La Pietà di Francesco Vezzoli in Palazzo Vecchio

Il monumentale leone rampante di Vezzoli installato permanentemente all’interno di Palazzo Vecchio, Firenze.

La PIETÀ (2021) di Francesco Vezzoli entra a far parte della collezione permanente del Comune di Firenze. L’imponente scultura raffigurante un monumentale leone rampante novecentesco installato su un basamento antico, intento a stritolare tra le fauci una testa romana del II secolo d.C, è stata collocata all’interno del terzo cortile, detto cortile nuovo, già previsto dal Vasari ed eseguito da Bartolomeo Ammannati e Bernardo Buontalenti a conclusione dell'ampliamento verso via dei Gondi e via dei Leoni, ora cortile dell’anagrafe.  L’opera, già presentata in occasione della mostra Francesco Vezzoli in Florence (a cura di Cristiana Perrella e Sergio Risaliti, dal 2 ottobre 2021 al 2 febbraio 2022 in Piazza della Signoria e Studiolo di Francesco I – Palazzo Vecchio) rappresenta un pastiche tra diverse epoche artistiche che è diventato la cifra di molte opere recenti dell’artista, e intende mettere in dialogo arte contemporanea e patrimonio storico artistico della città. L’inaugurazione oggi alla presenza del sindaco Dario Nardella, della vicesindaca e assessora alla Cultura Alessia Bettini, dell’artista. 

“Siamo felici che il leone sia tornato ed abbia trovato qui una nuova casa che lo protegge dopo la mostra dello scorso anno e siamo orgogliosi di questa nuova stagione della città che ha abbracciato la sfida del dialogo e a volte del conflitto tra il Rinascimento e la contemporaneità con tanti artisti che si sono misurati in questo, da Fabre a Koons a Penone e ora a Francesco Vezzoli. – ha detto il sindaco Dario Nardella -  Palazzo Vecchio è un simbolo per Firenze e luogo vivo e pulsante di lavoro, di civismo, di politica, incarnazione dell’identità della nostra città. Grazie a Francesco Vezzoli per questo dono che rimarrà con noi per sempre ad arricchire questo cortile, con una prospettiva straordinaria dal cortile del Verrocchio che, in un arco temporale di secoli, mette a confronto senza pregiudizi epoche e stili diversi”. 

“Da anni stiamo portando avanti sempre di più una forte vocazione al contemporaneo in dialogo con il passato e adesso andiamo avanti in questa direzione. – ha aggiunto la vicesindaca e assessora alla Cultura Alessia Bettini - Questo cortile è sempre stato un luogo di passaggio, con questa opera monumentale acquista una sua identità ancora più marcata. Molti sono gli animali araldici che caratterizzano le città, il nostro Marzocco ci ricorda che il leone è simbolo del popolo fiorentino. Così la ‘Pietà’, che già avevamo potuto ammirare in piazza Signoria, adesso da qui ci ricorda la nostra storia e ci rimanda a forti suggestioni. Grazie a Vezzoli, che ha donato quest’opera, grazie a tutti gli uffici e a tutti coloro che hanno reso possibile questa installazione”. 

“Nel settembre 2021, Francesco Vezzoli, artista di fama mondiale, ha realizzato un’opera site specific per piazza Signoria, evocando la figura di un minaccioso leone, ispirandosi ad una serie di elementi iconografici e non solo che hanno caratterizzato la storia di Firenze” ha dichiarato Sergio Risaliti, direttore del Museo Novecento. “Un leone alzato sulle proprie zampe e in atteggiamento aggressivo installato su un basamento antico. Si tratta di una scultura di fattura moderna dal carattere rustico e alquanto impressionante nella sua posa. Una grande emozione adesso rivederlo installato all’interno di uno dei cortili di Palazzo Vecchio, in un contesto che storicamente e simbolicamente giustifica la sua presenza”.

Il leone, infatti, a Firenze è da sempre il Marzocco, assurto fin dai tempi della repubblica fiorentina instaurata nel 1115 ad elemento totemico in difesa della libertà comunale. Celebre è il Marzocco realizzato in pietra da Donatello la cui copia si staglia sull’arengario, mentre l’originale è conservato al Museo Nazionale del Bargello. Due leoni, come vigili sentinelle, si trovano poi a segnare la scalinata di accesso alla Loggia dei Lanzi: uno antico e l’altro una invenzione moderna. Altre sagome di leone poi decorano in alto la porta di accesso al Cortile di Michelozzo. mentre un leone dorato svetta assieme alla banderuola sulla vetta della Torre di Arnolfo e altri si impressionano nel cortile della Dogana all’interno ella Signoria e nella sala dei Gigli, dove il leone è elemento decorativo. Sappiamo poi dalle fonti che nel secondo cortile di Palazzo Vecchio si manteneva un serraglio di leoni, ben 24 feroci animali arrivati da lontano. Se il Marzocco come vuole la tradizione protegge tra le zampe il Giglio, simbolo della libertà fiorentina, il Leone di Vezzoli, stritola tra le fauci aperte una testa in marmo d’epoca romana, un frammento di civiltà perduta e una figura togata acefala.  La belva sembra aver staccato la testa del togato romano dal resto del corpo -qui per estensione quello dell’arte classica- che è scivolata a terra, sul piano del basamento. Dell’intero non resta che una parte, un frammento, come quelle statue distrutte dalla furia degli uomini o dal tempo. La bella testa marmorea di epoca romana, di spirito antiquariato - come quelle che tanto amavano collezionare i principi e i porporati nelle case e nei palazzi da Roma a Firenze, da Mantova a Milano in epoca rinascimentale- contrasta con la fattura un po' prosaica e ‘rozza’ del leone, che s’impenna con fare minaccioso nel centro della piazza. Quell’essere fiero qui si rivolta contro la civiltà passata, la storia delle immagini e dei monumenti classici, e superbamente ruggisce a dimostrare la sua potenza, una sovranità tanto fiera quanto irrazionale.   

Vezzoli negli ultimi anni si è cimentato con la scultura, giustapponendo parole antiche e moderne, accoppiando reperti classici di figure togate frammentate, e sovente acefale, a lemmi moderni, come le teste manichino ‘rubate ‘a De Chirico, restituendoci a questo modo nuove muse inquietanti.  Nell’operazione odierna, Vezzoli riserva, a sè stesso e all’artista contemporaneo, il compito di ricomporre i frammenti e esergo di una civiltà in ‘disgrazia’, di un’unità perduta. E a questo modo si permette di ricordarci che l’arte è sempre cosa mentale, e che il ready made è ormai cosa superata e che di questi sublimi assemblage, tra antico e moderno, se ne hanno testimonianze importanti nei tempi antichi. Si veda ad esempio il Ganimede di Benevenuto Cellini realizzato assemblando parti di una antica scultura a elementi moderni, realizzati dallo stesso Cellini. Ma Vezzoli riesce a fare un passo ulteriore rispetto a quella tradizione rinascimentale. Un passo ancora più sofisticato e provocatorio, in senso creativo e poetico. Piuttosto sulla scia di De Chirico e Savino, inventori di metamorfosi e collage misteriosi ed evocativi, che su quella dei restauratori rinascimentali. Perché nel suo caso il fine non è l’integrazione per una ristabilita leggibilità della frase figurativa originaria, rispondendo alle esigenze di armonia formale e concettuale, risultante dalla perfetta ricostruzione dell’intero a partire dal frammento come nel caso citato del Ganimede. Vezzoli combina i lemmi figurativi in modo da ottenere un ibrido che spiazza e sconcerta, appunto un collage linguistico che vive in un mondo diverso da quello della tradizione pur rigenerandone le forme. Un mondo surreale e metafisico ad un tempo, che nasce dalla giustapposizione di archeologia e fantasia, di memoria e invenzione, che sottende in questa occasione e in questo luogo una volontà di critica all’attacco che la cultura artistica occidentale e classica in particolare sta subendo da parte di movimenti ideologici al limite del fanatismo.  L’opera, il Leone, questa volta difende da una minaccia culturale, da una minacciosa e aggressiva onda ideologica, che sta mettendo a soqquadro la storia delle immagini e dei contesti originali.  Perché la libertà si fonda e tramette anche sul potere misterioso, poetico e trascendentale delle immagini.  

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