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La Giunta regionale ha deliberato l’istituzione dell’Elenco delle imprese artigiane produttrici di luminarie artistiche e tradizionali di Puglia. L’iscrizione all'elenco è riservata alle imprese artigiane pugliesi con codice ATECO 27.40.02 che producono luminarie artistiche e tradizionali secondo forme, decori, tecniche e stili divenuti patrimonio storico e culturale della Regione Puglia ovvero secondo innovazioni che siano comunque ispirate alla tradizione.

Ai fini della tutela, della conservazione e della valorizzazione delle caratteristiche tecniche e produttive delle luminarie artistiche tradizionali, la Giunta si impegna inoltre a promuovere la creazione del marchio regionale “Luminarie artistiche tradizionali di Puglia”, che potrà essere utilizzato dalle sole imprese iscritte nell’elenco.

“Questo provvedimento – ha dichiarato l’assessore allo Sviluppo economico Alessandro Delli Noci – si inserisce in una più ampia policy regionale di valorizzazione dell’artigianato artistico e di tradizione pugliese che trova il culmine nella legge regionale n.7/2023 di riforma dell’artigianato in cui è dedicato ampio spazio proprio all’artigianato artistico e alle luminarie. Le ragioni sono almeno due: da una parte dare prestigio ad una tradizione pugliese dal forte e intenso legame identitario con il territorio e la cultura pugliesi, una tradizione particolarmente amata e apprezzata in giro per il mondo, capace di conquistare l’immaginario, di essere un prezioso strumento di marketing territoriale e di creare posti di lavoro.

Dall’altra parte l’apertura di nuovi spazi e nuovi mercati dovuta ad una nuova fase dell’artigianato artistico che interessa il design. Dunque la maestria dei nostri artigiani, la loro creatività, la volontà di legare una antica tradizione all’innovazione, favorendo anche il passaggio generazionale, inevitabilmente deve vederci impegnati e in prima linea. Dedicare a questo settore specifico interventi mirati, creare un marchio che lo identifichi è il senso di questo provvedimento che oggi approviamo”.

Seguirà l’indizione di avviso pubblico per la presentazione delle domande di iscrizione nell’Elenco delle imprese artigiane produttrici di luminarie artistiche tradizionali di Puglia.

Con questa motivazione della Giuria, letta dalla professoressa Maria Teresa Rauzino, il saggio ha vinto il 2° premio al concorso "Tratturo Magno", svolto a Palazzo Dogana Foggia il 25 Novembre 2023.

«Michele Eugenio Di Carlo, nel suo saggio ‘Il dibattito di fine settecento lungo le vie erbose della transumanza’, dimostra una approfondita conoscenza degli eventi storici e delle tematiche inerenti l’argomento proposto. Si avvale di varie fonti documentarie e storiografiche, sviluppando una trattazione ricca, puntuale, coesa e originale. Ampia bibliografia»

Di seguito il saggio completo, a cura del prof. Michele Eugenio Di Carlo.

CENNI STORICI SULLA TRANSUMANZA

La transumanza dalle alture appenniniche centro-meridionali, lungo le larghe vie erbose rivolte verso il Tavoliere delle Puglie, richiedeva la migrazione stagionale forzata di greggi e pastori e ricorreva dai tempi della pastorizia arcaica.

I primi a regolare la transumanza, fissando una tassa regolamentata in base alle «Tavole censorie», furono i Romani. Infatti, lo scrittore romano Marco Terenzio Varrone (116-27 a.C.), nel manuale di agricoltura De re rustica, forniva informazioni essenziali sulla pratica della transumanza della sua epoca. Lungo il tratturo da Boiano a Benevento, scolpito su una lapide di uno degli ingressi alla città di Sepino, è tuttora visibile un rescritto, il De Grege ovarico1. L’Avvocato dei locati presso il tribunale della Regia Dogana, Domenico Maria Cimaglia, cita l'antico Vestigal romano2 relativo al passaggio del bestiame che dal Sannio andava a svernare nella piana di Puglia3. Crollato l’Impero Romano, le precarie condizioni di sicurezza nella conduzione di migliaia di animali per centinaia di chilometri, già rilevate dallo storico romano Tito Livio4, diventavano insostenibili, tanto da logorare l’economia legata alla pastorizia. Terminate le invasioni barbariche, i Normanni tentavano di risolvere i problemi legati al banditismo endemico prevedendo pene drastiche per coloro che attentavano alla sicurezza del bestiame lungo le vie della transumanza.

In un convegno svoltosi nel 1999 a Foggia, la studiosa Maria Rosaria Tritto5 rimarca il rinvenimento da parte di J.L.A. Huillard-Breholles delle costituzioni normanne nel Codice pubblicato a Melfi nel 1231 da Federico II di Svevia6. L’economia fiscale dei pascoli regi prosegue con gli Angioini, come accertato nel 1859 dall’economista napoletano Ludovico Bianchini, il quale menziona un editto del 24 gennaio 1334 concernente un tributo da pagare per il pascolo nel Tavoliere7. Prima dell’avvento degli Aragonesi, re Ladislao impone una tassa e, in seguito, la sorella Giovanna II precisa i limiti di affitto delle superfici a pascolo per conti e baroni con una lettera del 18 settembre 14298. Il passaggio dagli Angioini agli Aragonesi è segnato dalla confusione e dalla sottrazione dei pascoli fiscali, a cui pone rimedio Alfonso d'Aragona con la decisione presa nel 1442 di regolamentare la transumanza, ritenendo fiscalmente utile agevolare l’economia della pastorizia nei «deserti campi di Capitanata» dalla «dispersa ed estinta popolazione»9.

La Dogana della mena delle pecore viene costituita con un atto dell’agosto del 1447, affidando al nobile funzionario catalano Francesco Montluber il gravoso onere di fissare il complesso sistema di regole per permettere alle greggi di svernare nel Tavoliere passando attraverso pascoli feudali, comunali ed ecclesiastici, affrancando da violenze e abusi i pastori. I tratturi, le lunghe e larghe vie erbose per il passaggio degli animali, vengono acquisite da baroni, comuni ed enti ecclesiastici per il solo periodo autunno-invernale, lasciando libero il possesso o la proprietà per il restante periodo. Complessivamente vengono destinati al pascolo transumante circa 15 mila carra10. Cimaglia stima le terre censite a pascolo e indica i tre grandi territori acquistati al fine di consentire la sosta agli animali in attesa dell’assegnazione di una posta nel Tavoliere:

[...] il Fisco possiede in erbaggi fissi sicuri ed invariabili carra 12.667, versure 18, e carra 1216 versure 10 di erbaggi, che durano dal dì 29 Settembre, fino al dì 17 Gennajo [...] Oltre a questi erbaggi [...] furono dal Fisco acquistati vasti campi tra il fiume Sangro, e 'l Trigno, lungo le pianure bagnate dall'Adriatico, destinate all'interino soggiorno del bestiame maggiore, ed altre più vaste campagne tra 'l Trigno, e 'l Fortore di ugual uso per le pecore, o sia pel minuto armento. A tal uopo ancora acquistò la Corona i molti erbaggi pel monte Gargano, per le vaste colline di Andria, di Minervino, ed altri, [...]11.

Agevolata la pastorizia transumante, l'agricoltura del Tavoliere viene relegata a un ruolo del tutto secondario. Oltre ai pascoli già soggetti al regio demanio (“erbaggi ordinari”), al momento dell’istituzione della Dogana vengono aggiunti gli “erbaggi ordinari soliti” e, subito dopo, gli “erbaggi straordinari soliti o ristori” e gli “erbaggi insoliti”, pascoli privati requisiti dalla Dogana solo nelle annate in cui risultano insufficienti i pascoli fiscali12.

Ferrante (1458-1494), giunto al potere, opera al fine di liberare produzioni e commerci dal gioco feudale e recupera al Regio Demanio diversi territori sottoposti a giurisdizione feudale, provocando la Congiura dei Baroni (1485-1487). Al riguardo lo storico garganico Giuseppe Piemontese scrive:

[…] il re voleva attuare un'organica riforma dello Stato, i cui cardini erano la riduzione del potere baronale, lo sviluppo della vita economica e la promozione a classe dirigente dei nuovi imprenditori e mercanti napoletani, […] Tutto ciò nasceva, come vedremo, dalla progressiva infeudalità delle città, ché, allora, nel Regno di Napoli, su 1550 centri abitati, solo poco più di cento erano assegnati al regio demanio, cioè alle dirette dipendenze del re e della Corte, mentre tutti gli altri erano controllati dai baroni13.

Intanto, il Tavoliere viene diviso in ventitré aree denominate «locazioni» adibite al pascolo: Andria, Arignano, Camarda, Candelaro, Canosa, Casalnuovo, Castiglione, Cave, Cornito, Feudo d'Ascoli, Guardiola, Lesina, Ordona, Orta, Ponte Albanito, Procìna, San Giuliano, Sant'Andrea, Salpi, Salsola, Tressanti, Trinità, Valle Cannella. A queste locazioni, come chiarisce Michele Magno, vengono aggiunte quelle di San Iacovo, Lamaciprana, San Chirico, Fontanella, Versentino, Farano, Correa Grande, Correa Piccola, Siponto, Stornara, Stornarella, Quarto delli Turri, San Giovanni in Fonte, Quarto San Giovanni, Canne, Gaudiano, Parasacco, Alvano, Fabrica, San Lorenzo, al fine di preservare i pastori poveri dall’abuso delle sub concessioni di pascoli fiscali da parte dei locati ricchi. Diventate insufficienti, vengono sottoposti al regime fiscale altri territori, aggregati alle locazioni principali e persino esterni al Tavoliere: il Feudo di Monteserico, i boschi di Ruvo e di Montemilone, i demani di Ascoli, di Bisceglie, di Bitonto, di Cagnano, di Campolato, di Carpino, di Grumo, di Ischitella, di Isola Varano, di San Bartolomeo, di San Nicandro, di Sequestro, di Terlizzi, di Toritto, di Venosa, di Vieste e di Peschici14. Le locazioni sono frazionate in «poste» assegnate nominalmente ai locati o fidati; poste che Salvatore Grana, in un testo del 1770 sull’istituzione della Dogana, censisce in numero di 44615.

Greggi e pastori, al fine di raggiungere il Tavoliere percorrono vie erbose larghe 111 metri, gli storici “tratturi” che consentono, oltre il passaggio e la sosta, anche l’alimentazione animale. Vie che si ramificavano in una serie infinita di “tratturelli” meno larghi, a loro volta congiunti da vie minori, i cosiddetti “bracci”, e che il «Fisco da varj angoli de' più lontani Apruzzi stabilì, prolungate a traverso di Capitanata, fino alle sponde di Otranto, e verso Basilicata, ed altre contrade, dalle quali passar soleva l'armento»16.

I tratturi principali, definiti regi, sono cinque. Il tratturo L’Aquila-Foggia, definito anche Tratturo Magno, lungo 244 chilometri, raggiunge Foggia lungo un percorso adiacente al mare Adriatico che dal Gran Sasso conduce al capoluogo di Capitanata passando per i seguenti comuni: Bazzano, Poggio Picenze, S. Demetrio ne’ Vestini, Barisciano, Capestrano, Corvara, Cugnoli, Alanno, Rosciano, Chieti, Bucchianico, Villamagna, Giuliano teatino, Arielli, Poggiofiorito, Frisa, Lanciano, S.M. Imbaro, Mozzagrogna, Torino di Sangro, Vasto, S. Salvo, Petacciato, S. Giacomo Schiavoni, Guglionesi, S. Martino in Pensilis, Serracapriola, S. Paolo di Civitate, S. Severo. Il regio tratturo Centurelle- Montesecco, lungo chilometri 155, si diparte e si ricongiunge al Tratturo Magno seguendo un percorso più interno e attraversando le seguenti località: Caporciano, Navelli, Collepietro, Bussi sul Tirino, Torre de’ Passeri, S. Valentino, Lettomanoppello, Serramo, Roccamontepiano, Fara Filorum, Rapino, S. Martino, Filetto, Orsogna, Castelfrentano, Montenero di Bisaccia, Montecilfone, Guglionesi, S, Martino in Pensilis, Montesecco. Il tratturo Celano-Foggia con i suoi 208 chilometri è il più appenninico e attraversa le seguenti località: Cerchio, Collarmele, Goriano Sicoli, Raiano, Sulmona, Pettorano sul Gizio, Rocca Pia, Rivisondoli, Roccaraso, Pietransieri, S. Pietro Avellana, Pietrabbondante, Bagnoli del Trigno, Salcito, Lucito, Castelbottaccio, Morrone del Sannio, Ripabottoni, Bonefro, S. Giuliano di Puglia, Casalnuovo Monterotaro, Lucera. Il tratturo regio Castel di Sangro-Lucera, il più breve con i suoi 127 chilometri, giunge a Lucera attraversando i seguenti territori: Roccasicura, Pescolanciano, Chiauci, Civitanova del Sannio, Duronia, Molise, Torella del Sannio, Castropignano, Ripalimosani, Campodipietra, Toro, Gambatesa, Volturara Appula, Motta Montecorvino, Volturino. Il tratturo Pescasseroli-Candela, lungo ben 221 chilometri, seguendo la linea dei versanti appenninici, dal Parco Nazionale degli Abruzzi raggiunge il Tavoliere attraversando i seguenti territori: Opi, Civitella Alfedena, Barrea, Alfedena, Scontrone, Rionero Sannitico, Forlì del Sannio, Isernia, Pettoranella del Molise, Castelpetroso, Cantalupo del Sannio, S. Massimo, Boiano,

S. Polomatese, Campochiaro, Guardiaregia, Sepino, S. Croce del Sannio, Circello, Reino, S. Giorgio in Molara, Buonalbergo, Montecalvo Irpino, Zungoli, Anzano di Puglia, Rocchetta S. Antonio, Candela.

Nel 1880 la rete tratturale è ancora consistente:

[…] Km: 175,905 in provincia di Aquila; 32,618 in provincia di Teramo; 200,588 in provincia di Chieti; 372,766 nel Molise; 41,500 in Basilicata; 191,420 in provincia di bari; 378,190 in Capitanata; 46,178 in provincia di Avellino; 40,407 in provincia di Benevento; 47,124 in Terra d'Otranto17.

In attesa dell’assegnazione delle poste, operazione che avviene dal 29 settembre al 25 novembre, tre vasti territori denominati “riposi” sono a disposizione delle greggi: il Saccione nel Molise, le Murge di Minervino, la «Montagna dell'Angelo». La sede della Dogana nel 1468 viene spostata da Lucera a Foggia con sede dal 1731 nel Palazzo Dogana. L'amministrazione della Regia Dogana assegna le poste ai locati, riscuote la fida, reintegra le aree occupate abusivamente, fissa i prezzi dei prodotti venduti in esclusiva alla Fiera di Foggia dai soli locati. Da Ferrante in poi, la Regia Dogana acquisisce giurisdizione civile e penale su chiunque abbia un’attività legata alla pastorizia transumante.

L’amministrazione della Dogana era costituita da un Doganiere avente tra i maggiori collaboratori due ufficiali fiscali curanti il patrimonio dei demani fiscali, da un giudice assistito da un Avvocato dei Poveri che tutelava i piccoli locati, da un «mastrodatti archivista», da un «libromaggiore», da un percettore, e da diversi «cavallari» e «compassatori». Ogni locazione curava i propri affari presso la Dogana tramite due deputati eletti, mentre l’assemblea della generalità dei locati eleggeva quattro deputati ai fini della rappresentanza presso la Regia Corte.

Le «terre di portata», cioè i terreni destinati alla cerealicoltura, quasi sempre di proprietà o in possesso di baroni, Chiesa, Università, affidati a esperti «massari di campo», erano soggetti a una rotazione biennale: solo metà superficie veniva coltivata, l’altra metà era destinata in parte al pascolo transumante e in parte al riposo. Stefano Di Stefano di Agnone, governatore della Dogana dal 1734, spiega le modalità fissate per la coltivazione delle «terre di portata»:

Terre di portata sono quelle create dalla Regia corte nel 1548, assegnate ai particolari padroni ad uso di coltura, con ordine limitato di quel che si può seminare, e far maggese in ciaschedun anno, affinché non venghi impedito il pascolo, che si concede ai locati; maggese, terra lasciata a riposo ad anni alterni, nell'allora sistema di rotazione biennale; mezzana, parte del territorio saldo, e mai coltivato con alcuni alberi di pera agreste, ed altre piante selvatiche, volgarmente dette perazze, che serve per uso e pascolo dei buoi che devono ivi arare, e coltivare i territori vicini, concesso ai massari di campo18.

Da questa distribuzione del territorio nasceva il conflitto permanente tra pastori e agricoltori, che sconfinavano costantemente nelle terre destinate al pascolo transumante. Già nel 1551 Francesco Revertera, luogotenente della Camera della Sommaria, era costretto a reintegrare numerosi terreni pascolativi fiscali occupati e usurpati, scatenando il malcontento generale degli addetti a vario titolo all’agricoltura. Tuttavia, i massari di campo avrebbero continuato ad usurpare i pascoli regi, destando vigorose proteste da parte dei locati.

Nel 1553 la dichiarazione al fisco del numero di pecore condotte al pascolo invernale diventa un obbligo spontaneo («professazione»), che induce a denunce sovradimensionate al fine di ottenere maggiori superfici di pascolo da subaffittare a prezzi maggiorati a pastori poveri. Il numero enorme di pecore dichiarate (4-5 milioni), l’incapacità burocratica di incamerare i proventi fiscali, le diffuse critiche alla professazione, conducono nel 1611 alla concessione quinquennale «di tutti i terreni pascolativi delle locazioni e dei ristori non ché dei pascoli straordinari insoliti [...]», assicurando al fisco l'entrata annua di 250 mila ducati19. Tuttavia, l’aumento del prelievo fiscale, conseguente al rinnovo dei contratti, incontra la forte resistenza dei locati che non si placa nemmeno quando il consigliere della Corona Fabio Capece Galeota riduce i canoni. Nel 1661, una prammatica vicereale accoglie la proposta di Capece di reintrodurre il sistema della professazione, preferito dai locati ricchi quanto avversato dai pastori poveri. Sul finire del secolo, la fase critica della pastorizia si accompagna a un’agricoltura colpita dagli scarsi raccolti di grano, dalle invasioni di cavallette, dalla carestia e da rivolte di un popolo rurale oppresso da pesanti condizioni fiscali e dal dispotismo feudale.

Mantenere in essere il sistema fiscale legato alla transumanza è un’operazione complessa e comporta oneri impegnativi: prevenire usurpazioni e occupazioni di pascoli fiscali, procedere a ripetute reintegre, vietare e penalizzare l'affitto di pascoli privati prima che siano utilizzati tutti i pascoli regi, controllare che le assegnazioni dei pascoli corrispondano al reale patrimonio animale dichiarato per evitare i danni delle false professazioni, tenere a bada le giurisdizioni ordinarie e feudali nelle questioni che riguardano esclusivamente il foro della Dogana, procedere penalmente contro agenti e amministratori della Dogana diffusamente corrotti.

Il predominio del pascolo sull’agricoltura nega da secoli qualsiasi opportunità di sviluppo a un Tavoliere sempre più arido che continua a presentare estese aree malariche non bonifiche. A metà del Settecento, nel 1751, Ferdinando Galiani apre il dibattito su come utilizzare in modo migliore la seconda pianura d’Italia, abitata da una popolazione scarsa che vive di stenti:

Io conto tra le maggiori cause d'intoppo per cui dopo un rapido incominciamento, si è visto forzosamente rallentarsi fra noi il corso del progresso ed il ristoramento dell'agricoltura, il sistema della Dogana di Foggia, sistema che al volgo sembra sacro e prezioso perché rende 400.000 ducati al re; al saggio sembra assurdo appunto perché vede raccogliersi 400 mila ducati da un estensione di terreno che ne potrebbe dare due milioni; abitarsi da centomila una provincia che ne potrebbe alimentare e fare ricchi e felici trecentomila; preferirsi terre incinte alle cinte; l'alimento delle bestie a quello dell'uomo, la vita errante alla fissa, le pagliaie alle case, le ingiurie delle stagioni al coperto delle stalle; e tenersi in fine un genere di industria campestre che non ha esempio d'altro somigliante nella cinta Europa: ne ha solo nella deserta Africa e nella barbara Tartaria20.

Alle incalzanti critiche di Galiani seguono, dopo qualche decennio, le dotte analisi di illustri studiosi e economisti, diversi dei quali chiedono la riforma o l'abolizione del regime fiscale della Regia Dogana. Nel 1787, quando sale il fermento degli agricoltori, al metodo della professazione subentra un contratto di affitto sessennale dei pascoli che riapre il dibattito sulla necessità di concedere i pascoli ai locati in maniera permanente. Infatti, nel 1792, la Prammatica XXIV De Administratione Universitatum21 «permette di censire i terreni demaniali di qualunque specie».

Ferdinando IV, tornato a Napoli alla fine della Repubblica Partenopea, incarica Vincenzo Sanseverino di aggiornarlo sulla propensione dei locati riguardo la censuazione dei pascoli. Ottenendo indicazioni divergenti, il 6 dicembre 1805, Sanseverino opta per l’affrancazione delle terre fiscali già coltivate dai possessori al saggio del 4 %, incontrando il compatto dissenso dei grandi allevatori.

Goffredo de Bellis, governatore della Regia Dogana, profondamente risentito, comunica al Re che la «vendita delle terre, o siano Masserie di Regia Corte» è stata ovunque ben accolta nel Tavoliere, ad eccezione dei grandi locati, che pur detengono, a detrimento degli interessi della nazione, non meno di un terzo dei terreni della Regia Corte, versando all’erario appena ventitré carlini a versura. Di fronte alla raggiunta intesa dei locati di astenersi dall’affrancazione, De Bellis reagisce spingendo il Governo napoletano a procedere nell’affrancazione anche dei terreni in possesso dei locati, dichiarando scaduti i contratti di affitto dei regi terreni dei possessori che non intendono esercitare il diritto di prelazione, relativo all'affrancazione, in modo tale che «essi saranno i primi a concorrere subito alle compre, e cercheranno di conservare nel miglior modo possibile le sorgive della di loro opulenza»22. Ma, ormai, i francesi si presentano nuovamente alle porte del Regno di Napoli.

Il Governo francese percepisce la peculiarità del regime fiscale del Tavoliere e il 2 maggio 1806 cancella il sistema fiscale della Dogana, determina la censuazione delle terre del Tavoliere, demanda l’applicazione della legge alla nuova amministrazione del Tavoliere. È una legge che scioglie tutti i vincoli e le servitù esistenti, cede i pascoli in enfiteusi23 perpetua con preferenza ai locati, accorda la possibilità di affrancazione delle terre salde a coltura e, attenta a conservare le entrate fiscali, aumenta del 10% i canoni delle terre a pascolo24.

IL DIBATTITO DI FINE SETTECENTO

La prima parte del Settecento trova intellettuali ed economisti chiaramente allineati dalla parte della «ragion pastorale». Già nel 1700, l’avvocato doganale foggiano Andrea Gaudiani scrive un manoscritto con la chiara intenzione di tutelare i privilegi concessi ai locati, considerando l’agricoltura un’attività secondaria da subordinare alla pastorizia transumante25. Nel 1731, l’avvocato doganale di Agnone, futuro governatore della Regia Dogana, Stefano Di Stefano, pubblica sulla

«ragione pastorale» il lavoro26 che sarà il più citato e consultato dagli studiosi dalla seconda metà del Settecento, affrontando con compiutezza l’intricata e complessa materia della gestione doganale dei pascoli fiscali. Il primo a sostenere una critica radicale al sistema della Regia Dogana è Ferdinando Galiani, nella prima edizione del Trattato della moneta del 1751, quando ancora non erano maturate le pregiudiziali che avrebbero qualche decennio dopo minato il primato della pastorizia nel Tavoliere. Infatti, Nicola Fortunato nel 1760 parteggia «in senso ultrapastorale all'industria della lana»27, asserendo che la pastorizia è l’attività «la più antica e la più soddisfacente a' comuni bisogni [...] il vero nerbo per sollevare ed esaltare alle stelle un'intera Nazione, ancorché abietta e depressa che mai fosse»28. Ancora nel 1767, Fortunato, nella Discoverta dell'antico Regno di Napoli29, si limita a inutilmente ottimistiche indicazioni al fine di ovviare alla impietosa decadenza di un regime fiscale avviatosi ineluttabilmente al tramonto.

Negli anni Ottanta del Settecento si riaffacciano, dopo Galiani, dure critiche alle posizioni vincolistiche del regime doganale del Tavoliere, motivate anche da una consistente crescita demografica. Infatti, il docente di Storia Moderna Saverio Russo rimarca che il progetto ferdinandeo, fisiocratico, anti-vincolista e moderatamente liberista, stimola scrittori, riformatori ed economisti a prendere in seria considerazione persino l’ipotesi della soppressione della Dogana, dato che l'aumento dei prezzi favorisce la «ragione agricola» e penalizza la «ragion pastorale» connaturata al commercio della lana30.

La svolta avviene nel 1783, quando Domenico Maria Cimaglia pubblica il suo Ragionamento sull’economia pastorale, ritenendo le norme proibitive che favoriscono la pastorizia responsabili della desertificazione e dello spopolamento del Tavoliere e suggerendo la censuazione dei demani. Al Cimaglia che afferma con convinzione che non «è umano stabilimento, che possa eternamente durare, e che per riuscire sempre, ed ugualmente vantaggioso alla cittadinanza, non bisogni essere da tempo in tempo, o riformato, o grandemente corretto»31, si contrappongono nello stesso anno Vincenzo Patini con il Saggio sopra il sistema della Regia Dogana della Puglia, suoi difetti e mezzi di riformarlo, portatore di una posizione conservatrice a tutela dei privilegi dei locali e Antonio Silla di Scanno con La pastorizia difesa, avverso alla censuazione nelle forme più risolute.

Secondo Vito Masellis, biografo del Cimaglia, la

proposta censuazione ricevé obiezioni, ma infine fu pienamente accolta dal governo. Una "prammatica" del 1792 decretava la spartizione dei demani in piccole proprietà, includendo in quel beneficio anche i braccianti (M.D. Merino, Memoria della divisione delle terre fiscali di Puglia, Napoli 1794, p. 87). Il lungimirante progetto  di riforma del C. può  ritenersi insieme con  altri alla base della legge di censuazione del Tavoliere (maggio 1806) per cui, auspice Giuseppe Bonaparte, quelle terre risorgeranno economicamente dopo secolare abbandono. Quando con l'abolizione dei demani del Tavoliere fu abolito l'istituto della Dogana di Foggia, il C. ricevé per designazione del governo, nel 1808, la nomina di, presidente della Grande Corte criminale di Trani32.

Nel suo Ragionamento Cimaglia indica le numerose problematiche a cui sono soggetti soprattutto i pastori poveri possessori di poche decine di pecore: la subdola concorrenza dovuta dalla professazione volontaria a vantaggio dei locati potenti; l'obbligo a trasferire l’intero gregge in Puglia anche in condizioni climatiche avverse; l'usurpazione dei regi pascoli da parte di baroni, enti ecclesiastici e massari di campo; l'inconsistenza delle azioni di reintegra dei pascoli fiscali occupati; le drammatiche condizioni degli animali che spesso aspettano oltre il 25 novembre l’assegnazione di una posta in campi di fango privi d’erba; la necessità di comprare erba a prezzi esosi nelle annate in cui risulta scarsa; il pagamento della fida anche su terreni occupati o completamente inondati; la perdita del gregge in annate particolarmente fredde o siccitose. Tutte condizioni che causano spesso la rovina dei più poveri tra i locati abruzzesi e molisani. La visione liberista di Cimaglia si manifesta con una critica feroce al sistema economico della Dogana, ma anche con la proposta clamorosa di assegnare definitivamente una posta fissa ai locati, pur evitando la riduzione delle entrate fiscali:

Questa economia dunque perditrice della Corona, ed inutile alla Nazione, tenuta a bada dalle folli speranze, alle quali taluni Locati rinunciar non sanno, perché deve sostenersi? […] E poi non è legislatore, non è filosofo economico, che non abbia lontanamente e costantemente predicato, che 'l commercio, e le industrie, perché possano accrescersi, e riuscir profittevoli a chi l'esercita, abbiano per loro intrinseca natura bisogno di libertà. E la succinta istoria delle poche narrate cose assai ne dimostra, che nell'industria armentaria della Dogana di Foggia, ogni qualunque libertà sia suffogata, e tolta33. […] Si è dunque proposto nel Supremo Consiglio, se possa meglio convenire, ed alla nazione, ed alla Corona il darsi que' vasti campi, tutti in ragione di censo perpetuo a' stessi Locati, cosicchè ciascun Locato abbia la sua Posta fissa, e nella quale goder debba tutte le libertà, che gode ogni proprietario cittadino sul proprio fondo34.

La proposta diventa ultramoderna nel momento in cui Cimaglia suggerisce di mettere da parte le «antiche idee di proibirsi la coltura delle Poste a' Censuarj: che anzi si vorrebbe, che ciascun Censuario divenir dovesse, ed agricoltore, e pastore»35, spiegando che i locati diventati censuari di una posta fissa sicuramente sarebbero nelle condizioni di eseguire migliorie tali (curare gli erbaggi, costruire ricoveri e fienili) da farsi bastare mezza posta per alimentare gli animali, destinando l’altra metà alla coltivazione. Una proposta che tiene conto dello sviluppo complessivo della Capitanata sotto diversi aspetti socio-economici: porre la pastorizia fuori dalle crisi ricorrenti, dare impulso alla spenta attività agricola, creare le condizioni per ripopolare il Tavoliere, produrre nel territorio i generi alimentari necessari al fabbisogno interno; ammodernare l’antiquato sistema fiscale.

Cimaglia, anticipando le critiche dei sostenitori della «ragion pastorale», insiste sul «difetto del dritto di proprietà» che trattiene «la povera plebe alle piccole agricolture, allo stabilimento delle vigne, degli orti, e di ciocchè esige la naturale libertà [...]»36, tanto da costringere la città di Foggia a rifornirsi di frutta e verdura persino dalla capitale Napoli. Sensibile alla lezione giannoniana, ritiene amorale che i beni ecclesiastici dismessi e abbandonati, pur dotati di vasti fondi e di consistenti ricchezze, vengano utilizzati per la produzione di erbe vendute ai locati abruzzesi anche a prezzi quintuplicati, finendo «con matematica esattezza a sostener il pasto d'un Cardinale, d'un Commendatore, d'un Beneficiato»37, mentre invece andrebbero dismessi e ceduti in beneficenza ai poveri.

Vincenzo Patini, nativo di Castel di Sangro, nel suo Saggio del 1783 presenta la pastorizia come la «vera sorgente delle ricchezze presso le nazioni civilizzate e commercianti»38, elenca i benefici storicamente da essa apportati e minimizza l’evidente decadenza del regime fiscale, pensando che basti tornare alle leggi fissate da Alfonso D’Aragona. In pratica, propone una semplice riforma, «utile e vantaggiosa che senza dare alcuna scossa alla macchina, sia atta a sostenerla, e a preservarla da funesta rovina [...]»39, che intravede quasi certamente nei progetti di censuazione del Tavoliere, ponendosi su un piano concettuale opposto a quello di Cimaglia.

Secondo Patini, basterebbe porre fine alle usurpazioni con decise azioni di reintegra, eliminare le dannose «scommessioni»40, distinguere nettamente i campi destinati alla pastorizia da quelli utilizzati a fini agricoli, rendere assoluta la difesa dei privilegi dei locati. Patini sembra indifferente alla secolare e sempre mancata risoluzione delle controversie tra pastori e agricoltori, concede che sia necessario abolire l’ingiusto metodo della professazione, suggerisce di assegnare le poste ai locati ogni dieci anni in modo che «sicuri della propria sede nel Tavoliere sarebbero a portata d'ovviare a' danni delle scommessioni, mediante la custodia dei loro possessi [...]»41, liberi di tornare nel Tavoliere nel momento climatico più propizio sottraendosi ai danni materiali causati dalle lunghe attese nei riposi prima di ottenere una posta.

Il deputato generale dei locati Antonio Silla, abruzzese di Scanno, ben oltre Patini si chiude in difesa della «ragion pastorale», suggerendo le misure necessarie per rigettare il progetto di censuazione dei pascoli del Tavoliere con il testo La pastorizia difesa del 1783. Silla stesso illustra le ragioni che sorreggono la proposta di censuazione di Cimaglia e di altri autori che preferisce non citare42:

Per indurre i più semplici ad approvare questo nuovo sistema, lor si poneva avanti gli occhi il diritto di proprietà, che ciascuno avrebbe acquistato su della sua porzione: Che gli erbaggi non si sarebbero più distrutti con le anticipate scommissioni, perché ogni uno si sarebbe guardata la parte del territorio a lui censito: Che ogni Locato potea farsi nella sua posta ripari fissi, ed altri comodi necessarj: Che ciascuno poteva a suo genio migliorarne il territorio con piantazione di alberi, e con seminarvi ancora, quantunque volte si volesse, fieni esotici, patate, ed altri nobili prodotti […] 43.

Persino Silla ritiene che «la Dogana abbia bisogno di riforma nello stato, in cui oggi si ritrova»44, tuttavia mette in chiaro «l'insussistenza de' progetti» di censuazione presentati alla Giunta istituita dal sovrano Ferdinando IV. Diversamente dal Cimaglia, per Silla dare in enfiteusi perpetua i regi pascoli ai locati equivale a «voler fondare in Puglia la sola agricoltura, e distruggere la Pastorale»45. Entra in polemica aperta sulla consistenza dell'aumento delle entrate fiscali derivanti dalla censuazione dei terreni46 che Cimaglia ha previsto in almeno 200 mila ducati, che salirebbero a oltre 300 mila qualora si considerasse il reinserimento dei pascoli delle «Chiese morte», dei «beni di Orta», e di tutti i contrastati e incerti erbaggi regi confusi tra i «riposi»47. Tra l’altro Silla, non ritenendo realistica la previsione di reintegra dei territori usurpati su cui si basa il calcolo delle maggiorate entrate fiscali, teme che si andrebbero a favorire gli usurpatori dei regi pascoli penalizzando pesantemente i locati, considerato

che 'l peso di ducati 50. sia troppo gravoso al Ceto de' Locati, non ci vuol molto per restarne persuasi. Gli stessi Autori di progetti ci fanno intendere, che in quest'ultimo decennio, il più felice di tutti, non si è pagato più l'erbaggio Fiscale di 24. ducati il carro: E pure i Locati sono oggi nelle più dure strettezze, che fa produrre la miseria48.

Se per Silla le problematiche che hanno portato alla decadenza del regime fiscale necessitano di una riforma, per Cimaglia esse possono essere affrontate e risolte solo in maniera radicale con la censuazione in enfiteusi perpetua dei regi pascoli del Tavoliere. Silla è inoltre convinto che il «progetto della Censuazione indirizza principalmente le sue mire a stabilire i Locati facoltosi in detrimento della gente più povera [...]» e al Cimaglia, che per i locati poveri provenienti da uno stesso territorio ha previsto l’assegnazione in comune di poste nelle migliori locazioni al prezzo di 42 ducati al carro, dedica toni sarcastici: il «poco anzi lodato Progettista, il quale avendo veduto, che la Censuazione era ineseguibile per la povertà, ha deciso che si censui il meglio alle persone facoltose, e quel che resta poi si faccia godere alla misera gente»49.

Nel 1786, l’accademico fiorentino Luigi Targioni presenta a Napoli i suoi Saggi50, concentrando la sua attenzione sull’economia pastorale del Tavoliere e proponendo soluzioni economiche, tecniche e sociali tali che pastorizia e agricoltura possano convivere divenendo più redditizie per l’erario, per i locati, per le popolazioni rurali. Targioni, fine studioso e esperto agronomo, approva sostanzialmente il progetto di censuazione perpetua di Cimaglia e suggerisce gli interventi tecnici necessari a dare sostanza allo sviluppo dell’economia agricola e pastorale della Capitanata. Per l’illustre fiorentino, l’intervento primario consiste in una generale opera di sistemazione idraulico-agraria e di bonifica con costruzione di canali e strade per prevenire allagamenti, inondazioni, stagnazione delle acque che, rendendo insalubri intere aree del Tavoliere, sono causa del basso indice demografico, della scarsa produzione agricola, delle malattie che affliggono pastori e animali transumanti.

Targioni ritiene che la mancanza di proprietà nel Tavoliere, «per Legge severamente proibita», ha comportato che «nessuno si dà il pensiero di farvi i necessari ripari per gli animali, onde ogni anno nel Dicembre debbono i Pastori attendere alla formazione del ricovero per loro stessi e per le mandre, e quindi se la stagione si fà presto rigida, segue molta mortalità nelle bestie», ma anche l’impossibilità di migliorare i pascoli, dato che «il sistema attuale della distribuzione dei pascoli di Puglia in vece di procurarne la conservazione e il meglioramento tende a condurli ad una irreparabile rovina». Considerazioni che portano Targioni a «proporre che in Poste-fisse venga distribuito tutto il R. Tavoliere di Puglia: cioè che siano a perpetuo Livello ceduti ad altri dal Fisco i terreni che lo compongono»51, essendogli chiara la rilevante differenza tra i contratti di affitto temporanei e le concessioni a titolo perpetuo:

I Livellari perpetui essendo sicuri di poter godere per sempre i frutti dei meglioramenti che sono per fare ai terreni che essi hanno preso a livello, attendono a fare le necessarie coltivazioni, ancorchè queste portino una grave spesa [...] ma come sperare da un'affittuario, anche a lungo tempo di venti o trent'anni [...] che negli ultimi anni voglia fare quelle spese le quali ad esso non possono giovare?52.

Riguardo al commercio della lana, Targioni condivide la tesi di Antonio Genovesi di promuovere nel Regno di Napoli l’attività manifatturiera, al fine di non esportare all’estero lana grezza ma prodotti finiti con notevoli benefici per economia nazionale e per gli indici di occupazione: «[…] quanto maggiore utilità deve ridondare per il Regno di Napoli dal promuovere in esso tale industria, mentre entro di esso possono raccogliersi ottime lane»53.

L’autore fiorentino, pur ritenendo fondato il progetto di censuazione perpetua del Tavoliere proposto da Cimaglia («ha Egli pure proposto la censuazione perpetua di quel territorio»54), si oppone decisamente all’assegnazione in comunione di poste ai locati poveri:

«[…] si perderebbe tutto il vantaggio delle Censuazioni perpetue, se stabilita la generale censuazione degli erbaggi Fiscali al Corpo dei Locati, o a varie partite di essi, sotto il titolo di Locazioni fosse data la legge alle Locazioni dei poveri armentarj che si dovessero tra essi loro dividere il campo da tre anni in tre anni, come propone il Sig. Cimaglia55.

Al contrario, sui maggiori benefici che deriverebbero all’erario dalla censuazione perpetua, Targioni va ben oltre le stime del pugliese, scrivendo che «l'aumento delle R. Entrate Fiscali maggiore assai dei ducati trecentomila proposti dal Signor Cimaglia»56, potendo addirittura toccare mezzo milione di ducati. A certificare la stima di Targioni nei riguardi del foggiano, i suoi Saggi – circostanza del tutto insolita - si concludono «con le parole istesse del Sig. Cimaglia»57.

Gaetano Filangieri, nonostante avesse pubblicato in cinque volumi la Scienza della legislazione, manifestando la sua totale avversione al sistema feudale, nel 1787 viene chiamato dal primo ministro Acton a far parte del Supremo Consiglio delle Finanze, potendo in tal modo portare all’attenzione del Sovrano, di studiosi e di economisti del calibro di Palmieri, Galanti, Grimaldi, Delfico, le sue proposte di riforma per rilanciare le produzioni e i commerci affrancando da pesi feudali le plebi rurali.

Nel 1788 Filangieri si occupa del regime fiscale della Dogana, scrivendo il Parere presentato al Re sulla proposizione di un affitto sessennale del così detto Tavoliere di Puglia58:

[...] nell'anno 1788, allorchè si trattò nel supremo Consiglio delle finanze di Napoli, se in vece dell'affitto annuale del Tavoliere di Puglia, col metodo della professione, fosse stato conveniente di stabilire un affitto sessennale col metodo ordinario della pubblica subasta; per indi da questa prima operazione potersi passare a quella più utile e più grande della ripartizione di tutte le terre dello stesso Tavoliere in perpetua enfiteusi. Il cavalier Filangieri richiesto dal Re del suo parere, lo ripone colla seguente Rimostranza59.

L’insolitamente cauto Filangieri dichiara di essere favorevole all'affitto sessennale, ritenendolo al momento l’unica via percorribile per evitare di avventurarsi lungo l’irto percorso dell’assegnazione delle terre in enfiteusi perpetua. La sua è pur sempre l’ottica prudente di chi legge il progresso solo passando attraverso riforme organiche, non cedendo mai a interventi legislativi specifici sconnessi dal contesto socio-economico.

Colapietra considera il parere positivo all’affitto sessennale di Filangieri il passaggio obbligato prima della definitiva enfiteusi perpetua, onde evitare il rischio della «paventata possibilità che della censuazione beneficiassero i soli pugliesi, e peggio ancora, i soli capitalisti, con la dannosa esclusione degli abruzzesi»60.

Nel 1788 il teramano Melchiorre Delfico nel Discorso sul Tavoliere di Puglia61 tratta gli aspetti giuridici ed economici legati alla transumanza. Al contrario di Filangieri, si indirizza con slancio netto a sostegno della ripartizione delle terre del Tavoliere tra locati e agricoltori, avverso alla conservazione del regime feudale e alla divisione classista della società. Delfico ritiene che i numerosi vincoli del regime fiscale legato alla pastorizia transumante abbiano condizionato l’attività agricola, al punto tale da incidere pesantemente sull’incremento demografico e sul progresso dell’intera Capitanata. L’economista abruzzese reputa miseri gli argomenti e i pregiudizi di coloro i quali ritengono il Tavoliere destinato in perpetuum alla sola pastorizia transumante a causa di condizioni ambientali e climatiche irreversibili, quando già negli stessi anni lo scienziato Michelangelo Manicone medita sulle dinamiche antropiche che hanno desertificato il Tavoliere, chiamando in causa l’uomo, «le sue scelte, le sue responsabilità di fronte ai cambiamenti climatici del Gargano, all'aridità del Tavoliere in conseguenza degli intensi disboscamenti che allora avevano interessato queste terre»62.

Il salentino Giuseppe Palmieri, dal 1787 nel Supremo Consiglio delle Finanze, propone le sue idee riformatrici a supporto di un’agricoltura libera da vincoli63. Saverio Russo rileva i passaggi che conducono Palmieri nei Pensieri economici del 1789 a concludere che il regime fiscale della Dogana sia responsabile dell'arretratezza agricola del Tavoliere64: «L'agricoltura non può migliorare del suo stato durante il sistema del Tavoliere. Non può eseguire la coltivazione al tempo che conviene [...] ma deve aspettare il termine prescritto»65. Dal prezioso testo Della ricchezza nazionale del 1792 giunge un giudizio tranciante e definitivo sul sistema fiscale: «[...] è fuor di ogni dubbio, che la pastorizia Pugliese offendi l'agricoltura; anche se non si vuole rinunciare all'uso della ragione, ed all'aumento della ricchezza nazionale, bisogna sbandire questa barbara pratica intieramente dal Regno»66.

Il Tavoliere di fine Settecento appare all’economista leccese come un deserto privo di alberi con corsi d'acqua non regimentati, paludi e acque stagnanti malariche che deprimono il già basso indice demografico. Anche secondo Palmieri l’agricoltura può convivere proficuamente con la pastorizia stanziale, ma «[…] il privare un terreno delle ricche produzioni dell'agricoltura per ottenere le più scarse della pastorizia, rappresenta una condotta strana, in cui non si ravvisa segno alcuno di ragione». In definitiva, occorre liberare il territorio da divieti e vincoli feudali nella piena consapevolezza che «la pastorizia barbara non può recare che danno, e minorare la ricchezza di una nazione culta»67.

Per di Cicco, che ne Il problema della Dogana delle pecore nella seconda metà del XVIII secolo torna sulle riflessioni di Palmieri, la nota Memoria68 è icasticamente conforme al vero:

Perché difendere la pastorizia del Tavoliere, quando essa, conti alla mano, rende meno di quella esercitata altrove? Perché ritenere aprioristicamente che nel Tavoliere niente altro che il gregge possa trovare mezzi di sussistenza, quando tutto il sistema della Dogana congiura contro ogni tentativo innovatore? Perché, infine, allo scopo di giustificare il favore concesso alla transumanza sul demanio armentizio, chiamare in causa la pretesa necessità di provvedere ai bisogni degli abruzzesi, quando è noto che questi, se fossero liberi di poter scegliere, dirigerebbero i loro animali ad altri pascoli, e scendono nel Tavoliere solo perché costretti dalla legge?69

Nel 1790, l’abate di Ripalimosani Francesco Longano, nel Viaggio dell'abate Longano per la Capitanata, descrive un Tavoliere consacrato alla transumanza, abitato da pastori erranti e da braccianti ridotti in povertà, che sopravvivono in una terra spoglia, priva di alberi e ricoveri per uomini e animali. Una Capitanata che «praticati alcuni pochi regolamenti» può «divenire una delle più prospere Provincie del Regno»70 e che Alfonso d’Aragona aveva destinato con un «nobile disegno» ad «accrescere le arti secondarie» legate alla lana, che invece svenduta grezza «non ti dà neppure il quarto di quelche ti dà manifatturata»71. Secondo l’abate mancano stabilimenti per la trasformazione in prodotti finiti, ma anche una rete per il commercio dei prodotti della pastorizia transumante con l’estero, tanto che a fine Settecento la Capitanata si presenta priva di opifici e laboratori necessari alla lavorazione della lana grezza e delle pelli, oltre che delle remunerative produzioni di frutta e ortaggi provenienti da fuori, come l’olio che «viene dalla Marina di Bari, forse perchè quello di Viesti è portato fuori […]72.

Longano riproduce un misero mondo fatto di braccianti giornalieri, pastori abruzzesi e molisani vaganti, sofferenti e straziati nel corpo e nell’anima, «premuti da' pesi, vessati da agenti, erarj, e governatori, e predati in fine in ogni anno da' pochi ricchi, e da privileggiati de' proprj Paesi»73. L’autore molisano ritiene che per poter «il piano stesso ammirare verdeggianti d'arbori, e arricchiti d'ogni genere di fruttati», il possesso delle terre dovrebbe essere garantito «a chi le può fare ben valere, non già a sfaticati, e agli alunni dell'accidia»74, giungendo a condividere la proposta di dividere in piccole quote gli estesi seminativi, invitandovi abruzzesi e molisani a condizione di piantarvi alberi da frutta per migliorare l’alimentazione, per rifornire di legna da ardere i miseri tuguri dai freddi invernali e con la clausola di dotarsi di ricoveri stabili per consentire il trasferimento definitivo delle famiglie, supplendo così allo spopolamento del Tavoliere.

La proposta di Longano si scosta da quella del Cimaglia nel ritenere opportuno «vietare, che il Locato potesse essere massaro di campo, e questo poter menare masserie di pecore»75. Per il resto, punta all’assegnazione di una posta fissa con priorità ai locati provenienti dai territori più distanti dal Tavoliere, non solo per ovviare allo spopolamento e alla desertificazione climatica, ma anche perché convinto della fertilità di terreni che – secondo il suo parere - necessitano solo di trasformazione agraria e cure assidue. Pertanto: «Finchè non si concederà la proprietà delle terre, ed esse non vengano divise, e soddivise in piccoli pezzi, non si potrà mai vedere di chi è suscettibile quel terreno, il quale […] non può non essere atto a fare ben veggetare le piante»76.

Per il resto, la critica di Longano si abbatte pesantemente sulla brutale società feudale che grava il peso delle tasse «sopra l'unica classe dei campagnuoli», i cui figli «vengono esclusi dal potersi far notai, ed ottenere cariche civili», mentre risulterebbe utile allo Stato che proprio i contadini potessero accedere alle cariche pubbliche77. Mentre i vescovi di Capitanata, assenti e disinteressati, assistono impavidi alla «corruzione de' costumi» diventata «universale»78  e i baroni a capo di città e feudi, «sempre avidi, e sempre rapaci», assegnatari di giurisdizioni civili e penali al fine di «conservarne la quiete interiore, e la sicurezza esterna», causano «l'Epoca della rovina del Regno»79.

Giuseppe Maria Galanti, molisano di Santacroce di Morcone, descrive le condizioni socio- economiche del Regno di Napoli su diretto incarico di Ferdinando IV. Nel consegnare al Re, il 21 settembre 1791, la sua Relazione intorno allo stato della Capitanata, ritiene che la dinastia borbonica stia sul punto di abolire la detestata feudalità:

Questi provinciali, come gli altri, sono attaccatissimi alla sacra persona di V.M. ed amano il governo regio. Formano il perpetuo soggetto dei loro discorsi l'avversione al governo feudale, gli abusi del governo ecclesiastico, la dipendenza che soprattutto detestano dai tribunali della capitale, le dogane interne, le cattive strade, la giustizia male ordinata nelle Udienze e nelle Corti locali, e vivono in una certa fiducia di vedere tutto questo riordinato e corretto dal cuore paterno di V.M. e dalla saviezza dei Vostri ministri superiori80.

Galanti trova nel regime doganale le ragioni dell’incuria della gestione dell’agricoltura. Nonostante il tribunale della Dogana assolva alla funzione di sottrarre dalla penalizzante giurisdizione baronale chiunque svolga un’attività legata alla pastorizia transumante, Galanti riferisce al Re la sua pesante critica:

questo tribunale serve ad opprimere il debole nelle province lontane: questo è quello che fa rimanere impuniti i piccoli delitti, col favor de' quali l'uomo si corrompe e diventa facinoroso. Con estendere la sua giurisdizione per tutto il regno, presenta un sistema viziosissimo. Deve fidare ne' suoi subalterni, che è quanto dire nella classe di uomini la più corrotta. Senza moltissimo danaro, non si conduce in Foggia un affare a perfezione. […] Una cosa del tribunale di Foggia mi è piaciuta, e che non ho trovato in tutte le Udienze provinciali, ed è l'archivio81.

Anche Galanti stigmatizza il divieto di piantare alberi, fatto che lascia il territorio totalmente assolato durante le torride estati, mentre i suoi sventurati dimoranti restano privi della frutta necessaria ad integrare un’alimentazione già povera, oltre che della legna da ardere per riscaldarsi in inverno. Galanti, come Longano, respinge con decisione la tesi che le terre del Tavoliere non siano adatte alla vegetazione di alberi a causa di fattori climatici:

Io ne ho trovato da per tutto: sono rarissimi, perché non vi è permessa la coltivazione, ma mostrano che il terreno ne sia suscettibile. Tra Foggia ed Orta vi era il bosco della Incoronata, che oggi vedesi in gran parte distrutto. Se vi sono de' siti che escludono gli alberi, questo si osserva in tutte le vaste regioni per circostanze locali82.

Per l’autore molisano, la proprietà della terra deve essere concessa a contadini poveri e braccianti affinché diventi produttiva. In questo senso, diventa tenace patrocinatore della censuazione dei beni ecclesiastici e baronali. Sconcertato dal parere di Filangieri, collega nel Supremo Consiglio delle Finanze, in riferimento alla soluzione a breve termine adottata con l’affitto sessennale che sposta nel tempo i termini della censuazione delle terre del Tavoliere, conclude, non senza amarezza, che «le circostanze attuali non lo permettono: dunque siamo lontani dall'epoca di vedere perfezionata la nostra agricoltura»83.

Galanti non mette in dubbio la qualità delle lane pugliesi, ciononostante ritiene che abbiano subito nel tempo un processo di decadimento qualitativo che lo inducono a proporre migliorie genetiche e corsi per istruire le nuove generazioni di pastori84.

Nel 1790 Natale Maria Cimaglia, fratello maggiore di Domenico, pubblica il testo Della natura e sorte della cultura delle biade in Capitanata85, mettendo in evidenza le gravi carenze dell’agricoltura di Capitanata, limitata dalle norme che privilegiavano la pastorizia. Un testo in cui Saverio Russo rileva «un'analisi ampia e circostanziata dei difetti del sistema cerealicolo della provincia del Tavoliere» che certifica «il segno dell'acquisita legittimazione della cerealicoltura» in sostituzione della solita, scontata e storica polemica contro la pastorizia86.

Cimaglia, già Avvocato dei poveri della Regia Dogana, esperto conoscitore del territorio, spiega l’affannoso impegno dei massari di campo alla disperata ricerca di operai e braccianti, soprattutto al momento di arare i campi, quasi sempre non qualificati e provenienti da province limitrofe87:

La povertà delle braccia è tale e tanta che, approssimandosi l'ottobre, ciascun massaro spedisce sopra le pubbliche strade i suoi capi d'ufficio per condurre all'aratro qualunque povero uomo s'incontri vagando per chiedere da vivere, sia egli di suo mestiere ciabattino, ferraio, falegname, carpentiere o altrimenti […] Gli operai pugliesi sono ordinariamente languidi, pigri, tardi, presuntuosi, ciarlieri, testardi, ladri. I forestieri avrebbero miglior carattere se non divenissero gl'imitatori de' pugliesi testoché veggonsi con essi accumulati. Questo intanto è il popolo che assicura la sossistenza a gran parte della nazione88.

Alle già pesanti condizioni di un’agricoltura limitata da vincoli pastorali, svolta in un territorio dalla storia ambientale travagliata89, sempre alla ricerca spasmodica di braccianti, si aggiunge l’indifferenza del possessore feudale di estesi latifondi, assente e impreparato, i cui tratti peculiari sono così delineati dal Cimaglia:

I campi pugliesi non sono mai diretti e governati dall'uomo, al quale unicamente interessano. Questi […] hanno appena qualche equivoca idea dell'arte dell'agricoltura, appresa da' loro stessi ignorantissimi villani, i quali guidano a tentoni i loro padroni, senzachè l'evento interessi mai il maestro. La povera gente che colla propria persona coltiva i piccoli campi costantemente professa diversi mestieri, tutti lontani dall'agricoltura ed i quali, come più interessanti, la tengono per la maggior parte lontana dalle campagne90.

Il medico foggiano Giuseppe Rosati, per regio decreto del 1787 esaminatore degli agrimensori per il conseguimento della patente doganale91, interviene nel dibattito di fine Settecento presentando il Discorso sull'agricoltura di Puglia92. Come riferito dallo storico Antonio Ventura, Rosati possiede una profonda conoscenza delle tematiche doganali93. Infatti, condivide le tesi legate al regime fiscale di altri autori di fine Settecento.

In particolare, l’interesse di Rosati è rivolto alla carente regimazione dei corsi d’acqua, ragione della rottura ricorrente degli argini naturali e dei derivanti ingenti danni all’esercizio del pascolo e alla coltivazione delle terre, oltre che motivo di continue liti tra locati e massari circa l’uso delle acque. Un esempio: lungo il fiume Carapelle in località «Tressanti», i locati, cercando di salvaguardare i pascoli della locazione di Salpi, deviano le acque sulla sponda opposta danneggiando le coltivazioni presenti. Rosati è incaricato di studiare la progettazione di un canale al fine di raccogliere le acque nei periodi di piena e convogliarle direttamente a mare. La ricercatrice Giacoma Desimio Brienza, dopo aver rilevato presso l'archivio storico di Foggia l’elaborato tecnico di Rosati94, ha considerato il lavoro dello scienziato foggiano come uno dei primissimi esempi di pianificazione territoriale, un vero piano di bonifica ante litteram95.

Quando, dopo la legge di eversione della feudalità del 1806, giunge il momento di trasferire ai comuni le terre feudali per ripartirle ai fini di costituire anche l’auspicata piccola proprietà contadina, gli agrimensori vengono impegnati in complesse attività catastali. Allo stesso Rosati è affidato il compito di quotizzare nel demanio di Volturara il fondo «Lardaglio», ritenuto non coltivabile anche perché esageratamente ripido. Tuttavia, l’esperto agronomo foggiano trova una soluzione facendo mescolare la terra di natura argillosa con rifiuti organici e sabbia di mare, rendendolo così permeabile alle acque e alle radici96.

Nel dibattito di fine Settecento va riservato un posto di rilievo al nolano Nicola Vivenzio, giudice della Gran Corte della Vicaria e avvocato fiscale della Regia Corte, il quale si dedica alla lotta contro gli abusi feudali col pieno sostegno di Ferdinando IV.

Si deve a Vivenzio la definitiva abolizione dei diritti di passo o di pedaggio, lungo le vie che conducevano le pecore verso i riposi del Saccione, del Gargano e delle Murge di Minervino, poiché, nonostante i locati beneficiassero di franchigie per i passi di Guglionesi, Civitate, Ponterotto, La Motta, Biccari, San Vito, Ascoli, Candela, Melfi e Spinazzola, spesso erano costretti a pagare il passaggio su ponti e passi ai dipendenti di baroni e latifondisti97. Infatti, messo termine agli abusi, Vivenzio pubblica nel 1790 un testo sull’abolizione dei diritti di passo indirizzandolo al Re98.

Nel 1796, l’avvocato nolano si esprime sul regime fiscale vigente in Capitanata con le Considerazioni sul Tavoliere di Puglia99, facendosi carico delle limitazioni imposte ai coloni che non hanno più «mezzane» per il pascolo dei buoi aratori, non possono eseguire migliorie a causa di contratti di affitto di breva durata, sono assoggettati al monopolio dei mercanti di grano e, addirittura, non possono arare in profondità i terreni in ragione dei vincoli che favoriscono il pascolo. Tutti fattori che concorrono a limitare la produzione di grano e a rincararne il prezzo, determinando la miseria dei coloni e delle popolazioni rurali.

Al fine di prevenire «i criminosi disegni» dei mercanti di grano, Vivenzio propone di fornire ai coloni le anticipazioni necessarie a portare a buon fine il raccolto di grano, evitando così di svenderlo anticipatamente ai mercanti con contratti «alla voce»; circostanza che, oltre all'incetta del grano, procura il rincaro dei prezzi e frequenti agitazioni popolari nei frequenti periodi di carestia.

Vivenzio, inoltre, critico sulla gestione dei terreni in possesso degli Enti Ecclesiastici, dopo aver accertato che «i luoghi pii nella Puglia han cresciuti gli affitti ad un prezzo tanto eccessivo, e maggiore di quello delle terre di Corte, che i coloni non possono sostenerlo», ritiene che il danno creato all’intera economia del Tavoliere vada risolto con la censuazione delle terre di portata dei

«luoghi pii», poiché la divisione della proprietà dei beni terrieri sviluppa la piccola proprietà contadina, migliora le condizioni di vita delle popolazioni rurali, aumenta la produzione di grano, contrasta l’incetta del grano limitando i contratti alla «voce», contiene l’incremento dei prezzi, stimola la crescita demografica. In definitiva, conviene all’interesse pubblico, poiché «la divisione delle terre fra un gran numero di possessori è sempre la prima cagione della ricchezza di una Nazione»100.

Considerati i dispacci giunti nel 1789 al Governatore, a seguito di un progetto di Targioni, prescriventi «la censuazione affrancabile o l’affitto trentennale di alcune parti dei terreni soggetti alla Dogana», nonché il «miglioramento di varie scadenti zone del Tavoliere […]», risulta fondata la fiducia di Vivenzio nei riguardi di Ferdinando IV, trattandosi di un tentativo di enfiteusi parziale del Tavoliere che sicuramente intendeva anticipare quello generale del Tavoliere101.

L’avvocato fiscale della Regia Corte interviene in più occasioni contro gli abusi feudali perpetrati in alcune città del Gargano. A San Marco in Lamis, contro l’infondata pretesa di «terraggio» sulla produzione del granoturco dei coloni da parte del «Conduttore» della Badia, un dispaccio reale del 9 luglio 1798, a firma di Acton e Vivenzio, invita l’abate a non molestare i coloni102. Inoltre, Vivenzio, intervenendo nella secolare disputa tra il comune di Monte S. Angelo e il feudatario, con decreto  del  27  maggio  del  1801,  restituisce  al  comune  il  possesso  della  difesa  in  località «Casiglia»103.

Michelangelo Manicone, naturalista e scienziato di Vico del Gargano, la cui lungimiranza verrà sconfitta «dalla insipienza di contemporanei e posteri»104, non risulta indifferente alle questioni legate al sistema fiscale della Dogana di Foggia, tanto da esternare una posizione radicale non diversa da altri autori: i demani feudali, ecclesiastici e comunali, ma anche le terre fiscali, devono essere divisi e ripartiti con preferenza ai contadini. Motiva senza esitazioni le proprie tesi fornendo dati scientifici sul rapporto tra attività umane e ambiente:

Non è ella una verità di fatto, che i demanj per esser di tutti, son condannati a soffrire un considerabile deterioramento, per cui presentano la più ributtante prospettiva dello squallore, e della sterilità? Si ripartiscan dunque i demanj ai ricchi, ed ai contadini; sieno questi preferiti a quelli; e così la prepotenza e le liti finiranno, i terreni comunali miglioreranno, l'agricoltura dilaterassi, la somma de' prodotti proprj crescerà, e la nazione sarà più ricca105.

Manicone, consapevole dei falliti tentativi del passato di procedere alla censuazione dei demani, sempre ostacolati da locati ricchi e massari di campo106, osserva: «Si abbracci qualunque metodo, purchè si esegua; ed il chiarissimo Palmieri dice colla vera madre del controverso fanciullo: viva la proprietà ne' demanj, e si dia a chi si voglia. Diffatti perché perdere il tempo in dispute, e privare intanto per più lungo tempo la Nazione di tanto vantaggio?»107. In una Capitanata nella quale i lavoratori della terra «non hanno un palmo di terreno da coltivare», nel chiedere un minimo di giustizia sociale per i poveri, il frate richiama la lotta eterna che vede da sempre soccombere l’interesse pubblico a quello privato:

Quanto è all'umanità nocivo il privato interesse!

Esso è quell'ammaliatore, che ci fascina la mente, e ci fa comparire utile pubblico ciò che non è che utile proprio e personale. Una pazzia ci è ella vantaggiosa? essa ci sembra onesta e lodevole […] I Fiscalini, e i Locati, che implorano l'eternità del Tavoliere, ragionano come l'abitator della Costa108, e il Medico di Epidauro109.110

Nel 1792, preso atto che i grandi massari di campo sono appena duecento111, mentre «quei che non hanno né meno un palmo di terra da coltivare» sono circa settantamila, si discute animatamente di ridurre i «campi fiscali» in piccole quote, al fine di favorire la piccola e media proprietà contadina, ripopolare il Tavoliere, creare una migliore equilibrio tra pastorizia e agricoltura. Manicone, a cui viene più volte richiesto un parere, sicuro che «la fortuna particolare comperata con la miseria generale non può chiamarsi ben pubblico», si esprime in questi termini:

Chi non sa, che la terra è tanto più cortese e feconda, quanto più è ripartita, e divisa? Nella terra proporzionatamente ripartita vi s'impiega un maggior numero di famiglie; il maggior numero di famiglie moltiplica la somma delle braccia, e delle fatiche; e la maggior somma delle braccia e delle fatiche rende la coltura più attiva, più assidua, più diligente, più minuta. Ogni angolo del campo è messo a profitto, ogni palmo di terra è innaffiato dalle gocce di sudore, che vi sparge il villico laborioso. Di qui la massima fertilità de' terreni112.

Il frate di Vico del Gargano colloca sostanzialmente l'agricoltura su un piano superiore alla pastorizia sotto diversi punti di vista: maggiore occupazione di manodopera, distribuzione di lavoro e ricchezza a «falegnami, ferrari, maniscalchi, telajuoli, cuojari, funari ec.», approvvigionamento di grano a intere province del Regno di Napoli, commercio con l’estero rilevante anche fiscalmente mentre la lana grezza viene esportata per rientrare lavorata a prezzi decuplicati. Secondo Manicone «la pastorizia, e l'Agricoltura dovrebbero essere sorelle; ma nella Daunia quella è nemica di questa»113. Un punto di vista simile a quello dell’economista foggiano Giacinto Bellitti, il quale in una Memoria114 sulla censuazione del Tavoliere del 1805 assesta, secondo Russo, «un violento attacco alla pastorizia e al sistema dei pascoli naturali con motivazioni di ordine ecologico»115.

La sintesi conclusiva di questo ampio «movimento di idee sulla Dogana e sul Tavoliere» è giusto affidarla a Pasquale di Cicco, direttore dell’Archivio di Stato di Foggia, per i riconosciuti meriti scientifici riguardanti il lavoro culturale svolto sulla Regia Dogana:

Bisognò giungere all’agosto del 1804 per vedere costituita una nuova Giunta, composta dal Luogotenente della R. Camera, Marchese Vivenzio, dal Presidente della Sommaria, Sanseverino, e da due avvocati fiscali del R. Patrimonio, coll’incarico di ascoltare ancora una volta, i vari interessati. Si ebbe così a Foggia, nel febbraio del 1805, un altro parlamento generale, convocato dal Presidente Governatore della Dogana, in cui si elessero i due deputati dei massari di campo e dei portatisti e ad essi, qualche mese dopo, si aggiunsero i tre eletti dei beati. La Giunta napoletana, così integrata, nelle varie sessioni che si susseguirono, fu protagonista, a causa dei contrastanti interessi in gioco, di accese discussioni, alimentate dalle diverse e sovente opposte valutazioni dei locati abruzzesi e massari di campo pugliesi, ed efficacemente riassunte dal Bellitti. Il risultato fu, per l’ennesima volta, quello di differire qualsiasi soluzione radicale e di consigliare l’adozione di misure subito rivelatesi reprensibili. Si dispose, infatti, con dispaccio reale del 6 dicembre 1805 la vendita delle migliorie delle terre salde a coltura, suscitando giustamente le profonde apprensioni dei massari di campo, tanto da provocare l’intervento del Re e del Tribunale della Sommaria, che fu d’avviso contrario alla progettata vendita.

Si giunse così al 1806. Il conquistatore francese, o perché spinto da impellenti necessità economiche, o perché desideroso di mutamenti e meno avvinto del regime abbattuto al rispetto del passato e delle situazioni preesistenti, o perché sinceramente convinto del bisogno e della opportunità sociale di distruggere una istituzione divenuta perniciosa (o forse per tutte e tre le ragioni insieme), non conobbe indugi nella sua operazione antidoganale, e, nell’atmosfera ancora ribollente delle discordie e delle discussioni dell’anno 1805, inserì agevolmente la legge del 21 maggio. Si chiudeva così l’epoca storica iniziata con Alfonso d'Aragona e si apriva un nuovo capitolo per le terre di Puglia116.

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1 M. MAGNO, La Capitanata - Dalla transumanza al capitalismo agrario, Ed. del Rosone, Foggia, 1999, p. 34.
2 Tassa per il passaggio degli animali.
3 D.M. CIMAGLIA, Ragionamento dell'Avvocato de' poveri D. Domenico Maria Cimaglia sull'economia che la R. Dogana di Foggia usa co' possessori armentari e con gli agricoltori che profittano de' di lei campi e su di ciò che disporre si potrebbe pel maggior profitto della Nazione, e pel miglior comodo del Regio Erario", Napoli 1783, p. 8.
4 G. FORTUNATO, Il Mezzogiorno e lo Stato italiano, Firenze, Vallecchi, 1926, vol. II, p. 499.
5 M.R. TRITTO, Particolarità di un regime territoriale tra amministrazione della Dogana delle pecore e del Tavoliere di Puglia, in atti del Convegno «La Regione Puglia e gli Usi Civici» del 25 maggio 1999, a cura di L. Miele, Manfredonia, Centrografico Francescano, 2000, p. 22.
6 J.L.A. HUILLARD-BREHOLLES, Historia diplomatica Federici II, Parigi 1852-1861, vol. IV, pp. 157-161.
7 L. BIANCHINI, Della storia delle finanze del Regno di Napoli, Napoli, Stamperia reale, III ed., 1859, p. 85.
8 N. VIVENZIO, Considerazioni sul Tavoliere di Puglia, 1796, pp. LII-LVIII.
9 D.M. CIMAGLIA, Ragionamento sull'economia ..., cit., pp. 7-8.
10 Un carro o carra corrisponde a 20 versure; una versura ad ha (ettari) 1.23.45.
11 D.M. CIMAGLIA, Ragionamento sull'economia ..., cit., pp. 16-17.
12 Cfr. M. MAGNO, La Capitanata - Dalla transumanza al capitalismo agrario, cit., p. 39.
13 G. PIEMONTESE, Feudi e Feudatari in Capitanata - Storia del potere baronale dai Normanni all'unità d'Italia, Foggia, Bastogi Editrice Italiana, 2011, p.13.
14 M. MAGNO, La Capitanata - Dalla transumanza al capitalismo agrario, cit., p. 37. Nella nota n. 10 dello stesso testo.
a pag. 37, Magno rileva che le piantine delle locazioni di Agatangelo Della Croce sono conservate nell'Archivio Storico di Foggia, Dogana delle pecore, Serie I, vol. 21.
15 S. GRANA, Istituzione delle leggi della R. Dogana di Foggia, Napoli, 1770.
16 D. M. CIMAGLIA, Ragionamento sull'economia ..., cit., p. 17.
17 M. MAGNO, La Capitanata - Dalla transumanza al capitalismo agrario, cit., pp. 38-39, nota n. 13; cit. tratta da D. DI MARZIO, I tratturi, Roma, 1905
18 S. DI STEFANO, Della ragion pastorale over comento su la Pramatica LXXXIX "De officio procuratoris Caesaris", Napoli, presso Domenico Roselli, 1731, vol. I, p. 32; cit. tratta da CRISETTI GRIMALDI Leonarda, L’agonia feudale e la scalata dei “Galantuomini”, tomo 2, Edizioni del Rosone, Foggia 2007, p. 44, nota 11.
19 Cfr. M. MAGNO, La Capitanata - Dalla transumanza al capitalismo agrario, cit., pp. 48-49.
20 F. GALIANI, Della Moneta, Bari, Laterza, 1915, p. 348; cit. tratta da P. SOCCIO, Pauperismo, brigantaggio ed emigrazione, cit., p. 33-34.
21 Prammatica XXIV del 23 febbraio 1792 «De Administratione Universitatum». Da http://www.demaniocivico.it/public/public/439.pdf
22 Archivio storico di Napoli, Ministero delle Finanze, vol. 14.584. fol. 140-141; vedi M. MAGNO, La Capitanata. Dalla transumanza al capitalismo agrario, cit., appendice, pp. 221-222-223
23 L'enfiteusi è il diritto di godere di un fondo altrui con l'obbligo di migliorarlo e di pagare al proprietario un canone. L’enfiteusi può essere perpetua o temporanea per non meno di 20 anni. L'enfiteusi comporta il diritto di affrancazione del fondo rustico che, attualmente, è regolato pagando una somma pari a 15 volte il canone annuo.
24 Cfr. M. MAGNO, La Capitanata. Dalla transumanza al capitalismo agrario, cit., appendice, p. 68.
25 A. GAUDIOSI, Notizie per il buon governo della Regia dogana della mena delle pecore di Puglia (a cura di P. DI CICCO), Foggia, Editrice Apulia, 1981.
26 S. DI STEFANO, Della ragion pastorale over comento su la Pramatica LXXXIX "De officio procuratoris Caesaris", cit.
27 R. COLAPIETRA, Il Tavoliere di Puglia banco di prova dei riformatori e degli scrittori economici nel secondo Settecento, in Illuminismo meridionale e comunità locali, a cura di Enrico Narciso, Napoli, Guida Editore, 1988, p. 151.
28 N. FORTUNATO, Riflessioni intorno al commercio antico e moderno del regno di Napoli, Napoli 1760, p. 104; citazione tratta da R. COLAPIETRA, cit., p. 151
29 N. FORTUNATO, Discoverta dell'antico Regno di Napoli col suo stato a pro della sovranità e de' suoi popoli, Napoli, 1767.
30 Cfr. S. RUSSO, Abruzzesi e pugliesi: la ragion pastorale e la ragione agricola, in Mélange de l 'école française de Rome, Moyen age - Temps modernes, tome 100, 1988, 2, p. 931.
31 D. M. CIMAGLIA, Ragionamento sull'economia ..., cit., p. 5
32 V. MASELLIS, Domenico Cimaglia, Dizionario Biografico degli Italiani a cura dell'Istituto della Enciclopedia Italiana fondato da Giovanni Treccani, Roma, vol. 25, 1981.
33 D. M. CIMAGLIA, Ragionamento sull'economia ..., cit., pp. 52-53.
34 Ivi, p. 55.
35 Ivi, p. 56..
36 Ivi, p. 70.
37 Ivi, p. 94.
38 V. PATINI, Saggio sopra il sistema della Regia Dogana della Puglia, suoi difetti e mezzi di riformarlo, Napoli 1783, p.3.
39 Ivi, pp. 11-12.
40 La «scommessione» era la pessima abitudine dei locati di lasciare le proprie poste dal mese di marzo per pascolare liberamente in tutti i pascoli; vedi A. MUSCIO e C. ALTOBELLA (a cura di), Aspetti del contrasto agro-pastorale nei territori della Dogana delle pecore di Puglia: usurpazioni, reintegre e trasformazioni in Agricoltura e pastorizia in Capitanata: la storia e le ragioni di un conflitto (secc. XV - XIX), Foggia, Leone Editrice, 1997, nota 57, p. 47.
41 V. PATINI, Saggio sopra il sistema della Regia Dogana della Puglia, suoi difetti e mezzi di riformarlo, cit., p. 139.
42 Cfr. A. SILLA, La pastorizia difesa - Ove si fa una breve analisi sopra alcuni progetti intorno alla riforma della Regia Dogana di Foggia, Napoli, Stamperia Simoniana, 1783, p. 56.
43 Ivi, pp. 6-7.
44 Ivi, p. 51.
45 Ivi, p. 59.
46 Cfr. Ivi, p. 71.
47 D.M. CIMAGLIA, Ragionamento sull'economia ..., cit., pp. 99-100.
48 A. SILLA, La pastorizia difesa, cit., p. 72.
49 Ibidem.
50 L. TARGIONI, Saggi fisici, politici ed economici, Napoli, Stamperia D. Campo, 1786.
51 Cfr. Ivi, pp. 246-248.
52 Ivi, p. 252.
53 Ivi, p. 317.
54 Ivi, p. 339.
55 Ivi, pp. 339-340.
56 Ivi, p. 344.
57 Ivi, p. 447.
58 G. FILANGIERI, Parere presentato al Re sulla proposizione sessennale del così detto Tavoliere di puglia, in La Scienza della legislazione con giunta degli opuscoli scelti, vol. VI, Milano, Società tipografica de' classici italiani, 1822, pp. 333- 355.
59 Ivi, p. 336.
60 Vedi P. DI CICCO, Il problema della Dogana delle pecore nella seconda metà del XVIII secolo, in «la Capitanata - Rassegna di vita e di studi della Provincia di Foggia», Foggia. a. VI (1966) n. 1-6, p. 67.
61 M. DELFICO, Discorso sul tavoliere di Puglia e sulla necessità di abolire il sistema doganale e non darsi luogo ad alcuna temporanea riforma, Napoli, 1788.
62 N. BISCOTTI, Padre Michelangelo Manicone - Un dimenticato naturalista del Settecento, Foggia, Grenzi Editore, 1996, p. 14.
63 Vedi M. E. DI CARLO, Giuseppe Palmieri e l'agricoltura del Tavoliere del '700, Quotidiano «l'Attacco», 19 maggio 2017, p. 25.
64 S. RUSSO, Abruzzesi e pugliesi: la ragion pastorale e la ragione agricola, cit., p. 932.
65 G. PALMIERI, Pensieri economici relativi al Regno di Napoli, Napoli, 1789, p. 108; cit. tratta da S. RUSSO, Abruzzesi e pugliesi: la ragion pastorale e la ragione agricola, cit., p. 932.
66 G. PALMIERI, Della ricchezza nazionale, Napoli, 1792, p. 107; cit. tratta da S. RUSSO, ibidem.
67 Cfr. Ivi, pp. 101-107.
68 G. PALMIERI, Memoria sul Tavoliere di Puglia, in Raccolta di memorie e di ragionamenti sul Tavoliere di Puglia, Napoli 1831, pp. 89-119.
69 P. DI CICCO, Il problema della Dogana delle pecore nella seconda metà del XVIII secolo, cit., pp. 67-68.
70 F. LONGANO, Viaggio dell'abate Longano per la Capitanata, Napoli, presso Domenico Sangiacomo, 1790, presentazione.
71 Ivi, pp. 155-157.
72 Ivi. pp. 171-172.
73 Ivi. pp. 210-211.
74 Ivi, pp. 219-220.
75 Ivi, p. 232.
76 Ivi, p. 250.
77 Ivi, pp. 123-125.
78 Cfr. ivi. pp. 195-197.
79 Cfr. ivi, p. 202.
80 G.M. GALANTI, Relazioni sulla Puglia del '700, a cura di E. PANAREO, Cavallino di Lecce, Capone Editore, 1984, p. 146.
81 Ivi, pp. 146-147.
82 Ivi, p. 123.
83 G.M. GALANTI, Nuova descrizione geografica e politica delle Sicilie, cit., p. 283.
84 Cfr. ivi, pp. 241-242.
85 N.M. CIMAGLIA, Della natura e sorte della cultura delle biade in Capitanata, Napoli, presso Filippo Raimondi, 1790.
86 S. RUSSO, Abruzzesi e pugliesi: la ragion pastorale e la ragione agricola, cit., p. 933.
87 Vedi M.E. DI CARLO, Fine '700, quei braccianti "languidi, pigri, ciarlieri, presuntuosi e ladri", Quotidiano «l'Attacco», 18 febbraio 2016, p. 19.
88 N.M. CIMAGLIA, Della natura e sorte della cultura delle biade in Capitanata, cit.; citazione tratta da R. COLAPIETRA, Il Tavoliere di Puglia banco di prova dei riformatori e degli scrittori economici nel secondo Settecento, in Illuminismo meridionale e comunità locali, a cura di Enrico Narciso, Napoli, Guida Editore, 1988. p. 179.
89 Vedi N. BISCOTTI, Il Tavoliere delle Puglie, una storia ambientale, Quotidiano «l’Attacco», 15 luglio 2023, p. 22.
90 N.M. CIMAGLIA, Della natura e sorte della cultura delle biade in Capitanata, cit.; citazione tratta da R. COLAPIETRA, Il Tavoliere di Puglia banco di prova dei riformatori e degli scrittori economici nel secondo Settecento, in Illuminismo meridionale e comunità locali, cit., pp. 179-180.
91 Il conseguimento della patente doganale da parte dei regi «compassatori», dopo la pratica in campo e l'inevitabile apprendistato, avveniva tramite un esame nel quale si doveva dimostrare di saper usare lo squadro agrimensorio, di saper suddividere gli appezzamenti in figure geometriche della dimensione richiesta e di saper riprodurre in pianta le divisioni eseguite; vedi V. IAZZETTI, La cartografia doganale nel Seicento, in Cartografia e territorio in Capitanata dal XVI al XIX secolo (a cura di G. DESIMIO, V. IAZZETTI, M. C. NARDELLA, M. R. TRITTO, Foggia, Bastogi, 1993, pp. 9-10.
92 G. ROSATI, Discorso sull'agricoltura di Puglia, s.n.t., 1792.
93 Cfr. A. VENTURA, Introduzione e note in Per la intelligenza del Sistema Doganale di Giuseppe Rosati, «La Capitanata, quadrimestrale della Biblioteca Provinciale di Foggia», 1994, n. 2, p. 205.
94 ASFg, Dogana delle pecore di Puglia, s. I, b. 75, fasc. 1080, cc. 58v, 58r et passim.
95 G. DESIMIO BRIENZA, Terre contese tra le acque, in provincia di Capitanata, dal XVII al XIX secolo, in Agricoltura e pastorizia in Capitanata: la storia e le ragioni di un conflitto (secc. XV - XIX), a cura di Antonio Muscio e Costantina Altobella, Foggia, Leone Editrice, 1997, pp. 151-152.
96 Cfr. M. R. TRITTO, Agrimensori e cartografi tra committenza pubblica e privata dal XVI al XIX secolo, in Cartografia e territorio in Capitanata dal XVI al XIX secolo (a cura di G. DESIMIO, V. IAZZETTI, M. C. NARDELLA, M. R. TRITTO, cit., p. 26, nota 14.
97 Vedi A. MAZZARELLA, Vivenzio Nicola, in Biografia degli uomini illustri del Regno di Napoli, tomo 6, Napoli, Nicola Gervasi Editore, 1819.
98 N. VIVENZIO, Rappresentanza a Sua maestà il Re nostro signore per l'abolizione de' dritti di passo, che si esigono nelle strade del Regno, Napoli ,1790.
99 N. VIVENZIO, Considerazioni sul Tavoliere di Puglia, Napoli, Stamperia Simoniana, 1796.
100 Cfr. Ivi, pp. 32-38.
101 Cfr. P. DI CICCO, Il problema della Dogana delle pecore nella seconda metà del XVIII secolo, cit., p. 69.
102 T. NARDELLA, Le Terre della Dogana: opere e saggi, cit., pp. 731-732.
103 M. TRANASI, Dalla proprietà comune alla proprietà privata - Monte Sant'Angelo 1806-1860, Foggia, Leone Editrice, 1994, pp. 95-96.
104 N. BISCOTTI, Padre Michelangelo Manicone - Un dimenticato naturalista del Settecento, cit., p. 5.
105 M. MANICONE, La Fisica Daunica, (a cura di L. LUNETTA e I. DAMIANI), parte I, Roma, Edizioni di storia e letteratura, 2005, p. 66.
106 Manicone classifica i coloni dauni in massari, versurieri ed operai. I massari di campo coltivano campi estesi più di 200 versure, mentre vengono definiti massarotti coloro che ne coltivano meno di 200 e versurieri i coloni che posseggono meno di 100 versure; vedi M. MANICONE, La Fisica Daunica, cit., p. 119.
107 M. MANICONE, La Fisica Daunica, cit., pp. 66-67.
108 «L'abitator della Costa» invocava Nettuno affinché spingesse i vascelli carichi ad infrangersi sul litorale.
109 Il medico povero, sui gradini del tempio di Epidauro, supplicava il divino Esculapio affinché mandasse la peste nel Peloponneso.
110 M. MANICONE, La Fisica Daunica, cit., p. 115.
111 Manicone classifica le masserie agricole in piccole (200 versure), medie (400-500 versure), grandi (600 versure).
112 M. MANICONE, La Fisica Daunica, cit., p. 136.
113 Ivi, p. 149.
114 G. BELLITTI, Memoria intorno alla censuazione del Tavoliere della Daunia, S. Giorgio a Cremano, s. e.,1805.
115 S. RUSSO, Abruzzesi e pugliesi: la ragion pastorale e la ragione agricola, cit., p. 933.
116 P. DI CICCO, Il problema della Dogana delle pecore nella seconda metà del XVIII secolo, cit., pp. 71-72.

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  • PALMIERI Giuseppe, Memoria sul Tavoliere di Puglia, in Raccolta di memorie e di ragionamenti sul Tavoliere di Puglia, Napoli 1831, pp. 89-119.
  • PATINI Vincenzo, Saggio sopra il sistema della Regia Dogana della Puglia, suoi difetti e mezzi di riformarlo, Napoli
  • PIEMONTESE Giuseppe, Feudi e Feudatari in Capitanata - Storia del potere baronale dai Normanni all'unità d'Italia, Foggia, Bastogi Editrice Italiana,
  • ROSATI Giuseppe, Discorso sull'agricoltura di Puglia, n.t., 1792.
  • RUSSO Saverio, Abruzzesi e pugliesi: la ragion pastorale e la ragione agricola, in Mélange de l 'école française de Rome, Moyen age - Temps modernes, tome 100, 1988,
  • SILLA Antonio, La pastorizia difesa - Ove si fa una breve analisi sopra alcuni progetti intorno alla riforma della Regia Dogana di Foggia, Napoli, Stamperia Simoniana,
  • SOCCIO Pasquale, Pauperismo, brigantaggio ed emigrazione, Foggia, Sentieri meridiani edizioni,
  • TARGIONI Luigi, Saggi fisici, politici ed economici, Napoli, Stamperia Campo, 1786.
  • TRANASI Michele, Dalla proprietà comune alla proprietà privata - Monte Sant'Angelo 1806-1860, Foggia, Leone Editrice,
  • TRITTO Maria Rosaria, Agrimensori e cartografi tra committenza pubblica e privata dal XVI al XIX secolo, in Cartografia e territorio in Capitanata dal XVI al XIX secolo (a cura di Desimio, V. Iazzetti, M. C. Nardella, M. R. Tritto, Foggia, Bastogi, 1993.
  • TRITTO Maria Rosaria, Particolarità di un regime territoriale tra amministrazione della Dogana delle pecore e del Tavoliere di Puglia, in atti del Convegno «La Regione Puglia e gli Usi Civici» del 25 maggio 1999, a cura di Miele, Manfredonia, Centrografico Francescano, 2000.
  • VENTURA Antonio, Introduzione e note in "Per la intelligenza del Sistema Doganale" di Rosati Giuseppe, «La Capitanata, quadrimestrale della Biblioteca Provinciale di Foggia», 1994, n. 2, pp. 203-204.
  • VIVENZIO Nicola, Rappresentanza a Sua maestà il Re nostro signore per l'abolizione de' dritti di passo, che si esigono nelle strade del Regno, Napoli ,1790.
  • VIVENZIO Nicola, Considerazioni sul Tavoliere di Puglia, Napoli, Stamperia Simoniana, 1796.

nota del consigliere regionale Antonio Tutolo, Gruppo Misto.

“Dare la possibilità ai ragazzi svantaggiati di accedere gratuitamente ad una formazione musicale dalla fortissima valenza di socializzazione, di crescita personale e collettiva. È questo che prevede la mia proposta di legge, approvata nel corso della VI Commissione consiliare e ora al vaglio della III, sul sostegno, la valorizzazione e la promozione delle “orchestre sociali”, espressione che include anche cori, bande, band, street band, cori manos blancas sociali.

Sono soddisfatto perché credo in questo genere di interventi che puntano ad aiutare soggetti coinvolti in situazione di disagio e/o a rischio di abbandono scolastico, con diversa abilità o fragilità sociale a recuperare e potenziare le competenze e l'autostima, a sviluppare attitudini ed abilità e a favorire le capacità di socializzazione e di cooperazione prevenendo cosi alternative devianti. 
Questa legge si rivolge prevalentemente ai ragazzi svantaggiati, quelli che non potrebbero in alcun modo di avvicinarsi alla formazione musicale, e se grazie ad essa, uno solo di questi giovanissimi riuscisse ad essere indirizzato verso la musica e strappato alla dispersione, quindi alla strada, come Regione Puglia avremmo fatto una cosa buona.

In Commissione si è dunque riconosciuto il valore della mia iniziativa legislativa che ha lo scopo di consentire la fruizione generale e libera della musica in tutte le sue espressioni, in funzione del pieno sviluppo della persona e come volano di sviluppo sociale, personale e di educazione alla bellezza.
Dove adottato, questo modello ha contribuito alla formazione musicale di molti ragazzi, inoltre potrebbe permettere la prosecuzione di studi musicali professionalizzanti (indirizzo musicale, licei musicali, conservatori) o la “semplice” crescita culturale e umana di un buon cittadino.

La proposta di legge garantisce: il sostegno alle orchestre sociali già operanti sul territorio pugliese a condizione che rispettino certi requisiti; la pubblicazione di bandi per i nuovi soggetti, pubblici e privati, che vogliano creare orchestre sociali; la promozione di protocolli d'intesa, nel rispetto delle rispettive funzioni e attività, con Comuni e le loro Unioni e Associazioni, delle Province e della Città metropolitana di Bari; la stipulazione di protocolli d'intesa con le scuole secondarie di primo grado ad indirizzo musicale, licei musicali, conservatori di musica, finalizzati alla prosecuzione dello studio della musica”.

Nell’anno stesso in cui Raffaele Vittorio Cassitto, agronomo viestano dalle origini aristocratiche risalenti ai conti Ortenburg d’oltralpe, pubblicava una monografia sui lambascioni [1], consegnava alle stampe un testo riguardante un prezioso frutto spontaneo che caratterizzava sin dai tempi antichi, nei mesi estivi, il paesaggio del Tavoliere e del Gargano: il cappero[2].

Era il 1925 e la ricerca di Cassitto sui capperi, originari dell’Arabia e dell’Africa del nord e perfettamente adattati al clima arido del Tavoliere e al terreno calcareo del Gargano, conserva oggi più che mai un peculiare interesse persino a livello linguistico: i frutticini del cappero, commercialmente denominati «pecchette di capperi o zucchette di capperi», a Vieste erano chiamati «cavadducci», a Rodi e a Ischitella «cucuccioli», nel foggiano «truoli»[3].

La descrizione della presenza del cappero nell’arido e assolato Tavoliere del primo Novecento rappresenta una mirabile pagina  di storia che ci riconsegna non solo il paesaggio in parte mutato della pianura dauna, ma anche il profondo senso di isolamento e di abbandono vissuto per secoli da uomini che osavano sfidare durante l’estate, costretti da misere condizioni di sopravvivenza, il caldo torrido e le stagnanti aree malariche descritte da viaggiatori eccellenti quali Giuseppe Maria Galanti[4] e Francesco Longano[5]: «Nell’estate quando tutto è arso dalla siccita e dal sole cocente, e quando la larga campagna del Tavoliere di Puglia appare tutta deserta e desolata, solo il cappero verdeggia, quale ornamento, come sollievo e speranza agli sperduti nella campagna»[6].

Secondo l’autore viestano il cappero era diffusissimo nei terreni incolti del Tavoliere, in particolare nelle contrade «Fontanarosa, Incoronata, nelle tenute di Postapiana e Vaccarella, nelle mezzane, Filiasi e Giuliani […]». Nel Gargano la pianta cresceva spontaneamente nelle aree rupestri marittime, nei dirupi, nei burroni, nei crepacci di Monte S. Angelo e Mattinata, oltre che «nel sottobosco e nei pascoli cespugliosi, volgarmente chiamati parchi, di Vieste, Peschici e Vico». Nelle isole Tremiti, il cappero era presente soprattutto sull’isoletta «Capparaia», nome derivante dalla «straordinaria abbondanza della Capparis Rupestris», che rivestiva tutta l’isoletta di un «caratteristico manto verdeggiante nell’azzurro mare Adriatico»[7].

Passando ai dati sulla raccolta dei boccioli fiorali e dei frutticini della pianta del cappero, Cassitto annotava la discrepanza tra la modesta raccolta e la larga quantità disponibile in natura, nonostante la richiesta commerciale fosse cresciuta con prezzi ampiamente remunerativi. In particolare nel Gargano, ad eccezione di Vieste, Mattinata e Peschici, la raccolta dei capperi era limitata a soddisfare la richiesta delle famiglie benestanti, per il resto la produzione spontanea di boccioli e frutticini andava persa. La raccolta in tutto il Gargano raggiungeva mediamente i 30-40 quintali l’anno a fronte di una disponibilità di circa 200 quintali, mentre nella sola Foggia superava i 200 quintali grazie all’opera dei «terrazzani» che vivevano raggruppati nel quartiere «Le Croci» e che, uscendo di prima mattina con l’intera famiglia e vagando per le campagne, riuscivano a raccogliere «dai 2 ai 3 ottavi[8] di tomolo di capperi» vendendoli nel Dopoguerra a «dieci lire l’ottavo, guadagnando così dalle 25 alle 30 lire al giorno»[9].

L’agronomo garganico stimava in almeno mille quintali la produzione di capperi che non veniva raccolta in tutta la Capitanata, corrispondente a una perdita di ricchezza di ben un milione di lire: «Col lasciare in abbandono questi prodotti spontanei, non è la sola materia prima che si perde, non è il solo denaro che non si guadagna, ma è tutto un movimento economico che non si ha. Quanto lavoro non va perduto? Quanta mano d’opera non resta improduttiva? Eppure la raccolta dei capperi, dei funghi, dei lampasciuoli, delle ciammaruchelle[10], degli asparagi ecc., fatta dappertutto darebbe lavoro e pane a centinaia di famiglie per alcuni mesi dell’anno, e proprio quando minore è il bisogno di lavoro in campagna»[11].

Particolarmente interessanti risultano le notizie di Cassitto circa il commercio dei capperi nel capoluogo Foggia, che veniva gestito dai noti fratelli Orlando e da Mario Casalanguida, mentre fino a pochi anni prima se ne erano occupati De Angelis e Rabaglietta, il quale spediva i capperi alla Cirio con sede a San Giovanni a Teduccio, oltre che a Trieste e in Austria. La produzione di capperi di Foggia e del Tavoliere veniva spedita a Bari e negli Abruzzi, tuttavia era Cosimo Farina di Ostuni a risultare il maggior incettatore di capperi in Puglia e a comprarne anche oltre il 50%. Anche i capperi del Gargano prendevano la via di Bari e degli Abruzzi, pur avendo avuto un passato di commercializzazione con i mercati della Dalmazia[12].

Oltre ad essere apprezzati ai fini alimentari, i capperi avevano proprietà terapeutiche che Cassitto faceva risalire a remoti tempi storici: «In Africa si usa la radice come dentifricio, e da noi i teneri getti, perché ritenuti diuretici. In commercio, si trova la corteccia dei rami del cappero, utilizzata a scopo terapeutici, e la si trova sottoforma di frammenti irregolari di colore grigio cenere, di sapore amaro, di odore nullo»[13].

Data la forte richiesta inevasa di capperi dall’estero, Cassitto invitava i contadini a coltivarli, essendo un’attività redditizia che non destava particolari esigenze dal punto di vista colturale. L’autore indicava anche i metodi e i tempi della propagazione delle piantine: «La moltiplicazione avviene per talee, in primavera, o per polloni radicati, in autunno. Talee e polloni si tolgono dalle piante madri e si trapiantano alla distanza di uno o due metri, l’una dall’altra. Nello stesso anno si ha qualche frutto, ma al secondo anno, la novella pianta è in piena produzione. Da dieci a vent’anni si ha il massimo prodotto, perché la pianta ha lunga vita»[14].

Cassitto aveva spedito nell’aprile del 1931 alcuni suoi testi all’ingegnere Giuseppe Lucifero, barone di Milazzo, ex «direttore delle Officine del Gas, Luce ed Energia Elettrica di Bari, al servizio della Tuscan Gas Company Limited di Londra»[15], il quale si deliziava a coltivare capperi sul promontorio di Milazzo.

Grazie a una fortunata coincidenza lo scrivente è entrato in possesso di una lettera di ringraziamento dell’ingegnere siciliano all’autore viestano dalla quale scopriamo che Cassitto svolgeva la professione di docente di Agraria a Foggia[16]. Una lettera, rinvenuta nel blog di Massimo Tricamo[17], che si riporta integralmente poiché da essa si traggono informazioni preziose non solo sulla coltivazione del cappero in Sicilia, ma anche sulla raccolta di lambascioni e lumache (ciammaruchelle) che l’ingegner Lucifero riteneva del tutto ignorate nella sua provincia: «Bari, 25 aprile 1931. Ill.mo Dottor Raffaele Cassitto, professore di Agraria nel R. Istituto Tecnico di Foggia. Egregio Signor Professore, ho ricevuto la gradita e gentile sua lettera del 22 corrente con le sue dotte monografie. La ringrazio infinitamente. Ho letto avidamente il suo lavoro sui capperi e molto ho appreso: io mi occupo di questa coltivazione perché in una mia proprietà sita all’estrema punta del Promontorio di Milazzo (Sicilia) il cappero nasce spontaneo e ne fa una raccolta di circa due quintali annuali. Essendo la qualità molto pregiata mi è sorta l’idea di farne una coltivazione in tutti quei punti costieri in cui il terreno non è adatto alla coltura arborea. So che nelle Isole Eolie il cappero è coltivato in chiudende in prossimità della spiaggia ed il prodotto è facilmente esportabile; in questo scorso autunno ho voluto tentare una prova ed ho costituito un piccolo vivaio di 500 piante, seguendo le indicazioni del dottor S. Trentin racchiuse nel suo libro sul tema, non conosco però il risultato, i coloni affermano che difficilmente attecchiranno. Ho tentato pure la propagazione per seme e ne ho ottenuto poche piantine in vaso, la germinazione è stentata e lunga e bisognerebbe conoscere un mezzo adatto per forzarla.

Ella si è addimostrata così gentile a mio riguardo che mi permetto pregarla di volermi indicare, qualora vi sia, qualche trattato in cui si parli estesamente della coltura del cappero e della sua propagazione per talea e per seme, onde averne una completa nozione.

Leggerò con piacere le altre sue memorie sui lampasciuli[18] e sulle ciammaruchelle[19], le cui industrie sono completamente sconosciute nella mia provincia in Sicilia, ed abusando della sua cortese esibizione, mi permetto pregarla di farmi conoscere dove acquistare la sua monografia sulla coltivazione e l’industria dei fichi d’India[20].

Sarei lietissimo di fare la sua personale conoscenza e ringraziarla a viva voce, ma nella prossima settimana farò ritorno in Sicilia e non sarò nuovamente a Bari che nel periodo della Fiera del Levante.
Gradisca, Ill.mo Signor Professore, i miei sentiti ringraziamenti e mentre le assicuro che non mancherò di porgere i suoi saluti all’egregio dottor Terlizzi, distintamente la ossequio, devotissimo Ing. Giuseppe Lucifero».

_______

[1] R. V. Cassitto, Piccole industrie rurali in Capitanata. I lampasciuli, Foggia, Tip. P. Cardone, 1925.

[2] R. V. Cassitto, I capperi, Foggia, Tip. P. Cardone, 1925.

[3] Ivi, p. 7.

[4] G. M. Galanti Giuseppe Maria, Relazioni sulla Puglia del '700, a cura di Enzo PANAREO, Cavallino di Lecce, Capone Editore, 1984.

[5] F. Longano, Viaggio dell'abate Longano per la Capitanata, Napoli, presso Domenico Sangiacomo, 1790.

[6] R. V. Cassitto, I capperi, cit., p.7.

[7] Ivi, p. 8.

[8] Un ottavo pesava da 2 a 3 chilogrammi di capperi.

[9] R. V. Cassitto, I capperi, cit., p.11.

[10] Lumache

[11] R. V. Cassitto, I capperi, cit., p.10.

[12] Ivi, pp. 11-13.

[13] Ivi, p. 18.

[14] Ivi, pp. 13-14.

[15] M. Tricamo, Storie della Baronia: da documenti inediti di casa Lucifero, in http://storiedellabaronia>.blogspost.com, 12 febbraio 2016.

[16] Ibidem.

[17] Massimo Tricamo (Milazzo 1974), socio della Società di Storia Patria milazzese, appassionato di storia locale che ha pubblicato diversi testi riguardanti la storia della sua città natale.

[18] Cassitto, Piccole industrie rurali in Capitanata. I lampasciuli, cit., 1925.

[19] R. V. Cassitto, Le Ciammaruchelle (lumache), Foggia, Bollettino della Camera di Commercio di Foggia, anno X, n. 1, 1922.

[20] R. V. Cassitto, La coltivazione e l’industria del fico d’india, Foggia, Tipografia Paolo Cardone, 1924.

 

Raffaele Vittorio Cassitto, fine studioso viestano di discipline agrarie, dopo aver pubblicato diversi testi riguardanti le condizioni economiche e sociali della Capitanata  (Estensione e produzione olearia Garganica e i suoi rapporti col commercio nel 1914[1], Climatologia di Viesti in rapporto all’agricoltura [2] nel 1915, Le Ciammaruchelle (lumache) [3] nel 1922,  La coltivazione e l’industria del fico d’india [4] nel 1924, I capperi [5] nel 1925), scrive e pubblica nel 1925 Piccole industrie rurali in Capitanata. I lampasciuli [6].

Il testo di Cassitto, poco noto ai nostri tempi, è stato meritatamente ricordato in un articolo del 2016 da Annalisa Grana[7], ambasciatrice dell’Accademia Italiana di Gastronomia Storica, oltre che citato in un articolo del P.A.T. di Puglia (prodotto agroalimentare tradizione italiana) dal titolo Nella terra dei lampascioni: un viaggio in Puglia tra storia, tradizioni e ricette [8]. Ai fini dell’iscrizione dei lampascioni o lambascioni nell’elenco del P.A.T. di Puglia è stato necessario produrre una ricerca storica[9] che riassumo in breve partendo dall’anno 1855, quando Carlo De Cesare, in un capitolo sulle produzioni spontanee di un testo riguardante le condizioni economiche delle province pugliesi, scrive, tra l’altro, che «i bulbi del “Muscari comosum” detti volgarmente lambascioni» vengono universalmente usati dalla plebe[10]. Successivamente, in un testo del 1914, Francesco Cirillo sostiene quanto segue: «Si rinvengono inoltre grandi quantità di bulbi di muscari che sono buoni per i visceri ed appartengono alla famiglia delle gigliacee il popolo li chiama lampasciuni, e da qualche anno sono esportati in America da Ascoli e Minervino»[11]. Grazie alla testimonianza di Cassitto del 1925 si viene a conoscenza dell’importanza in Capitanata dei lampascioni nei primi decenni del Novecento, mentre è di metà Novecento la documentazione dei falliti tentativi di coltivare il Muscari dell’agronomo professor Enrico Pantanelli, autore del testo Uso del cipollaccio per l’alimentazione e la produzione di alcool [12]. Infine, nel 1991 lo storico tarantino Luigi Sada ci riporta alla corretta etimologia del termine: lambascione con la lettera b[13], mentre le ricerche storiche del D’Ambrosio del 1995 ci riferiscono che il lambascione veniva servito sin dal 1756 nel seminario di Otranto[14].

Il libretto del 1925 di Cassitto, di appena una ventina di pagine, - un estratto del quale era già stato pubblicato nel 1922 nel numero 9 del giornale «Il foglietto» - testimonia l’importanza in Capitanata del Muscari Comosum nei primi decenni del Novecento, tanto da costituire «una piccola industria redditizia» risalente agli anni che avevano preceduto la Grande Guerra. I primi a cimentarsi nella raccolta e nella commercializzazione del lambascione erano stati i contadini di Ascoli Satriano, che già nel 1911 ne avevano esportavano trecento quintali ottenendo «lauti guadagni», tanto che la raccolta del bulbo edule si era estesa nei territori di Sant’Agata di Puglia, Ordona, Foggia e, in seguito, in quelli di Ortanova, Castelluccio dei Sauri, Bovino e Troia, subendo una pausa solo dovuta al conflitto mondiale. Finita la guerra, a causa della miseria, della carenza di prodotti alimentari, dell’enorme spinta al rialzo dei prezzi, della svalutazione dei salari, la raccolta dei lampascioni riprese a livello industriale diffondendosi anche nei territori di San Severo, Torremaggiore, Trinitapoli, Cerignola, Lucera e Subappennino, Lesina, Apricena e solo in poche realtà garganiche come San Nicandro.

Si ebbe un netto incremento della raccolta e dell’esportazione, passate dai mille quintali antecedenti la guerra ai duemila del 1919, tremila e cinquecento del 1920, ottomila del 1921, dodicimila del 1924. Nel Dopoguerra, i lambascioni cominciarono a essere proposti anche in trattorie e ristoranti e richiesti da benestanti[15].

Cassitto si sofferma sul riconoscimento delle «virtù terapeutiche e afrodisiache» del lambascione, attestate da medici, botanici, scrittori antichi e moderni e conosciuto sin dall’antico Egitto. Nel 1888 il dottor Curci, alla ricerca delle proprietà farmacologiche del Muscari Comosum, accertava  proprietà espettoranti nell’acqua di cottura[16], mentre Oreste Mattirolo, direttore dell’Orto Botanico di Torino, trent’anni dopo sosteneva che i lampasciuli rappresentavano un alimento di grande interesse nel mondo greco e romano, tanto da figurare negli scritti di autori importanti quali Discoride, Teofrasto, Plinio e Galeno[17]. Le qualità lassative e diuretiche del bulbo erano poi dimostrate dal direttore della Stazione Sperimentale Agraria di Bari, il professore Pantanelli[18], mentre il sempre polemico professor La Pietra nello stesso anno, il 1920, attribuiva erroneamente le proprietà purgative all’olio di oliva con cui venivano conditi i bulbi[19].

La raccolta dei lambascioni avveniva tra fine dicembre e marzo con l’uso di zappette oppure a mano nei terreni arati. Erano inizialmente raccolti da contadini e terrazzani ai fini dell’autoconsumo, ma quando cominciarono a essere ricercati per l’esportazione, diventando una risorsa economica rilevante, si videro vagare per i campi alla loro ricerca intere famiglie comprese giovani ragazze, tanto che nel 1924 la raccolta dei lambascioni raggiungeva la considerevole cifra di dodicimila quintali di cui ben diecimila venivano esportati negli Stati Uniti e, in parte, nel Brasile e in Argentina. In definitiva, in particolare per il Tavoliere, l’attività di raccolta era diventata una vera risorsa economica e si stava avviando verso la costituzione di una «piccola industria rurale» con noti industriali di frutti eduli spontanei, quali «i fratelli Orlando e Mario Casalanguida, ed un tempo i signori De Angelis, Titta Francesco Paolo e Luigi Contessa, oltre tutta una schiera di piccoli incettatori sparsi nei principali centri di produzione»[20], che spedivano in sacchi da un quintale lambascioni ripuliti a Napoli, dove venivano sistemati in casse da 50 chilogrammi e spediti nelle Americhe. Una persona adulta riusciva a raccogliere dai dieci ai quindici chili di bulbi che vendeva «all’incettatore od all’industriale per L 2 o 2,5 al chilo, realizzando così un guadagno giornaliero dalle 20 alle 35 lire», oppure a un prezzo maggiorato «per le strade delle città a lire 2,50 ed anche 3»[21].

Cassitto lamentava la scarsa conoscenza e considerazione del Muscari Comosum nel Subappennino e nel Gargano, i cui territori pianeggianti e collinari erano ricchi di lambascioni di ottima qualità. In particolare, l’autore indicava le seguenti località del Gargano: “Le Mezzane”, “Mezzanelle”, “Piano Piccolo”, “Piano Grande” nel territorio di Vieste, “Piano di Vento” e “Niuzi” in quello di Ischitella, oltre a svariate aree di Carpino, Sannicandro Garganico e San Giovanni Rotondo[22].

In conclusione, l’agronomo viestano riservava alla pianta del Muscari Comosum «un grande avvenire industriale», particolarmente significativo in un momento di gravi crisi economiche e sociali, laddove le famiglie contadine del Mezzogiorno sopravvivevano alle tristi condizioni generate dalla guerra, dall’inflazione fortemente cresciuta alla carenza di beni primari, dalla disoccupazione al carovita e al deprezzamento dei salari[23].

 _______

[1] R. V. Cassitto, Estensione e produzione olearia Garganica e i suoi rapporti col commercio, Napoli, Tip. Giaccio e Frezza, 1914.

[2] R. V. Cassitto, Climatologia di Viesti in rapporto all’agricoltura con appendice alla climatologia Garganica, Bari, Tip. Alighieri, 1915.

[3] R. V. Cassitto, Le Ciammaruchelle (lumache), Foggia, Bollettino della Camera di Commercio di Foggia, anno X, n. 1, 1922.

[4] R. V. Cassitto, La coltivazione e l’industria del fico d’india, Foggia, Tipografia Paolo Cardone, 1924.

[5] R. V. Cassitto, I capperi, Foggia, Tip. P. Cardone, 1925.

[6] R. V. Cassitto, Piccole industrie rurali in Capitanata. I lampasciuli, Foggia, Tip. P. Cardone, 1925.

[7] A. Grana, Storia e proprietà lampasciuoli di Capitanata, in «Taccuini Gastrofisici.it», 4 dicembre 2016.

[8] PAT-Puglia, Nella terra dei lampascioni: un viaggio in Puglia tra storia, tradizioni e ricette (https://www.patpuglia.it/it/20/Nella_terra_dei_lampascioni:_un_viaggio_in_puglia_tra_storia_tradizione_e_ricette/2).

[9] Dati, informazioni, autori della ricerca storica sono tratti da PAT-Puglia, Nella terra dei lampascioni: un viaggio in Puglia tra storia, tradizioni e ricette, cit. e da P. Santamaria-M. Renna, Come Bio vuole. Il percorso partecipativo della Compagnia del Carosello per una comunità del cibo, Bari, Università degli Studi di Bari “Aldo Moro”, 2021, pp. 104-108.

[10] C. De Cesare, Delle condizioni economiche e morali delle classi agricole nelle tre province della Puglia, Napoli 1859.

[11] F. Cirillo, Cenno storico della città di Cerignola, Cerignola, Pescatore, 1914, p. 50, cit. tratta da P. Santamaria-M. Renna, Come Bio vuole, cit., p. 106.

[12] E. Pantanelli, Uso del cipollaccio per l’alimentazione e la produzione di alcool, Annali R. Stazioni sperimentali Agrarie italiane, Vol. LIII, 1920.

[13] L. Saba, La cucina nella terra di Bari, Padova, Muzzio Editore, 1991, pp. 66-67.

[14] P. Santamaria-M. Renna, Come Bio vuole, cit., p. 118.

[15] R. V. Cassitto, Piccole industrie rurali in Capitanata. I lampasciuli, cit., pp. 3-4.

[16] A. Curci, Ricerche farmacologiche sul Muscari Comosum, in «Annali di Chimica e Farmacologia», Vol. 7, Serie IV, 1888.

[17] O. Mattirolo, I bulbi del Muscari Comosum (Cipollaccio o fiocco) proposti come alimento anche alle popolazioni dell’Italia Settentrionale, in «Annali R. Accademia di Agricoltura», n. 61, Torino 1918.

[18] E. Pantanelli, Uso del cipollaccio per l’alimentazione e la produzione di alcool, cit.

[19] M. La Pietra, Il Moscarino, in «Il Coltivatore», Fratelli Ottavi, n. 30, 1920.

[20] R. V. Cassitto, Piccole industrie rurali in Capitanata. I lampasciuli, cit., p. 14.

[21] Ivi, p. 13.

[22] Ivi, pp. 13-14.

[23] Cfr. ivi, p. 16.

Sono tanti i percorsi che si diramano dalla Via Francigena Micaelica sul Gargano e tra questi prende certamente un ruolo importante il cosiddetto sentiero “dei due conventi” che connette i Santuari di San Matteo Apostolo a San Marco in Lamis e San Pio a San Giovanni Rotondo.

Ed è per valorizzare questo itinerario nasce il Cammino dei due Conventi, evento di cammino comunitario a cura delle associazioni “SGR Francigena” e “Senza Cemento”, che quest’anno giunge alla sua seconda edizione.

L’iniziativa, che si terrà il 22 settembre e in concomitanza dei festeggiamenti di San Matteo (21 settembre) e San Pio (23 settembre), valorizza uno dei percorsi naturalistici del territorio, ma  unisce anche simbolicamente le due comunità contribuendo ad ampliare e diversificare le attività dei festeggiamenti dedicati a San Matteo e San Pio.
Il “Cammino dei due Conventi 2023” si svolgerà dalle 15.00 alle 18.00, con incontro e accoglienza al Convento di San Matteo Apostolo di San Marco in Lamis e cammino fino al Santuario di San Pio di San Giovanni Rotondo lungo il Sentiero dei due Conventi.
A benedire la partenza e l’arrivo saranno i frati delle relative comunità di San Matteo e San Pio.
La partecipazione è libera e gratuita, basta presentarsi alle 15.00 all’appuntamento al Santuario di San Matteo (San Marco in Lamis) con abbigliamento e attrezzatura adatti al trekking (acqua, cappellino, impermeabile, scarpe da trail/trekking). Il ritorno al punto di partenza sarà gestito da una navetta messa a disposizione gratuitamente da Fini Viaggi.

Il Sentiero dei due Conventi ha una lunghezza di circa 6km e parte dalla frazione di Borgo Celano toccando il prezioso vivaio forestale di Borgo Celano, e risale il versante sud di Montenero fino al punto panoramico di Coppa l’Arena, dal quale si gode di una magnifica vista sul Golfo di Manfredonia e verso la Puglia meridionale. Qui, nel brullo paesaggio dell’altopiano carsico, il sentiero si innesta per un tratto sulla Via Francigena e infine scende verso il centro abitato di San Giovanni Rotondo, proprio in prossimità del Santuario di San Pio. Insomma, un sentiero che permette di apprezzare, ancora una volta, la diversità biologica, di paesaggi e storico-culturale del Gargano.

Il “Cammino dei due Conventi” vuole diventare un vero e proprio evento con cadenza annuale, coinvolgendo istituzioni laiche, ecclesiastiche ma soprattutto i soggetti territoriali che fanno riferimento al mondo dei cammini, quali associazioni, guide ed escursionisti.
L’iniziativa gode del patrocinio gratuito dei Comuni di San Marco in Lamis, di San Giovanni Rotondo, del GAL Gargano, dei Santuari di San Matteo Apostolo e San Pio, di Fini Viaggi e del sito web sangiovannirotondofree.it.

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#contrappunti

Ricordi di un tempo che fu. La Foggia ferragostana dal periodo del CoVid-19, ed è giustificabile, e da quando è stata commissariata, non giustificabile, non è più la stessa. È una Foggia spenta, senza luce, senza la sua tradizionale festa di Ferragosto.

La città non festeggia più perché manca l’aria festosa. Quella creata ad hoc, sempre voluta dal Comune e da chi lo amministrava, dalla Curia, dalle associazioni, da chi aveva a cuore questo periodo. Pare che tutto sia andato perso perché chi doveva “dettare” la scaletta ora la salta.

Una città senza luminarie, senza quelle bancarelle di ambulanti che animavano e accompagnavano lo struscio serale dei foggiani e che facevano tanto felici i bambini. Una Foggia spogliata delle sue tradizioni, del suo folclore, delle sue ricorrenze sacre e pagane, dove finanche la processione del 14 agosto ha ridotto percorsi e tempistiche. Una “Foggia spenta, senza luce”, dove perfino le solite vie in festa, spesso con l’aiuto dei commercianti, pullulavano di gente sorridente e soddisfatta. Sarà anche vero che la crisi economica ha ridotto le aspettative, ma c’è chi volutamente le ha abbattute, edulcorandone i motivi con sicurezza e legalità e nascondendoli sotto il tappeto come si fa con la polvere.

Quest’anno si è solo pensato ad accontentare i cittadini presenti, e statene pur certi che a Foggia il 15 agosto ritornano i foggiani, animando la tre giorni, 13 – 14 e 15, con due concerti musicali e i fuochi pirotecnici. Oddio, due eventi musicali di rilievo per gli artisti esibiti, Antonino e Tiromancino, con un finale pirotecnico dal Pronao della Villa Comunale. Ma non ha saziato i foggiani, sempre malinconici per l’assenza di luminarie e ambulanti per quelle vie da decenni animate, festose, illuminate e attese da un anno.

Il sentore si è avuto fin dal 16 luglio, ricorrenza della Madonna del Carmine, quella festa tanto sentita quanto voluta e vissuta, che quest’anno si è svolta smorzata e solo grazie alla confraternita locale ha avuto i suoi botti d’artificio e qualche bancarella innanzi la chiesa. Si è proseguito con quella di Sant’Anna, il 26 luglio, che non si è svolta. Quest’ultima una festa lontana nei secoli e sempre viva, negata per la tanto urlata e poco compiuta sicurezza urbana che una Commissione straordinaria prefettizia del Comune di Foggia con il beneplacito della Prefettura hanno negato ai foggiani. «Quest’anno “pizz fritt e ciammaruchelle” sop’ a via Sant’Sant’Antonio l’hamm vist cu binocolo» il commento in vernacolo dei più anziani legati alla Festa di Sant’Anna. Mentre i bambini reclamavano le ormai consuete giostre, appuntamento atteso di ano in anno.

Ma non è tutto, perché oltre alle due istituzioni laiche anzidette, ve n’è una terza, religiosa, quella Curia verticisticamente comandata da un monsignore che nel tempo, con le direttive di Prefettura e Comune commissariato, ha modificato tragitto e tempistiche della Santa Processione dell’Assunta, di quella Madonna a noi tanto cara e protettrice di Foggia, L’iconavetere Madonna dei Sette Veli. Se un tempo, che fu ormai, la processione ripercorreva le storiche e antiche vie foggiane dove, secondo scritti e leggende, fu ritrovato il Sacro Tavolo dell’iconavetere, oggi quel Tavolo è portato in spalla trascurando Via Arpi, la via più antica di Foggia e menzionata nelle scritture religiose. Una mancanza che ha indignato il popolo foggiano, che più volte si è chiesto il perché di questa assurda scellerata scelta, specie se in testa alla cerimonia c’è un prelato. Meno male che non è stato reciso anche quello storico e tradizionale cordone ombelicale che vuole il Sacro Tavolo passare innanzi al luogo del ritrovamento dell’Iconavetere, quell’antica pozza d’acqua, ora fontana, dove due buoi si inginocchiarono alla vista del volto della Madonna dei Sette Veli. Tradizioni annullate, recise dalla storia di una città devota alla sua protettrice, per mano della sua stessa istituzione.

Ascoltando molti fedeli, giovani e attempati, parrebbe che la Curia negli scorsi mesi abbia ricevuto alcune lettere di richieste di spiegazioni su questa scelta, già fatta l’anno scorso. Missive senza risposte, tranne una, Monsignore non risponde ai fedeli e se la processione non passa da Via Arpi, in particolar costeggiando la chiesa di San Tommaso, è per la sicurezza del Sacro Tavolo, che potrebbe cadere per le scadenti condizioni del piano stradale. Una “bufala”, si suppone, grande quanto chi l’ha artatamente architettata, poiché per decenni quella strada, anche in peggiori condizioni, ha ospitato la processione. “Boutade” decisa dal Comune di Foggia, dalla Curia o dalla Prefettura, sapendo bene che Via Arpi è sempre stata costituita da lastroni di pietra per mantenere lo status antico? La risposta non si saprà mai, giacché i loro “capi” non rispondono al popolo foggiano. Non risponde monsignore, credendo di essere ancora quel Generale dell’Esercito Italiano, in quiescenza dall’ordinariato militare per l'Italia, a cui pare che manchi la truppa ora costituita da credenti e fedeli civili che meritano risposte. Non rispondono, miseri loro!

Sicurezza urbana a fronte di non far più svolgere feste tradizionali, in una provincia zeppa di eventi storici, religiosi, musicali, festosi, folcloristici. In Capitanata anche quest’anno si sono svolte tantissime sagre e i foggiani si son spostati lì.  Solo nel capoluogo non s’ha da fare.

E perché? A Foggia c’è la mafia, c’è la criminalità, si spacciano droga e armi, si commettono omicidi, si chiede il pizzo, l’usura cresce, prospera la prostituzione in casa e quella in strade cittadine e extraurbane, ci sono le baby-gang, ci sono i parcheggiatori abusivi, spesso violenti, nei parcheggi dei centri commerciali, antistanti le istituzioni e ospedali, e in molte aree cittadine transitate dalla Forze dell’ordine, ci sono i motocicli e monopattini che sfrecciano tra la folla al passeggio, c’è l’area pedonale diventata parcheggio abusivo per autovetture, ci sono le bancarelle di ambulanti spacciate per abusive, ci sono palchi rionali con cantanti neomelodici che secondo quei “capi” cantano l’illegalità. Ma chi li deve sanzionare, chi è deputato al controllo della sicurezza urbana, dov’è?

È vero ed è sotto gli occhi di tutti, specie nelle ore serali e nei weekend, sono a fare posti di blocco stanziali, sempre negli stessi luoghi e lontano da dove davvero pullula la criminalità, per casse istituzionali sempre più fameliche e resoconti da mostrare al Viminale per poi far stillare relazioni che immancabilmente fanno sprofondare Foggia. E se qualche volta con una retata si “grida” al successo dello Stato per un’operazione che arresta già arrestati si crede di avere ristabilito la tanto all’occasione urlata legalità, termine usato e abusato all’occorrenza. È la Foggia degli stalli blu tout court volgendo pagina ad alcune norme del Codice della Strada. Intanto a Piazza Mercato, nel quartiere Ferrovia, dentro la Villa Comunale con boschetto annesso e non illuminato, a Parco San Felice, nei rioni CEP e Candelaro, e chi he più ne metta, prolifica l’illegalità, la violenza, l’intimidazione, le risse, la vendita di alcolici ai minori, lo spaccio di droga, gli scippi, gli abusi fisici, furti di auto e negli appartamenti, le rapine.

Ma le feste religiose rionali non s’hanno da fare e con esse anche quelle tradizionali con luminarie e bancarelle annesse, negando al Sacro Tavolo di essere venerato dai fedeli nell’antica Foggia e negando ai bambini la gioia dei colori festosi che solo poche volte all’anno possono ammirare.

Un modo per annientare tradizioni che sono storia e cultura locale, sono valori che vanno preservati, ricordati e realizzati di generazione in generazione.

La processione si vede quando si ritira” dice un detto. A breve finirà quella di monsignore e dei commissari, sperando in quella politica, che sia migliore e onesta delle precedenti, senza ritorni di chi ha ricoperto Foggia di vergogna, un'onta indelebile ma smacchiabile, e poi riscattabile. Al futuro Sindaco, Giunta e Consiglio comunale si chiede tutto ciò, altrimenti non candidatevi.

Ad Maiora!

#puntidisvista ♨️ #freethinker #Foggia  #legalità #Iconavetere #MadonnaSetteVeli #contrappunti #ferragosto

È giunta alla VII edizione “Sulla Francigena al crepuscolo” con il patrocinio del Comune di Monte Sant’Angelo.

L’evento si propone di promuovere e valorizzare la cultura dei cammini, dell'accoglienza e la figura del pellegrino, esaltando le risorse storiche, artistiche, naturalistiche e gastronomiche della Via Francigena.

La partecipazione all'evento è gratuita.

Il raduno dei partecipanti è previsto alle ore 15:30 nell'atrio superiore della Basilica di San Michele a Monte Sant’Angelo. A seguire, ci affideremo alla guida che ci accompagnerà in una piacevole passeggiata nel Rione Junno per poi condurci alla chiesetta della Madonna degli Angeli.

Alle 18:00 ci sarà la consegna degli attestati alle associazioni e a coloro che si sono distinti per la valorizzazione del territorio, dei cammini e per l’accoglienza di pellegrini e viandanti.

L'evento si concluderà con il concerto musicale di Aulon Naci, compositore e pianista albanese e le sue note saranno deliziate da un "accompagnamento gastronomico”, con birra artigianale, caciocavallo impiccato e “acqua sale”

Alle 18:30 sarà anche possibile partecipare alla Santa Messa presso la Madonna degli Angeli.

Francigena al crepuscolo MSA2023

Il 30 Aprile del 1923 nasce a Monte Sant’Angelo il Gruppo Folkloristico La Pacchianella, allorquando si ebbe proprio qui a Monte Sant’Angelo la visita alla Città e al Santuario di San Michele del Principe ereditario di Casa Savoia, Umberto I.

Da questo avvenimento ha inizio l’attività folklorica del Gruppo La Pacchiana, sua prima denominazione, sotto la guida del suo fondatore Giovanni Tancredi. Giorno memorabile quel lontano 30 Aprile del 1923, per la partecipazione e l’entusiasmo che la popolazione mostrò verso il Principe, nel volere rappresentare il ricco patrimonio culturale di cui era capace di esprimere la Città intera, tramite il suo Gruppo e nell’ammirare le sue bellezze naturali ed artistiche, oltre che le bellezze e la singolarità dei costumi del Gruppo.

Per la prima volta si manifestava, in maniera festosa e genuina, la volontà di una Città che voleva rappresentare all’Italia la storia e la cultura di un popolo che si riconosceva nel suo Santuario, ma anche nelle sue tradizioni popolari. Afferma a tale proposito A. Ciuffreda: “La città si mise in subbuglio sin dal primo mattino, per addobbarsi con coperte di seta ai balconi e alle finestre e per diffondere l’aria di festa con le note della banda e con lo sparo di mortaretti”. Era allora Sindaco della Città il prof. Filippo Ciociola, un uomo che viene ricordato per la sua precisione e per la sua inflessibile severità morale e amministrativa.

 

Giovanni Tancredi

[Giovanni Tancredi (1872-1948)]

Della visita di Umberto I, erede al trono d’Italia, ci rimane una bellissima immagine pubblicata sulla copertina del Corriere della Domenica, del 13 Maggio 1923, ad opera del pittore e disegnatore Antonio Beltrame. Da questo momento, sotto la guida di Giovanni Tancredi, ha inizio il percorso di attività e di esibizione del Gruppo, prima nella regione Puglia e poi in tutta Italia, tanto che l’8 Settembre del 1928 il Gruppo La Pacchianella partecipa al Raduno dei costumi italiani a Venezia, distinguendosi per l’eleganza e la ricchezza dei suoi abiti. Così come nel 1930, l’8 Gennaio, a Roma, in rappresentanza della Puglia, il Gruppo viene invitato a partecipare  al corteo dei costumi nazionali in occasione delle nozze del principe Umberto di Savoia e di Maria Josè del Belgio, mentre, successivamente il 27 Ottobre del 1931 la Città di Monte Sant’Angelo viene visitata dall’allora ministro Ciano, che ne ammirò le bellezze artistiche e i caratteristici costumi sfoggiati nella grande parata che il gruppo La Pacchianella allestì,  con i muli bardati secondo l’uso tradizionale. Il tutto in una splendida scenografia paesana, di cui ci rimangono alcune fotografie di allora, in cui si vede il corteo della sfilata lungo il corso principale, con Giovanni Tancredi fra la folla e i muli bardati, con bandiere tricolori alle finestre e le coperte variopinte ai balconi.

 

La Pacchianella libroGPiemontese

 

 Così da questo momento, dopo varie esibizioni a livello locale e nazionale, il Gruppo Folklorico “La Pacchianella”, inizia il suo percorso che lo porterà, non solo a rappresentare la Puglia in diverse manifestazioni a carattere folkloristico, ma soprattutto ad essere uno dei Gruppi più importanti dell’Italia meridionale.

IL LIBRO: "La Pacchianella. Storia Folklore Musica Canti Costumi Personaggi" di Giuseppe Piemontese, Bastogi Libri, Roma 2017

INDICE

RINGRAZIAMENTI

LA STORIA

  • Le origini
  • Giovanni Tancredi
  • Giovanni de Cristofaro
  • Giovanni Lombardi
  • Il Primo Raduno Folkloristico
  • La Sagra della Foresta Umbra
  • Gli Anni Sessanta
  • Le scene di vita paesana
  • Gli Anni Settanta, Ottanta e Novanta
  • Le tournèe all’estero

IL FOLKLORE

  • La cultura popolare del Gargano
  • Il Gargano fra il sacro e il profano
  • Usi e costumi: il fidanzamento e il matrimonio

LA MUSICA

  • La musica folklorica
  • La Tarantella
  • Gli strumenti musicali: la chitarra battente,
  • il tamburro, le castagnole, il puta puta

IL CANTO

  • La Serenata
  • Li Strusce
  • La Stesa
  • La Pampanella
  • I canti d’amore e di dispetto

I COSTUMI

  • Gli uomini
  • Le donne
  • L’ornamento d’oro
  • La Pacchianella nelle cartoline

ALBUM FOTOGRAFICO              

ITALIA

  • Monte Sant’Angelo
  • Manfredonia
  • Orsara di Puglia (Fg)
  • Gaggio Montano (Bo)
  • Aviano (Pn)
  • Molfetta (Ba)
  • Cupramontana (An)
  • Castagneto Carducci (Li)

ESTERO

  • Belgio: Bruxelles, 1089
  • Repubblica Ceca, 1998
  • Repubblica Slovacca, 1998
  • Svizzera, 1998
  • Polonia, 1999
  • Germania, 1999
  • Stati Uniti, 2006
  • Grecia, 2006
  • Croazia, 2008

90° ANNIVERSARIO DELLA FONDAZIONE DEL GRUPPO

LA PACCHIANELLA (1923-2013)

I COMPONENTI DEL GRUPPO: IERI E OGGI

I COMPONENTI DEL GRUPPO: IERI E OGGI

  • Indice dei nomi

BIBLIOGRAFIA

Il viaggio come esperienza d’arte e cultura è oggi tra le scelte più consolidate da parte di chi ama vivere una destinazione nelle sue dimensioni storiche e autentiche. La Puglia sta accrescendo la sua attrattività per il patrimonio artistico e culturale che offre tutto l’anno a viaggiatori e residenti. In questo scenario, si configura l’azione di comunicazione della Regione Puglia e Pugliapromozione intitolata “Puglia&Leggende”.

Si tratta di una webserie ideata e diretta da Alessio Giannone, in arte Pinuccio, che si focalizza sul tema turistico di arte, storia e tradizioni. Il progetto si articola in dieci puntate, girate in altrettante città pugliesi, della durata massima di dieci minuti e si connota di originalità tanto nello stile narrativo quanto nelle riprese tecniche. Sul piano narrativo, i contenuti si fondano sulla leggenda, espediente narrativo che tramanda il patrimonio culturale di un popolo nella tradizione orale trasmessa di generazione in generazione fino ad ammantare di mistero e fascino il luogo o la storia cui si riferisce. Sul piano tecnico, riprese dall’alto e vaste carrellate di immagini daranno della Puglia uno sguardo inaspettato e spettacolare. La serie si rivolge a chi, di età eterogenea, desidera conoscere le storie di un posto e a chi viaggia spesso con la famiglia per vivere esperienze immersive anche in bassa stagione. 

Da mercoledì 26 aprile, ogni settimana, ciascun episodio della serie “Puglia&Leggende” verrà pubblicato sui canali Facebook, Instagram, YouTube e Tik Tok di WeAreinPuglia e di Pinuccio.

“Una connotazione di mistero per raccontare i volti nascosti dell’arte e della cultura di una Puglia leggendaria – dichiara l’assessore al Turismo della Regione Puglia, Gianfranco Lopane -. Quest’anno la strategia di comunicazione del turismo della Regione Puglia prevede campagne e contenuti verticali per ciascun prodotto turistico, come presentato in occasione della scorsa BIT a Milano. Il progetto ‘Puglia&Leggende’, con Alessio Giannone, in arte Pinuccio, si inserisce nella campagna ‘Puglia, riscopri la meraviglia’ e ci permette di restituire a turisti e residenti quell’autentico desiderio di scoperta che anima la storia dei luoghi identitari delle comunità pugliesi. Da Rocchetta Sant’Antonio a Leuca, passando per Laterza e Ginosa – prosegue l’assessore -, la produzione dei contenuti della serie ha interessato e continuerà a coinvolgere realtà dell’intero territorio regionale. Episodi all’insegna di intrighi e curiosità, con la consueta simpatia di Pinuccio e Sabino, contribuiranno a promuovere le ricchezze artistiche, paesaggistiche, culturali e umane della Puglia intercettando una domanda che rivolge sempre maggior attenzione a mete inedite, a modelli di turismo lento e sostenibile, ad esperienze a stretto contatto con le tradizioni locali e con la spiritualità. Buona visione.”

Con “Puglia&Leggende” si intendono perseguire gli obiettivi del Piano strategico del turismo volti al potenziamento della destagionalizzazione e alla delocalizzazione, orientando l’attenzione sulle destinazioni meno note.

“Ci sono luoghi nei quali il tempo ha contribuito a tramutare la leggenda in storia – dichiara il direttore generale dell’AReT Pugliapromozione, Luca Scandale -. La webserie ci condurrà, attraverso racconti fiabeschi e la narrazione di aneddoti, a riscoprire le leggende che ancora oggi arricchiscono il nostro patrimonio storico, archeologico e culturale. L’obiettivo è una divulgazione internazionale attraverso i nostri account social e seguendo l’hashtag #WeAreInPuglia, rivolgendoci a potenziali turisti di tutto il mondo, poiché ogni puntata sarà sottotitolata in inglese.”

Tutti i racconti sono stati individuati scegliendo punti di connessione tra realtà (monumento architettonico, traccia artistica, sito archeologico, patrimonio ambientale) e leggenda. Le storie hanno un'impostazione divulgativa adatta ai social, con contenuti organizzati in modo da integrare il più possibile i linguaggi a cui sono abituati le community di WeAreinPuglia e Pinuccio. Sarà possibile in questo modo ammirare storie di vita, di armi e passioni, che si intrecciano con la straordinaria bellezza della Puglia, da un doppio punto di vista: quello di Pinuccio nelle vesti di divulgatore, quello del drone che mostrerà dall’alto panorami mozzafiato e splendidi dettagli architettonici.

Alessio Giannone, alias Pinuccio, ha evidenziato come “Puglia&Leggende vuole essere un modo diverso di raccontare la Puglia, fuori dagli stereotipi e valorizzando anche le aree meno conosciute. Con Sabino ci siamo divertiti nello scoprire quei racconti che parlano dei territori e che li rendono magici. Speriamo che tra fantasmi, demoni e maghi esca un terno sulla ruota di Bari”.

Si parte, dunque, il prossimo mercoledì 26 aprile, da Rocchetta Sant’Antonio, in provincia di Foggia, con la puntata intitolata “La murge del Diavolo - Monti Dauni meridionali”. A seguire, non in ordine di elenco, i seguenti episodi:

BARI

  • Befanì della morte - Bari
  • La Dama col tamburo - Monopoli

LECCE

  • L'amore nella finestra di fronte - Lecce
  • Le voci di Grotta del Diavolo: un mistero irrisolto della cavità nel terreno di Leuca - Leuca

TARANTO

  • L'esercito di fantocci - Laterza e Ginosa
  • Il Mago Greguro nella terra dei masciari - Massafra

FOGGIA

  • Le ninfe del mare e il canto di Diomede - Isole Tremiti

BRINDISI

  • Oria Fumosa - Oria

BAT

  • Fantasmi del Castello - Trani
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