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Foggia incontra Mari Albanese per "l'impegno politico e sociale come potente antidoto alle mafie".

Il racconto di una serie di interviste esclusive, registrate poco prima della scomparsa di Felicia Bartolotta, la coraggiosa madre di Peppino Impastato che dopo la morte di suo figlio, ucciso dalla mafia il 9 maggio 1978, ha trasformato il suo dolore in un attualissimo messaggio di speranza per il futuro.

È il contenuto di “Io FELICIA. Conversazioni con la madre di Peppino Impastato”, il libro che Mari Albanese presenterà sabato 18 novembre, alle 17.30, ospite della Comunità Politica per Foggia presso la sede di Via Manzoni, 78 a Foggia.

Mari Albanese, coautrice con Angelo Sicilia del libro edito da Navarra Editore, racconterà della lunga testimonianza raccolta nell’estate del 2002 da Felicia Bartolotta. La donna parla della sua vita, del rapporto col marito e con l’ambiente mafioso di Cinisi, dell’amore per suo figlio e della scelta, dopo l’omicidio di quest’ultimo per mano di Cosa Nostra, di aprire le porte della sua casa ai\alle giovani, per coltivare la memoria e la speranza. A moderare l’incontro ci sarà Michele Del Sordo, attivista di San Giovanni Rotondo e amico di Casa Memoria Felicia e Peppino Impastato.

Angelo Sicilia e Mari Albanese sono stati due giovani attivisti, tra gli animatori del primo Forum Sociale Antimafia di Cinisi. Le conversazioni raccolte da Felicia sono intime e toccanti e, al tempo stesso, uno stimolo a trasformare le emozioni in agire quotidiano.

Le figure che andremo ad approfondire, quella di Felicia Bartolotta e quella di Peppino Impastato”, affermano dalla Comunità Politica, “incarnano tanti degli aspetti che più rappresentano il nostro essere: l’impegno politico e sociale come vero antidoto alle mafie, come strumento di informazione e riscatto per la collettività; la forza di una donna che, come tante nel nostro mondo, prova a ribaltare i rapporti di forza e le dinamiche violente che abitano la società”.

La Comunità Politica per Foggia è al lavoro, dopo la tornata elettorale, per irrobustire un impegno che vede i suoi cardini nella partecipazione dal basso e nella costruzione di legami comunitari tra le persone interessate alle questioni cittadine.

Tre studiosi e scrittori effervescenti, di quella nuova schiera che sa comunicare in modo brillante e trasformare ogni incontro in una perfomance. Da venerdì 17 novembre prossimo, torna “Una campagna di libri”, rassegna letteraria ideata e organizzata da Paola Grillo e dal Gruppo di Lettura “Gli Spaginati”, prodotta e ospitata da “la Massarìa - agriresort”, azienda agrituristica alle porte di Stornara, in provincia di Foggia.

Organizzato sotto gli auspici del CEPELL, il Centro per il Libro e la Lettura, con la collaborazione della Biblioteca “La Magna Capitana” di Foggia e della libreria Ubik di Foggia, il ciclo di incontri è pensato “per promuovere il libro e la lettura attraverso la valorizzazione di autori locali con modalità originali e in un contesto, quello delle campagne del nostro Tavoliere delle Puglie, che favorisce la condivisione delle emozioni e della cultura”, spiega Paola Grillo.

Il primo appuntamento di venerdì prossimo, 17 novembre 2023, è con Mariano Laudisi e il suo libro “La scuola della felicità. Strategie didattiche per le life skills e la crescita personale”, edito da Sanoma, nata in Finlandia dove è la realtà principale nel campo cross-media, oggi leader nel mercato education in Europa dove raggiunge milioni di persone ogni giorno. 
Laureato in Filologia moderna all'Università di Foggia, docente di Italiano nella scuola secondaria di primo grado, Laudisi è ideatore del progetto “Le Scuole della Felicità” attraverso cui forma docenti e studenti con strumenti, conoscenze e pratiche mutuate dalla Psicologia Positiva e dalla Programmazione NeuroLinguistica. Nucleo del libro e del progetto è lo sviluppo delle “life skills”, proposte come centrali dall’Organizzazione Mondiale della Sanità già nel 1994: competenze che, se educate e esercitate quotidianamente a scuola, consentono a studentesse e studenti di individuare la propria vocazione e sviluppare il proprio talento.
A dialogare con Laudisi, a partire dalle 18:30, sarà Matilde Iaccarino, dirigente dell’Istituto comprensivo “Giovanni Paolo I” di Stornara, che ha collaborato all’organizzazione di questo primo appuntamento con “Una campagna di libri”.

Venerdì 15 dicembre tocca a Rocco Dedda e al suo “La matematica della felicità” (edito da Piemme), il nuovo libro del professore di matematica e astro nascente della divulgazione online con il suo format “Un quarto d’ora con il prof”.

Sarà un romanzo, “Il respiro delle ombre” (edito da Luoghinteriori), al centro dell’incontro di venerdì 24 gennaio 2024 con Domenico Sivilli, dottore di ricerca in Sociologia e docente di Filosofia e Scienze umane, che si occupa di ricerca teorica e scrittura narrativa.

Nel panorama culturale italiano, Goffredo Coppola merita un posto di rilievo, se non fosse che la storia del secolo scorso risulta ancora contrassegnata da pregiudizi ideologici e politici.

Nel 1944 uscì una raccolta di articoli di Coppola – dal titolo Trenta danari - scritti nel periodo bellico per il “Popolo d’Italia”, “Civiltà Fascista” e “Corriere della Sera”: il titolo del libro fa riferimento all’episodio del tradimento di Giuda, mentre la maggior parte degli articoli si collega a episodi del Vecchio Testamento, di cui l’autore offre una lettura attualizzata. “Trenta danari. Il più formidabile atto di accusa contro il giudaismo capitalistico è qui, nel turpe baratto dei trenta danari, che il tempio d’Israele paga perché sia tradito Gesù, e che al tempio d’Israele ritornano intrisi di quel sangue e maledetti perfino da Giuda”, così scriveva Goffredo Coppola.

A distanza di oltre settant’anni, ci ha pensato la casa editrice Edizioni all’insegna del Veltro (2020, 15.00) a riesumare dall’oblio la figura e il nome dell’illustre latinista e grecista, con la ripubblicazione della raccolta “Trenta danari”, che denota una buona conoscenza dei testi biblici.

«Ma Coppola professò il suo antiebraismo anche altrove ed in altri momenti», evidenzia Flavio Costantino nel suo saggio introduttivo all’opera, quest’ultima impreziosita da una interessante appendice di Claudio Mutti, dal titolo “Gli ebrei sono semiti?”.

L’importante filologo, nato il 21 settembre del 1898 in provincia di Benevento, è figlio delle trincee della Grande Guerra, animato da un potente amor di patria. Fu ricercatore di edizioni rare di libri: durante la sua breve vita, mise insieme una biblioteca imponente, facendone poi dono all’Università di Bologna. Goffredo Coppola testimoniò, sacrificando la sua vita, la fedeltà ad una scelta nella quale si era totalmente riconosciuto. «Morirò con Mussolini» si confidò con un suo amico nei primi giorni del 1945. Come filologo, Coppola scrisse circa un centinaio di saggi, in cui cercò di ravvivare il mito di Roma, avendo considerato l’espansionismo fascista come un ritorno alla vocazione imperiale.

Nel 1943 fu eletto all’unanimità Rettore dell’Università felsinea, votato anche da coloro che non erano schierati politicamente dalla stessa parte, ma gli riconoscevano un grande valore culturale e umano. Resta attuale il pensiero “europeista” dell’ex ministro della Repubblica Sociale Italiana. «Come un tempo era orgoglio dell’uomo civile chiamarsi e sentirsi civus Romanus, così sarà orgoglio, domani, chiamarsi e sentirsi civis Europaeus”…. Ecco perché all’Europa che gli eserciti anglo-americani e sovietici vorrebbero sovvertire in nome di un cosmopolitismo adoratore del biblico vitello d’oro e della vacca rossa, noi opponiamo la coscienza di una solidarietà europea che nasce dalla consapevolezza delle singole individualità nazionali», ebbe a scrivere Coppola. Nella quadreria del Rettorato, si trova il suo ritratto tra quelli degli altri rettori. E’ un pezzo di storia che appartiene all’Ateneo, alla città di Bologna e all’Italia. Risale a dieci anni fa l’ultima polemica sulla presenza del suo ritratto presso l’Università, realizzato nel 1952 da Gino Marzocchi. Se nel 1945 l’assassinio per mano partigiana ha posto fine alla sua vita terrena, qualcuno oggi vorrebbe cancellarne anche la memoria. Appare quindi fondamentale la ristampa delle Edizioni all’Insegna del Veltro. A ricordare, attraverso gli scritti e le opere, questi italiani, uomini di tempra rara, di cui si avverte la mancanza.

Mercoledì 1 novembre, ore 18.30, negli spazi della libreria Ubik di Foggia. La giovane latinista Dalila D’Alfonso presenta la sua nuova traduzione edita da Rusconi.

Catullo pazzo d’amore. Catullo disperato – miser. Catullo dell’ammontare dei baci, di “Lesbia mia”, dell’odi et amo del leggendario Canto 85 – excrucior: “mi dilanio”. Ma anche Catullo di Giovenzio dagli “occhi di miele”, di Egnazio che ride sempre, di Ipsitilla e Quinzia e Aurelio e Furio. Poeta dell’Urbe, intimo e mondano, come scrive nell’introduzione – dedicata a Giovanni Cipriani, docente mai dimenticato dell’Ateneo foggiano – la professoressa Grazia Maria Maselli, prima dei celeberrimi Canti del poeta veronese. È su di lui la serata di mercoledì 1 novembre (ore 18.30), in programma negli spazi della libreria Ubik di Foggia: la giovane docente e latinista Dalila D’Alfonso presenta la sua traduzione (con ricco compendio di note) dell’opera di Catullo, fresca di pubblicazione per Rusconi. Un incontro dedicato al poeta dei baci, in realtà autore di un nuovissimo canone poetico, amato e imitato, di cui è possibile apprezzare questa nuova versione in italiano corrente. A conversare con Dalila D’Alfonso, ricercatrice e studiosa foggiana, sarà l’autore e giornalista Tony di Corcia.

Canti (Rusconi, ottobre 2023). Presentato dallo stesso autore come libellus lepidus e novus, l’eterogeneo corpus di poesie di Catullo, con i suoi 116 componimenti, riflette i canoni di un nuovo comporre, erudito e raffinato, in grado di tradurre il linguaggio tutto umano dell’interiorità. Dalle nugae agli epigrammi, passando per i carmina docta: il poeta veronese scandaglia con attenta vivacità, non senza una dose di ironia, le sfumature molteplici dell’animo, tra amori, amicizie, pubbliche rivalità, privati impulsi. Con la sua sorridente e viva callidità, Catullo attraversa la tradizione per giungere a esiti di straordinaria originalità: la sua raccolta, multiforme eppur coerente nei toni e nelle tematiche, ci giunge come attuale mosaico di autentici sentimenti umani.

Dalila D’Alfonso. Dottoressa di ricerca in Cultura, Educazione, Comunicazione e docente di Discipline letterarie e Latino nei Licei. È studiosa di ricezione della cultura latina e fortuna dei modelli classici nella letteratura moderna e contemporanea. Si è occupata, in particolare, della produzione dei poeti Catullo e Ovidio, oltre che di letteratura dell’esilio e della migrazione.

Domenica 29 ottobre, ore 18.30, negli spazi della libreria Ubik di Foggia. Il medico psichiatra psicoanalista, tra i maggiori esperti di disturbi alimentari.

È uno dei più autorevoli esperti di disturbo del comportamento alimentare, direttore dell’Istituto Auxologico Italiano, ospite in qualità di psichiatra e psicoanalista nei principali format televisivi di cronaca e attualità. Ed è, soprattutto, figlio di questo territorio: Leonardo Mendolicchio ritrova in anteprima il pubblico della sua città, in occasione del suo nuovo lavoro editoriale, fresco di pubblicazione. Domenica 29 ottobre, alle ore 18.30, l’autore presenta il libro Fragili. I nostri figli, generazione tradita (Solferino, 2023) negli spazi della libreria Ubik di Foggia. Questa mattina, sabato 28 ottobre, dalle ore 10, Leonardo Mendolicchio è stato ospite dell’Ordine dei Medici di Foggia, in un incontro di taglio scientifico incentrato sui temi del suo ultimo libro.

Fragili. I nostri figli, generazione tradita (Solferino, ottobre 2023). Nel trauma della recente pandemia siamo stati travolti da un inatteso e inquietante fenomeno che ha turbato medici e terapeuti, che ha reso difficili i giorni di molte famiglie e che ha messo in crisi il sistema delle cure della neuropsichiatria infantile e giovanile. Un fenomeno strisciante che dall’estate del 2020 ha iniziato a manifestare la sua presenza come un’onda che faceva sbattere sulla porta delle nostre case un crescendo di preoccupazioni e che ha presto mostrato il suo vero volto. Migliaia di famiglie portavano con loro un profondo bisogno di aiuto a causa di figli che stavano soffrendo, e che non riuscivano più a nascondere i segni di quell’indicibile travaglio interiore: ripetuti tagli inflitti da pratiche di autolesionismo inarrestabili, fughe reiterate dalla scuola, forme di anoressia acute e gravissime, nonché cupezza depressiva contraddistinta da idee di morte angoscianti. Mentre gli ospedali si riempivano di malati di Covid, le scuole si svuotavano e si accumulavano le liste d’attesa per i pochi reparti di neuropsichiatria infantile presenti in Italia, i medici al loro interno ascoltavano le richieste di aiuto esplicite dei familiari adulti coinvolti, e quelle molto spesso mute dei loro figli. Tra di loro, l’autore di questo saggio illuminante e carico di umanità e insieme di competenza, che per la prima volta affronta quella che è una vera e propria emergenza ancora in corso per buona parte delle famiglie italiane, il buco nero che ha rischiato (e ancora rischia) di inghiottire una intera generazione di adolescenti e preadolescenti. Per tutti loro, per tutti noi, finalmente un libro chiaro e attendibile, delicato e utile, scritto da uno degli psicoterapeuti dell’età evolutiva più noti in Italia.

Leonardo Mendolicchio. Medico psichiatra psicoanalista, è membro della scuola lacaniana di psicoanalisi e dell’Associazione mondiale di psicoanalisi. Dirige due reparti per la riabilitazione e la cura dei disturbi alimentari e obesità (Riab. Adulti e Auxologia) dell’Istituto Auxologico Italiano. Supervisore scientifico della docuserie tv Fame d’amore in onda su Rai 3, è spesso chiamato in programmi televisivi e radiofonici a contribuire al dibattito su temi legati al disagio psichiatrico psicologico. Ha già pubblicato Bisogna pur mangiare (2017), Prima di aprire bocca (2018), Il peso dell’amore (2021). È founder del progetto Food For Mind (www.foodmind.it).

L’autrice incontra in anteprima il pubblico della sua città. Mercoledì 25 ottobre, ore 18.30, negli spazi della libreria Ubik di Foggia. La docente presenta il suo romanzo d’esordio dal titolo “Una sezione volante”.

“Professoressa, non vorrei sbagliarmi ma qui sotto c’è qualcosa”. Comincia così l’avventura dell’archeologa Marisa Ferreri: durante uno scavo, una sua studentessa trova uno scheletro. Ordinaria amministrazione? Non proprio, perché sotto le costole c’è anche un peacemaker: difficile imputarlo al XII secolo. Marina D’Errico, docente e archeologa, disegna un avvincente giallo d’ambientazione archeologica, al centro del suo romanzo d’esordio dal titolo Una sezione volante (Albatros, 2023): mercoledì 25 ottobre, alle ore 18.30, lo presenta in anteprima negli spazi della libreria Ubik di Foggia, la sua città. A conversare con l’autrice, sarà la giornalista Monica Gigante.

Una sezione volante (Albatros, 2023). La dottoressa Marisa Ferreri, esperta in Archeologia medievale, è concentrata sullo scavo in una porzione di territorio accanto alla cattedrale di Villaombrosa. Il suo mestiere, pur essendo affascinante, non nasconde quelle insidie che spesso sono celate da falsi onori e false considerazioni. Polvere e sudore, freddo e umidità accompagnano le giornate di Marisa, la quale, imperterrita, svolge il suo lavoro con passione e dedizione. È proprio in una di queste giornate, la quale già aveva preso avvio con certe sue riflessioni amare sulla superficialità di alcuni suoi giovani collaboratori laureandi in Archeologia, che accade l'impensabile. Il ritrovamento in una sezione dello scavo di uno scheletro, assolutamente non imputabile all'epoca medievale, per opera di una sua assistente, mette in moto una serie di situazioni che conduce in un intricato dedalo di organizzazioni malavitose che operano indisturbate sul territorio da molto tempo. Per Marisa Ferreri sarà decisivo l'incontro con l'ispettore di Polizia, Paolo Grassi, da cui scaturiranno una fruttuosa collaborazione e un rapporto speciale, risvegliando nei loro cuori sensazioni sopite dal tempo dalla noia e dall'incapacità di relazionarsi con il mondo circostante. In Una sezione volante, Marina D'Errico ci offre una descrizione dettagliata di quel che avviene tra gli scavi archeologici, tra i quali si insinua una storia tinta di giallo, con note avvincenti e piene di suspense.

Marina D’Errico. Nata a Foggia nel 1966, dopo la Laurea in Lettere presso l’Università di Bari con tesi in Archeologia Medievale e Storia dell’Arte, ha conseguito la laurea specialistica in Storia dell’arte e delle Arti Minori presso l’Università di Napoli “Federico II”. Ha partecipato a campagne di scavo archeologico in collaborazione con l’Università di Bari e di Siena e con il Germanischen National Museum di Norimberga ed ha svolto attività di catalogazione per la Soprintendenza Archeologica della Puglia. Ha successivamente conseguito un Master in Economia e gestione di beni e strutture artistico-culturali a Bari con stage presso la società Aicer di Bologna. Attualmente è docente di Lettere presso il Liceo Scientifico “G. Marconi” di Foggia. Ha collaborato a riviste e settimanali locali e nazionali in qualità di redattore e redattore capo, occupandosi di temi didattici e culturali, di tutela e conservazione dei beni culturali e del patrimonio storico-artistico ed archeologico del territorio.

Le Città Invisibili, pubblicate nel 1972 da Calvino, di cui quest’anno si celebra il centenario della nascita, come opera letteraria si inseriscono entro un’ampia serie di scritti, di tipo filosofico, sul tema della città ideale, che già da Platone in poi si disegna, nella storia del pensiero, come progetto di una città futura, o possibile, di contro ad una città reale, che mostra i suoi limiti evidenti, e che è “infelice” nel senso più ampio del termine. Faccio qui riferimento ad opere come La Repubblica di Platone; l’Utopia di Tommaso Moro; La Città del Sole di Campanella; La Nuova Atlantide di Bacone; Il Programma di Gotha di Marx.

La città ideale non è necessariamente uno spazio geografico, un luogo, un sito. La città ideale è dentro chi la abita, e vive in quella dimensione interiore dello spazio e del tempo dell’umanità di ogni tempo e di ogni spazio. Ma anche scontro tra ideale e reale, in cui spesso non esiste alcuna possibilità di conciliazione dialettica.

La riflessione sulla città è portata avanti anche da Nietzsche, in Così Parlò Zarathustra, quando la mette a confronto con la montagna, da cui il protagonista del viaggio proviene, e la paragona alla carta straccia di cui sono fatti i giornali che la raccontano, giorno dopo giorno.

Nelle Città Invisibili di Calvino si assiste ad un dialogo immaginario tra il mercante veneziano Marco Polo e l’imperatore dei Tartari Kublai Khan, il cui regno è ormai in rovina. Kublai chiede, perciò, a Marco Polo di esporre un resoconto dei suoi viaggi, per narrargli di tutte le favolose città che l’esploratore ha visitato. Polo inizia il racconto parlandogli di città che hanno tutte un nome di donna, e che, come le donne, sono originali e uniche, nel loro genere, e dunque tutte diverse, l’una dall’altra. La città, difatti, è da sempre emblematico luogo di scontro tra ideale e reale, proprio come le donne.

La città com’è nella sua realtà, spesso si trova a dialogare con la città ideale, dei sogni e dei desideri, in una costante dialettica fatta di memoria del passato, che attraverso i segni del presente si muove verso la città del futuro, la città possibile, del desiderio. Le conquiste umane, difatti, sono tutte labili. Soltanto il sogno, e i grandi ideali, possono rendere eterne ed immortali le muraglie delle città, destinate a crollare cedendo al tempo, e alle aggressioni della natura o dell’uomo. Ma, per raccontare una città, non bisogna forse viverla a fondo? E vivere una città vuol dire abitarla o solo visitarla da straniero, o peggio ancora sentirla raccontare dalla narrazione di un viaggiatore?

La dimensione del viaggio è sempre quella di una ricerca interiore. Si viaggia, essenzialmente, per conoscere se stessi attraverso i luoghi estranei e nuovi che si visitano. Come se nel girovagare del viaggiatore scorresse la trama di tutto il suo passato e, dal presente, prendesse nuova linfa vitale il progetto di un futuro, e di ogni futuro, ancora possibile. Perché il tema della città si lega, inevitabilmente, a quello del viaggio e del viaggiare. Ed il tema del viaggio fa riferimento a quello di una ricerca anche interiore, che si muove all’indietro, nel tempo, a scandagliare il passato nella memoria, e al contempo in avanti, nella dimensione onirica del desiderio, che palesa già nuovi orizzonti futuri. La città è infatti passato, presente e futuro, come patrimonio della memoria, dei segni e del desiderio, sognato, malinconico e nostalgico allo stesso tempo. Le città si stratificano l’una sull’altra al trascorrere del tempo, geologia della memoria e della storia andata.

Ma era migliore la città del passato o bisogna preferirle la metropoli futuristica? In ogni città c’è la città passata, quella presente, e quella futuribile. In cui le parole possono dire fino ad un certo punto. A raccontare sono le piazze, le strade, i monumenti, le chiese, la gente che vi abita, con i suoi riti, le credenze, la cultura e la devozione che manifestano ed esprimono attraverso celebrazioni popolari.

La città, è per ciascuno, sempre la risposta ad una domanda, di affetti, di relazioni, di amore, di lavoro. Tutto ciò che si chiede ad una città dovrebbe condurre alla felicità dei suoi abitanti. Si vive in una città perché lì c’è lavoro, o per inseguire un amore. Ma la città è spesso anche abbandonata dai suoi concittadini. La storia delle partenze coatte è un po’ la narrazione delle grandi migrazioni, in cui masse enormi di gente si spostano da continenti e siti geografici più difficili verso luoghi più ospitali.

Tra Quattrocento e Cinquecento si viaggiava per esplorare nuovi mondi e scoprire nuove terre. Oggi si viaggia per fuggire da guerre, o da situazioni emergenziali in cerca di fortuna. Soprattutto dall’Africa settentrionale, ma anche dall’Africa del Sud. Oppure dai paesi dell’est Europa e dall’Ucraina. Quando si tratta di attraversare i mari, ci si imbarca su mezzi di fortuna, tante volte destinati a fare naufragio. I fuggitivi sono disperati e convinti di trovare in Europa ciò che non hanno mai avuto nella loro terra: pace e un lavoro  dignitoso, che permetta di vivere progettando un futuro per se stessi e per le loro famiglie. Eserciti di badanti, di lavavetri ai semafori, di braccianti della terra e di nulla facenti, arrivano in Italia con la speranza di iniziare una nuova vita e di trovarvi un futuro migliore. Quanta disperazione negli occhi, e che differenza, questi viaggiatori della speranza, dalle spedizioni di Colombo e di tutti gli altri esploratori del passato, primo tra tutti proprio lo stesso Marco Polo!

La città, difatti, è anche negli occhi di chi la guarda. Se è abitata da gente infelice, la città sarà guardata soprattutto verso il basso. Chi è felice, invece guarda all’insù, verso il cielo, da altre prospettive, osservando una città assolutamente differente da chi la vede soltanto dai bassifondi.

Le città sono come esseri umani. Ogni città gode di una nomea, ma spesso la città viva, reale, abitata, è assai diversa dalle sue descrizioni immaginarie, che fissano un giudizio una volta per tutte, cancellandone il movimento, ed il cambiamento sempre ancora possibili.

 

Le città invisibili   Antonietta Pistone 2022

Le città invisibili sono quelle svuotate dalla pandemia, quelle distrutte dalle guerre, quelle spopolate dalle assenze delle persone che non riusciamo ad incontrare o che non vedremo più perché non ci sono più... Ma sono anche quelle dei luoghi che non abbiamo ancora visto e che visiteremo solo nei sogni. E poi quelle interiori, della geometria sentimentale, nascoste all'altrui sguardo di superficie. Ogni città è ciò che è e ciò che non è ancora, ma potrebbe essere. Ad ogni città reale corrisponde il mito di una città ideale... Fuori e dentro di noi...

Antonietta Pistone, Le Città Invisibili (Edizioni del Poggio, Aprile 2022)

Dall’Introduzione…

"L'inferno dei viventi non è qualcosa che sarà; se ce n'è uno, è quello che è già qui, l'inferno che abitiamo tutti i giorni, che formiamo stando insieme. Due modi ci sono per non soffrirne. Il primo riesce facile a molti: accettare l'inferno e diventarne parte fino al punto di non vederlo più. Il secondo è rischioso ed esige attenzione e apprendimento continui: cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all'inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio.” (Marco Polo ne Le Città Invisibili di Italo Calvino, cit.).

Così termina il racconto romanzato del 1972, Le Città Invisibili di Italo Calvino. La narrazione è scritta in forma di dialogo tra l’esploratore veneziano Marco Polo e l’imperatore dei Tartari Kublai Khan, tra i primi fondatori della Cina, dove il viaggiatore italiano si era recato nella sua spedizione in Asia, intorno al 1298, insieme al padre Niccolò e allo zio paterno Matteo. Le memorie di questo viaggio sono narrate nel Milione, libro che poi ispirò Cristoforo Colombo che, nell’intento di raggiungere le indie orientali, seguendo il percorso di Marco Polo, giunse nel 1492 sulle coste dell’America Centrale, senza averne piena consapevolezza.

Nel romanzo di Calvino, Polo descrive a Kublai Khan le città visitate nel corso dei suoi viaggi esplorativi, ma spesso si ha la sensazione che la narrazione delle vicende personalmente vissute dal veneziano, si confonda con memorie e immagini fantastiche, o con nozioni apprese facendo girare il mappamondo, o dando uno sguardo all’atlante. In fondo, sostiene Polo, tutte le città si somigliano, nella realtà, e le loro immagini si sovrappongono, nella memoria, anche a quelle delle città ideali, come La Nuova Atlantide, Utopia o La Città del Sole, sognate qualche secolo dopo dai filosofi Francesco Bacone, Tommaso Moro e il Campanella.

La città non è solo quella che è, ma anche ciò che disegna la sua prospettiva, diversa per ciascun suo visitatore, e arricchita dalla geografia sentimentale che descrive Ortega nei suoi Saggi.

Ma, soprattutto, la città vive anche di una sua dimensione interiore, nel pensiero di chi la abita, o la attraversa. Tanto che a ogni città reale si sovrappone una città ideale, immaginata, e vissuta, nello spazio intimo della psicologia di ciascuno. E questa è propriamente la dimensione delle Città Invisibili, che non appaiono realmente all’occhio umano, ma che occupano un posto tanto più importante per la coscienza di chi ne faccia esperienza, in quanto vanno a disegnare quella cartina interiore dei luoghi e delle emozioni, che costituiscono, nel loro insieme, la dimensione personale e soggettiva del vivere e dell’abitare i luoghi.

A questo sentire, interiore ed intimo, si ispira il mio ultimo lavoro, Le Città Invisibili, che prende il nome proprio dall’opera omonima di Italo Calvino, ma anche da una mia poesia, che dà il titolo al libro, costituito da una prima parte, composta da liriche; e da una seconda parte, in cui è presente un racconto, che rimarca il tema del viaggio, in qualche modo anche di un ritorno a casa, di un nostos ideale, della protagonista, nel suo andare alla ricerca dell’amato, ma soprattutto di se stessa, e della sua dimensione più autentica del vivere. In questo senso, ogni città rivive nella vita di chi la abita, la attraversa, la percorre, e la visita. E ciascun viaggiatore, o abitante, si porta dietro le sue memorie di vita, ma anche la sua stessa città di origine. Riflessione che fa dire al Marco Polo di Calvino che in ogni città da lui descritta c’è un aspetto della sua Venezia, come se tutte le città del romanzo fossero tante espressioni diverse di una sola protagonista, che rimane Venezia, e che è sempre la Serenissima.

Allo stesso modo, io amo viaggiare, per conoscere e visitare luoghi ignoti e sconosciuti, e per parlare con la gente che incontro strada facendo; ma desidero ritornare alla mia casa, luogo degli affetti; e alla mia città, odiata e amata, al tempo stesso, per tutte le contraddizioni che si porta dietro, e che rappresenta in un continuo confronto con le altre realtà italiane e del mondo intero.

Viaggiare diventa, perciò, un’indispensabile esperienza di vita e di crescita, che riporta a casa quel pezzetto di mondo smarrito dalla città nella quale ci troviamo a vivere, tante volte contro la nostra consapevole volontà, in una continua nostalgia di quel luogo incantato, ed agognato nei sogni, che ci manca, e che vorremmo ancora avere e conquistare.

E tante volte, quel luogo, non è soltanto lo spazio fisico di un sito geografico, ma una memoria dello spirito che si perde lontana nel tempo degli affetti e degli amori che ancora non conosciamo.

Quarantatré anni fa, il 2 agosto del 1980, un ordigno ad altissimo potenziale, esplose nella sala d’aspetto della stazione ferroviaria di Bologna e causò la morte di 85 persone nonché il ferimento di altre 200.

L’ultima pubblicazione di Luca Tadolini, stampata il mese scorso per conto delle Edizioni all’insegna del Veltro (€ 14,00), è incentrata proprio sulla strage di Bologna.

L’autore tenta di dipanare l’ingarbugliata matassa inerente al tragico fatto, lanciando l’ipotesi di una pista israeliana, ignorata dai tribunali italiani.

L’analisi di Tadolini si appoggia su un dato certo: la presenza alla stazione di Bologna - il giorno della strage - di Thomas Kram, tedesco esperto di esplosivi del Gruppo Carlos, la più famosa organizzazione internazionale di eversione rivoluzionaria di quegli anni, con appoggi nel Patto di Varsavia e con una alleanza di ferro con i più estremi gruppi palestinesi.

A Bologna risiedeva anche il rappresentate italiano della formazione palestinese FPLP di George Habash. A questa sigla armata pochi mesi prima erano stati sequestrati dei missili antiaerei a Ortona, con l’arresto di esponenti palestinesi al seguito. Un incidente che avrebbe determinato un vulnus del Lodo Moro, l’accordo segreto che consentiva ai palestinesi di transitare e avere depositi di armi in Italia, in cambio all’Italia era garantita l’immunità da attentati.

Queste circostanze sono state studiate, nel corso degli anni, come la “Pista palestinese” (ovviamente presto archiviata dalla magistratura italiana), ritenendo che Bologna avesse subìto una rappresaglia dei feddayin.

Luca Tadolini ha invece trovato tracce della presenza del Mossad. Viene vagliata l’ipotesi di un accordo tra italiani e palestinesi per risolvere la crisi dei missili di Ortona. Si sarebbe consentito al FPLP, con l’intervento niente meno degli uomini di Carlos, di trasportare esplosivo verso un obiettivo israeliano fuori dell’Europa. A questo punto i servizi speciali israeliani sarebbero intervenuti, provocando la detonazione del carico alla stazione di Bologna.

Tadolini espone in tre interventi questo nuovo scenario, che trova importanti punti di appoggio nell’abbattimento, anni prima, dell’aereo italiano Argo 16, con successivo processo (senza esito) a plenipotenziari del Mossad, fino alle dichiarazioni del Presidente della Repubblica Francesco Cossiga e alle recentissime dichiarazioni dell’ultimo imputato per la strage di Bologna.

Non ci si fa illusioni su come verrà accolto lo studio: ormai la formulazione di qualsiasi ipotesi diversa dalla strage neofascista sul 2 agosto 1980 viene accusata di depistaggio”, scrive Tadolini nell’introduzione al suo pamphlet.

Negli ultimi anni sono stati pubblicati libri che hanno proposto ipotesi alternative riguardo agli autori e ai mandanti della strage. Vi si sono aggiunte le voci di importanti personaggi politico-istituzionali di allora: fra tutti, Rino Formica. Quest’ultimo, tuttora vivente, così si espresse: “Altro che strage fascista: è accaduto qualcosa di totalmente nuovo, qualcosa che pone il problema della nostra autonomia internazionale”.

Nel contempo, il libro di Tadolini fa riflettere sulla condizione umiliante in cui versa l’Italia, con un ruolo internazionale subalterno nello scacchiere geopolitico, che permane ancora oggi: è un Paese a sovranità limitata. Non solo il “lodo Moro”, più volte ricordato nelle pagine del libro, ma anche l’ipotizzata pista israeliana – suffragata anche da un Mossad ben radicato nel territorio italiano - confermano lo scorazzare, già da allora lungo tutta la Penisola, di agenti stranieri o al soldo di potenze straniere, capaci di condizionarne la vita politico-istituzionale. Le basi militari americane sul territorio nazionale ne sono una ulteriore conferma. La strage di Ustica, in cui perirono 81 italiani, anticipa di poco più di un mese quella di Bologna. Su Ustica, in una recente intervista l’ex presidente del Consiglio Giuliano Amato, ha dichiarato: “La tragedia di Ustica era stato un atto di guerra in tempo di pace in un Paese a sovranità nazionale limitata”.

Non è difficile intuire che la verità, in un simile scenario come quello italiano, fa fatica ad emergere e può arrestarsi di fronte a più porte chiuse.

Del resto, scrive Tadolini, “i rapporti geopolitici italiani del 1980 (ma anche quelli attuali) non consentivano all’Italia sgarri rispetto alla Nato o ad Israele – specie in uno scacchiere come quello mediterraneo”.

Lo stesso ex esponente socialista, Formica , ricorda che “chiunque comandi in Italia deve ricordarsi di stare al suo posto”. Forse tale monito spiega il perché dei tanti misteri che accompagnano le stragi sul suolo del Belpaese.

Certamente, il libro in questione getta ulteriore luce sulle dinamiche che hanno portato alla strage di Bologna.

Mercoledì 11 ottobre, ore 18.30, Ubik di Foggia. “L’angelo di Castelforte” (Rizzoli). La scrittrice presenta ultimo tassello della saga dedicata all’investigatrice salentina.

“Salentoshire”, ossia la moda di scegliere Lecce e dintorni per le proprie vacanze. Anzi, per trascorrere il resto della vita. È l’idea del ricco Mister Allen che vede nella Puglia una seconda Toscana, tanto da volerci realizzare una residenza per scrittori: un idillio, il quale però si trasforma in uno scenario di sangue… Ce n’è abbastanza per Chicca Lopez, l’investigatrice salentina nata dalla penna di Gabriella Genisi, ormai tra le autrici noir più amate in Italia, creatrice della bella Lolita Lobosco, protagonista anche in TV anche grazie al volto dell’attrice Luisa Ranieri. Mercoledì 11 ottobre, alle ore 18.30, la scrittrice barese presenta L’angelo di Castelforte (Rizzoli, 2023) negli spazi della libreria Ubik di Foggia, ultimo tassello della serie che ha per protagonista l’ormai nota carabiniera. A conversare con Gabriella Genisi, amatissima dai lettori foggiani, saranno i membri del gruppo di lettura A qualcuno piace… Giallo.

L’angelo di Castelforte (Rizzoli, 13 giugno 2023). Al 149° piano di un grattacielo nel cuore della City, Victor Allen, un anziano lord inglese, regola lo schienale della poltrona, inforca gli occhiali color tartaruga e si immerge nelle bellezze del Salento. La trasparenza del mare che si fonde con la macchia mediterranea, la terra rossa punteggiata di ulivi, un panorama mozzafiato: non appena vede il video mostratogli dall’agente immobiliare decide che la tenuta nell’antico borgo di Castelforte sarà sua. Lì infatti fonderà una residenza per scrittori, selezionati in tutto il mondo per lavorare a un progetto letterario. All’inaugurazione, Castelforte risplende e sembra promettere una quiete paradisiaca ai futuri abitanti…Intanto Chicca Lopez, dopo l’ultima indagine che l’ha stremata, naviga su una barca nel mare d’inverno insieme a Glenda, la barista che le ha rubato il cuore. Ma la vacanza dura poco: una scrittrice della residenza è stata trovata con la testa fracassata, ed è solo l’inizio. L’indomita carabiniera deve tornare in servizio e indagare su un nuovo complicato caso. Torna una delle serie più amate della scena noir. In questo romanzo di parole, respiri, tramonti, amore, morte, Gabriella Genisi ci racconta il lato più perturbante degli scrittori. E, come tanti piccoli indiani, ognuno di loro dovrà guardarsi le spalle.

Gabriella Genisi. Nata a Bari, ha pubblicato per Rizzoli Pizzica amara (2019) e La regola di Santa Croce (2021). È autrice della serie del commissario Lolita Lobosco, da cui è stata tratta la fiction televisiva di successo Le indagini di Lolita Lobosco.

L’identità culturale del Mezzogiorno d’Italia risale al tempo di Ruggero II (1095-1154), re dei Normanni, anche se le sue radici storiche si rifanno alla civiltà greco-romana e al tempo dei Bizantini, che furono presenti in diverse città meridionali, fra cui Bari nel IX secolo.

A tutto ciò bisogna aggiungere il periodo in cui il Sud Italia conobbe la dominazione dei Longobardi, i quali lasciarono numerose testimonianze culturali in diverse parti del loro dominio, fra cui Benevento e il Gargano, attraverso il culto di San Michele, che si sviluppò in maniera diffusa in tutto il loro Regno, da Pavia fin nell’Italia Meridionale. Al tempo dei Normanni e, poi, degli Svevi, con Federico II (1194-1250), il Sud Italia conobbe un periodo di splendore, di civiltà e di cultura, che ritroviamo in tante costruzioni, come le cattedrali romaniche e i castelli, tanto da caratterizzare e rendere uniche, per cultura e civiltà, le città meridionali, da Bari fino a Otranto, passando per Andria, dove Federico II costruì la sua residenza, Castel del Monte e, poi, Trani, Molfetta, Barletta, Brindisi, Otranto, città dove ritroviamo bellissime cattedrali e numerosi castelli di età medievale e rinascimentale, fino agli Angioini, agli Aragonesi e poi la dominazione borbonica nel Regno delle due Sicilie.

Il volume che andiamo a presentare, "Storia del Sud Italia. Nascita di un’identità" edito da BastogiLibri, Roma 2023, pp.194, Euro 20,00, pone in primo piano la civiltà e la cultura dei vari popoli che hanno colonizzato il Sud Italia, dai Bizantini ai Longobardi, dai Normanni agli Svevi, dagli Angioini agli Aragonesi, fino alla dominazione borbonica, i quali tutti lasciarono le loro testimonianze in ogni campo, da quello artistico a quello culturale, dal sociale all’economico, fino allo sviluppo del sistema feudale, che nel Sud Italia durò per diversi secoli attraverso il sistema politico del baronaggio, che maggiormente si identificò con il Regno Borbonico che durò, nel Sud Italia, per ben tre secoli, dal XV al XVII, fino a giungere all’Unità d’Italia (1860) e, quindi, alla nascita del brigantaggio, considerato da diversi studiosi, come una “Rivoluzione mancata”. Di tutto questo, il testo che abbiamo scritto, ne fa riferimento specifico attraverso diversi capitoli, fra cui: L’Italia Meridionale dalla caduta dell’Impero romano ai Longobardi; La nascita dello Stato meridionale al tempo di Ruggero II (1095-1154); La dominazione sveva di Federico II (1194-1250); L’Italia meridionale e la Puglia dagli Angioini agli Aragonese; L’origine e lo sviluppo del baronaggio; L’Italia meridionale nel periodo spagnolo (1500-1734); Il Sud Italia durante il Regno Borbonico (1735-1799); Il Sud Italia prima e dopo l’Unità d’Italia (1799-1860) e infine La “Questione meridionale” e il brigantaggio. Il tutto visto anche attraverso le Inchieste parlamentari dopo l’Unità d’Italia e le problematiche legate all’Unità politica dell’Italia. Infine, nell’ultima parte, vengono riportate alcune recensioni riguardanti il brigantaggio sul Gargano e le lotte contadine in Capitanata dopo l’Unità d’Italia. Di tutto questo il testo fa riferimento specifico riportando le diverse pubblicazioni che hanno affrontato la “questione meridionale”, con una nuova metodologia, basata soprattutto sul “revisionismo storico.

INDICE INTRODUZIONE

  • L’Italia meridionale dalla caduta dell’Impero Romano ai Longobardi. Ruggero II e la nascita dello Stato meridionale.
  • Il Sud Italia al tempo di Federico II di Svevia.
  • L’Italia meridionale e la Puglia dagli Angioini agli Aragonesi. Origine e sviluppo del baronaggio.
  • L’Italia meridionale nel periodo spagnolo (1500-1734). Il Sud Italia durante il Regno Borbonico (1735-1799). Il Sud Italia prima dell’Unità d’Italia (1799-1860).
  • L’Unità d’Italia e la “Questione meridionale”. Il brigantaggio una Rivoluzione mancata.
  • Le inchieste parlamentari dopo l’Unità d’Italia. Il Revisionismo storico.
  • La nascita del Movimento24Agosto Equità Territoriale

RECENSIONI

  • Il brigantaggio meridionale. Una rivoluzione mancata (1806-1865) di Nicola d’Apolito.
  • Rosso tramonto. Fatti e misfatti di un brigante garganico di Tommaso Prencipe.
  • Società e brigantaggio nella crisi dell’Unità in Capitanata di Filomena Arena.
  • La Capitanata al crepuscolo del  Settecento di Michele Eugenio Di Carlo.
  • Contadini e braccianti nel Gargano dei briganti di Michele Eugenio Di Carlo.
  • Dalla Proprietà Comune alla Proprietà Privata di Michele Tranasi.
  • I Galantuomini: Il Gargano dall’Unità d’Italia ad oggi di Giuseppe Piemontese
  • L’agonia feudale e la scalata dei “Galantuomini” di Leonarda Crisetti Grimaldi.
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