La letteratura combinatoria de "Le Città Invisibili"

Le Città Invisibili Edizioni del Poggio, Poggio Imperiale, 2022.) è l’ultimo capolavoro di Antonietta Pistone pubblicato nel 2022. Un testo che rievoca attimi di grandi emozioni, di stupenda e piena poesia che tocca il cuore. Esso fa parte della “letteratura combinatoria” dove l'ordine del testo non è fissato a priori ma può essere smontato e rimontato a piacere dal lettore seguendo le “regole del gioco” definite dall'autore nella ricerca delle combinazioni interpretative nascoste nella sua opera e nel linguaggio stesso.  Il testo è strutturato con una duplice suddivisione: nella prima parte è presente una raccolta di poesie che hanno come protagonisti le sofferenze e la speranza, ricordi e dolore, il tutto filtrato da una realtà quasi sfumata dallo scorrere di sensazioni ed emozioni profonde. È questa del resto una qualità tipica di ogni testo letterario, ma in special modo di quello poetico, che – data la sua particolare struttura retorica fatta di echi e rimandi – induce il lettore a rallentare la lettura e non condurla solo linearmente e sempre in avanti, come più propriamente avviene nella prosa narrativa presente, invece, nella seconda parte. Il lettore ha davanti a sé una serie di poesie che possono essere viste come tessere di una scacchiera e che vanno interpretate, mettendole in relazione l’una con l’altra, per riuscire a dedurne un significato.

Per l’autrice poi la poesia ha una funzione catartica, ossia di purificazione da una serie di tensioni insite nello scorrere costante dei giorni che le permette poi di sentirsi svincolata da ogni forma di isolamento.

Col prevale della dimensione narrativa, presente nella seconda parte, si entra in una sorta di pellegrinaggio interiore dove la geografia del testo lascia spazio alla geografia dell’immaginazione, in quanto è lo spirito creativo a guidare la penna dell'autrice e attuare in poche righe dei mondi carichi di fascino, capaci di produrre immagini indelebili nella mente del lettore.

Nel suo insieme la seconda parte del testo è strutturata a partire da un’alternanza di presenza e assenza, distanza, ricerca e vicinanza dove l’autrice presenta nel suo lavoro un ritratto intimo di una donna, Rebecca, che anela al suo partner, Lorenz, e usa il sogno per mantenere viva così la loro relazione. Pertanto suggerisce che nel sogno i due protagonisti possono congiungersi a un livello più profondo, vivendo le loro emozioni e trovando conforto nella presenza reciproca. Il sogno poi accompagna tutta la narrazione, dove tutto l'immaginabile può essere sognato, ma anche il sogno più inatteso è un rebus che nasconde il desiderio, oppure il suo rovescio, la paura. Le Città, come i sogni, sono fatte di desideri e di paure, anche se il filo del loro discorso è segreto dove ogni cosa ne nasconde un'altra. La realtà perde la sua concretezza e diventa fluida e puramente mentale, realizzandosi nella fantasia. 

Le Città Invisibili sono un mondo da percorrere, attraversare e raccontare, nella convinzione che non tutto è perduto, e che i valori che hanno contribuito a rendere bella, anche se problematica, la nostra Città, sono pur sempre valori veri e possibili. 

Le Città Invisibili, una volta attraversate, sono anche da abitare attraverso atteggiamenti e parole di uomini e donne che si pongono in alternativa a coloro che, pur di non accogliere, trasformano la propria realtà, o per essere concreti, il Mare Mediterraneo, in un luogo per lamenti tragici da dare in pasto a famelici opinionisti. 

Le Città Invisibili sono anche tutte quelle esperienze che ci fanno sentire incompleti e bisognosi degli altri. Penso anche alla nostra Città/Scuola, dove spesso ci si sente autosufficienti e non bisognosi dello sguardo dell’altro, di un saluto cordiale. A volte la verità delle cose essenziali ci è tanto vicina da diventare per noi quasi invisibile, ci sfugge, meglio, l’altro mi è indifferente nel suo dasein, nel suo esserci dinanzi. Sarebbe bello se riuscissimo a rendere questi spazi comuni in luoghi di relazioni pulite e costruttive. 

In un lontano tempo, Rilke scrisse: «se la tua giornata ti sembra povera, non la accusare; accusa te stesso, che non sei abbastanza poeta da evocarne le ricchezze» (Lettere a un giovane poeta, Parigi, 17 febbraio 1903), come dire che siamo noi a rendere povero, fantasma e meschino un tempo o un luogo se siamo senza fantasia, senza sussulti, senza capacità di lasciarci sorprendere. Paradossalmente il potere della tenerezza spesso si intreccia nei fili della nostra trama quotidiana al punto da non captarla, e una conferma a ciò l’ho trovata in un detto di Eraclito, riferito da Aristotele, e riportato anche da Martin Heidegger. «Alcuni stranieri desideravano incontrare il filosofo di Efeso. Avvicinandosi, furono sorpresi dal vederlo mentre si riscaldava ad un forno. Leggendo nei loro volti la curiosità delusa, Eraclito fa loro coraggio e li invita espressamente ad entrare con queste parole: «οι θεοί είναι επίσης παρόντες εδώ απόσπασμα» ossia «gli dei sono presenti anche qui». Sicuramente il racconto non ci riporta se i visitatori abbiano capito subito queste parole. È evidente però che il messaggio che Eraclito intende trasmettere: «Επίσης εδώ»,«anche qui», presso il forno, dove ogni cosa e ogni pensiero è familiare, «anche qui» lì dove trascorriamo buona parte del nostro tempo.

Nella mia esperienza di uomo e di credente, spesso ritrovandomi a corto di speranza e di energie interiori necessari per riprendere il cammino, ho ripensato ad una serie di incontri ed emozioni che ho provato ascoltando e interiorizzando parole e storie particolarmente toccanti. In tal modo ho preso coscienza che non è assolutamente possibile prevedere e predisporre tutto, sia nella mia vita privata sia in quella che mi ha visto incrociare altre persone, altre storie e altre esperienze. 

Le iniziative possibili camminano su gambe di persone consapevoli, così come le parole sensate escono da cuori pacificati e sono espressione di volontà mai dome. Non si cambiano le nostre Città distruggendole ma abbracciandole, e non le si salvano solo con degli ideali e dei programmi decantati né solo con il senso del dovere. Le Città le salvano sia la passione di chi è capace di vivere profondamente la realtà senza mistificarla sia la passione di chi è capace di sentirsi parte della propria realtà, anche quella che meno piace, quella che consideriamo deviazione e che condanniamo senza alcuna riserva. Oggi più che mai c’è bisogno di altro, di assunzione di responsabilità e non certo di parole che mistificando la realtà trasudano violenza o che tendono a giustificare il male. 

Un progetto di vita valido è quello di sentirsi interpellati e riportati al centro: al centro della propria vita e delle proprie progettualità. Questo possono farlo solo incontri intensi e relazioni vere. Incontri che possono concretizzarsi anche attraverso una lettura, e relazioni che stabiliscono reciprocità tra persone e storie diverse. Quando ci lasciamo riportare al centro della nostra vita e delle nostre progettualità possiamo fare esperienze sorprendenti: di quelle che vanno in direzione diversa da quelle che predica e pratica la cultura prevalente.  

Le Città Invisibili sono anche una maniera per educare e educarsi alla relazione. L’attitudine alla relazione cresce, si sviluppa e per questo va educata. Educare le relazioni è esercizio e impegno: la relazione infatti non è un soave duetto tra l’io e il tu/noi, anzi spesso può essere un’esperienza pericolosa e aggressiva. Soprattutto quando viene toccata o messa in discussione l’identità di quanti entrano in relazione. È la storia dei nostri giorni che, accanto a esperienze di relazioni riuscite, ci fa toccare con mano le derive patologiche che possono avvelenare l’esperienza relazionale. E a tutti i livelli. Uno dei primi passi per “educare le relazioni” è il completo abbandono della logica del potere: il potere è un talento che serve non per mettersi al di sopra dell’altro ma per condividerne il suo esercizio.  

Nel complesso, il testo insieme ai tanti temi esplorati finora, come il desiderio, la relazione, i sogni e il potere della narrazione nel colmare le distanze emotive, aggiunge anche quello del viaggio come ricerca della verità: verità su stessi ma anche la propria verità in rapporto/relazione all’altro. Al tema del viaggio poi si innesta quello del ricordo ossia del riportare/ritornare al cuore, come dice l’etimologia della parola stessa. Il ricordo richiama nel presente del cuore e del sentimento qualcosa che non è più qui o non è più adesso. Non nella sua forma originale. E che però, per il solo ritornare in cuore, rivive – non come sogno fatuo o fantasticheria – ma come sentimento concreto, esperienza diretta. Il ricordo è la possibilità di consultare il passato, di interrogarlo, di distendersi ancora – e non per fuggire malati di nostalgia, bensì per capire ed essere capaci di cura e di responsabilità nel presente e nel futuro, per tenere alta la consapevolezza sorridente di chi siamo, da dove veniamo e di dove abbiamo la possibilità di spingerci, per non perdere niente di quello che naturalmente esce dalla nostra vita. Niente e nessuno.

La grande incisività del testo è probabilmente dovuta al fatto che le Città visitate dall’autrice, narratrice dell'opera, sono sì invisibili, poiché nate dall'immaginazione della scrittrice senza alcuna corrispondenza a luoghi concreti, ma non per questo meno reali. Le Città Invisibili è un testo dedicato a tutti coloro che hanno un amore lontano, che l’hanno perso o che non possono stringere tra le braccia una persona cara. Perché l’amore non è solo quello passionale ma quello che ci fa battere il cuore.

Amare qualcuno è desiderare ciò di cui si sente la mancanza. Platone stesso ci ricorda che la filosofia è logos e eros, conoscenza e amore, tra i quali non c’è contrapposizione ma convergenza. È la nostra stessa esperienza personale che ci rivela come nel desiderio amoroso sia sempre presente una componente di conoscenza della persona amata e un bisogno di assimilazione ad essa: l’amore è apertura di un’anima ad un’altra, intreccio inestricabile di aspetti sentimentali e conoscitivi al tempo stesso. 

Don Giuseppe Russo
Dopo la licenza in Teologia biblica e la laurea in Filosofia, ha insegnato sia presso l'Istituto Superiore di Scienze Religiose di Foggia in qualità di docente di Esegesi AT, sia in scuole superiori pubbliche come docente di filosofia e storia. Il 23 novembre 2021 ha conseguito il dottorato di ricerca in Teologia biblica. Attualmente insegna presso il Liceo Scientifico "Marconi" di Foggia. Da aprile 2022 per il mensile diocesano di Cerignola "Segni dei tempi" firma la pagina Apostolato biblico.

 

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