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Nota dell’assessora al Welfare Rosa Barone.

“Quello che sta succedendo in Afghanistan richiede il massimo impegno da parte di tutte le istituzioni. Voglio ringraziare i sindaci pugliesi che hanno chiesto di accogliere i profughi afghani e assicurare loro la volontà dell’assessorato di sostenere i Comuni che attiveranno le reti di accoglienza.  Assieme agli uffici ci stiamo anche interfacciando con i centri antiviolenza pugliesi: l’intenzione comune è accogliere le donne  e i bambini nella rete di strutture a disposizione, fatta una verifica dei posti utili. Siamo a disposizione del Governo per coordinare gli interventi sui territori. Tutta la comunità pugliese si sta mobilitando, dando ancora una volta prova dello spirito di accoglienza e della grande umanità della nostra terra”. 

È una di quelle storie che sembrano un film. Del resto alcuni film non sono altro che il racconto di un’avventura, di una persona e le sue vicende, di un fatto accaduto. C’è sceneggiatura nei film, spesso alterando i fatti. Ma ciò che state per leggere è la verità così com’è accaduta. Già in parte divulgata su Facebook, oggi la rendiamo nota con approfondimenti e particolari rilasciati alla redazione.

La protagonista è una piastrina militare, appartenuta a un italiano, soldato, con il grado di Sergente o Sergente Maggiore, durante la Seconda Guerra Mondiale. Lui è Francesco Rinaldi, figlio di Pasquale Rinaldi e Maria Basta, di Monte Sant’Angelo.

Fatto prigioniero in Grecia nell'isola di Rodi, nel Dodecaneso, durante i rastrellamenti dei tedeschi dopo l'Armistizio, Francesco Rinaldi, come facevano molti prigionieri di guerra, buttava la piastrina di riconoscimento per non fornire altre indicazioni personali. Per salvare la pelle, in sostanza, e cercar ritorno a casa. E così fu, giacché dopo l’intervento delle truppe inglesi fu liberato, per poi sbarcare a Bari e ritornare al suo paese, a Monte Sant’Angelo, dove nel 1999 passò a miglior vita.

Una storia come tante e di tanti militi, che a differenza di altri e a distanza di decenni, i suoi parenti hanno potuto apprezzare come il tempo conserva la storia attraverso un effetto personale. Una piastrina dispersa e poi ritrovata e infine riconsegnata al figlio Pasquale (stesso nome del nonno, padre di Francesco). Sembra facile ma, fidatevi, non è così.

Di speciale, in questa storia, c’è appunto la vicenda che gravita attorno alla piastrina. Chi l’ha ritrovata basandosi su fonti storiche certificate, chi l’ha consegnata alle Autorità del luogo, chi l’ha custodita fino ad accertare la corretta paternità, chi si è prodigato per farla ritornare nelle mani del legittimo successore di Francesco, appunto suo figlio Pasquale.

I FATTI

La piastrina fu ritrovata nell’estate del 2019 da un gruppo di appassionati ricercatori con metaldetector, specializzati e attivi sui vari fronti esteri e soprattutto nelle aree di scenari da guerra. Il rinvenimento avvenne sull’isola di Rodi, in Grecia, presso una vecchia struttura del Regio Esercito. Il ritrovamento fu comunicato da Tom Palermo, su Facebook, in vari gruppi, per cercare il legittimo proprietario o i suoi parenti. La notizia ebbe grande risonanza, anche grazie al tam-tam social di altre persone, come Domenico Delli Carri, di Donato e Matteo Taronna, di Geppe Inserra e dello scrivente attraverso la redazione di newsGargano. Ci vollero poche ore che i parenti del milite si fecero vivi, fornendo prove schiaccianti con tanto di documenti anagrafici sulla paternità della piastrina.

Fu il figlio Pasquale a farsi vivo. Pasquale Rinaldi, fu Francesco, è un poliziotto, funzionario in pensione (congedato nel 1974 da Commissario a Milano), residente nel bergamasco, desideroso di riavere tra le mani quella piastrina, unica testimonianza e cimelio di suo padre. «Potrebbe essere di mio padre. Lui si chiamava Francesco e i suoi genitori erano Pasquale e Basta Maria. Mio padre fu fatto prigioniero a Rodi, in Grecia, ed era un Sottufficiale dell’Esercito Italiano, ma non ricordo se Sergente o Sergente Maggiore» la testimonianza di Pasquale.

Francesco Rinaldi a Rodi in Egeo

Francesco Rinaldi a Rodi nell'Egeo

Il primo pensiero fu quello di come far ritornare a casa quella piastrina. Tom, da subito, si mise in contatto con i suoi amici del gruppo di ricerca, appassionati e storici, fornendo preziosi contatti e indicando alcune modalità su come procedere. Da un contatto del luogo, il sig. Nikolaos, fu interessato il Console del Peloponneso, sig. Demetrios, informandolo della vicenda e prendendo in consegna la piastrina, con l’esortazione di farla arrivare in Italia. Passarono alcune settimane ma la piastrina era lì, giacente nell’ufficio del Console. Tom non esitò a ricontattare i suoi amici che parlarono con il Console, rispondendo: «Ho la carica del Segretario Esecutivo del Governatore dell’Egeo (Doecaneso e Cicladi) e per questo motivo viaggio continuamente sulle 54 isole. Comunque ho parlato con l'amico che ha trovato la piastrina. A metà settimana quando tornerò a Rodi, coordineremo la consegna della piastrina con grande emozione. Teniamoci in contatto».

Si sperava in una consegna nei tempi desiderati da Pasquale, che voleva ufficializzarla a Monte nel settembre 2019, precisamente il 29 nella ricorrenza di San Michele Arcangelo, con le Autorità locali istituzionali e politiche. Una data dalla doppia valenza, sia per la Festa Patronale di Monte Sant’Angelo, cui avrebbe fatto felicemente ritorno, sia perché San Michele che è il protettore della Polizia di Stato. Per questo motivo e sicuro del ritorno in Italia della piastrina, Pasquale prese contatto con il Comando della Polizia, chiedendo in via del tutto eccezionale di indossare la sua uniforme da poliziotto. Gli fu concessa. Purtroppo ciò non avvenne perché quella piastrina era ancora in Grecia.

Sfumata la cerimonia, Pasquale risentì sia Tom, sia Domenico, sia il sottoscritto, che nel frattempo si era interessato via WhatsApp con gli uffici grechi per avere info più dettagliate per scrivere un articolo, chiedendo informazioni e per sollecitare il Console. Il tempo passava e Pasquale era ansioso di riavere tra le mani ciò che circa ottanta anni fa era di suo padre Francesco.

NELL’APRILE 2021 LA SVOLTA

Dagli uffici del Console delle isole del Dodecaneso a Pasquale Rinaldi fu recapitata la piastrina del padre. Era inserita in un quadro con la foto di Francesco sulla bandiera Italiana, con la scritta “Francesco Rinaldi”, e del gruppo internazionale “Italian Dog Tag Return Project” e del “GRS – Gruppo Ricerche Storiche”.

La piastrina finalmente era a casa sua, tra le mani del figlio Pasquale. Un lavoro di squadra che ha interessato più soggetti per un nobile fine, ridare valore ai ricordi affettivi di chi ha difeso il nostro Paese in terra straniera. «Finalmente dopo tanti mesi oggi con corriere DHL mi è stata consegnata la piastrina di mio padre trovata in Grecia, dove fu tenuto prigioniero durante la Seconda Guerra Mondiale. Ringrazio tutte le persone che si sono interessate e la Onlus ricerche storiche di Roma che me l'ha spedito, nella persona del sig. Maurizio De Angelis. Grazie, grazie, grazie» il messaggio che Pasquale ha diramato alle persone che si sono interessate e alla redazione di newsGargano, attraverso il contatto telefonico dello scrivente, Dir. Resp. della testata giornalistica.

Piastrina e foto padre riconsegnata

I PROTAGONISTI

È stato un lavoro di squadra, che ha impegnato, oltre che risorse, numerosi volontari di gruppi specializzati. In primis Tom Palermo, docente scolastico a Foggia, appassionato e studioso di storia, collaboratore attivo con gruppi di ricerca delle fonti sulla storia, in particolare di eventi bellici. Tom è parte importante del comitato “Un monumento a ricordo delle vittime del 43 a Foggia”, con sede a Foggia sotto il Pronao della Villa Comunale. È anche collaboratore dell’Associazione Salerno 1943 (AIR Finders), presente su Facebook, mettendo a disposizione, come i suoi colleghi, professionalità, conoscenze storiche, tenacia e meticolosità nella ricerca certosina di fonti, ricostruzione degli eventi e oggetti personali dei vari dispersi e periti in guerre, poi riconsegnati ai loro parenti. Poi di Domenico Delli Carri, poliziotto di Monte Sant’Angelo in servizio alla Questura di Foggia, che da subito si è attivato con altri due Montanari, Donato e Matteo Taronna (quest’ultimo anch’egli poliziotto ma Ispettore capo al comando della Stradale di Vieste). E ancora di Geppe Inserra, giornalista, scrittore e studioso della storia di Foggia e della Capitanata. Per proseguire dello scrivente.

Un lavoro che poteva raggiungere il traguardo solo con il fondamentale apporto dei gruppi di ricerca, succitati nel quadro, attivi in quasi tutta Europa, particolarmente concentrati nell’Est. Loro sono dei giovani appassionati di ricerca di reperti con il metaldetector. Operano anche in Russia, nell'area di Cerkovo, al confine tra Ucraina e Russia, dove stanno rinvenendo molti reperti. In particolare nella valle di Cerkovo (che poi cambiò nome e fu chiamata la “Valle dei morti”), durante la Seconda Guerra Mondiale, si svolse una cruenta, famosa o famigerata, battaglia dove pochissimi soldati si salvarono. Si sta parlando della "Battaglia di Arbuzovka", nei pressi di Malaja Lozovka, conosciuta anche come Arbusovo, nei pressi di Malaja Lozovka. Lì nel 1942, dal 21 al 25 dicembre sul fronte orientale, si consumò una delle più drammatiche e sanguinose battaglie a difesa del fiume Don, dove la potente offensiva dell'Armata Rossa, durante l'Operazione Piccolo Saturno, accerchiò tre divisioni italiane, e alcuni reparti tedeschi, che furono letteralmente distrutte. L’attività di ricerca è tuttora attiva, in particolar modo laddove sono state presenti le compagini militari italiane. Stiamo parlando della Grecia, della Russia, dell’Ucraina. La prassi è di basarsi su mappe militari, trovare il luogo, farsi rilasciare le dovute autorizzazioni, cercare con i metal detector e a ritrovamento avvenuto collaborare con storici e istituzioni varie per ritrovare i parenti in vita, per poi consegnare il cimelio.

UN BEL ESEMPIO

Quella di questa storia è l’ennesima di tante altre in attesa di un riscontro, concentrate particolarmente in Grecia, dove dopo l’Armistizio ebbero inizio massicce deportazioni, provvisoriamente verso Atene e poi verso altre località come i Balcani e oltre. L'isola di Rodi militarmente, a quel tempo, aveva due bretelle difensive interne e varie postazioni di artiglieria. Molti furono i militari italiani catturati dai tedeschi, alcuni evasero trovando rifugio tra i partigiani della Brigata Garibaldi, altri perirono, diversi rimasero prigionieri fino all’arrivo degli Inglesi. Tra questi si annoverano molti foggiani.

Bisogna dirlo, questo della piastrina di Francesco Rinaldi è un caso di buon esempio e utilizzo dei vari social network, che mettono in relazione persone, anche agli antipodi del pianeta, per condividere storie di tanti anni fa, facendole ritrovare e in particolar modo ridare ai legittimi proprietari ciò che il suo avo aveva smarrito.

Università di Foggia e Rotary Club Foggia scendono insieme in campo per ricordare la tragedia dei bombardamenti sulla città di Foggia ed hanno organizzato un convegno sul tema “1943-2021: PER NON DIMENTICARE”.

L’evento si terrà giovedì 22 luglio alle ore 18,00 presso l'Aula Magna del Dipartimento di Studi Umanistici (Via Arpi 176).

Dopo l'Onore alle bandiere, il programma prevede i saluti e l'introduzione da parte del Presidente del Rotary Club Foggia On. Paolo Agostinacchio, appena nominato e subentrato a Luigi Miranda, quindi seguirà una relazione del Prof. Saverio Russo (Ordinario di Storia Moderna UniFg) dal titolo "Foggia: quei giorni del '43", ed infine le conclusioni da parte dell'Avv. Giulio Treggiari, Assistente del Governatore del Distretto Rotary 2120 Puglia-Basilicata.

I lavori pomeridiani saranno preceduti da toccanti momenti anche nella mattinata: alle ore 11,00 in piazza Italia e successivamente in piazzale Vittorio Veneto con la deposizione di una corona ai Caduti in guerra.

 

Una storia sconosciuta dell’ultima guerra mondiale è quella dell’esercito privato di Popski, un piccolo gruppo segreto di militari dell’armata inglese che formavano una unità di avanguardia per spionaggio oltre le linee nemiche, perlustrando il terreno prima dell’arrivo del grosso delle truppe.

A Foggia, il gruppo  Popski’s, dissuase con la sua presenza la distruzione, da parte delle truppe tedesche, della fabbrica segreta di armi chimiche che esisteva nei pressi della cartiera.

La piccola armata di Popski’s era così chiamata dal nome del suo comandante, il maggiore Vladimir Peniakof, soprannominato Popski.

Singolare personaggio, nato in Belgio da una famiglia di origine russa ed ingegnere presso alcune saline in Egitto, dove si era arruolato nelle truppe britanniche.

Questo gruppo, che faceva capo al Secret Intelligence Service inglese, oggi meglio conosciuto con la sigla MI16 (Military Intelligence, Sezione 6), attrezzato con alcune gip corazzate, fornite anche di mitragliatrici pesanti, si lanciava con i suoi uomini, accuratamente selezionati e provenienti da vari reparti, oltre le linee nemiche per azioni di spionaggio e carpire informazioni sulla consistenza delle truppe avversarie, compiendo anche piccole operazioni di disturbo, come sabotaggi delle linee di comunicazione e di rifornimento.

Nel gruppo segreto la disciplina militare era ridotta al minimo e tutti chiamavano il loro comandante Popski, che gestiva la sua piccola armata quasi in privato, con molta libertà, ma molto coraggio.

Nel settembre del 1943, gli alleati avanzavano su Foggia dal sud per assicurarsi i suoi campi d’aviazione, guidati dal generale di brigata John Currie, con due colone: la Bakerforce sulla destra e la  Cameronforce sulla sinistra.

Nonostante a sud di Foggia il fiume Cervaro ed il bosco dell’Incoronata pullulavano di Tedeschi, la Cameronforce riuscì con una manovre di aggiramento, nel pomeriggio del 27 settembre, ad entrare in città.

Lo stesso giorno, all’alba, un piccolo gruppo di gip della compagnia segreta di Popski’s aveva già raggiunto Foggia per portare scompiglio tra le truppe tedesche del generale Heidrich, forti di oltre 3000 uomini, accampati anche sulla strada per Lucera.

Oggetto di pesanti bombardamenti da parte degli aerei della RAF verso le 8 del mattino, nella nostra città distrutta e deserta, abbandonata dai suoi abitanti, gli uomini di Popski sorpresero i tedeschi intenti a minare alcuni obiettivi strategici, come il cavalcavia di via Manfredonia ed altri.

Gli inglesi ebbero un contatto con il nemico in Piazza XX Settembre, ove ci fu uno scontro a fuoco, che continuò nei pressi della Stazione Ferroviaria ed in via del Mare.

Non si riuscì ad evitare che la distruzione del cavalcavia di via Manfredonia; i genieri tedeschi, però, rinunciarono a far saltare la fabbrica di armi chimiche nei pressi della cartiera ed ormai nel primo pomeriggio, verso le 16,00, la piccola armata di Popski fu raggiunta dal cielo dai paracadutisti inglesi lanciati sulla stazione ferroviaria.

A questi, seguirono subito dopo, verso le 17,00, le truppe della 78a divisione di fanteria, che entrarono a Foggia da via Bari, era la colonna Cameronforce.

Il giorno dopo,  28 settembre, dopo una notte passata all’erta per la presenza di soldati tedeschi sbandati ancora in ritirata nella periferia di Foggia, la piccola armata di Popski occupò l’aeroporto Gino Lisa.

La piccola armata di Popski’s, che aveva come simbolo un astrolabio, rese alla città un grande servizio, non permise ai tedeschi di far saltare in aria la fabbrica segreta di armi chimiche, cosa che avrebbe provocato una tremenda esplosione e nubi tossiche di conseguenze mortali.

Si intensifica, di giorno in giorno, il conflitto esploso nella Striscia di Gaza ed in Cisgiordania, una delle aree più densamente abitate del mondo. Il numero delle vittime cresce di ora in ora e l'ultima offensiva parla di almeno 115 morti, molti dei quali civili, e oltre 600 feriti, con un drammatico bilancio che si assomma alle stringenti difficoltà ingenerate dalla dilagante povertà, dalla carenza di strutture sanitarie e beni di prima necessità, dalle conseguenze delle politiche di oppressione e dalla permanenza del devastante impatto della pandemia da coronavirus tutt'ora in essere.

E' chiaro come l'attuale situazione di massima conflittualità rappresenti la punta dell'iceberg, quale momento di culmine di un crescendo di tensioni, diseguaglianze, ingiustizie, repressioni, violenze e discriminazioni che hanno caratterizzato il controllo dei territori palestinesi, la progressiva espansione israeliana e le scomposte reazioni dell'una e dell'altra parte, in una lotta impari che sconta la frustrazione dell'indifferenza, più o meno strategica, dell'opinione pubblica internazionale.

E' indispensabile intervenire con urgenza per garantire un immediato “cessate il fuoco” ed un ampio intervento umanitario di sostegno, così da evitare ulteriori derive militari e sociali di devastante portata.

Ma non basta.

E' necessario che tutta la comunità e l'opinione pubblica internazionale si mobilitino per ristabilire l'effettiva ripresa del dialogo e costruire le condizioni per una pace duratura e giusta, che si fondi sul reale rispetto del valore della vita umana, dei diritti di ogni popolo e comunità, della tutela della persona, della collettività e delle reciproche prerogative, affrontando, con onestà intellettuale, verità ed abbandono delle mere logiche utilitaristiche di matrice geopolitica, la questione dell'estesa conflittualità di tale parte del mondo.

Meritocrazia Italia invoca, dunque, un intervento internazionale a carattere multiprospettico, in cui al necessario approccio teso alla mediazione ed alla cessazione delle ostilità si accompagni un estesa azione di aiuto umanitario per le popolazioni colpite ed una effettiva tutela dei diritti a lungo periodo, assumendo il coraggio della condanna delle condotte repressive, violente e violative di diritti dell'uomo da chiunque poste in essere.

Non possiamo continuare a voltarci dall'altra parte, non possiamo continuare ad avere uno sguardo intermittente, non possiamo abbandonare le persone ad un destino fatto di povertà, di guerra perenne, di grida di aiuto inascoltate, non possiamo continuare a raccontare verità parziali, non possiamo, in una parola rinunciare ad essere umani.

Serve un moto collettivo di recupero della solidarietà reale e non di facciata, perchè se la pandemia ci ha consegnato un insegnamento è quello della forza della resilienza umana e perchè nascere in una determinata parte del mondo piuttosto che in un'altra è solo una questione di fortuna.

Tutti i bambini del mondo vorrebbero guardare un cielo brillante, ma c'è differenza tra la luce delle stelle e quella delle bombe.

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