Regioni, Province, città metropolitane, aree urbane e Comuni italiani. Il Rapporto ASviS per lo sviluppo sostenibile

a cura  di asvis.it (fonte).

Siamo a metà strada del cammino dell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite approvata nel 2015. Con questo Rapporto, analogamente a quanto fatto - con riferimento all’Unione europea e all’Italia - nel Rapporto an- nuale ASviS L’Italia e gli Obiettivi di sviluppo sostenibile pubblicato nell’ottobre scorso, si analizza cosa è successo nei territori italiani negli otto anni che sono trascorsi dalla firma dell’Agenda 2030 e cosa deve succedere nei prossimi sette per conseguire i suoi 17 Obiettivi (Sustainable Development Goals - SDGs). Purtroppo, la situazione è tutt’altro che soddisfacente: infatti, l’Italia mostra avanzamenti gene- ralmente contenuti tra il 2010 e il 2022 per otto Obiettivi, una stabilità per tre e addirittura un arretramento per i rimanenti sei. Inoltre, mentre la Voluntary review dell’Unione europea del luglio scorso classifica il Goal 11 su città e comunità sostenibili tra quelli che negli ultimi cinque anni hanno registrato “progressi moderati”, il Rapporto annuale dell’ASviS descrive per l’Italia una situazione di sostanziale stabilità per questo Obiettivo.

Per invertire questa tendenza è stato compiuto un passo importante con l’approvazione, avvenuta nel set- tembre di quest’anno, dell’aggiornamento della Strategia nazionale per lo sviluppo sostenibile (SNSvS). Tra i punti qualificanti della nuova Strategia vanno notati: l’impegno per migliorare la coerenza delle politiche, sia a livello nazionale, che tra quest’ultimo e quello territoriale, attraverso un modello di go- vernance multilivello analogo a quello che l’ASviS ha contribuito a sviluppare nelle esperienze delle Regioni Emilia-Romagna, Lombardia, Valle d’Aosta e Veneto; l’introduzione di “obiettivi quantitativi”, in larga parte definiti da normative dell’Unione europea, che costituiscono un input puntuale di cui il decisore pubblico deve tenere conto nel definire le azioni atte a favorire lo sviluppo sostenibile a livello locale.

QUI IL PDF DEL RAPPORTO ASVIS TERRITORI 2023

Nello stesso giorno in cui il governo italiano approvava la nuova Strategia, l’SDGs Summit delle Nazioni Unite ha concordato una Dichiarazione politica, successivamente approvata dall’Assemblea generale, con la quale si prende atto che il conseguimento degli Obiettivi di sviluppo sostenibile a livello globale è in pe- ricolo e si ribadisce la necessità di attuare l’Agenda 2030 anche grazie alla sua “territorializzazione”, cioè all’impegno a calarla nelle decisioni assunte a livello locale. In tale quadro, ciascuno Stato, e quindi anche l’Italia, si è impegnato a dotarsi di Piani nazionali di accelerazione per attuare l’Agenda 2030. L’ASviS, come descritto nel Rapporto annuale, anche in ragione dei risultati decisamente insoddisfacenti fin qui conseguiti dall’Italia rispetto agli SDGs, ha proposto di predisporre il Piano italiano entro marzo 2024, così da poter influenzare la predisposizione del prossimo documento di Economia e finanza.

Oltre l’analisi quantitativa e qualitativa rispetto ai diversi Obiettivi dell’Agenda 2030 (cui sono dedicati i Capitoli 2 e 5), unica nel panorama nazionale ed europeo, questo Rapporto affronta alcune questioni dalle quali dipenderà in modo decisivo la possibilità di migliorare significativamente la condizione dei territori italiani e le fortissime disuguaglianze che li caratterizzano. In particolare, il Capitolo 3 analizza le caratteristiche e i limiti delle politiche di coesione condotte negli ultimi anni, con un approfondimento particolare relativo alle aree interne e alla montagna, nonché il ruolo delle città nelle Strategie regionali di sviluppo sostenibile fin qui elaborate, mentre il Capitolo 4 si concentra sui rischi naturali e su quelli di origine antropica, tra cui quelli sismici, vulcanici e idrogeologici, da siccità e desertifica¬zione, da incendi e ondate di calore, da incidenti in impianti industriali.

Proprio il tema dei rischi naturali e antropici, da considerare in relazione ai gravi danni prodotti dai cambiamenti climatici, è un aspetto che dovrebbe acquisire una centralità sempre maggiore nel disegno delle politiche. Insieme al rischio sismico e vulcanico, significativo in una vasta parte del Paese per la dif- fusa vulnerabilità di edifici e infrastrutture, bisogna sottolineare che le alluvioni si stanno moltiplicando con grande frequenza (solo nel 2023 in Emilia-Romagna, Toscana, Marche e vari territori in altre Regioni) e che le frane censite sul territorio nazionale sono oltre 621mila, circa il 66% di quelle complessivamente ri- levate in Europa. Stanno aumentando anche i rischi di siccità, desertificazione, incendi e ondate di calore. Vanno segnalati anche i 970 stabilimenti a rischio di incidente rilevante, molti dei quali sono in zone sismiche e di fragilità idrogeologica.

Se in tutto il Rapporto le valutazioni legate alle proposte di policy presentano i relativi paragrafi suddivisi in due parti, Situazione attuale e Problemi aperti e prospettive, il Capitolo 6 illustra in maniera integrata una serie di proposte per realizzare politiche finalizzate ad accelerare l’attuazione dell’Agenda 2030 a livello locale, riguardanti il governo del territorio e la rigenerazione urbana, le politiche abitative, la de- carbonizzazione dei trasporti, il potenziamento dei servizi ecosistemici, il miglioramento della qualità del- l’aria, le infrastrutture verdi, l’adattamento dei centri urbani al cambiamento climatico e la prevenzione del dissesto idrogeologico. Infine, il Capitolo 7 illustra 66 buone pratiche territoriali per l’attuazione del- l’Agenda 2030, cui si aggiungono iniziative rilevanti come la Missione UE delle 100 città a neutralità clima- tica entro il 2030, in cui sono coinvolte nove città italiane, e lo sviluppo della Rete dei Comuni sostenibili.

LA SITUAZIONE DELLE REGIONI, DELLE PROVINCE E DELLE CITTÀ METROPOLITANO RISPETTO ALL’AGENDA 2030

Per valutare le performance dei territori italiani rispetto ai diversi SDGs è possibile guardare sia ai livelli assoluti conseguiti dalle singole Regioni e Province Autonome e ai divari tra di essi, sia alle dinamiche tem- porali che le caratterizzano. Nel Rapporto di quest’anno si fornisce, per la prima volta, una sintesi delle principali evidenze mostrate dagli indicatori compositi elaborati dall’ASviS (Tab. 5.1 pag. 101) sulla base di dati forniti dall’Istat e da altri istituti appartenenti al Sistema Statistico Nazionale, la quale considera sia il posizionamento del livello dell’indice composito del singolo territorio rispetto a quello medio italiano, sia la variazione degli indici territoriali tra il 2010 e il 2022 per ciascuno dei 14 Goal per cui sono disponibili  i dati. La combinazione di queste due informazioni permette di valutare congiuntamente, per ogni Regione e Provincia autonoma, la sua evoluzione rispetto ai Goal dell’Agenda 2030 e il livello a cui esso si attesta rispetto al livello medio nazionale.

Per quanto riguarda l’andamento temporale si sottolinea che, nel periodo 2010-2022, l’Italia e i suoi ter- ritori non hanno fatto passi avanti significativi rispetto ai Goal dell’Agenda 2030 e i comportamenti tra le diverse ripartizioni (Nord-ovest, Nord-est, Centro e Mezzogiorno) sono abbastanza omogenei.

In estrema sintesi;

  • In termini dinamici, se forti miglioramenti riguardano, a livello nazionale, solo due Goal (salute ed economia circolare), anche la stragrande maggioranza delle Regioni e delle Province autonome mo- stra tendenze decisamente positive in uno o due Goal al massimo, con la sola eccezione positiva della Valle d’Aosta, che segna netti miglioramenti per tre Parallelamente, se i peggioramenti re- gistrati a livello nazionale riguardano in modo prevalente quattro Goal (povertà, qualità degli ecosi- stemi terrestri, risorse idriche e istituzioni, di cui i primi due in modo più significativo), anche la maggioranza delle Regioni e Province autonome registra peggioramenti in tre o quattro Goal, con l’eccezione positiva della Toscana, dove si rilevano arretramenti solo per due Goal, e le eccezioni ne- gative per Molise e Basilicata, che mostrano tendenze negative per ben sei Goal;
  • guardando al livello raggiunto dai singoli territori rispetto a quello medio nazionale, anche con riferi- mento alle categorie dell’Agenda 2030 si ripropone la tipica dicotomia tra il Mezzogiorno e le altre ripartizioni. Infatti, le Regioni del Mezzogiorno presentano, mediamente, valori inferiori alla media ita- liana in 11 Goal, mentre nelle altre ripartizioni il numero dei Goal per i quali si rileva un valore inferiore a quello medio nazionale è mediamente pari a

Per valutare come si sono evolute nel tempo le differenze territoriali che caratterizzano il nostro Paese, tra il 2010 e l’ultimo anno nel quale sono disponibili i dati (2021 o 2022), per i 14 Goal analizzati sono state messe a confronto le medie dell’indice composito delle cinque Regioni e Province autonome con le migliori performance con i valori relativi alla media nazionale e a quelli delle cinque Regioni e Province autonome più problematiche (paragrafo 3.6 pag. 67). Il Rapporto mostra come le differenze territoriali, che nel 2010 erano già molto marcate:

  • sono diminuite solo per due Goal: lotta alle disuguaglianze (Goal 10), solo a causa del peggioramento delle Regioni con le migliori performance, e istituzioni (Goal 16);
  • sono rimaste sostanzialmente invariate per cinque Goal: povertà (Goal 1), agricoltura e alimentazione (Goal 2), lavoro e economia (Goal 8), infrastrutture, imprese e innovazione (Goal 9) e economia circolare (Goal 12);
  • sono aumentate per ben sette Goal: salute (Goal 3), istruzione (Goal 4), parità di genere (Goal 5), acqua (Goal 6), energia (Goal 7), città e comunità (Goal 11) e vita sulla terra (Goal 15).

Il Rapporto illustra anche il confronto, per 24 obiettivi quantitativi, tra i risultati dell’Italia e quelli delle singole Regioni e Province autonome. In estrema sintesi, limitandosi agli obiettivi quantitativi raggiungibili entro il 2030 e quelli particolarmente critici, per i quali ci si sta allontanando da essi, risulta che per quelli a prevalente:

  • carattere sociale, 14 Regioni e Province autonome hanno la possibilità di ridurre sotto il 9% la dispersione scolastica e 15 di fornire servizi educativi per l’infanzia per il 33% degli aventi Di contro, per quanto riguarda l’obiettivo del 50% di laureati (in età 30-34 anni) in 12 Regioni o Province autonome la quota di laureati sta diminuendo;
  • carattere ambientale, l’obiettivo di pervenire al 25% di SAU destinata a coltivazioni biologiche è rag- giungibile da 11 territori su Numerosi sono invece gli obiettivi con forti criticità, come quelli relativi all’efficienza idrica, alla riduzione del 20% dell’energia consumata e all’azzeramento del consumo di suolo, per i quali in circa due/terzi dei territori la situazione sta peggiorando, fermo restando che nes- suna Regione o Provincia autonoma sembra avere la possibilità di raggiungerli entro il 2030;
  • carattere economico, l’accesso alla copertura della rete Gigabit per tutte le famiglie appare un obiet- tivo raggiungibile da 18 Al contrario, emerge una situazione estremamente critica per la ridu- zione di rifiuti urbani prodotti pro-capite: in 15 territori, infatti, tale produzione sta aumentando e in nessuna area si registrano miglioramenti significativi per questo indicatore;
  • carattere istituzionale, si segnala che, nonostante l’obiettivo al 2030 di ridurre del 40% la durata media dei procedimenti civili rispetto al 2019, in 12 territori su 21 essa sta aumentando, il che rende per essi irraggiungibile l’obiettivo.

LE PROPOSTE PER POLITICHE TERRITORIALI VOLTE AD ATTUARE L’AGENDA 2030

Come già sottolineato, il Rapporto avanza numerose proposte riguardanti le diverse tematiche esaminate, tra le quali si segnalano le seguenti:

  • Per la prevenzione del rischio idrogeologico nel periodo 2013-2019 è stato speso un decimo (2 miliardi) di quanto è costata l’emergenza (20 miliardi), oltre alle vittime e al costo sopportato dai Per ri- durre i danni provocati dalle catastrofi, è urgentissimo adeguare in via straordinaria la pianificazione di bacino (PAI), sovraordinata alla pianificazione urbanistica comunale, alle nuove mappe di pericolosità contenute nei PGRA delle Autorità di bacino distrettuali. L’aumento della capacità di spesa per la pre- venzione, dagli attuali 300 milioni ad almeno 1 miliardo l’anno, va realizzato attraverso procedure chiare e univoche, qualità della progettazione e sviluppo di sistemi assicurativi fondati sulla collabo- razione tra pubblico e privato.
  • Le Politiche per il Mezzogiorno devono tenere conto dell’amara constatazione, contenuta nell’Ottava Relazione sulla politica di coesione della Commissione europea del 2022, che nel periodo 2001-2019 il PIL pro capite delle Regioni italiane in termini reali o è diminuito o è cresciuto di meno del 2%, come in Grecia, Spagna e Portogallo, a differenza dei Paesi dell’Europa orientale dove la politica di coe- sione ha Anche i dati sulla produttività e sulla qualità istituzionale si muovono nella stessa direzione.

La politica di coesione va pertanto completamente reimpostata con l’obiettivo di raggiungere chiari traguardi al 2030. La scelta del Governo di unificare la programmazione del PNRR e quella dei fondi europei e nazionali del ciclo 2021-2027 va nella giusta direzione, ma essa deve assumere in modo espli- cito, come quadro di riferimento, le Strategie nazionale e regionali per lo sviluppo sostenibile e deve superare i suoi tre limiti atavici e ben noti: mancanza di complementarità con le politiche ordinarie, polverizzazione degli interventi e cattiva qualità delle strutture di governo nazionali e regionali;

  • La Strategia nazionale per le aree interne (SNAI) ha riconosciuto il ruolo e le problematiche specifi- che di questi territori, ma non è stata condotta alcuna valutazione della sperimentazione 2014-2020 e la Strategia è stata sostanzialmente regionalizzata. Il necessario recupero del protagonismo degli at- tori locali e del metodo place-based per la selezione degli investimenti può avvenire con Il Piano stra- tegico nazionale delle aree interne (PSNAI), che deve essere approvato dalla Cabina di regia di recente.

Al contrario, il tema della montagna ha una incerta considerazione nelle politiche di coesione, ma l’in- teresse suscitato dalla estesa partecipazione al bando per le Green community ha suggerito ad alcune Regioni di dare continuità a questa politica, una continuità da trasferire anche a livello nazionale. L’au- mento del Fondo per la montagna e l’approvazione da parte del governo di una nuova proposta di legge sono segnali positivi da rendere operativi nel prossimo futuro.

Le risorse per le Strategie per lo sviluppo urbano sostenibile (SUS) nei Programmi regionali delle po- litiche di coesione, per il Programma nazionale Metro Plus e città medie del Sud e per i dodici Pro- grammi complementari dedicati alle Città metropolitane del Fondo sviluppo e coesione (FSC) ammontano complessivamente a più di 8 miliardi di euro nel periodo 2021-2027. Si tratta di un’occa- sione unica per integrare tutti i finanziamenti (PNRR, politiche ordinarie) attraverso l’elaborazione di una Agenda urbana nazionale per lo sviluppo sostenibile, di cui quella elaborata nel 2022 dal mini- stero delle Infrastrutture e della mobilità sostenibili costituisce un primo esempio. A tal fine, va final- mente attivato il Comitato interministeriale per le politiche urbane (CIPU) ricostituito nel 2021 e finalizzato a rappresentare la dimensione urbana della Strategia Nazionale per lo Sviluppo Sostenibile.

  • In materia di governo del territorio e rigenerazione urbana la novità più significativa è la ricostituzione della Commissione periferie della Camera che offre una nuova opportunità per colmare tre gravi lacune legislative, in quanto essa può:
  • inviare una relazione alla Camera sul governo del territorio per un iter spedito della legge;
  • favorire la conclusione del percorso legislativo sulla rigenerazione urbana estraendo un nucleo es- senziale di norme dal testo unificato del Senato della precedente legislatura;
  • sollecitare una legge, come sarebbe preferibile, o in subordine una norma, che demandi ad una Intesa nella Conferenza Stato-Regioni, con il potere sostitutivo del Governo, la determinazione della quan- tità massima di consumo di suolo ammesso in ciascuna Regione e la sua ripartizione per ambiti territoriali.

Le politiche abitative soffrono della mancanza di una programmazione degli investimenti e di un ap- proccio episodico e frammentato. Va riqualificato e incrementato il patrimonio di edilizia residenziale pubblica (ERP), vanno garantiti stanziamenti costanti ai fondi di sostegno per l’affitto e va approvata una legge per la regolamentazione delle locazioni brevi, con un ruolo decisionale affidato ai Comuni ed alle Città metropolitane.

  • Il settore dei trasporti ha accresciuto il suo peso sulle emissioni climalteranti nazionali complessive, pas- sando dal 24% nel 1990 al 31% nel La proposta di Piano Nazionale Integrato energia-Clima (PNIEC) inviata dall’Italia alla Commissione europea il 30 giugno 2023 prevede che entro il 2030 si utilizzerà il 47% di biocarburanti liquidi e solo il 26% di elettricità da fonti rinnovabili. Ciò non appare coerente con la cessazione dell’immatricolazione di veicoli nuovi a motore termico a partire dal 2035 e non per- mette di azzerare l’uso dei biocarburanti di prima generazione da colture dedicate entro il 2030.

Per decarbonizzare i trasporti occorre proseguire nell’attuazione della Strategia europea, fatta pro- pria dall’Italia con il Piano della transizione ecologica (PTE), conseguendo i target al 2030 per gli au- tobus e le auto elettriche, la crescita del traffico merci su ferrovia, riservando i biocarburanti avanzati per i trasporti non elettrificabili, come l’aviazione e la navigazione a lunga distanza.

  • I servizi ecosistemici sono la domanda di funzioni esercitate in natura per regolare gli equilibri degli ecosistemi che può essere sollecitata anche attraverso il loro pagamento, come previsto dalla legge 221 del 2015, mai attuata. Tale importante risultato può essere conseguito:
  • attraverso i processi di pianificazione territoriale;
  • con la tecnica urbanistica della perequazione per fare affluire maggiori risorse ai territori che li producono;
  • con l’utilizzo di una quota delle tariffe idriche per interventi di tutela dei territori dai quali viene prelevata l’acqua;
  • con l’estensione dell’esperienza del Parco nazionale dell’Apennino Tosco-emiliano per collocare sul mercato volontario crediti di sostenibilità e crediti di carbonio legati alla salvaguardia e alla riqua- lificazione del patrimonio forestale
  • L’inquinamento atmosferico rappresenta ancora il principale fattore di rischio ambientale per la salute in Europa e sul nostro Paese sono pendenti due condanne e una procedura di infrazione europea per il superamento dei limiti in numerose La proposta di nuova Direttiva europea dell’ottobre 2022 introduce limiti più stringenti, ma ha suscitato numerose proteste. La richiesta di flessibilità avanzata dall’Italia non va intesa come un ulteriore rinvio, anche perché vanno affrontati con decisione tre temi fondamentali:
    • Il contenimento delle emissioni di ammoniaca degli allevamenti zootecnici intensivi e dello span- dimento dei fertilizzanti azotati in agricoltura;
    • la drastica riduzione del numero di veicoli altamente inquinanti, a partire da quelli con motori diesel alimentati a gasolio;
    • la diminuzione delle biomasse e del gasolio utilizzati per il riscaldamento civile.

La legge n. 10 del 2013 sugli spazi verdi urbani ha contribuito a diffondere nel Paese e presso le ammi- nistrazioni locali una maggiore sensibilità che non si è però tradotta né in un incremento significativo delle aree verdi, né in una diffusione della pianificazione specifica. La Nature restoration law europea rappresenterà una svolta per il ripristino degli ecosistemi e richiederà un deciso cambio di passo in Italia, attraverso una campagna nazionale di educazione e sensibilizzazione, l’obbligatorietà dei Piani comunali del verde urbano e l’utilizzo delle aree di proprietà pubblica come volano per incrementare le infrastrutture verdi nelle città.

  • Nonostante l’incombere di eventi catastrofici legati al cambiamento climatico, a otto anni dall’appro- vazione della Strategia per l’adattamento, il Piano Nazionale di Adattamento ai Cambiamenti Climatici (PNACC) non è ancora stato approvato definitivamente dopo la conclusione della consultazione di Va- lutazione ambientale strategica (VAS). Per evitare che il Piano nasca vecchio, in particolare per il settore Insediamenti urbani, è necessario dargli una struttura pienamente integrata con gli altri strumenti di programmazione territoriale, includere i temi dell’adattamento urbano nel governo del territorio e definirne le priorità (infrastrutture verdi, ciclo delle acque, arresto del consumo di suolo e soluzioni basate sulla natura).
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