Il diritto alla città

a cura del prof. Giuseppe Piemontese - Società di Storia Patria per la Puglia.

Oggi la qualità della vita si misura in rapporto alla qualità del vivere in una città che abbia i requisiti della convivenza pacifica e della qualità sociale. Prerogative che presuppongono, oggi, più che mai, il diritto ad avere una città perfetta, in simbiosi con il benessere dei suoi cittadini. Purtroppo, in questi ultimi decenni, è proprio la città che è andata in crisi. Una crisi non solo esistenziale, quanto una crisi legata alla stessa pianificazione urbana, che ha accusato dei problemi per quanto riguarda il consumo indiscriminato del suolo, creando così uno squilibrio fra la città e la campagna, a danno di quest’ultima. Da ciò è derivata una profonda crisi della città tradizionale, dove tutto era commisurato al vivere  sociale e quindi al benessere della comunità. Oggi, in conseguenza dell’espandersi indiscriminato delle città, con il fenomeno delle periferie e, quindi, della mancanza di ordine architettonico e urbanistico, con servizi inadeguati e infrastrutture prive di efficienza e di qualità della vita stessa, la città ha presentato tutte le contraddizioni della crisi della modernità e quindi del sistema capitalistico e del neoliberismo, tanto da mettere in discussione lo stesso fenomeno della globalizzazione, con le sue ineguaglianze sociali, tanto da mettere in discussione la stessa civiltà occidentale, che ha tolto ad ogni città e ad ogni territorio, la loro intrinseca identità storico-culturale.

Sulla città e sul ruolo che oggi hanno l’architettura e l’urbanistica, nell’ambito della qualità della vita, abbiamo una vasta letteratura, con testi molto interessanti, da un punto di vista storico-urbanistico, oltre che sociologico. Fra tanti testi che abbiamo esaminato, vogliamo soffermare la nostra attenzione sul libro di Henri Lefebvre  Il diritto alla città (Ombre Corte, Verona 2014), il cui autore è considerato uno dei più importanti filosofi-urbanisti del XX secolo, tanto da essere ancora oggi studiato per le sue idee riguardanti la qualità della vita urbana e il “diritto alla città”, come elemento fondamentale “alla libertà, all’individualizzazione nella socializzazione, all’habitat e all’abitare”. E come tale, nel suo libro  analizza il formarsi delle città, con riferimento specifico alla nascita dell’industria e, quindi, allo svilupparsi del fenomeno dell’urbanizzazione, affrontando per primo il rapporto fra industrializzazione e urbanizzazione, da cui inizia “la problematica urbana”, che nasce nel mondo occidentale con il processo di industrializzazione. Essa caratterizza la società moderna e per questo si differenzia sia dalla città antica che dalla città medievale. Se la città antica ha un carattere prettamente politico, così come la città medievale ha un carattere commerciale, artigianale e bancaria, la città moderna ha un carattere prettamente economico, legato alla nascita del capitalismo, all’industria e, quindi, alla nascita di una nuova classe sociale, la borghesia. Questo passaggio da un sistema economico basato sul commercio e sul sistema bancario ad un sistema industriale determina un’accelerazione del fenomeno urbano, anche in vista di uno spostamento di manodopera dalla campagna  alla città industrializzata. Ciò ha favorito il concentramento del capitale nei centri urbani sorti dall’industria, creando così le prime città di media grandezza, fino alle città considerate megalopoli, composte da diverse conurbazioni. Tutto questo ha creato una separazione fra la città antica e la città moderna, creando, nel contempo, le periferie urbane e le periferie industrializzate. Tale fenomeno lo si è visto maggiormente nelle città europee, più che in quelle americane. In questo processo di industrializzazione, legata allo sviluppo delle città, si è verificato per la prima volta il fenomeno dell’abbandono graduale dei centri storici o della città consolidata, tanto da creare le premesse per una separazione fra l’antico e il moderno, fra il passato e il presente, sempre più industrializzato e globalizzato. Di fronte a questo duplice processo, rappresentato dall’industrializzazione e dalla urbanizzazione, ha inizio un terzo processo che è quello conflittuale fra la produzione economica e la vita sociale. Infatti, afferma Lefebvre, ha inizio così storicamente uno scontro violento tra la realtà urbana e la realtà industriale. Scontro che ancora oggi è presente in tante città del mondo, vedi per esempio Taranto, non solo in occidente, ma anche nei paesi asiatici, fra cui Pechino, dove il tasso di inquinamento legato alle industrie ha raggiunto livelli preoccupanti. Le città di oggi ormai sono costituite, da una parte dalla città da ammirare e da visitare turisticamente, e dall’altra dalla città industrializzata, sede di imprese e di banche, che fanno da supporto alle industrie. Tutto ruota così intorno al sistema finanziario, che ormai determina lo sviluppo delle città e del sistema economico. Purtroppo, stiamo assistendo ad un processo di “implosione-esplosione” delle città, tale da far nascere vere e proprie megalopoli, che assorbono interi distretti territoriali, come nel caso di Parigi, Amsterdam, Milano, Londra. 

In questi ultimi decenni, molti centri urbani hanno perso quello che si chiama il tessuto urbano, che consiste nel modo di vivere il legame con la propria città. Per esempio, molti centri urbani, con l’industrializzazione, sono stati de-contadinizzati”, perdendo così la loro caratteristica di villaggio rurale o artigianale, con riferimento alla vita contadina e alla vita dell’artigianato e del piccolo commercio. Così, oggi, questi villaggi o “modi di vita” sono caduti nel folklore, a causa dell’espandersi delle città attraverso le periferie, dove si sono insediate le reti bancarie, commerciali, industriali e gli spazi abitativi. In questo senso è cambiato un “modo di vivere”, tanto da creare le premesse per un progressivo degrado della società urbana. Tutto ciò comporta un allargamento dei servizi e, quindi, della sicurezza, di cui oggi si parla in maniera drammatica in alcune periferie delle città megalopoli. Anche se c’è da notare che, anche in vista di una urbanizzazione espansiva ed invasiva, ancora persiste una conflittualità fra ruralità e urbanità, in quanto esiste ancora una generazione legata alla campagna e quindi alla terra.

Con i grandi complessi residenziali e i nuovi quartieri periferici, la città viene privata della  sua urbanità, perdendo così quei temi collettivi, fra cui la stessa sua identità,  che erano le vie, le piazze, i monumenti, gli spazi d’incontro. Da questo momento, ormai, la coscienza della città e della realtà urbana si affievolisce. E tutto questo in nome di una razionalità funzionale (Le Corbusier) che determina la vita urbana e la vita sociale della gente. E sarà proprio in questo contesto che si determinerà la politica dei centri commerciali, visti solo come centri di consumo e come centri privilegiati del libero mercato.  Nasce così una nuova ideologia fondata sull’idea di felicità legata al consumo. In altri termini una nuova filosofia di vita legata alla città. Tutto questo, secondo Lefebvre, pone in luce “la contraddizione tra il  valore d’uso (la città e la vita urbana, il tempo urbano) e il  valore di scambio (gli spazi acquistati e venduti, il consumo dei prodotti, dei beni, dei luoghi e dei segni) (Lefebvre, 2014, p. 39).

Oggi la città è un campo in cui operano diverse discipline, da quella degli storici,  a quella degli economisti, dei demografi, dei sociologici, degli architetti. Anche se, afferma Lefebvre, spetta agli urbanisti pianificare il tutto attraverso  il supermento della teoria con la pratica ed elaborando nuove strategie politico-urbanistiche attraverso il metodo della interdisciplinarità. Si tratta, dunque, afferma Lafebvre, di sottoporre a un esame critico l’attività cosiddetta “urbanistica”, anche se oggi l’ideologia urbanistica dominante è quella di essere al servizio del capitale, o per lo più del processo globalizzante, in cui a decidere sono le reti di circolazione, di comunicazione di informazione e di decisione. Questa è la nuova filosofia della città e, quindi, dell’ideologia urbanistica. Oggi la crisi mondiale fa emergere nuovi aspetti della realtà urbana, collegati, per esempio, al funzionalismo esasperato di Le Corbusier, oppure al continuismo fra passato e presente, al concetto di evoluzionismo o di organicismo, e così via. Solo, oggi, purtroppo ci accorgiamo della specificità della città, della mancanza di un ordine di prossimità, di cui sono prive la maggior parte delle città contemporanee. Oggi le nostre città mancano di una storia, legata principalmente al tessuto sociale e, quindi, alla cultura del luogo. Ormai si è perso il senso della storia urbana, intesa come opera d’arte in divenire (M. Romano). In questo senso, la città, secondo noi, dovrebbe essere la proiezione della società sul territorio, In altri termini la città come forma della simultaneità fra presente e passato, come specchio della identità territoriale e nello stesso tempo come esigenza culturale della comunità, da cui dipende la qualità della vita stessa. Forma urbana che ha in sé il concetto di funzione e di relazionalità, sia con l’aspetto sociale, che con il territorio circostante. In questo caso entra in gioco il rapporto fra città e campagna, quest’ultima intesa come luogo di produzione. Rapporto che, nell’arco del tempo, è mutato diverse volte, a danno soprattutto di quest’ultima. Purtroppo, quanto si perdono l’anima del luogo e la cultura dell’abitare, si perdono anche e soprattutto il senso dell’appartenenza e la coscienza del proprio habitat, tanto da sentirsi estranei al proprio luogo di nascita o di vita. Da tutto ciò nasce di conseguenza il “diritto alla città”, di cui ci parla il nostro autore Lefebvre, come “diritto alla libertà, all’individualizzazione nella socializzazione, all’habitat e all’abitare”, come diritto di partecipazione alla vita sociale e politica, oltre che culturale della stessa città. Un diritto inalienabile di essere artefici della propria città, come elemento vitale del vivere insieme.

 

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