Il principio della dignità umana

«Io credo che in ogni competizione elettorale, per eleggere il proprio governo di una Città, come Monte Sant’Angelo, di una Regione, oppure di una Nazione, ci debba essere il rispetto dell’altrui avversario, inteso non come nemico ma come competitore e quindi come un’alternativa a governare l’esistente. Ciò presuppone soprattutto il rispetto della dignità umana, che è uno dei grandi principi dei diritti dell’uomo e che rientra prepotentemente nella sfera della dignità umana. Principio che è stato preso in considerazione specie dopo le grandi tragedie del Novecento, che hanno visto in primo piano ben due guerre mondiali e la nascita di diversi totalitarismi che hanno tolto dignità all’uomo e ne hanno fatta precipitare la stessa convivenza civile, tanto da decretare nello stesso tempo la morte di Dio e dell’uomo. Situazione che purtroppo oggi si ripete nel conflitto fra Russia e Ucraina, dove la dignità dell’uomo e quindi delle persone viene sacrificata alla ragion di Stato e quindi alla violenza e alla crudeltà della guerra.

In questi ultimi tempi si è tentato di recuperare il senso della dignità umana e quindi la centralità dell’uomo non solo nella società quanto nell’ambito delle varie Costituzioni e quindi nell’ambito del diritto internazionale. Diritto che ormai non può più prescindere dalla dignità dell’uomo sia rispetto alla natura che rispetto alle leggi. Chi per primo ha parlato di età dei diritti è stato Norberto Bobbio, il quale, nel 1990, ha pubblicato un interessante libro intitolato per l’appunto: L’età dei diritti (1990). Partendo dalla Rivoluzione Francese (1789) e da quella Americana (1776), l’Autore ha affermato che con i grandi principi che ritroviamo sia nella Costituzione dei diritti dell’uomo e del cittadino  del 26 agosto 1789, che nella Dichiarazione di Indipendenza del 4 luglio 1776 degli Stati Uniti, venivano sanciti i  principi di libertà,  di uguaglianza e di fratellanza. Da questo momento, così,  siamo entrati nell’età dei diritti e quindi in una nuova fase dello sviluppo democratico, che ha visto tuttavia il suo compimento solo nel secondo dopoguerra. Recentemente, Paolo Becchi, docente di Filosofia del Diritto presso l’Università di Genova, nel suo libro  Il principio dignità umana (2009),  ha delineato in maniera chiara ed originale il percorso storico del concetto di dignità umana, nell’ambito filosofico e giuridico, affermando che “dopo il “principio speranza” di Ernest Bloch e quello della “responsabilità” di Hans Jonas, un terzo principio si è imposto negli ultimi anni al centro del dibattito filosofico: il “principio dignità umana”. Su quest’ultimo tema il dibattito pubblico si è imposto a livello europeo, ma specialmente in area germanofona e in quella angloamericana, mentre da noi è ancora agli inizi, anche se ultimamente  tale questione si sta ponendo all’attenzione degli intellettuali e di alcuni politici fra cui Stefano Rodotà, autore del volume Il diritto di avere diritti (2012), il quale afferma che “un innegabile bisogno di diritti e di diritto si manifesta ovunque, sfida ogni forma di repressione, innerva la stessa politica. Poteri privati forti e prepotenti sfuggono agli storici controlli degli Stati e ridisegnano il mondo e le vite. Ma sempre più donne e uomini li combattono, denunciano le diseguaglianze, si organizzano su Internet, sfidano regimi politici autoritari.

La loro azione è una planetaria, quotidiana dichiarazione di diritti, che si oppone alla pretesa di far regolare tutto solo dal mercato, mette al centro la dignità delle persone, fa emergere i beni comuni e guarda a un futuro dove la tecnoscienza sta costruendo una diversa immagine dell’uomo. È nata una nuova idea di cittadinanza, di un patrimonio di diritti che accompagna la persona in ogni luogo del mondo”.

Purtroppo, afferma Stefano Rodotà, “questa antropologia della modernità giuridica è ora messa in discussione, anzi sfidata e radicalmente negata, da una logica di mercato che, in nome della produttività e degli imperativi della globalizzazione, prosciuga i diritti e ci fa ritornare verso quella “gestione industriale degli uomini” che è stato il tratto angosciante dei totalitarismi del Novecento. Viene spezzato il nesso tra lavoro e dignità, davvero con una rinnovata riduzione delle persone a cose, a “oggetti” compatibili con le esigenze della produzione” (Rodotà, 2012, p. 189

Del resto bisogna constatare che anche lo sviluppo scientifico e la tecnologia avanzata ci stanno portando verso la postumanità, in cui il concetto stesso di umano sta cambiando. Infatti, in un mondo in cui la tecnologia o la medicina possono sconfiggere le malattie genetiche non è possibile far finta di niente e vivere allo stesso modo accettando il male. È come se l’uomo accettasse il male, fra cui anche la guerra,  e ne facesse un rimedio alla propria limitatezza. E ciò ci pone di fronte ad un’altra questione, che è il rifiuto totale della violenza e quindi della guerra, come espressione dell’alta tecnologia che si è raggiunto nel campo delle armi di distruzione, Una paradosso. Cioè, le armi, oggi, invece di difendere l’uomo, egli viene ucciso in nome della ragion di stato, come sta avvenendo in Ucraina. Il rispetto della dignità umana non può consistere nella contemplazione statica di un principio ma, esso è il motore di un processo nel quale la persona vede riconosciuti nel concreto i propri diritti ad una esistenza dignitosa e rispettosa della propria vita e del proprio essere in funzione degli altri e di se stesso e questo in ogni stato, in ogni regione e principalmente in ogni città dove si svolge la propria vita rispettando innanzitutto la libertà degli altri e l’altrui dignità personale e collettiva».

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