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Nell’anno stesso in cui Raffaele Vittorio Cassitto, agronomo viestano dalle origini aristocratiche risalenti ai conti Ortenburg d’oltralpe, pubblicava una monografia sui lambascioni [1], consegnava alle stampe un testo riguardante un prezioso frutto spontaneo che caratterizzava sin dai tempi antichi, nei mesi estivi, il paesaggio del Tavoliere e del Gargano: il cappero[2].

Era il 1925 e la ricerca di Cassitto sui capperi, originari dell’Arabia e dell’Africa del nord e perfettamente adattati al clima arido del Tavoliere e al terreno calcareo del Gargano, conserva oggi più che mai un peculiare interesse persino a livello linguistico: i frutticini del cappero, commercialmente denominati «pecchette di capperi o zucchette di capperi», a Vieste erano chiamati «cavadducci», a Rodi e a Ischitella «cucuccioli», nel foggiano «truoli»[3].

La descrizione della presenza del cappero nell’arido e assolato Tavoliere del primo Novecento rappresenta una mirabile pagina  di storia che ci riconsegna non solo il paesaggio in parte mutato della pianura dauna, ma anche il profondo senso di isolamento e di abbandono vissuto per secoli da uomini che osavano sfidare durante l’estate, costretti da misere condizioni di sopravvivenza, il caldo torrido e le stagnanti aree malariche descritte da viaggiatori eccellenti quali Giuseppe Maria Galanti[4] e Francesco Longano[5]: «Nell’estate quando tutto è arso dalla siccita e dal sole cocente, e quando la larga campagna del Tavoliere di Puglia appare tutta deserta e desolata, solo il cappero verdeggia, quale ornamento, come sollievo e speranza agli sperduti nella campagna»[6].

Secondo l’autore viestano il cappero era diffusissimo nei terreni incolti del Tavoliere, in particolare nelle contrade «Fontanarosa, Incoronata, nelle tenute di Postapiana e Vaccarella, nelle mezzane, Filiasi e Giuliani […]». Nel Gargano la pianta cresceva spontaneamente nelle aree rupestri marittime, nei dirupi, nei burroni, nei crepacci di Monte S. Angelo e Mattinata, oltre che «nel sottobosco e nei pascoli cespugliosi, volgarmente chiamati parchi, di Vieste, Peschici e Vico». Nelle isole Tremiti, il cappero era presente soprattutto sull’isoletta «Capparaia», nome derivante dalla «straordinaria abbondanza della Capparis Rupestris», che rivestiva tutta l’isoletta di un «caratteristico manto verdeggiante nell’azzurro mare Adriatico»[7].

Passando ai dati sulla raccolta dei boccioli fiorali e dei frutticini della pianta del cappero, Cassitto annotava la discrepanza tra la modesta raccolta e la larga quantità disponibile in natura, nonostante la richiesta commerciale fosse cresciuta con prezzi ampiamente remunerativi. In particolare nel Gargano, ad eccezione di Vieste, Mattinata e Peschici, la raccolta dei capperi era limitata a soddisfare la richiesta delle famiglie benestanti, per il resto la produzione spontanea di boccioli e frutticini andava persa. La raccolta in tutto il Gargano raggiungeva mediamente i 30-40 quintali l’anno a fronte di una disponibilità di circa 200 quintali, mentre nella sola Foggia superava i 200 quintali grazie all’opera dei «terrazzani» che vivevano raggruppati nel quartiere «Le Croci» e che, uscendo di prima mattina con l’intera famiglia e vagando per le campagne, riuscivano a raccogliere «dai 2 ai 3 ottavi[8] di tomolo di capperi» vendendoli nel Dopoguerra a «dieci lire l’ottavo, guadagnando così dalle 25 alle 30 lire al giorno»[9].

L’agronomo garganico stimava in almeno mille quintali la produzione di capperi che non veniva raccolta in tutta la Capitanata, corrispondente a una perdita di ricchezza di ben un milione di lire: «Col lasciare in abbandono questi prodotti spontanei, non è la sola materia prima che si perde, non è il solo denaro che non si guadagna, ma è tutto un movimento economico che non si ha. Quanto lavoro non va perduto? Quanta mano d’opera non resta improduttiva? Eppure la raccolta dei capperi, dei funghi, dei lampasciuoli, delle ciammaruchelle[10], degli asparagi ecc., fatta dappertutto darebbe lavoro e pane a centinaia di famiglie per alcuni mesi dell’anno, e proprio quando minore è il bisogno di lavoro in campagna»[11].

Particolarmente interessanti risultano le notizie di Cassitto circa il commercio dei capperi nel capoluogo Foggia, che veniva gestito dai noti fratelli Orlando e da Mario Casalanguida, mentre fino a pochi anni prima se ne erano occupati De Angelis e Rabaglietta, il quale spediva i capperi alla Cirio con sede a San Giovanni a Teduccio, oltre che a Trieste e in Austria. La produzione di capperi di Foggia e del Tavoliere veniva spedita a Bari e negli Abruzzi, tuttavia era Cosimo Farina di Ostuni a risultare il maggior incettatore di capperi in Puglia e a comprarne anche oltre il 50%. Anche i capperi del Gargano prendevano la via di Bari e degli Abruzzi, pur avendo avuto un passato di commercializzazione con i mercati della Dalmazia[12].

Oltre ad essere apprezzati ai fini alimentari, i capperi avevano proprietà terapeutiche che Cassitto faceva risalire a remoti tempi storici: «In Africa si usa la radice come dentifricio, e da noi i teneri getti, perché ritenuti diuretici. In commercio, si trova la corteccia dei rami del cappero, utilizzata a scopo terapeutici, e la si trova sottoforma di frammenti irregolari di colore grigio cenere, di sapore amaro, di odore nullo»[13].

Data la forte richiesta inevasa di capperi dall’estero, Cassitto invitava i contadini a coltivarli, essendo un’attività redditizia che non destava particolari esigenze dal punto di vista colturale. L’autore indicava anche i metodi e i tempi della propagazione delle piantine: «La moltiplicazione avviene per talee, in primavera, o per polloni radicati, in autunno. Talee e polloni si tolgono dalle piante madri e si trapiantano alla distanza di uno o due metri, l’una dall’altra. Nello stesso anno si ha qualche frutto, ma al secondo anno, la novella pianta è in piena produzione. Da dieci a vent’anni si ha il massimo prodotto, perché la pianta ha lunga vita»[14].

Cassitto aveva spedito nell’aprile del 1931 alcuni suoi testi all’ingegnere Giuseppe Lucifero, barone di Milazzo, ex «direttore delle Officine del Gas, Luce ed Energia Elettrica di Bari, al servizio della Tuscan Gas Company Limited di Londra»[15], il quale si deliziava a coltivare capperi sul promontorio di Milazzo.

Grazie a una fortunata coincidenza lo scrivente è entrato in possesso di una lettera di ringraziamento dell’ingegnere siciliano all’autore viestano dalla quale scopriamo che Cassitto svolgeva la professione di docente di Agraria a Foggia[16]. Una lettera, rinvenuta nel blog di Massimo Tricamo[17], che si riporta integralmente poiché da essa si traggono informazioni preziose non solo sulla coltivazione del cappero in Sicilia, ma anche sulla raccolta di lambascioni e lumache (ciammaruchelle) che l’ingegner Lucifero riteneva del tutto ignorate nella sua provincia: «Bari, 25 aprile 1931. Ill.mo Dottor Raffaele Cassitto, professore di Agraria nel R. Istituto Tecnico di Foggia. Egregio Signor Professore, ho ricevuto la gradita e gentile sua lettera del 22 corrente con le sue dotte monografie. La ringrazio infinitamente. Ho letto avidamente il suo lavoro sui capperi e molto ho appreso: io mi occupo di questa coltivazione perché in una mia proprietà sita all’estrema punta del Promontorio di Milazzo (Sicilia) il cappero nasce spontaneo e ne fa una raccolta di circa due quintali annuali. Essendo la qualità molto pregiata mi è sorta l’idea di farne una coltivazione in tutti quei punti costieri in cui il terreno non è adatto alla coltura arborea. So che nelle Isole Eolie il cappero è coltivato in chiudende in prossimità della spiaggia ed il prodotto è facilmente esportabile; in questo scorso autunno ho voluto tentare una prova ed ho costituito un piccolo vivaio di 500 piante, seguendo le indicazioni del dottor S. Trentin racchiuse nel suo libro sul tema, non conosco però il risultato, i coloni affermano che difficilmente attecchiranno. Ho tentato pure la propagazione per seme e ne ho ottenuto poche piantine in vaso, la germinazione è stentata e lunga e bisognerebbe conoscere un mezzo adatto per forzarla.

Ella si è addimostrata così gentile a mio riguardo che mi permetto pregarla di volermi indicare, qualora vi sia, qualche trattato in cui si parli estesamente della coltura del cappero e della sua propagazione per talea e per seme, onde averne una completa nozione.

Leggerò con piacere le altre sue memorie sui lampasciuli[18] e sulle ciammaruchelle[19], le cui industrie sono completamente sconosciute nella mia provincia in Sicilia, ed abusando della sua cortese esibizione, mi permetto pregarla di farmi conoscere dove acquistare la sua monografia sulla coltivazione e l’industria dei fichi d’India[20].

Sarei lietissimo di fare la sua personale conoscenza e ringraziarla a viva voce, ma nella prossima settimana farò ritorno in Sicilia e non sarò nuovamente a Bari che nel periodo della Fiera del Levante.
Gradisca, Ill.mo Signor Professore, i miei sentiti ringraziamenti e mentre le assicuro che non mancherò di porgere i suoi saluti all’egregio dottor Terlizzi, distintamente la ossequio, devotissimo Ing. Giuseppe Lucifero».

_______

[1] R. V. Cassitto, Piccole industrie rurali in Capitanata. I lampasciuli, Foggia, Tip. P. Cardone, 1925.

[2] R. V. Cassitto, I capperi, Foggia, Tip. P. Cardone, 1925.

[3] Ivi, p. 7.

[4] G. M. Galanti Giuseppe Maria, Relazioni sulla Puglia del '700, a cura di Enzo PANAREO, Cavallino di Lecce, Capone Editore, 1984.

[5] F. Longano, Viaggio dell'abate Longano per la Capitanata, Napoli, presso Domenico Sangiacomo, 1790.

[6] R. V. Cassitto, I capperi, cit., p.7.

[7] Ivi, p. 8.

[8] Un ottavo pesava da 2 a 3 chilogrammi di capperi.

[9] R. V. Cassitto, I capperi, cit., p.11.

[10] Lumache

[11] R. V. Cassitto, I capperi, cit., p.10.

[12] Ivi, pp. 11-13.

[13] Ivi, p. 18.

[14] Ivi, pp. 13-14.

[15] M. Tricamo, Storie della Baronia: da documenti inediti di casa Lucifero, in http://storiedellabaronia>.blogspost.com, 12 febbraio 2016.

[16] Ibidem.

[17] Massimo Tricamo (Milazzo 1974), socio della Società di Storia Patria milazzese, appassionato di storia locale che ha pubblicato diversi testi riguardanti la storia della sua città natale.

[18] Cassitto, Piccole industrie rurali in Capitanata. I lampasciuli, cit., 1925.

[19] R. V. Cassitto, Le Ciammaruchelle (lumache), Foggia, Bollettino della Camera di Commercio di Foggia, anno X, n. 1, 1922.

[20] R. V. Cassitto, La coltivazione e l’industria del fico d’india, Foggia, Tipografia Paolo Cardone, 1924.

 

Il Questore della provincia di Foggia, nell’ambito delle attività volte alla prevenzione e al contrasto della criminalità comune e organizzata, ha provveduto all’emanazione di misure di prevenzione personali nei confronti di soggetti ritenuti socialmente pericolosi.

In particolare, il personale Divisione Polizia Anticrimine della Questura di Foggia, ha intrapreso un’analisi approfondita dei profili di numerosi soggetti, gravati da precedenti di Polizia, che ha fatto emergere condizioni tali da ritenerli socialmente pericolosi perché inclusi fra le persone che “vivono abitualmente, anche in parte, con i proventi di attività delittuose”, nonché fra coloro che “sono dediti alla commissione di reati che offendono o mettono in pericolo… la sicurezza o la tranquillità pubblica”.

A seguito di tale accertamento, il Questore ha emesso 73 provvedimenti di AVVISO ORALE nei confronti di altrettanti soggetti, sottoposti alle prescrizioni previste dal sopracitato provvedimento di prevenzione, al fine di infrenare l’inclinazione alla commissione dei reati, imponendo loro di tenere una condotta conforme alla legge mediante una serie di prescrizioni che ne limitano l’opportunità di delinquere.

Tali provvedimenti hanno riguardato in gran parte soggetti residenti nel comune capoluogo, ma anche intranei alla criminalità nelle aree di San Severo, Manfredonia, Cerignola e Lucera.

Inoltre, il Questore ha proposto 31 misure di SORVEGLIANZA SPECIALE con obbligo di soggiorno al Tribunale di Sorveglianza di Bari, nei confronti di altrettanti soggetti ritenuti socialmente pericolosi, dediti alla commissione di reati comuni o intranei alla criminalità organizzata.

I provvedimenti hanno riguardato 9 soggetti residenti nel Capoluogo, 10 nell’area di Cerignola/Orta Nova,4 nel comune di San Severo e 3 in quello di Lucera.

Tale misura prevede l’imposizione di determinate prescrizioni quali, tra le altre, l’obbligo di soggiornare nel comune di residenza, l’obbligo di permanenza presso la propria abitazione durante le ore notturne, il divieto di associarsi ad altri pregiudicati, l’obbligo di presentarsi presso gli uffici di polizia tre volte alla settimana e di darsi stabilmente ad un’attività lavorativa lecita.

La finalità di tale misura preventiva consiste nel sottoporre soggetti particolarmente pericolosi per la sicurezza pubblica a stringenti controlli, volti ad infrenare la loro propensione alla commissione di attività illecite.

Inoltre, il Questore ha proceduto alla rivalutazione della pericolosità sociale di 5 soggetti appartenenti alla criminalità organizzata, rimessi in libertà dopo un lungo periodo di detenzione, per i quali si è ritenuto di riproporre la misura della sorveglianza speciale.

 

I dati di Medtraining impegnata nell’attività di prevenzione e contrasto in Capitanata.

C’è chi guadagna 80 euro al giorno, chi viene accompagnata dal marito. C’è chi porta sul volto i segni delle percosse e chi è in strada mattina e pomeriggio, chi ha uno o più figli nel suo Paese d’origine e chi si rifiuta di avere rapporti non protetti. Piccole storie di ordinaria e quotidiana violenza sulle donne che fotografano il drammatico fenomeno dello sfruttamento sessuale e lavorativo nel nostro territorio, che vede impegnati dal 2016 gli operatori della cooperativa sociale Medtraining nel progetto “La Puglia non tratta – Insieme per le vittime”, il cui intervento si svolge nell’area territoriale della Capitanata, che comprende Monti Dauni, Tavoliere delle Puglie e promontorio del Gargano. Sono questi alcuni dei dati di maggiore interesse contenuti negli ultimi nove mesi di attività portate avanti nell’ambito dell’iniziativa che punta ad aiutare le vittime di tratta e di sfruttamento lavorativo. Donne e uomini che ogni giorno vengono sfruttati nell’ambito della prostituzione, dello sfruttamento lavorativo o domestico, delle economie illegali, dell'accattonaggio forzato o del traffico di organi.

Le donne dell’Est Europa
Dall’1 ottobre 2022 al 30 giugno 2023, dunque, attraverso il lavoro dell’unità mobile di strada gli operatori hanno effettuato oltre 458 contatti, percorrendo in modo particolare i tratti della SS 16 dell’Alto Tavoliere e del Basso Tavoliere, della SS 89 che porta a Manfredonia, della SS 673 Circonvallazione di Foggia. Non solo. Perché le operatrici hanno effettuato attività di prossimità, come interventi di mediazione socio-linguistico-culturale, accompagnamenti sanitari di base e specialistici, orientamento giuridico o disbrigo di pratiche amministrative. Così come sono state svolte uscite ed incontri nell’insediamento informale della pista aeroportuale di Borgo Mezzanone in collaborazione con l’organizzazione non governativa Intersos e l’ASGI Puglia e nell’insediamento informale di Torre Antonacci in agro di San Severo. Le beneficiarie incontrate durante il lavoro dell’unità di strada sono soprattutto donne, provenienti per la maggior parte da Paesi quali Bulgaria (39,5%) e Romania (33%) che rappresentano la percentuale più alta delle beneficiarie contattate.

L’attività al chiuso
I numeri, però, non devono trarre in inganno. Perché la diminuzione di donne lungo la rete stradale della provincia di Foggia lancia un altro allarme, che da tempo le operatrici del progetto “La Puglia non tratta” monitorano con attenzione: l’attività indoor: «La prostituzione in appartamento e online è in crescita, una tendenza in corso da anni, che la pandemia ha accelerato, aggravando la condizione di tante persone vittime di tratta e costrette a prostituirsi. La condizione di isolamento le mette ancor più in balia dei clienti, oltre che degli sfruttatori; l’emergenza Covid ha drasticamente ridotto l’attività in strada, ha reso tutto più invisibile. Il progetto ha avviato una iniziativa di studio della problematica sul territorio» spiegano da Medtraining.

Tra accoglienza e protezione

Tra i dati rilevanti in questo periodo preso in esame, il rafforzamento dell’attività di sportello per donne e uomini potenziali vittime di tratta, con la presenza di un presidio a Casa dei Diritti di Siponto ed uno a Foggia nella sede di Medtraining. Sul fronte lavoro, due donne nigeriane sono state avviate rispettivamente in un percorso di tirocinio lavorativo nella ristorazione e in un corso di formazione professionalizzante. Ancora: 5 beneficiarie che vivono e risiedono in accoglienza protetta, mentre in 24 sono inserite in un programma di assistenza e protezione sociale e risiedono in accoglienza territoriale non protetta ma in autonomia.

Il progetto regionale
Il progetto “La Puglia non tratta - Insieme per le vittime”, giunto ormai alla quinta annualità, è nato a livello regionale con l'obiettivo di assicurare alle persone vittime di tratta adeguate condizioni di alloggio, vitto, assistenza, protezione ed integrazione socio – lavorativa. L’iniziativa - finanziata dal Dipartimento delle Pari Opportunità della Presidenza del Consiglio dei Ministri - è promossa dalla Regione Puglia - Sezione Sicurezza del Cittadino, Politiche per le Migrazioni ed Antimafia Sociale - in collaborazione con sette enti anti-tratta del territorio regionale: le cooperative sociali Medtraining (Foggia), Comunità Oasi2 San Francesco onlus (Trani), Atuttotenda (Maglie-Lecce), CAPS (Bari); le associazioni Giraffa! (Bari), Micaela (Adelfia-Bari), Comunità Papa Giovanni XXIII (Brindisi). 

La maglia nera la detiene la città metropolitana di Milano, seguita da Rimini e poi Roma. Foggia si piazza la 20esimo posto. Stiamo parlando della classifica  della criminalità 2023 stilata dal quotidiano nazionale il Sole 24 Ore sui dati del 2022.

Le proporzioni son fatte su 100mila abitanti, confermando Milano on 6.991 reati denunciati, mentre Foggia con 3.915,6 reati, sempre denunciati. Il dato che balza all’occhio leggendo quelli attuali è che la criminalità incrementa del 3,5%.

Ovviamente quando si scrive Foggia, per sintesi, si intende tutta la provincia, capoluogo, alto e basso Tavoliere, area ofantina, Gargano e Monti Dauni.

Foggia, seppur ventesima, purtroppo è maglia nera, al primo posto, per riciclaggio, seconda per omicidi, ottava per associazioni mafiose e nona per estorsione, confermando le analisi svolte dalle varie Forze dell’ordine e in primis dall’Antimafia, DIA, DDA e commissione parlamentare.

Sull’argomento irrompe Pippo Cavaliere, già amministratore del capoluogo dauno e figura apicale della Fondazione Antiusura Buon Samaritano Onlus «Tutto torna, eppure qualcuno mette ancora in dubbio l’esistenza della mafia. Diceva Borsellino:”Parlate della mafia sempre, ogni giorno, sui giornali, in TV, alla radio, con gli amici, in ufficio, a scuola, ma parlatene sempre, non abbiate paura, solo così potrà essere sconfitto questo cancro che ci divora e ci impoverisce”».

 

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Ma veniamo ad un’analisi più accurata dei dati pubblicati su Foggia, sempre svolta sul campione di 100mila abitanti.

La provincia foggiana in Italia è prima per riciclaggio di denaro, mentre per auto rubate e denunciate è seconda, con 638,5, dopo la BAT che si piazza prima con 1036. Le rapine si collocano al 18esimo posto e le minacce al 13esimo. L’usura, tentati omicidi, violenza sessuale e lesioni dolose al 19esimo. Gli omicidi colposi sono classificati al 22esimo posto. Due gradii su, al 20esimo, la Capitanata è tra le province con un alto tasso di omicidi volontari, incendi vari.

Scendendo più giù nella classifica troviamo i reati di lesioni alle persone per percosse all’80esimo posto. Un po’ più su al 57esimo quelli danneggiamenti e riscendendo al 79esimo posto furti agli esercenti, diversamente in quelle negli appartamenti all’88esimo piazzamento.

La prostituzione è 69esima assieme alla pedopornografia, mentre il 42esimo posto è per associazioni a delinquere, contraffazioni varie 28esima a contrabbando 46esima.

C’è da ribadire che alcuni reati come violenze sessuali, truffe e tutti i reati che nella sostanza, e nella carne viva si aggiunge, colpiscono la dignità umana i dati sono parziali per la mancanza di denunce per tutti quelli commessi.

È in programma giovedì 12 ottobre 2023, alle ore 18, presso la Galleria Comunale “Luigi Schingo” la presentazione dell’ottava edizione dei Quaderni Storici di Capitanata “Storie di guerra (San Severo 1943-1945)” di Giuseppe Clemente.

Introduce la presentazione Dina Contò, Presidente del CRD, con la partecipazione di Vito Antonio Leuzzi, Direttore IPSIAC di Bari. Organizzata dal CRD - Centro di Ricerca e Documentazione sulla Storia della Capitanata, la presentazione del volume è patrocinata dal Comune di San Severo e dalla Fondazione dei Monti Uniti di Foggia.

L'evento è organizzato dopo il successo della omonima mostra fotografica.

Giuseppe Clemente, noto studioso della storia della Capitanata e testimone diretto delle vicende belliche nella realtà di San Severo, nonché Presidente Onorario del CRD, consegna una originale e inedita ricostruzione memorialistica dell’ultima fase del secondo conflitto mondiale, caratterizzata dall’intensificarsi dei bombardamenti e dalla presenza di due eserciti stranieri (Tedeschi e Anglo-Americani) con ruoli diversi ed in contesti resi più tragici e difficili dal progressivo peggioramento delle condizioni di vita. L’autore, presente all’incontro, attraverso il volume riporta alla luce con una densa e limpida narrazione la sua storia di ragazzino che la guerra costringe rapidamente a farsi adulto, e al contempo descrive con precisione le drammatiche vicende della città. Clemente descrive con ricchezza di particolari l’arrivo e l’occupazione militare dell’VIII Armata Inglese, in particolare il V Corpo d’Armata e la I Divisione Canadese di fanteria che nelle operazioni di liberazione di un territorio registrarono la perdita di alcuni uomini. Si offrono tra l’altro testimonianze dei militari alleati che contrassero matrimoni a San Severo, e si presenta in particolare una consistente documentazione fotografica, che ha arricchito la mostra fotografica allestita in questi giorni all’interno della Galleria “Schingo”, quasi un ritrovato blocco di narrazione visiva, dell’Imperial War Museum di Londra assieme a foto di privati reperite nel contesto della Capitanata. I fotografi dell’esercito britannico immortalarono le prime impressioni della popolazione e numerose foto raffigurano soldati e ufficiali inglesi che familiarizzano con contadini, artigiani e intellettuali del luogo.

La scelta degli scatti esposti alla galleria e dunque presenti nel volume è stata fatta in base alla carica simbolica di ogni singola immagine, alla sua capacità di rendere meglio il senso di un luogo, di trasmettere la suggestione di un fatto e di sollecitare lo sguardo del visitatore, invitandolo a riflettere sul passato.

A seguito di una mirata e programmata attività di controllo del territorio finalizzata alla tutela della fauna ed al rispetto della normativa in campo venatorio, i militari appartenenti ai nuclei Carabinieri Forestale della provincia di Foggia coordinati e diretti dal Gruppo di Foggia hanno eseguito una intensa attività di controllo che ha portato al sequestro di numerosi richiami acustici utilizzati illegalmente per l’attività venatoria.

L’utilizzo di attrezzatura non consentita usata in forma indiscriminata viola le regole dettate dalla L. 157/92 per l’esercizio corretto dell’attività venatoria.

Utilizzando richiami acustici, infatti, si induce la fauna a spostarsi ed essere ingannata per poi essere indiscriminatamente abbattuta.

Durante i controlli e il monitoraggio del territorio si è appurato che ignoti celavano durante la notte dei richiami acustici, all’interno di stoppie e incolti attivandoli a distanza o con dei temporizzatori, e riproducendo versi di volatili durante tutta la notte esercitavano alle prime ore dell’alba la caccia abbattendo tutti gli animali attirati.

Il servizio mirato ed il capillare controllo del territorio e dei soggetti intendi all’esercizio venatorio è uno dei compiti istituzionali dei Carabinieri Forestali impegnati da sempre nella tutela dell’ambiente e della fauna.

Raffaele Vittorio Cassitto, fine studioso viestano di discipline agrarie, dopo aver pubblicato diversi testi riguardanti le condizioni economiche e sociali della Capitanata  (Estensione e produzione olearia Garganica e i suoi rapporti col commercio nel 1914[1], Climatologia di Viesti in rapporto all’agricoltura [2] nel 1915, Le Ciammaruchelle (lumache) [3] nel 1922,  La coltivazione e l’industria del fico d’india [4] nel 1924, I capperi [5] nel 1925), scrive e pubblica nel 1925 Piccole industrie rurali in Capitanata. I lampasciuli [6].

Il testo di Cassitto, poco noto ai nostri tempi, è stato meritatamente ricordato in un articolo del 2016 da Annalisa Grana[7], ambasciatrice dell’Accademia Italiana di Gastronomia Storica, oltre che citato in un articolo del P.A.T. di Puglia (prodotto agroalimentare tradizione italiana) dal titolo Nella terra dei lampascioni: un viaggio in Puglia tra storia, tradizioni e ricette [8]. Ai fini dell’iscrizione dei lampascioni o lambascioni nell’elenco del P.A.T. di Puglia è stato necessario produrre una ricerca storica[9] che riassumo in breve partendo dall’anno 1855, quando Carlo De Cesare, in un capitolo sulle produzioni spontanee di un testo riguardante le condizioni economiche delle province pugliesi, scrive, tra l’altro, che «i bulbi del “Muscari comosum” detti volgarmente lambascioni» vengono universalmente usati dalla plebe[10]. Successivamente, in un testo del 1914, Francesco Cirillo sostiene quanto segue: «Si rinvengono inoltre grandi quantità di bulbi di muscari che sono buoni per i visceri ed appartengono alla famiglia delle gigliacee il popolo li chiama lampasciuni, e da qualche anno sono esportati in America da Ascoli e Minervino»[11]. Grazie alla testimonianza di Cassitto del 1925 si viene a conoscenza dell’importanza in Capitanata dei lampascioni nei primi decenni del Novecento, mentre è di metà Novecento la documentazione dei falliti tentativi di coltivare il Muscari dell’agronomo professor Enrico Pantanelli, autore del testo Uso del cipollaccio per l’alimentazione e la produzione di alcool [12]. Infine, nel 1991 lo storico tarantino Luigi Sada ci riporta alla corretta etimologia del termine: lambascione con la lettera b[13], mentre le ricerche storiche del D’Ambrosio del 1995 ci riferiscono che il lambascione veniva servito sin dal 1756 nel seminario di Otranto[14].

Il libretto del 1925 di Cassitto, di appena una ventina di pagine, - un estratto del quale era già stato pubblicato nel 1922 nel numero 9 del giornale «Il foglietto» - testimonia l’importanza in Capitanata del Muscari Comosum nei primi decenni del Novecento, tanto da costituire «una piccola industria redditizia» risalente agli anni che avevano preceduto la Grande Guerra. I primi a cimentarsi nella raccolta e nella commercializzazione del lambascione erano stati i contadini di Ascoli Satriano, che già nel 1911 ne avevano esportavano trecento quintali ottenendo «lauti guadagni», tanto che la raccolta del bulbo edule si era estesa nei territori di Sant’Agata di Puglia, Ordona, Foggia e, in seguito, in quelli di Ortanova, Castelluccio dei Sauri, Bovino e Troia, subendo una pausa solo dovuta al conflitto mondiale. Finita la guerra, a causa della miseria, della carenza di prodotti alimentari, dell’enorme spinta al rialzo dei prezzi, della svalutazione dei salari, la raccolta dei lampascioni riprese a livello industriale diffondendosi anche nei territori di San Severo, Torremaggiore, Trinitapoli, Cerignola, Lucera e Subappennino, Lesina, Apricena e solo in poche realtà garganiche come San Nicandro.

Si ebbe un netto incremento della raccolta e dell’esportazione, passate dai mille quintali antecedenti la guerra ai duemila del 1919, tremila e cinquecento del 1920, ottomila del 1921, dodicimila del 1924. Nel Dopoguerra, i lambascioni cominciarono a essere proposti anche in trattorie e ristoranti e richiesti da benestanti[15].

Cassitto si sofferma sul riconoscimento delle «virtù terapeutiche e afrodisiache» del lambascione, attestate da medici, botanici, scrittori antichi e moderni e conosciuto sin dall’antico Egitto. Nel 1888 il dottor Curci, alla ricerca delle proprietà farmacologiche del Muscari Comosum, accertava  proprietà espettoranti nell’acqua di cottura[16], mentre Oreste Mattirolo, direttore dell’Orto Botanico di Torino, trent’anni dopo sosteneva che i lampasciuli rappresentavano un alimento di grande interesse nel mondo greco e romano, tanto da figurare negli scritti di autori importanti quali Discoride, Teofrasto, Plinio e Galeno[17]. Le qualità lassative e diuretiche del bulbo erano poi dimostrate dal direttore della Stazione Sperimentale Agraria di Bari, il professore Pantanelli[18], mentre il sempre polemico professor La Pietra nello stesso anno, il 1920, attribuiva erroneamente le proprietà purgative all’olio di oliva con cui venivano conditi i bulbi[19].

La raccolta dei lambascioni avveniva tra fine dicembre e marzo con l’uso di zappette oppure a mano nei terreni arati. Erano inizialmente raccolti da contadini e terrazzani ai fini dell’autoconsumo, ma quando cominciarono a essere ricercati per l’esportazione, diventando una risorsa economica rilevante, si videro vagare per i campi alla loro ricerca intere famiglie comprese giovani ragazze, tanto che nel 1924 la raccolta dei lambascioni raggiungeva la considerevole cifra di dodicimila quintali di cui ben diecimila venivano esportati negli Stati Uniti e, in parte, nel Brasile e in Argentina. In definitiva, in particolare per il Tavoliere, l’attività di raccolta era diventata una vera risorsa economica e si stava avviando verso la costituzione di una «piccola industria rurale» con noti industriali di frutti eduli spontanei, quali «i fratelli Orlando e Mario Casalanguida, ed un tempo i signori De Angelis, Titta Francesco Paolo e Luigi Contessa, oltre tutta una schiera di piccoli incettatori sparsi nei principali centri di produzione»[20], che spedivano in sacchi da un quintale lambascioni ripuliti a Napoli, dove venivano sistemati in casse da 50 chilogrammi e spediti nelle Americhe. Una persona adulta riusciva a raccogliere dai dieci ai quindici chili di bulbi che vendeva «all’incettatore od all’industriale per L 2 o 2,5 al chilo, realizzando così un guadagno giornaliero dalle 20 alle 35 lire», oppure a un prezzo maggiorato «per le strade delle città a lire 2,50 ed anche 3»[21].

Cassitto lamentava la scarsa conoscenza e considerazione del Muscari Comosum nel Subappennino e nel Gargano, i cui territori pianeggianti e collinari erano ricchi di lambascioni di ottima qualità. In particolare, l’autore indicava le seguenti località del Gargano: “Le Mezzane”, “Mezzanelle”, “Piano Piccolo”, “Piano Grande” nel territorio di Vieste, “Piano di Vento” e “Niuzi” in quello di Ischitella, oltre a svariate aree di Carpino, Sannicandro Garganico e San Giovanni Rotondo[22].

In conclusione, l’agronomo viestano riservava alla pianta del Muscari Comosum «un grande avvenire industriale», particolarmente significativo in un momento di gravi crisi economiche e sociali, laddove le famiglie contadine del Mezzogiorno sopravvivevano alle tristi condizioni generate dalla guerra, dall’inflazione fortemente cresciuta alla carenza di beni primari, dalla disoccupazione al carovita e al deprezzamento dei salari[23].

 _______

[1] R. V. Cassitto, Estensione e produzione olearia Garganica e i suoi rapporti col commercio, Napoli, Tip. Giaccio e Frezza, 1914.

[2] R. V. Cassitto, Climatologia di Viesti in rapporto all’agricoltura con appendice alla climatologia Garganica, Bari, Tip. Alighieri, 1915.

[3] R. V. Cassitto, Le Ciammaruchelle (lumache), Foggia, Bollettino della Camera di Commercio di Foggia, anno X, n. 1, 1922.

[4] R. V. Cassitto, La coltivazione e l’industria del fico d’india, Foggia, Tipografia Paolo Cardone, 1924.

[5] R. V. Cassitto, I capperi, Foggia, Tip. P. Cardone, 1925.

[6] R. V. Cassitto, Piccole industrie rurali in Capitanata. I lampasciuli, Foggia, Tip. P. Cardone, 1925.

[7] A. Grana, Storia e proprietà lampasciuoli di Capitanata, in «Taccuini Gastrofisici.it», 4 dicembre 2016.

[8] PAT-Puglia, Nella terra dei lampascioni: un viaggio in Puglia tra storia, tradizioni e ricette (https://www.patpuglia.it/it/20/Nella_terra_dei_lampascioni:_un_viaggio_in_puglia_tra_storia_tradizione_e_ricette/2).

[9] Dati, informazioni, autori della ricerca storica sono tratti da PAT-Puglia, Nella terra dei lampascioni: un viaggio in Puglia tra storia, tradizioni e ricette, cit. e da P. Santamaria-M. Renna, Come Bio vuole. Il percorso partecipativo della Compagnia del Carosello per una comunità del cibo, Bari, Università degli Studi di Bari “Aldo Moro”, 2021, pp. 104-108.

[10] C. De Cesare, Delle condizioni economiche e morali delle classi agricole nelle tre province della Puglia, Napoli 1859.

[11] F. Cirillo, Cenno storico della città di Cerignola, Cerignola, Pescatore, 1914, p. 50, cit. tratta da P. Santamaria-M. Renna, Come Bio vuole, cit., p. 106.

[12] E. Pantanelli, Uso del cipollaccio per l’alimentazione e la produzione di alcool, Annali R. Stazioni sperimentali Agrarie italiane, Vol. LIII, 1920.

[13] L. Saba, La cucina nella terra di Bari, Padova, Muzzio Editore, 1991, pp. 66-67.

[14] P. Santamaria-M. Renna, Come Bio vuole, cit., p. 118.

[15] R. V. Cassitto, Piccole industrie rurali in Capitanata. I lampasciuli, cit., pp. 3-4.

[16] A. Curci, Ricerche farmacologiche sul Muscari Comosum, in «Annali di Chimica e Farmacologia», Vol. 7, Serie IV, 1888.

[17] O. Mattirolo, I bulbi del Muscari Comosum (Cipollaccio o fiocco) proposti come alimento anche alle popolazioni dell’Italia Settentrionale, in «Annali R. Accademia di Agricoltura», n. 61, Torino 1918.

[18] E. Pantanelli, Uso del cipollaccio per l’alimentazione e la produzione di alcool, cit.

[19] M. La Pietra, Il Moscarino, in «Il Coltivatore», Fratelli Ottavi, n. 30, 1920.

[20] R. V. Cassitto, Piccole industrie rurali in Capitanata. I lampasciuli, cit., p. 14.

[21] Ivi, p. 13.

[22] Ivi, pp. 13-14.

[23] Cfr. ivi, p. 16.

«A Giuse', con quale coraggio ti presenti a Foggia a chiedere voti, dopo il tuo tradimento?». Così il Presidente del M.P.P.MOLDAUNIA, Ing. Gennaro Amodeo, l'indomani della visita di Giuseppe Conte a Foggia in sostegno delle prossime elezioni comunali.

«Nel 1° Governo CONTE -prosegue il Amodeo-  il Movimento MOLDAUNIA, che lottava da ben 18 anni per l'autonomia della Capitanata, ha creduto opportuno fare appello al suo conterraneo, salito agli onori della Presidenza del Consiglio, per perorare la difesa del diritto costituzionale all'autodeterminazione della Capitanata, sancito dall'art. 132 - 2° comma della Costituzione.

Ebbene, il nostro famoso conterraneo: Giuseppe CONTE, non ha avuto nemmeno la decenza e l'educazione civica di rispondere all'appello proveniente dalla gente del suo territorio d'origine, girando le spalle all’unico progetto storico che poteva ridare dignità e futuro alla Capitanata, oltre che lustro e memoria storica al suo nome.

E pensare che era sceso in campo con l'etichetta di: "Avvocato del Popolo ".

Solo un personaggio privo di dignità ed assetato di potere poteva guidare nella assoluta indifferenza, consecutivamente, un governo di destra e di sinistra, per poi scalare la presidenza dello stesso Movimento 5 Stelle che l'aveva adottato, per snaturarlo in base alla sua visione politica, distinta e distante dal DNA del Movimento e, conseguentemente, ridurlo al lumicino a causa della sua visione strategica di corto respiro».

Di seguito la lettera inviata nel giugno del 2018 a Giuseppe Conte, allora Presidente del Consiglio dei Ministri.

Racc. A.R. N° 15303581999-0
Data 30/06/2018
Al Prof. Giuseppe CONTE
Presidente Consiglio dei Ministri Palazzo Chigi
00187 ROMA (RM)

OGGETTO: Richiesta di incontro con una delegazione del Movimento MOLDAUNIA

Sono 17 anni che il Movimento Popolare Progetto MOLDAUNIA lotta per arrivare al referendum consultivo popolare per il passaggio dell' intera provincia di Foggia dalla regione Puglia alla regione Molise, ai sensi dell’art. 132 – 2° comma della Costituzione, ma il boicottaggio politico locale, impedisce di espletare il referendum, per via della mancata approvazione della prescritta delibera provinciale.

Questo, benché il Movimento avesse raccolto n. 16 delibere comunali di adesione alla richiesta referendaria, compresa quella del capoluogo: Foggia, sul totale di 61 Comuni, corrispondente ad una rappresentanza del 40,34% dell'intera popolazione provinciale, contro il 5% richiesto dal nuovo Statuto provinciale.

Data la sua origine dauna, penso che Lei non possa restare insensibile alla richiesta di autonomia che proviene dal popolo della Capitanata, fin dalla fase costituente.

Quindi, vista la circostanza propizia della sua nomina alla massima carica istituzionale, quale Presidente del Movimento innanzi richiamato

CHIEDO

la cortesia di un incontro con una delegazione del nostro Movimento, nella quale poter illustrare le ragioni del progetto MOLDAUNIA (Molise + Daunia), che rappresenta l’unica via per ridare dignità e futuro alla Capitanata, aggregata antistoricamente agli altri territori delle Puglie (Peucezia e Salento), tant’è vero che la Società Geografica Italiana nella sua proposta di “Riordino territoriale dello Stato” del 2013 ha accorpato la provincia di Foggia e quella di Campobasso in un unico dipartimento regionale.

In attesa di cortese riscontro, auguri di buon lavoro a Lei e a tutta la compagine governativa.

Foggia 30/06/2018
Il Presidente del M.P.P.MOLDAUNIA
(Ing. Gennaro AMODEO)

Il Dirigente del Settore Viabilità della Provincia, arch. Angelo Iannotta con Ordinanza n. 37/2023 ordina:

1. Il divieto del transito dei mezzi pesanti, con carico complessivo superiore alle 7,5 tonnellate, sulla S.P. n. 145 (dell’Appennino Abruzzese – dell’Appennino Sannitico), sull’intero tratto;

2. Che la segnaletica occorrente, in conformità al Nuovo Codice della Strada emanato con D.L.vo n. 285 del 30.04.1992 ed al D.M. 10 luglio 2002, sia interamente a carico della
Società Anas S.p.A.;

3. La presente Ordinanza entra in vigore in data odierna e resterà valida fino al 22/12/2023.

Ogni provvedimento in contrasto con la presente ordinanza è da ritenersi, per la durata della presente, decaduto.

La presente ordinanza sarà resa nota al pubblico mediante l’apposizione della segnaletica prescritta e resterà valida sino alla revoca della stessa.

È fatto obbligo a chiunque spetti di osservarla e farla osservare.
Avverso tale Ordinanza si potrà ricorrere al Tribunale Amministrativo Regionale della Puglia.

La Giunta Regionale con l’Autorizzazione Paesaggistica ex art. 146 D.Lgs. 42/2004 e art. 90 NTA del PPTR, in deroga ex art. 95, approvata oggi in Giunta, consente alla Provincia di Foggia di procedere all’appalto integrato del primo stralcio dei lavori inerenti la “Strada Regionale n. 1 – Poggio Imperiale - Candela”, dell’importo di 50 milioni di euro, finanziati con Delibera Cipess n. 1/2022, con i fondi FSC 2021-2027.

Il completamento della Strada Regionale n. 1 “Pedesubappenninica”, che rientra all’interno dei confini amministrativi della Provincia di Foggia, nell’Area Interna Monti Dauni è previsto nella pianificazione provinciale e regionale ed è ricompreso tra gli interventi del Contratto Istituzionale di Sviluppo della Capitanata.

La SR 1 - dallo svincolo con la S.P. 110 presso l’abitato di Radogna (nel Comune di Bovino) all’innesto sulla S.S. 16 in prossimità dell’abitato di Ripalta (nel Comune di Lesina) - è finalizzata al miglioramento della connettività dell’area del Subappennino Dauno, attraverso la messa a sistema delle realtà territoriali e socioeconomiche che la compongono.

La strada “Pedesubappenninica” costituisce l’asse di spina di un vero e proprio sistema infrastrutturale dorsale, il quale, attraverso le sue interconnessioni con il territorio, oltre ad aumentarne l’accessibilità, è in grado di mettere in rete le realtà economiche, sociali, culturali e paesaggistiche che caratterizzano l’ambito territoriale interessato.

“L’autorizzazione che abbiamo deliberato oggi completa un processo complesso, necessario per mettere in gara il progetto definitivo della Strada Regionale n. 1 al servizio della migliore mobilità in accesso, in uscita e all’interno del Monti Dauni” ha detto il vicepresidente della Regione Puglia e assessore alle Infrastrutture, Raffaele Piemontese, sottolineando come l’opera “sia richiesta dal territorio da molti anni, consentendo il collegamento di tutti i comuni dei Monti Dauni con i caselli autostradale di Candela sull’A16 e di Poggio Imperiale sull’A14: prossimo obiettivo è bandire quanto prima la gara al fine di ottenere come previsto dalla delibera del CIPESS l’obbligazione giuridicamente vincolante entro la fine dell'anno”. “Anche con questa opera, finanziata con risorse del Contratto Istituzionale di Sviluppo CIS Capitanata che abbiamo sottoscritto ad agosto 2019, oltre che del Ministero dei Trasporti - ha concluso Piemontese -, la Puglia avvia una trasformazione forte della provincia di Foggia garantendo una più efficace mobilità e accessibilità per le aree interne con e dal resto della regione e dell'Italia”.

"Un importante provvedimento che sancisce l’accesso a tutte le opportunità economiche e di sviluppo per questi territori, sino ad oggi troppo spesso confinati – ha dichiarato il presidente della Provincia di Foggia, Giuseppe Nobiletti -. Il lavoro per la Pedesubappenninica è un tassello fondamentale per l’attrattività e la competitività sotto il profilo turistico e non solo: una viabilità adeguata contribuisce a superare la penalizzazione infrastrutturale dei comuni dei Monti Dauni. Come ribadito in più occasioni, sono convinto che la Provincia di Foggia abbia tutte le caratteristiche per emergere ed allinearsi con le altre realtà pugliesi, con la consapevolezza che il percorso intrapreso richiede costanza ed impegno".

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