Un film sulla mafia garganica. Donato Troiano: «Il tema della criminalità organizzata del Gargano sia trattato con la dovuta profondità culturale»

«Da alcuni giorni per le strade del nostro paese circola la notizia di un film sulla mafia garganica, le cui scene dovrebbero essere girate in molte località del Gargano a partire dal prossimo mese di settembre.

Il film si ispirerebbe alle pagine di un romanzo, pubblicato due anni fa, dal titolo “Ti mangio il cuore”.

Il regista Mezzapesa avrebbe chiamato a ricoprire il ruolo della protagonista la cantante Elodie, che sarà alla sua prima esperienza cinematografica.

Un film sulla mafia garganica di per sé non ci preoccupa, né ci impensierisce, ma ci impone di fare qualche seria riflessione, che spero diventi  terreno di confronto tra le più significative energie culturali del Promontorio del Gargano.

Innanzitutto, ci troveremo di fronte a un “film d’autore” o a uno dei tanti prodotti dell’industria culturale di massa?

Un “film d’autore”, sorretto da un’adeguata impostazione culturale e da una profonda conoscenza del fenomeno della criminalità organizzata garganica e foggiana, aiuterebbe le popolazioni del Gargano e dell’Italia intera a comprenderne le radici storiche, sociali e culturali, a scandagliare il rapporto tra i soggetti criminali e il resto delle popolazioni locali, evitando di mettere in campo in maniera semplicistica la categoria abusata dell’omertà.

E soprattutto un “film d’autore” suggerirebbe, ove ce ne fosse bisogno, a tutti noi e ai rappresentanti delle istituzioni le strategie capaci di prosciugare il terreno di coltura delle adesioni delle giovani generazioni al sistema criminale.

Purtroppo, ho l’impressione che ci sarà regalato un ennesimo prodotto della industria culturale di massa, di fronte al quale lo spettatore si rivela conformista per eccellenza, talmente assuefatto a consumare sempre lo stesso prodotto da non avvedersene per cui la sua partecipazione si fa meccanica e passiva.

Una pellicola di tal fatta comporta per l’intero Gargano e le sue popolazioni almeno tre rischi: il primo, che si verifichi, anche al di là di ogni scelta deliberata dal regista, la identificazione tra le popolazioni garganiche e i rispettivi clan criminali; il secondo, che l’impostazione cinematografica susciti in certe fasce giovanili un certo moto di emulazione, così come si è verificato in occasione di film o serie televisive analoghe;

il terzo, che dalla cruda trama del film scaturisca con sorprendente naturalezza la immutabilità di certi fenomeni e sistemi criminali, per cui lo spettatore si attesti sull’assoluto “così è”.

Siccome il Gargano e le sue popolazioni non sono la “loro criminalità”, ma molto di diverso e di più (bellezza e cultura), è necessario che questi rischi vengano tempestivamente scongiurati.

 A tale scopo mi appare opportuno e necessario che il mondo della cultura e delle istituzioni scenda immediatamente in campo prima che abbiano inizio le riprese cinematografiche, non per ostacolarle o addirittura impedirle, quanto per esigere che il tema della criminalità organizzata del Gargano sia trattato con la dovuta “profondità culturale”, anche con iniziative parallele di spessore scientifico, al fine di evitare che sullo scenario nazionale e internazionale non appaia l’asserzione GARGANO=MAFIA, che tanti danni potrebbe provocare a tutti e per un tempo molto lungo».

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