Il mito di Gargano

Tra i tanti miti sorti in Puglia dobbiamo annoverare anche  il mito di Gargano, nella cui figura si è voluto vedere e  identificare il signore sipontino, Gargano, padrone di grandi quantità di greggi, artefice della leggenda garganica, da cui sarebbe derivato il culto di S. Michele.

Un culto che si sovrapponeva ad altri culti, sorti precedentemente, come il culto di Calcante e Podalirio e il culto di Mitra. Entrambi culti precristiani, che ormai fra il IV e il V secolo d.C. stavano scomparendo per fare posto a culti cristiani che si stavano affermando in tutto il Gargano, ma soprattutto nella Daunia.

 Da quanto si evince, leggendo l’Apparitio, composto probabilmente nella seconda metà del VII secolo, l’autore era consapevole che il  racconto della leggenda garganica si basava su un substrato mitologico, le cui tracce erano presenti al tempo della redazione del libellus (sec. VI). Infatti nel testo dell'Apparitio noi leggiamo “Erat in eadem civitate predives quidam nomine Garganus, qui et ex eventu suo monti vocabulum indidit” (Vi era in detta città un uomo molto ricco, di nome Gargano, il quale sin dalla sua venuta diede il suo nome al monte). Tutto ciò confermerebbe, afferma G. B. Bronzini,  “l’identificazione del luogo col suo possessore, il quale, sin dalla sua mitica comparsa, avrebbe dato il suo nome (vocabulum) alla montagna” e, nello stesso tempo, si avrebbe il recupero del “vero mitico”, che può ben essere antecedente allo stesso “vero storico”.  A questo punto ci chiediamo: chi è veramente Gargano, da dove  è venuto e quando è nato il suo culto? Probabilmente, così come  lo fu per Dauno, Diomede e Kalchos, la venuta in Puglia di Gargano dovrebbe essere messa in relazione con le migrazioni illiriche, antecedenti alle stesse migrazioni micenee del XII-XI secolo. Come abbiamo detto precedentemente, il suo toponimo deriverebbe da una radice illirica gar,  che significa "gola", "inghiottitoio di acqua", "cavità", "spelonca" o "mucchio di pietre", "altura". Esso viene ricordato in epoca classica,  in autori greci e latini, fra cui Virgilio (Aen.,  X, 246-247), "Ille  urbem Argyripan patriae cognomine gentis / Victor Gargani condebat Iapygis agris). Inoltre di una località Gargano si fa menzione nella Misia, in Asia Minore, dove Stefano di Bisanzio ricorda due città l'una in Epiro e l'altra in Italia. Quest'ultima era ubicata su un promontorio, romanizzato poi in Garganus. Così come di un monte Gargara si parla in Servio,  (Aen, XI 246), il quale riferisce di una vetta della catena dell'Ida nella Misia (Frigia). Di un insediamento urbano posto sul monte Gargano si parla a proposito della fondazione di S. Giovanni Rotondo, il cui sito pre-ellenico  viene identificato,  dallo storico S. A. Grifa,  nel toponimo di Castello dei Bisani, l'antico  Castellanum Bisanum, che un tempo era chiamato Gargaros.

Sul piano demologico, che è quello che in questa sede ci interessa, il racconto del ritrovamento del toro da parte di un ricco signore sipontino (Gargano) segna “il momento in cui il cristianesimo sconfigge e  sostituisce il paganesimo, rappresentato da Gargano e fino ad allora dominante sulla Montagna”.  A tale proposito il Bronzini vede in Gargano la personificazione di un eroe eponimo, che incarna alcune caratteristiche proprie della società pagana agricola e pastorale.  Infatti, nell’episodio del toro, Gargano è visto come un uomo ricco e potente, proprietario di una grande moltitudine di capi di bestiame e con numerosi servi a disposizione, tanto da determinare una sua personificazione ideale con un eroe mitico e, quindi, quasi una identificazione con la divinità. Tutto ciò porta a considerare che il culto di S. Michele nasce da un substrato mitologico in cui i personaggi della leggenda hanno ancora delle personificazioni mitiche. Infatti, molti elementi della leggenda garganica trovano esplicito riferimento nella mitologia greca: la freccia che ritorna indietro trova corrispondenza nella mitologia diomedea, cioè delle pietre che ritornano spontaneamente dal fondo marino nella loro sede originale; la facoltà dell’acqua terapeutica, presente nei santuari greci di Asclepio e Podalirio, la ritroviamo identica nella “stilla” garganica, tanto da testimoniare, almeno nel primo periodo della storia del santuario garganico, l’originaria funzione iatrica e naturale del culto micaelico; e, inoltre, la pratica dell’incubatio, il cui rito, frequente nei santuari greci, viene messa in risalto dal vescovo sipontino, allorquando questi, in seguito alle visioni avute in sogno, dà disposizioni ai fedeli per la consacrazione della grotta all’Arcangelo Michele. Tale pratica si ripeterà, nell'VIII secolo, con il vescovo di Verdun, Magdaleo, il quale, durante le notti passate davanti alle porte del santuario di San Michele, ottiene visioni celesti e divine rilevazioni.

Tutte queste analogie hanno fatto ipotizzare una continuità di tradizioni cultuali fortemente radicate nella regione garganica: tradizioni riscontrabili nel racconto che si fa nel Liber de apparitione, il cui autore, certamente, ha attinto da antiche leggende locali. Infatti, oggi,  a differenza di alcuni decenni fa, è possibile ipotizzare, anche attraverso i risultati degli scavi effettuati nella grotta, una continuità di frequentazione degli ambienti dall’età tardo antica all’età longobarda.  A tale riguardo, se analizziamo il testo dell’Apparitio, leggiamo che, allorquando i sipontini, dopo l'episodio del toro,  entrano nella grotta per consacrarla all'Arcangelo Michele,  a loro "appare un lungo porticato rivolto verso aquilone e che toccava una piccola porta posteriore, oltre la quale vi erano le orme impresse nel marmo. Ma prima che si giunga qui, appare una basilica molto grande rivolta ad Oriente, alla quale si accede mediante dei gradini. Questa, con il suo porticato, sembrava poter contenere circa cinquecento uomini, e mostrava, quasi al centro della parete, un venerabile altare, coperto da un piccolo pallio rosso. La stessa era un’abitazione tortuosa, non a guisa di un’opera umana con le pareti scoscese, e spesso rese ineguali da rocce sporgenti. Sul vertice roccioso, ad altezza diversa, qualche punto si toccava con la testa, qualche altro si poteva toccare a stento con la mano". Probabilmente la grotta era frequentata già prima che vi sorgesse il culto micaelico,  con alcuni ambienti già definiti. Ciò potrebbe  avvallare l’ipotesi di una frequentazione degli ambienti già nei primi secoli dell’era cristiana.

Una volta sorto il culto micaelico, esso si legava in maniera simbiotica e spontanea alla stessa tradizione cultuale del Gargano, che si rifaceva  non solo al culto e al mito di Gargano, ma ai precedenti culti di Dauno, Diomede, Calcante, Podalirio, ecc.

Questo substrato popolare farà in modo da creare le basi per un rapido sviluppo del culto micaelico in Italia e in Europa, specie allorquando appariranno nell’Italia meridionale, i Longobardi, che vedranno in San Michele il loro dio Wotan e quindi la personificazione  del loro mitico personaggio Gargan, ancora vivo nella mitologia celtica. Michele diventerà, così, il loro santo nazionale e il suo culto diventerà lo strumento di potere e la guida spirituale di tutta la gente longobarda, costruendo su di esso il loro dominio e la loro potenza sull’intero Mezzogiorno d’Italia.

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