Il mito di Dauno

Fra i vari personaggi che giunsero in Puglia, verso la fine del II millennio, dobbiamo annoverare il re Dauno, il quale occupò  la parte nord della regione, i cui territori nell'antichità comprendevano oltre che l'attuale provincia di Foggia, compreso il Gargano, una porzione della provincia di Bari, che andava da Canosa a Ruvo e a Minervino Murge, verso l'interno; infine il Melfese, con i centri intorno a Melfi, Lavello e più a sud, Banzi.  Sulle origini di questo mitico re eponimo dei Dauni, noto ai nostri testi antichi a partire già del VII secolo a. C., le fonti riportano due diverse tradizioni: una è riferita da Antonio Liberale, ma risale al poeta Nicandro, in cui Dauno (dalla radice illirica “dhaun”  che, per estensione semantica del suo significato proprio, “strangolare”, indica il “lupo”, denominazione assai diffusa in ambito greco ed italico,  che ci riporta ad un animale totemico, appunto il lupo),  è considerato figlio dell’antichissimo re arcade Licaone, e quindi collocato in un orizzonte cronologico mitico anteriore a quello di Diomede e degli eroi della guerra di Troia. L’altra tradizione si deve all’epitome di Paolo Diacono, dell’opera di Festo, in cui Dauno, illustre esponente della stirpe illirica,  e coevo di Diomede,  abbandonata la patria a causa di una guerra civile, si insediò nella regione degli Iapigi. Un’altra tradizione, attestata in Solino, considera, invece, i Dauni, discendenti di uno sconosciuto figlio di Minosse, Cleolao, che, di ritorno dall’assedio di Camico in Sicilia,  furono gettati da una tempesta sulle coste della Iapigia. Qui si stanziarono definitivamente e fondarono la città di Uria, trasformandosi, così, da Cretesi in Iapigi e da isolani in continentali.

Secondo la tradizione,  Dauno avrebbe allargato il suo regno verso ovest, lungo le valli più agevoli, oltre Bovino, per poi occupare il territorio di Benevento ed espandersi verso la Lucania. Il re Dauno, per assoggettare l'intera regione, dovette far guerra alle popolazioni indigene, restie ad accettare una nuova dominazione. Durante tali guerre si ebbe l’arrivo dell’eroe greco Diomede, a cui venne promesso la propria figlia  a patto che lo aiutasse nella guerra contro i Messapi. Purtroppo, come sappiamo, tutto andò male, e Diomede venne ucciso da Dauno.   

I Dauni

Stele Daunia

[Stele Daunia]

In genere i Dauni, come gli Iapigi, all'inizio della fase emigratoria,  occuparono le terre, con lo scopo di razziare tutto ciò che incontravano. Successivamente, una volta stabilitisi sul territorio, dovettero ricostruire le antiche borgate, cingendole di poderose mura di difesa, formate da pietrame, come nel caso di Monte Saraceno, oppure circondate da difese naturali, come nel caso di Salapia, con le sue lagune marine. Se nella prima fase emigratoria detta "pannonico-balcanica" abbiamo la sola presenza della tribù degli Iapigi, nella seconda fase abbiamo la presenza della tribù dei Liburni, che si stanziarono prevalentemente nella zona di Cupola, in territorio sipontino, dove abbiamo trovato strette affinità strutturali con quelle  liburniche.

La civiltà daunia raggiunge il suo massimo sviluppo nel VI secolo, allorquando  l'intera subregione presenta una sua unità culturale manifestatasi specialmente  sul piano della produzione artistica, oltre che culturale e religiosa. Della prima forma culturale fanno parte i prodotti in ceramica, il cui stile viene detto  "geometrico dauno". Tale produzione prende le mosse dal protogeometrico japigio della fine del II millennio a. C., influenzato dai modelli elaborati in area ellenica e transadriatica, per poi evolversi nell’età del Ferro sino a tutto il IV secolo a. C., secondo linee e modelli autonomi conquistando, attraverso le esportazioni particolarmente attive tra l’VIII e il VI secolo a. C., il gusto dei mercati stranieri ed in modo particolare quello illirico, tanto da contribuire in maniera notevole  alla floridezza della regione. La sua produzione, prevalentemente in ceramica daunia,  è attestata in numerose località daunie, fra cui Coppa Nevigata, Monte Saraceno, Punta Manaccore, Ordona, Arpi, Salapia, Cupola. Secondo il De Juliis, quest’ampia documentazione ha messo in luce l’esistenza di una sostanziale differenziazione, già dall’inizio dell’VIII sec. a. C., fra il geometrico Japigio dell’area meridionale e quello della Daunia, dando origine così prima al geometrico protodaunio e poi alla ceramica geometrica dauna dell’VIII-IV secolo a. C. I centri di maggiore diffusione di questo ultimo periodo geometrico sarebbero stati Herdonia, Ascoli e Canosa con diffusione verso il Gargano. Le ceramiche, insieme a vasi di bronzo, monili di metallo, pasta vitrea e ambra, provengono dalle tombe che numerose si trovano nella Daunia. (700-550 a. C.); Daunio II (550-400 a. C.); Daunio III (400-300 a. C.).

Una posizione di primo piano nell’ambito della cultura protostorica occupano le stele daunie, legate, a livello generale, alla stessa produzione scultorea in pietra, le cui testimonianze, rinvenute in tutti i principali centri dauni, dal Gargano al Tavoliere, sia sulla costa che nelle aree più interne al Melfese, costituiscono l’espressione maggiormente rappresentativa della creatività e dell’originalità dell’ethnos indigeno. Secondo M. L. Nava, il fenomeno, che appare profondamente radicato nella cultura espressiva dei Dauni, si manifesta in pieno durante le fasi centrali dell’età del Ferro, ma affonda le proprie origini nelle epoche precedenti, contribuendo ad attestare l’evoluzione che, senza palesi soluzioni di continuità, contraddistingue il progresso culturale di questa popolazione durante le età dei metalli. La presenza di scultura in pietra è documentata in Daunia a partire dagli albori dell’età del Bronzo, ed essa trova corrispondenza nei monumenti antropomorfi di Castelluccio dei Sauri, nonché in diverse regioni del Mediterraneo, dalle coste orientali sino alla Spagna.

La diffusione delle stele daunie, in territorio di Siponto, nonché  nella vicina Salapia, là dove Strabone (VI, 3, 9, 284) colloca la laguna costiera aperta verso il mare, sui cui dossi emersi si insediavano le strutture abitative e sepolcrali riferibili alle due città indigene,  si ha maggiormente tra il VII e il VI secolo a. C. Il loro ritrovamento ha fatto sorgere diversi problemi riguardanti l’origine stessa dei Dauni e il loro grado di civiltà. L’opera di rinvenimento è da ascrivere al prof.

Silvio Ferri, dell’Università di Pisa, il quale, negli anni sessanta, proprio in riferimento ad alcuni primi  rinvenimenti di stele su Monte Saraceno,  scoprì, nella zona sipontina di Beccarini, Versentino e Cupola, una ricca produzione. Le stele, più di 1500 pezzi, interi e frammentati, oggi esposte nel Museo Archeologico Nazionale di Manfredonia, rappresentano le uniche testimonianze storiche ed artistiche dei Dauni, che fino ad alcuni decenni erano del tutto sconosciuti, con alcuni sporadici riferimenti agiografici in autori greci e latini. Esse sarebbero da rapportare alla fase di maggiore sviluppo della civiltà daunia e precisamente all’VIII-VI secolo a. C., e fanno per la prima volta luce sull’esistenza dei Dauni, sulle loro credenze religiose, sui loro culti, sul loro mondo quotidiano.

La funzione di queste stele è quella funeraria, messa in relazione col culto dei morti. Generalmente esse sono costituite da una lastra rettangolare, con una testa iconica ed aniconica. Il materiale è di derivazione calcarea, tenera e friabile. La tecnica rappresentativa delle scene è quella dell’incisione. Le stele rappresentano schematicamente il defunto, abbigliato con una veste riccamente ornata ai bordi con motivi geometrici e  che giunge sino ai piedi. Su questa veste sono raffigurati armi oppure ornamenti, che indicano l’elevata classe sociale  di appartenenza del defunto.

I temi di questi “racconti per immagini” riguardano i diversi momenti dell’esistenza umana riferiti sia alla vita quotidiana che ad azioni cultuali e al mondo religioso. Si notano scene di colloqui, di offerte, di commiato, di processioni, di banchetti, scene erotiche, di caccia, di pesca, di attività produttiva, di combattimenti a piedi e a cavallo, scene di sacrificio, nonché rappresentazioni di mostri dalle forme più strane. Il tutto con una tecnica molto forte ed espressiva. Da un punto di vista iconologico le stele sono il risultato esclusivo della spiritualità più pura ed originale della cultura dei Dauni, in cui viene portato a compimento il processo di eroizzazione e divinizzazione già iniziato con le sculture di Castelluccio dei Sauri e proseguito con quelle di Monte Saraceno. Inoltre le stele costituiscono il mezzo attraverso il quale il ceto dominante della Daunia manifesta il proprio potere e la propria eminenza su tutti gli altri popoli della Puglia settentrionale. Infatti con le immagini monumentali l’oligarchia daunia si rappresenta al massimo della propria potenza, con le insegne di status che esprimono un dominio sia sociale che intellettuale e religioso. Tutto ciò si manifesta soprattutto fra l’VIII e il VII secolo. Ma allorché nel corso del VI e del V secolo inizia il declino della civiltà daunia, e si affacciano sulla scena politica nuove istanze provenienti dal mondo magno-greco e italico,  le stele iniziano a svuotarsi di contenuti e di valori.

Testa iconica Monte Saraceno Mattinata

[Testa iconica Monte Saraceno - Mattinata]

Da parte mia ho voluto far rivivere la civiltà daunia attraverso la riproduzione della ceramica daunia dell’artista Angela Quitadamo, le cui opere oggi sono esposte nel Museo Archeologico ubicato nel Castello di Monte Sant’Angelo. Un omaggio ad un’artista e a una civiltà, quella daunia, che sta alle origini della nostra identità culturale, che è quella legata all’Europa, sorta sui grandi itinerari della fede, attraverso l’Homo Viator, alla ricerca della Montagna Sacra.

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