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Giuseppe Osvaldo Lucera*

Profondo conoscitore del mondo contadino, del Gargano in particolare, Michele Eugenio Di Carlo ha sempre coltivato studi approfonditi sulla civiltà contadina, dalle sue origini fino alla sua totale scomparsa.

Da questo substrato culturale nasce e prende forma il libro che analizziamo, il cui titolo rientra pienamente in quel grande filone di studi che fu materia dei più impegnati meridionalisti: Molfese, Lucarelli, Villari, Nitti e Pedìo, Zitara, Romano Valentino ed altri a noi più vicini. Senza dimenticare un certo Kulianov (russo sovietico) che in base ai resoconti che Bakunin inviò in Russia (posteriori di circa tre anni al succedere degli eventi) si fece un’idea ben precisa di ciò che realmente era avvenuto in Italia, come del resto accadde allo stesso Proudhon.

Di Carlo non ha scritto un volume sui briganti del Gargano, nel senso classico e storico che richiama il fenomeno del brigantaggio; non compie indagini biografiche di questo o di quell’altro personaggio che seppero distinguersi in quegli anni perché combattente per un’idea, per un valore da difendere o per una nuova dinastia da cacciare e da riportare ai confini della Francia, da dove era venuta. Il suo non è un impegno volto a dimostrare la giustezza o meno o, se vogliamo, l’inutilità di un’Italia unificata, anche se si percepisce, in alcuni passaggi, un certo rifiuto o contrarietà nei confronti del governo di Torino per aver fatto fuori l’esercito meridionale (inteso in questo senso come esercito “garibaldino”); e questo perché, a suo parere, quell’esercito era formato e guidato da elementi democratici, e che tutto ciò che poi sarebbe accaduto nel Meridione avrebbe preso senz’altro una piega diversa da come poi in effetti le vicende si svilupperanno. Di conseguenza, secondo Di Carlo, la presenza di elementi democratici alla guida di quell’Italia unificata avrebbe apportato situazioni molto diverse da quelle che i liberali riuscirono, in modo maldestro e terribile, a creare. Questo convincimento può essere vero, e si può essere, con l’autore, d’accordo o in disaccordo, ma comunque il risultato che si ottenne fu uno Stato tenuto col fil di ferro e spago, dove il fil di ferro era il Nord e lo spago, a mala pena, reggeva il Sud.

Di conseguenza, l’autore non scende nei particolari di quell’evento brigantesco o di quella particolare reazione, cosiddetta borbonica, in quanto ha scelto la soluzione che essa debba essere soltanto lo scenario dentro al quale narrare la sua visione storica del Risorgimento, con le sue lotte intestine, i suoi errori ed anche con qualche pregio, ma che l’Autore, in verità, evita di enfatizzare. E su questo grande palcoscenico nazionale che egli posiziona la vicenda della sua Vieste, e neanche in questo caso, quando parla proprio della sua Vieste, scende nei particolari. La sua, infatti, è una visione più generale di quegli anni, più nazionale, più globale del tempo, anche se poi tale visione finisce col riverberare i suoi effetti su quella locale.

L’autore parte dalla lettura e dallo studio di due importanti documenti coevi redatti da liberali viestani: un manoscritto, attribuito ad un non meglio identificato Anonimo, Il Memorandum o Giornale Domestico, scritto da Alfonso Perrone. Ma su questo aspetto mi fermo qui altrimenti tolgo il gusto al lettore di scoprire il contenuto di questi preziosi scritti coevi, che ho imparato a conoscere, sia pure in modo indiretto, leggendo don Marco Della Malva

In questi scenari, a volte tragici e feroci, a volte prevedibili e a volte anche ripetitivi, l’autore analizza il mondo contadino del tempo, studia il modo di pensare e di agire dei liberali ed ecco che il suo Gargano, la sua terra, la sua gente, altro non rappresentano che lo sfondo, il palcoscenico dove i briganti vengono visti come attori, protagonisti di una guerra sociale tra liberali, borghesi e benestanti e il loro mondo povero, il loro mondo di contadini. Una guerra antica che l’autore, giustamente, con pazienza e proprietà della materia sa tratteggiare in modo sapiente e preparato. Descrive il modo in cui i liberali concorsero a tenere “sotto scorta” le varie aspirazioni di quel mondo e come ci riuscirono, sia localmente, attraverso scontri di famiglie abituate al potere, quanto e soprattutto in campo nazionale: ecco perché i veri vinti del risorgimento furono i contadini. Ed infatti quella particolare situazione sociale sarà mantenuta in questa specie di limbo, fatto di fame, di privazioni e di sofferenze indicibili, con l’unico sfogo dato dall’emigrazione transoceanica, fino alla fine della I guerra mondiale, quando fu necessaria una nuova alleanza dei borghesi e dei benestanti con il regime fascista per frenare ancora una volta la richiesta evolutiva della classe sociale più povera, reduce dalle trincee, lanciati alla conquista di un nord fatto di austriaci, jugoslavi o istriani ovvero serbi ovvero ancora tedeschi. Un fermo, quindi, una stasi, che durava dal 1860 e che durerà per decenni ancora fino alla totale scomparsa di quel particolare mondo.

Una piccolissima nota storica la devo comunque esprimere, ma che vedo più come uno sprone, un invito ad effettuare ulteriori indagini future, e che riguarda un aspetto non proprio marginale del grande lavoro compiuto da Di Carlo: e cioè la repressione attuata in Vieste con l’arrivo del generale piemontese Pinelli. L’autore afferma: “Tuttavia, in nessun atto o documento storico si fa riferimento alla fucilazione a Vieste di decine di persone, tra cui 5 preti e 21 guardie nazionali.”

Infatti, il Molfese afferma che: “il Pinelli fece fucilare alcune decine di persone, tra le quali 5 preti, un ufficiale e 21 militi della guardia nazionale”.

Il Perrone e L’Anonimo, di cui prima, essendo liberali entrambi, non menzionano morti e stragi compiute dall’ufficiale piemontese. Lo stesso don Marco Della Malva, autore di “Vieste e la Daunia nel Risorgimento”, mentre da un lato si intrattiene nell’elencare ciò che fecero i briganti del “Principe” Luigi Palumbo durante l’assalto e la permanenza nella cittadina,  poco ci dice circa la repressione. Ed è anche vero che negli Archivi di Stato di Capitanata nulla traspare su quelle morti. Sembra proprio che nulla sia accaduto dopo la partenza del Palumbo (il capo brigante) e l’arrivo del Pinelli (il generale), via mare a Vieste.

In realtà, però, accadde proprio quello che Molfese ha trascritto, e tale circostanza è rintracciabile anche in Michelangelo De Grazia, Rodi Garganico nel Risorgimento Italiano, in “Rassegna Storica del Risorgimento”, anno 1931; cenni sulle reazioni dell’agosto 1861, stroncate dal Pinelli (un termine questo molto esplicito). Anche se Di Carlo, e questo va sottolineato, mette in piena luce le caratteristiche del Pinelli quando ne descrive le famigerate gesta marchigiane ed abruzzesi.

Ecco quindi la considerazione e l’incitamento che scaturisce da questa mia recensione: spero che Di Carlo si cimenti ancora una volta per portare alla luce le modalità di come fu “stroncata” la reazione borbonica di Vieste del 27 e 28 luglio 1861.

Ma al di là di questo piccolo rilievo, qual è il pregio del lavoro di Di Carlo?

Tra un Risorgimento pieno di errori, paure, ataviche ed anacronistiche persistenze sociali; tra una cittadina che vive e pensa di poter continuare a sfruttare il popolaccio, la plebaglia, immergendosi in rivalità familiari e giochi di potere locale e briganti, a loro volta privi di un quadro d’insieme, di una strategia di lotta, ma resi vitali dall’intuito e dalle sofferenze sociali, l’autore mette in luce il vero mondo contadino che in quel momento perse la possibilità di emanciparsi per colpa di una borghesia ottusa e retriva, da una parte e, dall’altra, da un potere reso cieco dalla sola voglia di possederlo.

Un quadro, un acquerello che vale la pena di leggere e di tenere tra i testi più importanti scritti sulla nostra Capitanata.

*Storico del Brigantaggio di Capitanata, premio Capone

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Sorgeranno negli ex ospedali oggi riconvertiti a Punti territoriali di as­sistenza. Anche la Puglia vara gli Ospedali di comunità, le strutture che il Decreto ministeriale 70 ha immaginato come ponte tra il ricovero e l’assistenza domiciliare: avranno a disposizione com­plessivamente 365 posti letto da spalmare su 22 Pta. La giunta ha infatti rece­pito lo schema di regolamen­to concordato a marzo in Con­ferenza delle Regioni, appor­tando però una serie di cor­rettivi. Intanto va detto che il nome di «ospedale» è fuor­viante, perché l’Ospedale di comunità è una struttura di assistenza territoriale in cui si entra con una diagnosi già definita e con la prescrizione (su ricetta rossa) del medico di famiglia: ed è lo stesso medico di famiglia che ha la responsabilità di seguire il pa­ziente.

Si tratta delle persone che, dimesse dall’ospedale «vero», devono completare un percorso di stabilizzazione (in tempi brevi: non oltre 20 giorni) o hanno necessità di rimanere sotto osservazione continua, op­pure hanno necessità di effettuare una ria­bilitazione che per qualche motivo non pos­sono fare a domicilio. Non casi complessi (sono esclusi i malati terminali e le persone con problemi cardiologici o neurologici), dunque, piuttosto una sorta di ponte as­sistenziale che si conclude con due pos­sibilità: il ritorno a casa oppure il trasfe­rimento in Residenze sanitarie assistite.

L’Ospedale di comunità è affidato alla sorveglianza «h24» di personale infermie­ristico (prevedendo anche la figura del «case manager»), mentre il paziente – come det­to – resta sotto la responsa­bilità clinica del medico di ba­se che ne ha prescritto il ri­covero. In caso di necessità fuori dagli orari di servizio deve intervenire la guardia medica, mentre in caso di emergenza ci si rivolge al 118 (come accade nelle residenze sanitarie generiche). La Pu­glia, come altre Regioni che sono già partite, ha scelto di affidare la direzione di queste strutture al direttore del distretto, mentre il Dm 70 prevedeva la responsabilità infer­mieristica: motivo per il quale la categoria, a livello nazionale, si sta mostrando estre­mamente critica. 

Rispetto allo schema concordato in Con­ferenza, la Puglia ha anche scelto di esclu­dere la possibilità di allocare gli Ospedali di comunità in strutture private accreditate. Un segnale eloquente della volontà di riu­tilizzare gli ex ospedali dismessi, di cui pure la giunta – su proposta del capo di­partimento Giancarlo Ruscitti – ha appro­vato i regolamenti di funzionamento: gli Ospedali di comunità sono previsti a Bitonto, Ruvo, Rutigliano, Campi Salentina, Nardo, Poggiardo, Maglie, Gagliano del Ca­po, Massafra, Grottaglie, S. Pietro Vernotico, Ceglie Messapica, Cistemino, Fasano, Minervino, Trani, Torremaggiore, S. Mar­co in Lamis, Monte S. Angelo, Troia, Vico e Vieste. L’assessorato sta definendo l’allo­cazione dei 365 posti definiti, che andranno a rinforzare i parametri di assistenza ter­ritoriale su cui la Puglia – negli ultimi anni – è risultata carente nel monitoraggio dei Livelli essenziali di assistenza. La novità è a costo zero o quasi, se si eccettua il com­penso previsto per i medici di medicina generale (ogni intervento è retribuito come una prestazione di assistenza domiciliare).

Ma è una carta in più da giocare nella partita che si apre in queste settimane al ministero, quella dall’uscita dal Piano ope­rativo: dimostrando di avere i conti in or­dine e di aver applicato i criteri di rior­ganizzazione previsti dal Dm70, la Regione può infatti chiedere di tornare – dal 1° gen­naio 2019 – alla gestione ordinaria del si­stema sanitario, che significa tra l’altro non dover dipendere dai ministeri nella pro­grammazione delle assunzioni. La decisio­ne ufficiale arriverà in aprile, ma già da gennaio si potrebbe capire che aria tira.

(ondaradio.info)

 

 
 

“Contadini e braccianti nel gargano dei briganti” a vico del gargano il 24 novembre - Postfazione di Saverio Cioce*

Di Carlo nel suo lavoro racconta, con una simpatia che non cede alla rassegnazione,  il mondo dei vinti. Ma non c'è nostalgia per gli sconfitti né per un regime o una monarchia in disarmo, operazione oggi in gran voga tra chi vuole rivedere e contestare, anche con ottime ragioni, la storia scritta dai vincitori.

In questo caso l'operazione che viene effettuata è completamente diversa e coinvolge l'intero Gargano in un complesso gioco di intrecci e alleanze.

Le voci dei due viestani che hanno lasciato memoria storica dei fatti, quelli che si svolgevano davanti ai loro occhi, sono a cavallo tra lo sbarco dei Garibaldini a Marsala, l'epopea dei Mille che risalgono l'Italia con l'aiuto di truppe sabaude vestite da civili (e consiglieri militari inglesi), l'instaurarsi della dittatura militare e il governo provvisorio sino al Plebiscito e poco oltre.

Qual è dunque la novità di questo lavoro?

Nessuno sinora aveva fatto l'operazione più completa, quella di mettere fianco a fianco, su pagine parallele, i fatti raccontati. Le due narrazioni vengono smontate, gli episodi dei diari sono appaiati con pignoleria notarile (sia detto con merito), in maniera da rendere visibili anche a noi, che viviamo un secolo e mezzo dopo quelle vicende, i fili sottili, le incertezze, le ansie di chi dovette lasciar casa per aver salva la vita e poi tornò per regolare i conti con i soldati.

Il pregio maggior di una narrazione fatta con questo metodo sta nell'accostare persone che sicuramente si conoscevano tra loro, ma nessuna delle quali sapeva che l'altro stava lasciando una testimonianza scritta.

Contraddizioni e limiti di una conquista che in undici anni cancellò sei stati sovrani per farne uno solo, sono patrimonio di una ristrettissima schiera di studiosi, studenti o storici per vocazione. A loro volta si dividono in favorevoli e contrari a quell'unificazione forzata, con le armi in pugno, che fu la prima e più sanguinosa guerra civile dell'Italia unita.

Michele Eugenio Di Carlo non affronta di petto la ripetuta favola del re Vittorio Emanuele e del suo primo ministro conte di Cavour che corrono ad aiutare le popolazioni meridionali, afflitte da sovrani dispotici.

Al contrario mette in fila gli atti di governo, articolo per articolo, che stanno lì a dimostrare le operazioni politiche di cui furono strumento. E di cui le popolazioni meridionali furono disarmato oggetto di imposizioni e vessazioni economiche e fiscali. Solo così è possibile ricostruire, centocinquant'anni dopo, quell'orizzonte di governo e la nascita del nuovo Stato di cui le vicende viestane furono tutt'altro che periferica testimonianza.

*Giornalista della Gazzetta di Modena

Saluto mons. Franco Moscone, nuovo arcivescovo di Manfredonia-Vieste-San Giovanni Rotondo. Papa Francesco ha voluto dal Piemonte indicare un nuovo pastore per la diocesi che abbraccia gran parte del territorio garganico. Una guida vicina ai fedeli, padre, come egli stesso ha tenuto a precisare nella sua lettera di presentazione alla comunità diocesana, prima ancora che presule e amministratore. Una nomina che pare essere una continuazione della pastorale avviata dal suo predecessore, mons. Michele Castoro, che ha saputo tracciare una strada inconfondibile e perpetua nel governo della comunità diocesana.
Sono sicuro che mons. Moscone saprà essere uomo del dialogo e del confronto fraterno e sereno per il progresso della comunità garganica, che ha tanta necessità di ritrovare voci e guide sicure in un cammino reso incerto dalle tante difficoltà, soprattutto per le nuove generazioni.
L'esempio dell'opera di mons. Moscone, così vivo nella comunità di Alba, il suo aperto schierarsi in difesa degli ultimi in un completo spirito missionario, saranno punto di riferimento per il Gargano e per tutta la Puglia, rinnovando un comune sentire e agire.

di Michele Eugenio Di Carlo

Quando nel 1991 il Centro di Cultura «Niccolò Cimaglia» decise di pubblicare il Quaderno n. 8, «I Cimaglia del 700»[1], l'intento dichiarato era quello di trarre dall'oblio i brillanti membri della famiglia Cimaglia: i fratelli Niccolò e Orazio, e i figli di quest'ultimo, Natale Maria, Domenico, Vincenzo.

In realtà Niccolò non era stato affatto trascurato, anche perché celebrato quale vescovo della diocesi di Vieste da Vincenzo Giuliani[2], suo concittadino e contemporaneo.

Niccolò Cimaglia era nato a Vieste nel marzo del 1712 da Natale e Geronima Chionchio. Una famiglia, quella dei Cimaglia, che lo storico garganico Tommaso Nardella fa risalire al 1422, quando Alfonso d'Aragona conquistò il Regno di Napoli, portandosi al seguito Pedro Cimaglia, il quale «si stabilì a Foggia con l'incarico reale di primo "credenziere della mena delle Pecore", dando inizio ad un rapporto dei Cimaglia con la Regia Dogana di Foggia che diventerà secolare. In seguito, un pronipote di Pedro, Liguoro Cimaglia, si imparenterà  con la famiglia dei baroni De Gennaro, titolari dei feudi di Boiano e di Bagnoli. Prima di ricomparire a Vieste nel Settecento, Nardella rileva l'esistenza di un Guglielmo Cimaglia, tra il 1521 e il 1526, al servizio di Carlo V nell'organizzazione e direzione dell'esercito, date «le sue indubbie  doti militari»[3].

 Niccolò, a 15 anni, sarebbe entrato nell'ordine dei Celestini. Compiuto il noviziato e ultimati gli studi, ventitreenne, fu ordinato sacerdote a Napoli, dove tra illustri letterati venne «destinato a leggere filosofia nel monasterio di S. Pietro a Majella», prima di tornare a Roma in qualità di lettore di teologia al monastero di S. Eusebio.

Stimatissimo dal Papa, lascia Roma, la corte papale, le amicizie influenti e le conoscenze altolocate, l'ambiente dotto e cattedratico, per la diocesi di Vieste. Il popolo di Vieste, dopo aver sofferto dal 1729 l'abbandono della sede da parte del vescovo Niccolò Preti Castriota, lo accoglie con inusitata esultanza, «espressa in elegante latino dal Canonico don Cesare Basciani, che ebbe l'onore di pronunziare il discorso di saluto nella Cattedrale»[4]. Basciani era, peraltro, lo zio del Dottor Vincenzo Giuliani, l'autore delle  “Memorie storiche”[5].

Giuliani, nelle sue “Memorie” non si soffermerà sull'eminente figura del Papa di quei tempi,  non potendo prevedere, né immaginare, la fama mondiale che il futuro  avrebbe lui riservato.

Non un Papa banale e ordinario Benedetto XIV, al secolo Prospero Lambertini, bolognese dalla proverbiale cordialità. Alla morte di Clemente XII, avvenuta nel 1740,  il cardinale Lambertini si era proposto con parole semplici ad un conclave che, perdurante da sei mesi, dettava scandalo: «Volete un buon uomo? eleggete me».

È unanimemente riconosciuto come il cardinale Roncalli del Settecento. Sempre tra la gente dei quartieri popolari di Roma, come un semplice parroco, si accerta direttamente delle precarie condizioni sociali delle classi subalterne e giunge, in pieno clima feudale, a concedere con un 'enciclica ai contadini poveri la spigolatura su tutti i terreni dello stato della Chiesa, fissando un'ammenda di 30 scudi contro i proprietari recalcitranti..

«A Benedetto non sfuggiva il fatto che con l'assolutismo dei sovrani si affermava sempre più il principio della religione di Stato, mentre col diffondersi dell'illuminismo il cristianesimo stesso rischiava una crisi di esistenza in un mondo sempre più laico [...] è lecito il sospetto […] che nel profondo del suo animo Benedetto fosse convinto di liquidare col tempo in gran parte il potere temporale della Chiesa… »[6].

Un Papa, la cui imponente e, – per certi aspetti –, ingombrante cultura, testimoniata da scritti e bolle, va oltre i limiti angusti dei suoi tempi. Una meteora, un fugace splendore che si ripresenterà dopo più di duecento anni con Giovanni XXIII.

E il vescovo Cimaglia, rispettato, ammirato, tenuto in alta considerazione da una personalità così rilevante e autorevole, illustre nei secoli a venire, non sarà da meno e corrisponderà in pieno alle aspettative papali.

Da Giuliani nulla trapela che vada oltre l'attività curiale e vescovile, se non che «fiorì a' tempi di monsignor Cimaglia la Montagna dell'Angelo in vari illustri soggetti. Don Celestino Galiano, celebre nel mondo letterario e politico, nato nella terra di S. Giovanni Rotondo, arcivescovo di Taranto, indi di Tessalonica, cappellano maggiore e ministro plenipotenziario del Re»[7].

Uno spunto utilizzato da Pasquale Soccio, nel tentativo di collegare possibili quanto probabili idee, pensieri, convergenze culturali tra Galiani e Cimaglia, nota l'analogia nelle carriere dei due, entrambi celestini e docenti al Sant'Eusebio in Roma, uno dei principali centri italiani di diffusione dei “Principia” di Isacco Newton, dove già nel secondo decennio del Settecento si erano cimentati su arditi testi newtoniani e cartesiani gruppi di studiosi,  tra i quali lo stesso Celestino Galiani, che aveva analizzato con sempre maggiore interesse i principi fisici del sistema copernicano. Non senza l'attenzione inquisitoria del Sant'Ufficio, tanto che Galiani dovette discolparsi dall'accusa di deismo newtoniano.

Chiaramente Soccio, insoddisfatto e ansioso di saperne di più, finisce per chiedersi: «Possibile, dunque, che non ci sia stato uno scambio di vedute tra i due docenti garganici Galiani e Cimaglia sia per dissenso o per consenso? Dal Giuliani nulla emerge, ma l'interrogativo rimane, soprattutto pensando agli ardimenti e relative inchieste subite da Celestino Galiani»[8].

E l'interrogativo, nonché l'ansia di conoscere, non può che riproporsi più forte, perché nel 1759 sorge a Vico del Gargano l'Accademia degli Eccitati, in pieno clima illuministico. E non ci si può non interrogarsi su quali rapporti esistettero tra il vescovo Cimaglia e personaggi di calibro di Domenico Arcaroli (futuro e ultimo vescovo della diocesi di Vieste) e di Michelangelo Manicone, che «lontani dalla seicentesca atletica penitenziale, tenuta invece viva dalle confraternite laiche, interpretano così la medesima temperie riformistica creata da Celestino Galiani, dall'arciprete canosino Domenico Forges Davanzati, dall'arcivescovo di Taranto Giuseppe Capecelatro o dall'arcidiacono Luca De Samuele Cagnazzi»[9].

Non fosse altro per intendere pienamente quali influenze culturali il vescovo Cimaglia abbia trasmesso ai nipoti: Natale Maria, Domenico Maria, Vincenzo, illustri ai loro tempi benché dopo coperti dalla coltre dell'oblio.

E' stato il presidente del Centro di Cultura, Giacomo Aliota, a interpretare il sinuoso, perché imprevedibile e inaspettato, percorso da cui nasce l'idea di rendere i giusti meriti ai Cimaglia del Settecento, riportandone azioni, opere, scritti, alla meritata e indiscussa rilevanza con l'intima soddisfazione di chi lavora al recupero della memoria storica del contesto in cui vive: «Anche questa opera è frutto del convegno su Uria garganica, organizzato a Vieste dal «Centro» e dall'Università di Lecce il 1987, che così profondamente ha inciso nella storia di queste nostre contrade [...] Fu in quella occasione che il presidente del convegno, lo stesso Pasquale Soccio [...] ci passò la tesi di laurea di Anna Maria Acquafredda su Vincenzo Cimaglia, un illustre figlio di Vieste, qui ignoto, ma non ignoto a suo tempo in Europa»[10].

Lo stesso Soccio ricorda l'episodio, non tralasciando di esprimere con  toni taglienti, da intellettuale eccelso qual era, le reazioni degli studiosi presenti: «Quasi totale fu la sorpresa non per la tesi, ma per la scarsissima conoscenza di un “tal Vincenzo Cimaglia”. Molti, abbozzando un manzoniano “chi era costui?”, ostentavano un disprezzo quale difesa preventiva della propria ignoranza»[11].

Così, finalmente, i Cimaglia del Settecento, affrescati dalla penna sapiente di Pasquale Soccio, sono riemersi dalle tenebre alle quali erano stati consegnati da quel «meccanismo perverso» per cui una comunità civile, più spesso di quanto sembri,  dimentica l'essenza stessa del suo essere nel divenire.

Questo testo, La Capitanata al crepuscolo del Settecento, tratterà in particolare delle proposte “eversive” sul mondo pastorale di Capitanata e della grande personalità di Domenico Maria Cimaglia.

Tratto dal testo "LA CAPITANATA AL CREPUSCOLO DEL SETTECENTO", disponibile a Vieste in libreria ed edicole. Su AMAZON con disponibilità immediata: https://www.amazon.it/dp/1724167871/ref=cm_sw_r_fa_dp_U_3RBUBbG11RD78

[1]  AA.VV., I Cimaglia del 700 , Centro di Cultura «N. Cimaglia» di Vieste, Foggia 1991.

[2] GIULIANI Vincenzo (Vieste 1734 - Vieste 1799), medico, studioso, fu l'autore delle Memorie storiche, politiche, ecclesiastiche della città di Vieste, pubblicate in prima edizione a Napoli nel 1768, prima e unica fonte sistematica e documentata delle antichità della città di Vieste.

[3] T. NARDELLA, Natale Maria Cimaglia: un illuminista garganico tardo settecentesco, in appendice Apuliae, et Dauniae veteris geographia, San Marco in Lamis, QS, 2010; ora in Le Terre della Dogana: opere e saggi, a cura di Antonio Motta, San Marco in Lamis, Quaderni del Sud, 2011, p. 1243.

 

[5]  Ibidem.

[6] C. RENDINA, I Papi - Storia e segreti, vol. II, Roma, ed. Newton § Compton, 2005, pp. 731-732.

[7] Ivi , p. 200.

[8] P. SOCCIO,  I Cimaglia nel Settecento - I due volti del Gargano (erbe e uomini: realtà e simboli), in AA.VV., I Cimaglia del 700 , Centro di Cultura «N. Cimaglia», Foggia, 1991, p.  18.

[9] F. FIORENTINO, L'accademia degli eccitati viciensi nel 1700, in Gargano antico e nuovo, Manfredonia, Edizioni del  Golfo, 1989, pp. 31-34.

[10] G. ALIOTA, Presentazione, in AA.VV. I Cimaglia del 700, cit., pp. 6-7.

[11] P. SOCCIO,  I Cimaglia nel Settecento - I due volti del Gargano (erbe e uomini: realtà e simboli), in AA.VV., I Cimaglia del 700, cit., p. 29

 

Incontro pubblico lunedì 22 ottobre alle ore 18.30, nell'aula consigliare del Comune, presente il responsabile nazionale mare e turismo di Legambiente.
 
L'ambiente pulito e le politiche di sostenibilità, assieme alla vivacità culturale, sono i fattori che più di tutti nel futuro orienteranno le scelte dei turisti. Vieste, la città che registra più presenze turistiche in Puglia, può farsi promotrice, sia in vista della prossima stagione estiva che in un'ottica di programmazione pluriennale, di un'agenda per la sostenibilità verso l'obbiettivo "Vieste perla del turismo sostenibile": E' questo lo scopo dell'incontro pubblico che si terrà lunedì 22 ottobre, alle ore 18.30 nell'aula consigliare del Comune di Vieste, promosso da amministrazione comunale e Legambiente. Un impegno auspicato da questa estate in occasione della tappa viestana di FestambienteSud. Il sindaco Giuseppe Nobiletti e gli assessori al turismo Rossella Falcone, all'ambiente Vincenzo Ascoli, all'urbanistica Maria Pecorelli, alla cultura Graziamaria Starace e all'agricoltura Dario Carlino si confronteranno con Sebastiano Venneri, responsabile nazionale Mare e Turismo di Legambiente, e con Franco Salcuni, responsabile beni culturali e direttore di FestambienteSud.
Un incontro aperto al contributo di tutti, per avviare una riflessione su una serie di idee che potrebbero, se ben profilate e offerte alla condivisione massima di operatori economici e cittadini di Vieste, puntare ad un incremento delle iniziative verso una città più sostenibile, meta turistica che punta alla qualità ambientale e dei servizi come elemento principale di attrattività, 
 
Il presente comunicato vale anche come invito.

Una nuova avventura ha preso avvio dall’Ipssar “E. Mattei” di Vieste e vede coinvolte tutte le scuole del territorio, I.I.S.S. “Fazzini-Giuliani” e Istituto Comprensivo Rodari-Alighieri-Spalatro.

Questa tappa porta il nome di Presidio scolastico di Libera, nato oggi 5 ottobre 2018 all’insegna dell’entusiasmo e della forza coinvolgente della comunità che ha riempito l’Auditorium del “Fazzini-Giuliani”, sede della manifestazione inaugurale.

Presenti il segretario provinciale di Libera, dott. Salvatore Spinelli, il vicepresidente nazionale di Libera e referente della memoria, dott.ssa Daniela Marcone,  il vice-sindaco, dott.ssa Rossella Falcone, i Dirigenti scolastici  Costanzo Cascavilla,  Pietro Loconte e Paolo Soldano,  il Tenente dei Carabinieri, dott. Nicola Porrari, il comandante delle forze della Finanza , dott. Benedetto Asciuti , il maresciallo della Finanza Leonardo Buoncristiano, le parrocchie nelle persone di don Gioacchino Strizzi, don Maurizio Guerra, don Celestino Iervolino, le Associazioni,  Antiracket con il presidente Giuseppe Mascia e “Nordic Walking Gargano” con il presidente Valentino Dirodi.

Assente per sopravvenuti impegni istituzionali , il Procuratore della Repubblica del tribunale di Foggia, dott. Ludovico Vaccaro.

Temi ricorrenti, l’impegno della comunità per una rinascita civile e per un rinnovato atteggiamento rivolto all’antimafia sociale.

 Il cambiamento è affidato all’opera costruttiva dei giovani e dei docenti in una progettualità comune i cui token sono: coltivare, raccontare, custodire, impegnarsi, partecipare, contagiare accomunati dalla forza rivoluzionaria del coraggio.

Il Presidio intitolato ad Hyso Telharay e a tutte le vittime innocenti del caporalato mafioso vuole proporsi come una nuova torre di avvistamento contro l’assedio dei promotori dell’illegalità, del disimpegno, dell’omertà e della morte.

Il giovane esempio di Hyso resta lo sprone per tutti affinché  non ci si arrenda  di fronte ai caporali di ogni tempo e con orgoglio e a testa alta si combatta per una vita all’insegna della dignità e della libertà.

Tutti noi siamo chiamati a dare il nostro impegno e la nostra forza perché la comunità cambi e la memoria di chi è morto per essa si conservi e renda fertili le terre che sono state macchiate dal loro innocente sangue.

Le scuole operanti nella cittadina sono disposte a muoversi in rete per raggiungere le mete fissate ed operare il cambiamento mostrando così la fiducia e la speranza che anima le nuove generazione a cui è affidato il PRESIDIO.

 

Erano circa le 13:20 del 5 ottobre 2018 quando arriva la richiesta di evacuazione medica dalla nave passeggeri Costa Luminosa alla Sala Operativa di questa Guardia Costiera: uno degli uomini dell’equipaggio ha bisogno di cure più specialistiche rispetto a quelle che può fornire il servizio sanitario di bordo. Il medico di bordo e il C.I.R.M. (Centro Internazionale Radio Medico) hanno concertato lo sbarco del marittimo affinché riceva cure specifiche in una struttura ospedaliera. La Costa Luminosa, partita dalla Grecia e diretta a Venezia, deviava la propria rotta a circa 15 miglia nautiche a sud di Vieste puntando verso questa località per velocizzare l’azione di soccorso. Ad una distanza di circa 2 miglia nautiche dal porto avveniva il trasbordo del paziente, il cuoco di bordo, sulla motovedetta CP880 della Guardia Costiera. Condotto a terra gli uomini della Guardia Costiera hanno affidato il cuoco al personale del Servizio Sanitario Nazionale 118 che l’ha trasportato al nosocomio di Manfredonia.

 

Fervono i preparativi per la Vieste Night Run, corsa non competitiva in programma sabato 8 settembre nella città di Cristalda e Pizzomunno. A poco più di una settimana dall’iniziativa, fortemente voluta dall’amministrazione viestana, l’entusiasmo cresce sempre di più.

La Vieste Night Run, che sarà percorribile sulla duplice distanza di 5 e 10 km, promette di essere un autentico spettacolo, con musica, divertimento e coinvolgimento di artisti. Niente ordine d’arrivo, ognuno potrà vivere la corsa a modo suo, in modalità “walking”, in compagnia di amici e parenti. Col sorriso sulle labbra e voglia di trascorrere una serata diversa.

Aperta a bambini e diversamente abili, la manifestazione vuole lanciare un messaggio forte e chiaro in termini di inclusione e puro sport. “L’evento – spiega l’assessore alla Socialità Graziamaria Starace – si pone in coerenza con la nostra idea di sport partecipato e aggregante. Niente barriere, solo tanta voglia di essere una comunità unica, coesa, all’insegna della positività e della fiducia. Non a caso abbiamo fortemente voluto che all’evento partecipassero atleti e persone diversamente abili. Per noi praticare sport vuol dire esattamente questo: tutti assieme, tendendosi la mano, verso un obiettivo comune”.

La Vieste Night Run avrà inizio alle 21 da Marina piccola e si dipanerà su un percorso che unisce le location più belle e suggestive della splendida città garganica. Tante le associazioni che hanno manifestato interesse all’evento, promettendo di partecipare in gruppo. Tra queste l’Agesci (gruppo scout Vieste 1) e l’associazione Angeli H, con il centro diurno.

Ma la “corsa sotto le stelle” è pronta ad abbracciare ulteriori realtà del territorio. “Vogliamo che l’evento – conclude l’assessore al Turismo Rossella Falcone – sia volàno di promozione della nostra città. La Night Run sarà il manifesto di una Vieste più bella e accogliente che mai. Con tantissimi bambini, adulti, corridori. Gente pronta a sposare il nostro messaggio”.

Molti sono i partecipanti provenienti da fuori Vieste, che hanno già formalizzato la propria iscrizione, prenotando anche la loro presenza nelle strutture ricettive della città. Da qualche giorno peraltro, oltre al canale del sito www.viestenightrun.it, è possibile iscriversi anche direttamente a Vieste, presso lo Snai Caffè di corso Lorenzo Fazzini.

 

Docenti universitari e scrittori contro “la secessione dolce” nascosta dietro l’autonomia fiscale lombardo-veneta.

Il Veneto, la Lombardia e sulla loro scia altre undici Regioni si sono attivate per ottenere maggiori poteri e risorse. Su maggiori poteri alle Regioni si possono avere le opinioni più diverse. Ma nei giorni scorsi è stata formalizzata dal Veneto (e in misura più sfumata dalla Lombardia) una richiesta che non è estremo definire eversiva, secessionista.

  • Per la stima delle risorse che lo Stato dovrebbe trasferire alle Regioni per le nuove competenze, la Regione Veneto propone di calcolare i “fabbisogni standard” in modo inaccettabile, tenendo conto non solo dei bisogni specifici della popolazione e dei territori (quanti bambini da istruire, quanti disabili da assistere, quante frane da mettere i sicurezza) ma anche del gettito fiscale e cioè della ricchezza dei cittadini. In pratica i diritti (quanta e quale istruzione, quanta e quale protezione civile, quanta e quale tutela della salute) saranno come beni di cui le Regioni potranno disporre a seconda del reddito dei loro residenti. Quindi, per averne tanti e di qualità, non basta essere cittadini italiani, ma cittadini italiani che abitano in una regione ricca. Tutto ciò è in aperta violazione con i principi di uguaglianza scolpiti nella Costituzione. Non solo: per raggiungere questi risultati discriminatori, si sfrutta un vuoto normativo denunciato più volte dalla Corte costituzionale: dal 2001, infatti, nessun Governo ha trovato il tempo di definire i LEP, i livelli essenziali delle prestazioni sociali e civili da garantire in misura omogenea a tutti i cittadini italiani, ovunque residenti. E se non si sa “quanto costano” i LEP, come si può stabilire l'entità delle risorse da assegnare alle Regioni per garantirne il godimento ai cittadini? Ove si procedesse all'incontrario, ovvero: prima trasferire risorse alla Regioni, poi stimare il costo dei LEP, qualcuno potrebbe accaparrarsi più del necessario senza che sia evidente a chi lo stia togliendo. È inaccettabile che in diciassette anni non si sia fissato il valore dei LEP, a vantaggio di tutti i cittadini italiani, mentre in pochi mesi si sia arrivati alle battute consultive del processo di autonomia differenziata, a vantaggio di pochi.
  • La Regione Veneto ha chiesto di avere potere esclusivo su materie che vanno dall'offerta formativa scolastica (potendo anche scegliere gli insegnanti su base regionale), ai contributi alle scuole private, i fondi per l'edilizia scolastica, il diritto allo studio e la formazione universitari, la cassa integrazione guadagni, la programmazione dei flussi migratori, la previdenza complementare, i contratti con il
    personale sanitario, i fondi per il sostegno alle imprese, le Soprintendenze, le valutazioni sugli impianti con impatto sul territorio, le concessioni per l'idroelettrico e lo stoccaggio del gas, le autorizzazioni per elettrodotti, gasdotti e oleodotti, la protezione civile, i Vigili del Fuoco, strade, autostrade, porti e aeroporti (inclusa una zona franca), la partecipazione alle decisioni relative agli atti normativi comunitari, la promozione all'estero, l'Istat, il Corecom al posto dell'Agcom, le professioni non ordinistiche. E altro, perché l'elenco è incompleto. In questo modo, verrebbero espropriati della competenza statale tutti i grandi servizi pubblici nazionali e verrebbe
    meno qualsiasi possibile programmazione infrastrutturale in tutto il Paese.
  • La Regione Veneto propone pure che il Parlamento dia una delega totale e al buio al Governo e che tutte le decisioni siano prese da una Commissione tecnica Italia-Veneto. Secondo la Costituzione non può essere così: il Parlamento non può essere espropriato del diritto-dovere di legiferare su questioni decisive per il futuro dell'Italia. Siamo di fronte a uno stravolgimento delle basi giuridiche su cui è sorta la Repubblica italiana. Una materia di tale portata non può e non deve essere risolta nei colloqui fra una rappresentante del Governo e uno della Regione interessata
    (oltretutto, dello stesso partito e della medesima regione). Tutti i cittadini italiani hanno il diritto di essere coinvolti nella decisione, che riguarda tutti, sia attraverso i propri rappresentanti parlamentari, sia attraverso un grande dibattito pubblico, in cui porre in luce e discutere obiettivi, contenuti e conseguenze di tali proposte. Solo così i cittadini possono valutare e decidere.

Pertanto i sottoscritti cittadini italiani chiedono al Presidente della Repubblica e ai Presidenti del Senato e della Camera dei Deputati

  • che ai parlamentari sia garantito il diritto-dovere di intervenire in tutti i passaggi della procedura su una questione fondamentale, con una approfondita discussione e analisi nelle Camere e che, contemporaneamente, sia garantito il diritto dei cittadini a essere informati dettagliatamente e costantemente, attraverso la tv pubblica, il coinvolgimento di esperti indipendenti e il confronto fra tesi diverse;

i sottoscritti cittadini italiani, in secondo luogo, chiedono ai parlamentari di tutti gli schieramenti

  • che nessun trasferimento di poteri e risorse a una Regione sia attivato finché non siano definiti i “livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale" (art. 117, lettera m della Costituzione); e che il trasferimento di risorse sulle materie assegnate alle Regioni sia ancorato esclusivamente a oggettivi fabbisogni dei territori, escludendo ogni riferimento a indicatori di ricchezza.

* Gianfranco VIESTI, docente di economia, Università di Bari;

* Vito TANZI, già docente università di Washington e dirigente Fondo monetario internazionale;

 

* Piero BEVILACQUA, già docente di storia contemporanea alla Sapienza di Roma;

* Antonio GIORDANO, oncologo, docente alla Jefferson University di Philadelphia Pennsylvania, United States, docente di anatomia patologica all'Università di Siena.

* Albina COLELLA, docente di geologia, università della Basilicata;

* Domenico CERSOSIMO, docente di economia università della Calabria;

* Vittorio DANIELE, docente di economia, università Magna Grecia;

* Paolo MALANIMA, docente di economia, università della Magna Grecia;

* Isaia SALES, docente di storia delle mafie, Suor Orsola Benincasa di Napoli;

* Marta PETRUSEWICZ, docente di storia moderna, università della Calabria;

* Saverio RUSSO, docente di storia moderna, università di Foggia;

 

* Giuliano VOLPE, docente di archeologia, università di Foggia;

* Francesco BENIGNO, docente di storia moderna, Scuola Normale Superiore di Pisa;

* Alfonso CONTE, docente scienze politiche, università di Salerno;

* Ettore BOVE, docente economia politica, università della Basilicata;

* Nicola OSTUNI, docente di storia economica, università Magna Grecia; 

* Nicola GRASSO, docente di diritto costituzionale, università del Salento;

* Guglielmo FORGES DAVANZATI, docente di economia, università del Salento;

* Giuseppe GANGEMI, docente scienze politiche, università di Padova;

* Roberto VERALDI, docente di sociologia, università di Chieti;

* Eduardo LAMBERTI CASTRONUOVO, docente di etica dell'informazione alla Mediterranea di Reggio Calabria;

* Giancarlo COSTABILE, docente di storia della pedagogia, università della Calabria;

* Pietro DALENA, docente di storia medievale, università della Calabria;

* Charlie BARNAO, docente di sociologia, università Magna Grecia;

* Carlo IANNELLO, docente di diritto pubblico, università Vanvitelli;

* Antonio IAVARONE, M.D., Department of Neurology and Institute for Cancer Genetics, Columbia University;

* Marco PLUTINO, docente di diritto pubblico, Università di Cassino;

* Erasmo VENOSI, fisico nucleare, consulente su impatto ambientale e sostenibilità economica grandi opere;

* Mila SPICOLA, docente e consulente del Miur;

* Alberto LUCARELLI, co-direttore della rivista "Rassegna di diritto pubblico europeo";

* Giovanni SINISCALCHI, avvocato;

* Sergio D'ANGELO, operatore sociale, presidente Gesco;

* Pino APRILE, giornalista e scrittore;

* Maurizio DE GIOVANNI, scrittore;

* Mimmo GANGEMI, scrittore;

* Domenico IANNANTUONI, ingegnere e scrittore;

* Nicola MANFREDELLI, giornalista, direttore Parco della Grancia;

* Lino PATRUNO, giornalista e scrittore;

* Raffaele VESCERA, giornalista e scrittore;

* Michele Eugenio DI CARLO, Società di Storia Patria;

* Paolo SPADAFORA, economista.

 

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