione fra la gente, con mancanza di investimenti per creare buona occupazione, nonché mancanza di ammortizzatori sociali universali e politiche attive, al fine di contrastare la precarietà del lavoro che è massima specialmente nel Mezzogiorno d’Italia e che colpisce soprattutto i giovani, costretti ad emigrare verso le regioni del Nord.  

C’è bisogno, quindi, di  un giudizio di valore sociale complesso, che ponga al centro la consapevolezza che il proprio territorio e tutto ciò che è ad esso connesso, fra cui i centri abitati, con i loro “beni culturali”, la loro storia e il valore intrinseco delle tradizioni,  siano considerati patrimonio collettivo, espressione della propria identità e della propria formazione culturale. In altre parole c’è bisogno che il cittadino, attraverso la sua azione, ponga al centro della vita sociale, culturale e anche politica, il sentimento e il valore del “bene comune”. Cioè bisogna ricostruire e rideterminare il senso autentico della città e, quindi, della sua comunità, nella precisa consapevolezza che i propri abitanti rappresentano, a pieno titolo, gli autentici soggetti sociali di ogni cambiamento.

Soltanto attraverso la riscoperta di un ruolo attivo e propositivo degli abitanti, la città potrà ritornare a essere luogo della politica, della coesione  sociale, delle buone relazioni, della collaborazione, dello stare insieme, della convivialità, dell’impegno gratuito, della riscoperta del donare se stessi alla comunità e, quindi, alla città intesa come “bene comune”. In questo senso la politica deve essere al servizio del “bene comune” e, quindi, di ogni cittadino.

È evidente come tutto questo potrebbe avvenire soltanto alla condizione che sia proprio l’iniziativa politica nazionale e locale, insieme al mondo della cultura, dell’economia, dell’associazionismo, a impegnarsi molto attivamente per poter contrastare tutte le discriminazioni, attraverso la estensione degli Statuti di cittadinanza; per poter contrastare ogni segregazione sociale attraverso la gestione democratica della città e per poter contrastare tutte le forme di esclusione attraverso la costruzione di una nuova piattaforma di solidarietà sociale.

Tutto questo porta a considerare il “bene comune” come elemento essenziale di crescita sociale e di sviluppo economico, culturale e non ultimo politico.

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