Le sorgenti del male. Il complesso di Prometeo

a cura del prof. Giuseppe Piemontese - Società di Storia Patria per la Puglia.

Se per Sant’Agostino il Male è insito nell’uomo, in quanto dotato di libero arbitrio e quindi non dipendente dalla volontà di Dio, Immanuel  Kant afferma che il male è radicato nell’esistenza dell’uomo ed è parte imprescindibile di lui, in quanto fa parte della sua stessa natura. Tuttavia, nell’uomo esiste anche la predisposizione al Bene, anche se quest’ultimo non riesce a prevalere. Purtroppo, il motivo di tale sconfitta è “imperscrutabile”. Con Søren Kierkegaard il Male viene identificato con l’angoscia, che diventa quasi una malattia mortale. L'angoscia è la condizione fondamentale dell'uomo nel mondo e in relazione al mondo ed è generata dalla libertà di scelta, dalla possibilità, insita in ogni azione, di fare il Male o di cadere in errore. Angoscia che diventa disperazione, che si configura come una vera e propria “malattia mortale” per l'uomo. In Nietzsche, il Male si identifica con il nulla, da cui scaturisce il pensiero nichilista, che determina quasi tutta la filosofia del Novecento, attraverso l’elaborazione del nichilismo, come forma assoluta del male e quindi del non bene. Quel male che è alla base della malattia mortale, della follia, di cui lo stesso Nietzsche ha provato le conseguenze sulla sua salute. Un male subdolo, che toglie la ragione e sprofonda l’anima dell’uomo verso gli abissi della malattia mortale. La stessa che ha determinato tanta violenza e tanti eccidi per tutto il Novecento, con forme di odi razziali e di violenza inaudita, mai conosciuta in altre epoche e in altri periodi storici. Ne sono stati testimoni uomini e donne che, con le loro opere, hanno esaminato le radici del male e le conseguenze sull’uomo. Fra questi, Primo Levi e Hannah Arendt, con le loro opere Se questo è un uomo (1947) e  La banalità del male (1963), entrambe riferite all’Olocausto degli ebrei al tempo del nazismo, in cui si è mostrato il volto più oscuro e tragico del male in tutte le sue forme e le sue dimensioni. Un Male assoluto, che ha messo in discussione la stessa esistenza di Dio, la sua presenza e la sua assenza. Un tema che è diventato un capitolo essenziale della filosofia del XX secolo, e di cui si sono interessati diversi autori, fra cui Horkheimer e Adorno,  Hans Jonas, Zygmunt Bauman. Per Horkheimer e Adorno, autori della  Dialettica dell’illuminismo (1947) il male è connaturato con la nascita della modernità, in quanto essa basa tutto il progresso sul dominio dell’uomo sulla natura, sulla sua sottomissione all’uomo. Secondo questi Autori, il male nasce  da questa frattura, dal processo di razionalizzazione della modernità, che ha portato, poi, di conseguenza, al terrore nazista e all’Olocausto. In altri termini, quando si annullano i principi morali all’interno della razionalità e quindi della modernità, si liberano le potenzialità autodistruttive della modernità stessa.

Il problema del male sarà affrontato da Hans Jonas nella sua opera Il concetto di Dio dopo Auschwitz. Una voce ebraica (1991), in cui affronta il problema del male nel mondo, che tocca l'innocente e del suo rapporto con la divinità, rimettendo in discussione il concetto stesso di Dio, specie dopo l'esperienza di Auschwitz. La domanda che molti si sono posti: Quale Dio, dunque, ha potuto permettere ciò che accadde ad Auschwitz? Jonas risponde che Dio non sia perfettamente onnipotente, in quanto il male, come sofferenza, rimanda al mistero della fragilità dell’uomo, che proviene all’uomo in quanto dotato di libertà. Cioè, con questo atto di libertà originaria dato all’uomo, Dio pone la possibilità del male, premessa indispensabile per la creazione del mondo.

Dell’esistenza del male si è interessato anche  il sociologo Zygmunt Bauman, con diversi volumi, fra cui Modernità e Olocausto (1989), Modernità e ambivalenza (1991) e Le sorgenti del male (2013). Secondo Bauman, l'Olocausto è inestricabilmente connesso alla logica della modernità così come si è sviluppata in Occidente. La razionalizzazione e la burocratizzazione tipiche della civiltà occidentale sono state condizione necessaria del genocidio nazista: esso fu l'esito dell'incontro fra lo sconvolgimento sociale causato dalla modernizzazione, con il suo portato di angosciose insicurezze, e i poderosi strumenti di ingegneria sociale creati dalla modernità stessa. In Modernità e ambivalenza Bauman mette a tema il fallimento di un'epoca della storia umana, misurandolo sulla insostenibilità dei principi portanti della modernità, quali: ordinare, classificare, calcolare, sottoporre a controllo, dissipare le zone d'ombra, identificare l'indistinto, bandire l'ambiguo. Invece, è l'ambivalenza e non l'univocità, la condizione normale in cui ci tocca vivere. Noi esseri finiti ci condanniamo alla perenne inadeguatezza se ammettiamo soltanto l'alternativa rigida tra l'ordine e l'informe, tra le entità (cose, persone, collettività, situazioni, categorie della mente) che il linguaggio riesce a nominare in modo trasparente e l'imprevedibile, l'indecidibile, l'indeterminato, l'incontrollabile, di cui avvertiamo la presenza minacciosa.

Con il suo libro  Le sorgenti del male, pubblicato nel 2013, Bauman approfondisce il problema  del male, contraddicendo in un certo qual modo le teorie della "personalità autoritaria" di Adorno e della "banalità del male" di Hannah Arendt. Nella sua opera Bauman segue tre piste per identificare il male nell’uomo:  la tesi della “personalità autoritaria” di Adorno, l’approccio antropologico/metafisico di  Gunther  Anders,  e la normalità che diventa anormalità, trattato in  Modernità e Olocausto. Nella prima parte del libro, Bauman  analizza le idee nate dalla Rivoluzione francese e ne deduce che già in esse vi sono i germi dell’autoritarismo che si affermeranno nel fascismo e nel nazismo di Hitler. Così come, secondo Emile Cioran, nei giovani dell’era di Robespierre e Marat, vi erano le stesse caratteristiche dei giovani nati al tempo di Stalin e Hitler. Inoltre dal pensiero di Kant nasce l’imperativo  della ragione, come mezzo e fine di persuasione e di sopraffazione dell’altrui volontà. In altre parole, nasce l’autorità della ragione umana, che si afferma sul pensiero cristiano e quindi sulla moralità religiosa. Una volontà “decisionista” che darà origine, nella prima parte del Novecento, a Stati autoritari e dittatoriali. E sarà proprio l’infallibilità della ragione, nella sua ricerca della verità, a determinare l’Olocausto e gli orrori delle due guerre mondiali. Così come dei tanti eccidi, in nome della verità assoluta, professata dai regimi comunisti. Oggi invece ci affidiamo all’infallibilità della ragione in campo economico, basata sul concetto di utilitarismo ad ogni costo, annullando, per entrambi, ogni “richiesta di moralità”. Quindi, ragione intesa come potere. “Essere potenti, afferma Bauman, significa, in altre parole, possedere la capacità di superare l’inerzia dell’oggetto recalcitrante all’azione o di ignorare le ambizioni di altre  dramatis  personae (vale a dire, godere dell’unica soggettività e dell’unica effettiva intenzionalità nel dramma interpretato da più attori, riducendo in tal modo gli altri soggetti allo status di oggetti o a uno sfondo neutro)” (Bauman, 2013, p. 37). In questo senso, il potere divide e crea le basi per la violenza, il dissenso, l’ineguaglianza distributiva, ecc. Afferma Nietzsche che chi esercita il potere è convinto di fare il bene, mentre la debolezza è da considerare il male. Né vi è compassione per il debole e i malfatti. In questo senso, Nietzsche è il primo distruttore della civiltà occidentale, la stessa che aveva fondato la sua cultura sull’amore per il prossimo, sulla cooperazione universale. Gli avvenimenti del Novecento, in un certo qual modo, non sono altro che  l’attuazione delle parole e della visione del mondo di Nietzsche. Del resto, il messaggio di Zarathustra era quello di fondare una nuova società attraverso il superuomo, attraverso la volontà di potenza sull’uomo e la natura.  E, purtroppo, tale visione non è terminata con l’Olocausto, ma continua ancora oggi attraverso le guerre etniche, l’11 settembre  e il terrorismo a sfondo religioso-culturale.

Successivamente, Bauman analizza il confine fra la normalità e l’anormalità e, purtroppo, egli afferma che il confine è molto labile e tutto dipende dalle circostanze in cui avviene la violenza. Questo è il caso di Eichmann, considerato anche dai giudici, un “uomo normale”, che si è macchiato di orribili delitti nei campi di concentramento nazisti. Così come vi sono tanti altri esempi di uomini e di donne  che in determinate circostanze, diventano mostri capaci di azioni violente e orribili. In questo senso, di fronte a tanti delitti compiuti da esseri normali, ci troviamo ad affermare, come dice Hannah Arendt, la “banalità del male”. E, purtroppo, oggi viviamo con l’incubo che ogni persona può diventare un “cattivo”, pronto a fare del male agli altri e a se stesso. Una persona normale che diventa anormale, portatrice di male. Un male purtroppo dormiente, afferma Bauman, che colpisce quando mai te lo aspetti. “Un’inclinazione (al male) che può (è costretta a?) venire in superficie, o una vulnerabilità che può essere rivelata solo in condizioni particolarmente propizie: presumibilmente allorquando le forze che l’avevano fino allora repressa e tenuta all’oscuro, si ritrovassero all’improvviso indebolite o rimosse” (Bauman, 2013, pp. 67-68). Infine, il male può nascere anche da condizioni in cui prevalgono fattori prettamente economicistici, come nel caso dei bombardamenti delle città tedesche, durante la seconda guerra mondiale. Così come la necessità di porre termine ad un conflitto ricorrendo al  “globocidio”, attuato con lo scoppio della bomba atomica a Hiroshima e Nagasaki. “Purtroppo, afferma Enzo Traverso, tutto ciò prova che i sentimenti antiilluministici non sono la condizione necessaria del massacro prodotto tecnologicamente. Le due bombe atomiche, al pari dei campi di sterminio nazisti, sono state un elemento del “processo di civilizzazione”, una manifestazione del suo potenziale, uno dei suoi volti e una delle sue possibili ramificazioni” (Traverso, 2002; Bauman, 2013, pp. 87-88). In questo senso l’Europa liberale e civilizzata del XX secolo si è rivelata  un laboratorio di violenza. Né si vede la fine.  Secondo Bauman, la violenza di oggi, come quella di ieri, è determinata anche da un approccio metafisico della realtà, tanto da sostituire la realtà metafisica con la realtà della tecnica, verso cui Heidegger ha rivolto la sua critica, nell’identificare l’essere con il tempo e, quindi, con la tecnica. Inoltre, dall’abolizione della metafisica nasce l’alienazione, che poi sfocia nel nichilismo, oppure , in tempi più vicini a noi,   nell’idea di Georg Simmel per quanto riguarda “la tragedia della cultura”. Infine, secondo Günther Anders, il problema del male nasce da un “deficit immaginativo”, collegato alla mancanza di moralità. In questo senso, l’uomo Prometeo ha avuto tre momenti: l’orgoglio di essere Prometeo, la sfida di Prometeo e la vergogna di Prometeo. Il secolo XX è stato il momento più alto della vergogna di Prometeo, per non essere stato in grado di governare le sue “macchine” e, quindi, la sua tecnologia, diventata strumento di sterminio e di violenza.   A questo punto ci chiediamo: da dove nasce la violenza e l’uomo per natura è propenso al male o al bene? Tutte domande che presuppongono l’interazione fra il bene e il male, tanto da scavare nel cuore dell’uomo la sua propensione più verso il bene che verso il male. Tuttavia, oggi, di fronte a tutto ciò che succede nel mondo, fra cui l’attuale pandemia (2021), l’uomo stesso a volte si vergogna per l’efferatezza degli atti violenti contro le persone e, oggi, come non mai, contro la Natura.

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