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L’Arcivescovo Metropolita di Foggia-Bovino, S.E. Mons. Vincenzo Pelvi, per sottolineare il grande impegno verso chi soffre svolto dagli operatori sanitari, ha desiderato che l’evento Diocesano per la XXX Giornata del Malato dell’11 febbraio 2022 si tenesse presso il Policlinico Riuniti di Foggia, facendo proprie le parole di Papa Francesco che ricorda che: “il malato è sempre più importante della sua malattia, e per questo ogni approccio terapeutico non può prescindere dall’ascolto del paziente, della sua storia, delle sue ansie, delle sue paure… e anche quando non è possibile guarire, sempre è possibile curare, consolare, far sentire una vicinanza che mostra interesse alla persona prima che alla sua patologia; cosicché, gli ospedali e ogni luogo di cura divengono locande del buon samaritano, case di misericordia”.

Pertanto, venerdì 11 febbraio alle ore 11.00 l’Arcivescovo Metropolita, S.E. Mons. Vincenzo Pelvi presiederà la Celebrazione Eucaristica presso la Chiesa San Giovanni di Dio del Policlinico Riuniti di Foggia, a conclusione della quale, insieme ai Cappellani ospedalieri, pronuncerà la preghiera di Atto di Affidamento alla Vergine di Lourdes, per tutti gli ammalati e i sofferenti, gli operatori sanitari, le loro famiglie.

La Direzione del Policlinico-Riuniti e i cappellani, hanno accolto con compiacimento il  gesto di vicinanza e premura dell’Arcivescovo Metropolita, che si svolgerà tenendo sempre presente le istanze normative di tutela e prevenzione previste per il luogo della Chiesa.

Si avvisa che alla Santa Messa potranno partecipare un numero massimo di 40 persone, in applicazione della normativa di tutela e prevenzione anti-Covid.

Si ringraziano tutti coloro che hanno reso possibile la realizzazione del programma. E’ vivo desiderio che chi nell’impegno lavorativo non possa partecipare in unione di preghiera realizzi quella vicinanza umana e di spirito che le esigenze del tempo corrente sembrano mortificare.

Di seguito il testo dell’omelia tenuta dall’arcivescovo p. Franco MOSCONE in occasione della festa di s. Lorenzo Majorano, patrono della città di Manfredonia e dell’Arcidiocesi.

“Come San Lorenzo, ogni discepolo di Cristo e il Vescovo in primis, è chiamato a servire e non ad essere servito, a spogliarsi di ogni forma di potere, perché l’unico vero potere che il Vangelo conosce è quello dell’amore, quello di dare la vita!”

«Cari fratelli e sorelle nella fede, amati concittadini di Manfredonia e pregiate Autorità civili e militari,

nel breve messaggio pubblicato per l’odierna festività ho esordito in questo modo: “anche quest’anno celebriamo il nostro Pastore e Cittadino San Lorenzo Maiorano in situazione di difficoltà dovuta al prolungarsi della pandemia, che ci indebolisce nelle relazioni e ci ruba speranza nel futuro. E’ proprio tale appesantirsi di prospettive e paure che deve farci guardare a San Lorenzo e trarre da lui insegnamenti per vivere e servire la Chiesa e la Città di Manfredonia. Lorenzo, in tempi difficili ed incerti, non ha derogato alla sua responsabilità, ha accolto le sfide del momento e fatto ripartire lo sviluppo della Chiesa e della Città colpite da flagelli immensi, ha ridato vita e forza all’identità originale e all’eredità culturale dell’antica Siponto ricreando i fondamenti tanto dell’organizzazione ecclesiale che della vita civile”.

Sì, San Lorenzo Maiorano è stato nel suo tempo autentica sentinella, che si è speso completamente tanto per la Città che per la Chiesa di Siponto, a cui era stato inviato come Pastore. Intendo guardare all’esempio del Maiorano non solo per richiedere la Sua protezione, ma per trovare la certezza che nessuna “tempesta” è insuperabile se si impara ad essere tutti coesi, tutti corresponsabili, tutti artigiani di collaborazione, tutti fratelli e sorelle! Il coronavirus ha aggiunto un’emergenza sanitaria ad altre già presenti: altri virus infettano da tempo le relazioni sociali, economiche e culturali del nostro popolo facendo ammalare l’intero territorio. E’ urgente rifondare e rinnovare le basi di una vita civile sana, per progettare e costruire un futuro sostenibile, patrimonio delle nuove generazioni, per rispettare e curare il ricchissimo ecosistema ambientale e culturale che abbellisce, rendendola unica, Manfredonia. La stessa capacità di lotta ci aspetta come Chiesa: serve il coraggio di scelte profetiche che rendano credibile l’annuncio e la testimonianza del Vangelo oggi, e coerente la Chiesa che cammina insieme al suo popolo, ama il suo territorio, lo cura con tenerezza e professionalità, collabora – senza risentimenti o sottomissioni – alla costruzione e sviluppo della Città.

Convinto di quanto appena accennato e guardando, come modello di vescovo, a San Lorenzo, mi chiedo quale sia il ruolo del pastore per questa Città e questa Chiesa, e contemporaneamente quale missione attenda i credenti in Cristo oggi in Gargano. Provo a rispondere mettendo in evidenza cinque verbi. A me, ed a tutte le persone di “buona volontà” l’invito a coniugarli!

1° CUSTODIRE

Custodire è il primo verbo (il comandamento della responsabilità e della dignità) che il Creatore consegna all’umanità secondo il racconto della creazione: non si tratta di un mito, ma della vocazione che distingue ogni uomo e donna dalle altre creature, sue sorelle. E’ dovere del credente custodire il messaggio evangelico evitandone fraintendimenti, facili strumentalizzazioni, annacquamenti, intorpidimenti, letture distorte, di parte o dimezzate. Il Vangelo non si può barattare con nulla, perché la sua potenza e bellezza è dinamica di sviluppo e futuro per tutti e per tutto. In tempi di repentini cambiamenti e di facili stravolgimenti custodire il Vangelo richiede il coraggio della fedeltà e la fatica di seguire la strada segnata da Cristo: la strada della croce, della “sequela”, che insegna ed esige ad ogni passo la misericordia e la cura, il servizio alla verità e alla ricerca del bene comune, l’indivisibile fedeltà a Dio e all’uomo. Per questo il Vangelo ci costituisce custodi della nostra Città e della sua gente, custodi della vita nelle sue molteplici forme ed espressioni, specie quando questa è calpestata ed offesa.

2° VIGILARE

La custodia di quanto ricevuto in dono ed affidato per essere curato e sviluppato, producendo una autentica ricchezza per tutti, ci chiede di saper vigilare: e saper vigilare con l’occhio del profeta. Come pastore e come credenti abbiamo il compito di vigilare smascherando le bugie e le mezze verità, che inondano come tsunami il nostro tempo, scoperchiare l’inganno delle fake news e delle false promesse che pretendono di vendere felicità e verità a buon mercato. Vigilare sui subdoli inganni, sulle diverse e soffuse modalità di abusi di potere, sulle vecchie e nuove forme di oppressione con cui di nascosto si continua a tenere al giogo fasce intere della società approfittando dei più fragili e dei più indifesi. Vigilare perché la libertà, promessa dal Vangelo e difesa dalla Costituzione, non venga barattata o mercanteggiata con moneta scaduta promettendo favori ed uno stile di vita che di fatto rende dipendenti da poteri forti inquinati di tracotanza.

3° SVEGLIARE

Svegliare significa tenere deste le coscienze facilmente assopite dal sonno della banalità e della noia che stanno inquinando, senza far rumore, le nostre vite e le speranze delle nuove generazioni. Svegliare le coscienze sia individualmente che come comunità, per innescare processi virtuosi e generativi che partendo dal cuore di ciascuno contagino creativamente territorio, Città e Chiesa: si tratta di inaugurare l’umanesimo della prossimità. Sotto questo aspetto, come vescovo, credo di dover continuamente pormi due impegni verso la Città e la Chiesa:

  • svegliare il popolo laico al senso civico e alle responsabilità civili. Aiutarlo a superare le due infezioni della sfiducia e della paura che abbruttiscono ed appesantiscono le relazioni e sfigurano i volti dei cittadini e della stessa Città. Manfredonia ed i manfredoniani non possono permettersi di lasciarsi addormentare dalla sfiducia e paralizzare dalla paura: è troppo bella la nostra Città, è troppo incantevole il nostro territorio, sono troppo sensibili i nostri cittadini per abbandonarli in braccio a sfiducie e paure!
  • svegliare il popolo cristiano al Vangelo da seminare nel tessuto delle tante comunità parrocchiali e forme associative di ispirazione cristiana che arricchiscono la Chiesa di Solo se svegli possiamo uscire, ascoltare e camminare tutti insieme annunciando, senza vergogna, il Vangelo alla nostra magnifica Città!

4° DENUNCIARE

Non c’è annuncio di Vangelo e impegno civile che esima, quando serve (… e come che serve!) dal denunciare. Si deve rischiare di essere e di risultare scomodi, di non avere facili consensi e approvazioni accomodanti. La Chiesa è consapevole che per amore del suo popolo non può tacere, che deve farsi voce e grido degli ultimi, degli indifesi, degli scartati, degli abusati e di chi vien colpito dall’ingiustizia e dalla violenza dilagante.

Questo inizio 2022 ha macchiato e ferito la nostra Città con diversi atti intimidatori. Faccio memoria di alcuni gesti segnati con lo sfregio del fuoco:

  • 8 gennaio l’auto dell’ex assessore Damiano D’ambrosio in zona Sacra Famiglia;
  • Il 23 gennaio lo stabilimento balneare l’“Ultima Spiaggia” a Siponto;
  • Il 26 gennaio l’auto dell’intagliatore Olivieri Nicola in viale Giuseppe Di Vittorio;
  • Il 28 gennaio un negozietto di distribuzione (senza personale) in via Croce. Invito ad avere il coraggio e sentire il dovere di denunciare ogni malaffare,

inganno, abuso di potere e ogni forma di intimidazione. Ricordo che “il silenzio dei buoni è partecipazione alla colpa … è terreno fertile per la criminalità organizzata”. Se non si denuncia si cade nel cinismo convinti che la chiusura nell’individualismo e l’indifferenza proteggano, mentre permettono al male di diffondersi e diventare un cancro mortale. Due sere fa l’ex questore e scrittore foggiano Piernicola Silvis1, nel presentare il suo ultimo libro, ci ha ricordato che “la mafia garganica si sta preparando a diventare grande”; non glielo possiamo permettere. “Grande” deve diventare solo il popolo garganico con tutte le sue bellezze, ricchezze ed unicità!

5° SERVIRE

Lascio come ultimo il verbo servire, non perché sia il meno importante, ma perché non può reggersi senza i precedenti. A volte ho avuto la sensazione che certi miei interventi siano stati percepiti come una sorta di ingerenza in questioni che non mi riguardavano come pastore, sostituendomi a chi gli compete. Si pensa che un vescovo debba starsene zitto e chiuso nella struttura mistica dei riti sacri, come se il “sacro” si leghi solo alle liturgie o a manifestazioni di folklore religioso. NO! Sacre sono le persone, il loro lavoro, le loro relazioni, le loro unicità. Sacre sono le famiglie dove si accoglie, cresce, protegge e cura la vita. Sacre sono le città con le strade e le case che le costituiscono. Sacri sono gli ospedali che non si strutturano come aziende, ma servizi e sostegni agli infermi. Sacre sono le scuole che devono essere sostenute per formare ed istruire. Sacro è l’ambiente che non va deturpato o violentato, ma protetto e valorizzato. Sacre sono le nuove generazioni che hanno il diritto di ereditare un paese sano ed un futuro sostenibile. Sacre sono le relazioni umane e le loro nobili espressioni. Sacri sono i malati e gli anziani, la cui dignità non viene mai meno. Sacre sono le compagnie ed i teatri dove si trasmette ed elabora cultura. Sacre sono le imprese capaci di sana economia, che danno lavoro e contribuiscono al progresso sociale del territorio e che, per questo motivo, non devono essere lasciate sole, ostaggi del ricatto della criminalità organizzata. Sacre sono le Istituzioni che non devono piegarsi a logiche clientelari, ma porsi con dignità e coraggio al servizio della Città. Sacro è tutto ciò che interessa al bene dell’uomo, perché è l’uomo che interessa a Dio!

Per questo ripeto a me e a tutti il motto e programma del profeta Isaia (Is 62, 1-2) caro al sacerdote martire don Peppe Diana:

“Per amore di Sion non tacerò,

per amore di Gerusalemme non mi darò pace, finché non sorga come stella la sua giustizia

e la sua salvezza non risplenda come lampada.”.

Come San Lorenzo, ogni discepolo di Cristo e il vescovo in primis, è chiamato a servire e non ad essere servito, a spogliarsi di ogni forma di potere, perché l’unico vero potere che il Vangelo conosce è quello dell’amore, quello di dare la vita!

Cari fratelli e sorelle nella fede, amati concittadini e stimate Autorità, coniugare con attenzione questi cinque verbi ci mette tutti e tutte, come ho

scritto nel programma della Lettera pastorale, indipendentemente dal nostro credere o non credere, dalla nostra posizione nella società e nella Chiesa, nella condizione di collaborare a TRASFIGURARE il Popolo ed il Territorio del nostro amato Gargano e della nostra splendida ed unica Manfredonia.

Che San Lorenzo Maiorano, ci sia di conforto e stimolo per fuggire ogni sfiducia e paura, e ci dia il coraggio per sentirci tutti autori e protagonisti nel TRASFIGURARE:

  • la nostra promettente economia,
  • la nostra splendida società e Città,
  • la nostra ricca cultura,
  • il nostro magnifico ed unico ambiente,
  • la nostra viva e generosa

Amen«.

1 Sabato 02 febbraio, Piernicola Silvis a Palazzo dei Celestini in Manfredonia, alla presentazione del libro La Pioggia, Ed. SEM 2021.

"Voci e Volti", il periodico dell’Arcidiocesi di Manfredonia - Vieste - San Giovanni Rotondo, dal mese scorso è online.

Il mensile diocesano è aperto a tutti.consultabile sul web, con una bella grafica e di facile lettura.

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Il n.112, Anno XII è dedicato all'importanza della salvaguardia del territorio garganico  e della sua popolazione. Ma c'è dell'altro.

All'interno un interessante articolo sulle visite dell'Arcivescovo tra i commercianti di Monte Sant'Angelo.

Inoltre, accedendo al sito vocievolti.blog si potranno consulare gli altri numeri.

«Il nostro mondo sembra regredire, perché dominato da una rottura tra individuo e collettività, uno scisma tra l’io e il noi, che rende tutti più soli, spettatori e consumatori che non amano costruire relazioni ma distruggere l’altro. Eppure desideriamo fraternità e giustizia, ricchezza di significato per la vita di ciascuno.

Siamo chiamati ad iniziare processi di luce e di bellezza, indicare il bene nascosto in ogni cosa, cercare e portare amore nelle piccole realtà quotidiane e nelle forme infinite di sofferenza e fragilità. Impariamo la leggerezza dell’amore per farlo durare, attecchire, crescere senza temere gli ostacoli e senza fargli fare quello che non vuole. E così l’imprenditore non sfrutterà l’operaio; il lavoratore non aspirerà a diventare borghese; nessuno difenderà l’inganno della società del consumo e insieme denunceremo il sopruso e il malaffare.

Il nuovo anno sarà pieno di meraviglia se tutto sarà in sintonia con il proprio cuore. Perché non si tratta di cambiare solo le strutture, ma far sì che l’egoismo si trasformi in amore. Finiamo di essere lupi e torniamo ad essere fratelli. Non c’è tempo da perdere nel criticare, ma paghiamo di persona per una rinnovata amicizia, che dia a tutti possibilità di procurarsi il pane, la cultura, la libertà.

Nell’anno che viene continuiamo a seminare i germi positivi che stanno rendendo più bella la nostra città: penso al mondo dell’istruzione, particolarmente al patto educativo della nostra Università; allo sviluppo agroalimentare intelligente sostenuto da commercianti e giovani imprenditori; all’attenzione per il turismo e i beni culturali del territorio; al significativo impegno della Procura; alla risorsa intraprendente del volontariato, soprattutto della Caritas e della Fondazione Buon Samaritano; all’instancabile impegno del Prefetto e del Commissario prefettizio per la crescita di una mentalità più responsabile e partecipativa; alle forze dell’ordine di polizia impiegate per la prevenzione dell’illegalità; al mondo della sanità, pubblica e privata, aperta a un generoso rinnovamento e all’investimento di risorse ingenti per la salute dei cittadini. Puntiamo sull’educazione, sul lavoro, sul dialogo tra le generazioni: ecco la via della pace sociale.

Costruire il bene della città, con quella cultura della cura che non esclude ma si arricchisce di ogni differenza. In molti ambiti e circostanze abbiamo paura di incontrarci a tu per tu, dialogare, ricominciando ogni giorno ad ascoltare il cuore. Ogni incontro richiede apertura, coraggio, disponibilità a lasciarsi interpellare dalla storia dell’altro senza formalismi e superficialità.

Mi chiedo: è possibile un’altra città in questa città? Sì, se ciascuno alleggerisce il cuore dai pesi dell’egoismo e della competizione, se non dissipiamo il nostro sentire nelle false culture del prestigio sociale, smettendo di andare dietro ad idoli che promettono tutto, ma in cambio danno solo affanno e indifferenza, odio e violenza. Logiche perverse e permissive. Così la vita non ci cade addosso come un terremoto, ma si lascia avvertire come feconda di novità. Non lasciamoci imprigionare dal passato, ma guardiamo il presente in un altro modo, con un’altra speranza: quella di Dio.

Non dobbiamo allontanarci da Dio, ma rendere presente Dio; far sì che Egli sia grande nella nostra vita; così anche noi diveniamo divini; tutto lo splendore della dignità divina è allora nostro. È importante che Dio sia grande tra noi, nella vita pubblica e in quella privata.

Nella vita pubblica è importante che Dio sia presente, ad esempio mediante la croce, negli edifici pubblici, che Dio sia presente nella nostra vita familiare per avere una strada comune, altrimenti i contrasti diventano inconciliabili. Rendiamo Dio grande nella vita pubblica e in quella privata. Ciò vuol dire fare spazio ogni giorno a Dio, cominciando ogni giorno dal mattino con la preghiera, e poi dando tempo a Dio, dando la domenica a Dio. Se Dio entra nel nostro tempo, tutto il tempo diventa più grande, più ampio e più gioioso».

«L’angelo disse: “Non temete, vi annuncio una grande gioia: oggi è nato Cristo Signore. Questo per voi il segno: troverete un bambino avvolto in fasce, che giace in una mangiatoia”.

Dio si fa bambino e come bambino si mette fiduciosamente nelle nostre mani. Egli viene come bambino perché possiamo accoglierlo e amarlo. Davanti al mistero, a questa realtà così tenera, così bella, così vicina ai nostri cuori, il Signore ci dona una luce interiore per incontrarlo, avvicinarci a lui, avvicinarci a tutti noi. La luce dona calore, offre amore e dove c’è un bambino che nasce, emerge stupore. Nella luce di Betlemme appare quella luce che il mondo attende. In quel bambino che giace nella stalla, Dio mostra la gloria dell’amore, che dà in dono se stesso e che si priva di ogni grandezza per condurci sulla via dell’amore. La luce di Betlemme non si è mai più spenta e lungo i secoli ha toccato uomini e donne. Dove spunta la fede in quel bambino, lì sboccia anche la bontà verso gli altri, l’attenzione premurosa per i deboli e i sofferenti, la grazia del perdono. Così Dio insegna ad amare i piccoli, ad amare i deboli. Ci insegna in questo modo il rispetto di fronte ai bambini. Il bambino di Betlemme dirige il nostro sguardo verso tutti i bambini sofferenti e abusati nel mondo, i nati come i non nati. Verso i bambini che, come soldati vengono introdotti in un mondo di violenza; verso i bambini che devono mendicare o sono sfruttati come schiavi; verso i bambini che soffrono la miseria e la fame; verso i bambini che non sperimentano nessun amore. In tutti loro respira il bambino di Betlemme, Dio che si è fatto piccolo.

Gesù nasce povero e fragile e i Signori del nuovo mondo con le loro tendenze culturali cercano di anestetizzare le nostre coscienze con motivazioni presuntuose. 

Anche allora si aspettava un Messia vittorioso, glorioso, potente, capace di liberare il popolo dall’oppressione romana. Ma a Betlemme, in quel primo Natale della storia, i notabili del tempo, i dottori e gli scribi non se ne accorgono. Solo i pastori, al messaggio dell’angelo accorrono per vedere il segno luminoso loro dato.   

Ecco allora il significato cristiano del Natale: Gesù si fa povero, diventa “nulla” e il non contare “nulla” lo rende terreno comune dove Dio e l’uomo si incontrano; e vi si incontrano con tanta maggiore verità quanto più radicale è la povertà.          

Gesù spunta da una mangiatoia e spiazza tutti, nasce povero perché ogni uomo è povero; nasce in una grotta, per essere vicino a chi non ha casa né un luogo dignitoso dove potersi rifugiare; nasce nell’umiliazione, perché ogni uomo è colpito da umiliazioni che lo feriscono e lo lacerano; nasce solo, perché la solitudine attanaglia il cuore di ogni persona; nasce in una situazione precaria, perché non c’è posto per lui nell’albergo; nasce bisognoso di cure come ogni bambino che si apre alla vita, per stare accanto ad ogni uomo bisognoso; nasce figlio di Maria, perché anche noi possiamo averla come madre; nasce figlio legale di Giuseppe, per farci capire che è vero padre chi ama e ha a cuore i suoi figli.

Non è forse questo il senso del Natale? Dio si trova nella carne di chi diventa prossimo. Questa verità ci dona gioia e coraggio. Il Signore non ci ha guardato dall’alto, da lontano, non ci è passato accanto, non si è rivestito di un corpo apparente, ma ha assunto pienamente la nostra natura e la nostra condizione umana. Non ha lasciato fuori nulla, eccetto il peccato: l’unica cosa che lui non ha. Egli ha preso tutto ciò che siamo, così come siamo.

Il Natale ci invita a riflettere, fa rinascere in noi la tenerezza umana che è vicina a quella di Dio. E oggi abbiamo tanto bisogno di tenerezza, tanto bisogno di ascoltarci e incontrarci, davanti a tante miserie. Seguiamo questa strada e vivremo sereni.         

Alla Vergine Maria, che ha accolto il figlio di Dio fatto uomo con la sua fede, con il suo grembo materno, con la cura premurosa, con l’accompagnamento vibrante di amore, affidiamo il nostro Natale. Lo facciamo in questa liturgia eucaristica in cui contempliamo il corpo di Cristo che nacque a Betlemme per la nostra salvezza».

La chiesa di Gesù e Maria è la prima chiesa del capoluogo dauno a essere cardioprotetta. Domenica 26 dicembre 2021, l’associazione “Angeli senza frontiere OdV” hanno donato un defibrillatore completo di piastre pediatriche.

Lo strumento salvavita è stato collocato all’interno del porticato che si affaccia su viale Mazzini, di fianco all’ingresso dove esiste una rampa per le carrozzelle.

Un Natale ricco di soddisfazioni, di un dono salvavita giunto nel giorno di Santo Stefano.

 «Si ringrazia la comunità religiosa della chiesa di Gesù e Maria nelle persone del parroco padre Gianni e del vice parroco padre Gianluca ed il caro amico Nino Abate. Da oggi la chiesa Gesù e Maria è la prima chiesa cardioprotetta di Foggia», ha commentato  Vito Plantamura dell’associazione “Angeli senza frontiere OdV”.

«Pregiatissime Autorità civili e militari e rappresentanti delle Istituzioni,

sono contento di poter salutarvi nuovamente in presenza e di poterci scambiare gli auguri natalizi guardandoci in volto e stringendoci la mano. Le relazioni costruttive sono fatte di “fisicità”. E’ la “fisicità” che è capace di dare contenuto allo sguardo che si fa critico sulla situazione storica che viviamo, è la “fisicità” che dà calore ai sentimenti che nascono dal cuore e sollecitano la mente a cercare cammini di bene per tutti. Grazie allora di esserci e di poterci animare insieme e promettere che il nostro impegno e dovere è essere persone per gli altri, persone per il nostro popolo. Si tratta di un popolo che ha una sua geografia, storia e cultura propria: unica per ricchezza e possibilità. E’ a questo popolo, che è in Gargano e Capitanata, da cui abbiamo ricevuto la chiamata al servizio dell’Autorità ed ottenuto la fiducia, è a questo popolo a cui dobbiamo mettere a disposizione, senza riservarci nulla per noi, i talenti e doni professionali di cui siamo portatori, per cui ci siamo preparati e su cui saremo giudicati dallo stesso popolo.

L’anno scorso non potemmo incontrarci a motivo delle misure strette di contrasto alla pandemia, che ancora preoccupa, ed allora ho cercato di raggiungervi facendovi dono del testo dell’enciclica di Papa Francesco Fratelli Tutti. Si tratta di un testo nato nella situazione di lockdown, di chiusura forzata, ma con l’intenzione di aprire all’autentica cultura della globalizzazione come fraternità ed amicizia sociale. E’ un testo prezioso per chi svolge un servizio pubblico in questo particolare tempo di cambiamento d’epoca e sconvolgimenti ambientali, sociali e di visione del mondo.

Un capitolo ci riguarda in modo particolare, il quinto, dal titolo La Migliore Politica. E’ un capitolo complesso quanto all’analisi, di provocazione nel linguaggio e propositivo nel contenuto: perché la politica non può essere solo marketing o peggio maquillage mediatico (FT 197), ma possedere uno sguardo ampio, realistico e pragmatico perché le Istituzioni siano veramente efficaci, creino inclusione ed abbattano ogni forma di esclusione o peggio di scarto.

Vi leggo il n. 154 che apre il capitolo citato: “Per rendere possibile lo sviluppo di una comunità mondiale, capace di realizzare la fraternità a partire dai popoli e nazioni che vivano l’amicizia sociale, è necessaria la migliore politica, posta al servizio del vero bene comune. Purtroppo invece, la politica oggi spesso assume forme che ostacolano il cammino verso un mondo diverso”. Sono parole dallo sguardo universale, ma la loro applicazione può avvenire solamente nelle porzioni di territorio, cultura, società affidata ad ogni legittima Autorità. Per noi si tratta del territorio, società e cultura del nostro Gargano e Capitanata: è servendo questi con professionalità, cura, passione ed anche “devozione” che ci collabora a formare la globalizzazione del bene comune. Ho utilizzato “devozione”, perché è importante, per chi è chiamato al servizio dell’autorità, riconoscere che gli viene dato da altri un impegno, gli viene assegnata una responsabilità, gli viene garantita una stima e che quindi la deve onorare come qualcosa di “sacro”.

            La Migliore Politica, a cui fa appello il Papa, può essere sostenuta solo se i politici si impegnano ad essere i migliori servi della “cosa pubblica”.  Vi trascrivo parte dell’appello che don Tonino Bello rivolse ai politici del suo tempo rispondendo alla domanda quale dovrebbe essere la migliore definizione dei politici, e dando come immediata risposta: Operatori di pace. Il testo, scritto in linguaggio poetico, solo come lui sapeva fare, risale al 1986, ma mantiene tutta la sua modernità e stimolo, ve lo ripropongo perché la profezia, non ha tempo, ma dà sostanza al tempo e lo orienta al meglio, ne illumina passo dopo passo il cammino. Ecco l’appello di don Tonino lanciato il 19 gennaio 1986:

Ed eccoci al ruolo degli operatori di pace, cioè i politici: PORTARE OVUNQUE L’ACQUA DELLA PACE.

Sono i tecnici delle condutture, gli impiantisti delle reti idrauliche; gli esperti delle rubinetterie. E’ bene sottolineare una cosa: L’acqua è una: quella della pace. Le tecniche di conduzione, invece, cioè le mediazioni politiche, sono diverse. E diverse sono anche le ditte appaltatrici delle condutture. Ed è giusto che sia così. L’importante è che queste tecniche siano serie, intendano servire l’uomo e facciano giungere l’acqua agli utenti.

Senza inquinarla. Se lungo il percorso si introduce del veleno, non si serve la causa della pace.

Senza manipolarla. Se nell’acqua si inseriscono additivi chimici, magari a fin di bene, ma derivanti dalle proprie impostazioni ideologiche, non si serve la causa della pace.

Senza disperderla. Se lungo le tubature si aprono falle, per imperizia o per superficialità o per mancanza di studio o per difetti tecnici di fondo, non si serve la causa della pace.

Senza trattenerla. Se nei tecnici prevale il calcolo e si costruiscono le condutture in modo tale che vengano interessi di parte, e l’acqua, invece che diventare bene di tutti, viene fatta ristagnare per l’irrigazione dei propri appezzamenti, non si serve la causa della pace.

Senza accaparrarsela. Se gli esperti delle condutture si ritengono loro i padroni dell’acqua e non i ministri, i depositari incensurabili di questo bene di cui essi devono sentirsi solo i canalizzatori, non si serve la causa della pace.

Senza farsela pagare. Se i titolari della rete idrica si servono delle loro strumentazioni per razionare astutamente le dosi e schiavizzare la gente prendendola per sete, non si serve la causa della pace.

Si serve la causa della pace quando l’impegno appassionato dei politici sarà rivolto a che le città vengano allagate di giustizia, le case siano sommerse da fiumi di rettitudine e le strade cedano sotto una alluvione di solidarietà, secondo quello splendido versetto del profeta Amos (Am 5, 24): ‘fate in modo che il diritto scorra come acqua di sorgente, e la giustizia come un torrente sempre in piena’.

Le parole del Venerabile servo di Dio Vescovo di Molfetta sono un forte monito per tutti noi chiamati al servizio dell’autorità ed a costruire la polis oggi in una società globalizzata ed in un mondo sfregiato dai cambiamenti climatici, indotti a sbagliate ed egoistiche scelte politiche, e flagellato dal dramma della pandemia. E’ un monito che tocca le nostre persone, certi che renderemo il servizio alla migliore politica all’unica condizione di migliorare noi stessi, il nostro modo di pensare ed argomentare, il nostro sentire e costruire alleanze, le nostre scelte rispettose del territorio e del suo popolo.

Permettetemi solo di aggiungere, continuando con l’immagine dell’acqua della pace, come metafora dell’impegno politico, un’osservazione. L’acqua per essere trasportata e distribuita in modo eguale, democratico, a tutti deve provenire da falde e pozzi non inquinati, ma rispettati, custoditi e continuamente mantenuti in efficienza. Ebbene, a mio vedere, tre sono i pozzi che alimentano il nostro Gargano.

Il primo è, per così dire, a cielo aperto: è l’ambiente naturale e culturale in cui viviamo e di cui siamo coltivatori e custodi. Si tratta della prima ricchezza, splendente, percepibile con evidenza immediata, invidiata da chi ci fa visita. La materia prima della nostra politica economica è il nostro ambiente, patrimonio diventato universale, riconosciuto come un tesoro di inestimabile ricchezza. Ogni ferita che gli si infligge è un inquinarne le acque, è un atto di violenza alla natura ed alla gente, è una forma di guerra non dichiarata ma combattuta da fazioni criminali, è un minare le basi per il futuro delle giovani generazioni rendendo difficilissimo e costosissimo lo “sminamento”.

Il secondo pozzo, questa volta da scavare con ingegno e generosità, è il lavoro. Il lavoro non arriva a caso o per semplice ricaduta di azioni pseudo produttive. Il lavoro va pensato, programmato con efficienza e scienza, va favorito da scelte che investono rispettando e costruendo armonia col territorio e la sua storia. Il primo compito della politica è scavare pozzi di lavoro autentico creando le condizioni perché crescano e si moltiplichino imprese serie, creative amanti della città.

Il terzo pozzo sono le periferie. Potrebbe sembrare strano, ma credo sia proprio così. Le falde sane e ricche d’acque pure non stanno al centro, dove la popolazione si ammassa, ma lontano, nelle periferie. Rivalutare le periferie e chi in periferia ci vive, magari con stenti e difficoltà, significa sanare e produrre futuro, impedire fughe e desertificazione, portare bellezza e rispetto dove sembra regnare il degrado e l’ingiustizia.

Irrighiamo dunque attingendo dai tre pozzi ricchi d’acque fresche e generanti pace, ricordandoci che come la monocultura rovina l’ambiente ed impoverisce l’ecosistema biologico, così la mono-economia e la politica-desueta rovinano ed impoveriscono la società di riferimento, appiattiscono la vita sociale allargando la forbice tra ricchi e poveri, tra chi esercita l’autorità e chi la subisce, distruggono il “ceto medio” e bloccano quello che si chiama “ascensore sociale”. Il Gargano ha bisogno di rispetto della bio-diversità, di promozione di una multi-economia, della Migliore Politica capaci di sviluppare tutte le sue potenzialità che gli offrono il mare, la terra e la millenaria cultura. Il Gargano ha bisogno che si combatta la tendenza a omologare tutto, confondendo uniformità con libertà, ha bisogno di cultura della legalità che educa a relazioni responsabili ed educanti, ha bisogno di ridare ai suoi giovani la certezza che qui, non altrove, c’è possibilità di futuro e sviluppo sostenibile.

Concludo con una citazione di un altro profeta del secolo passato, slogan per ogni buon servitore della cosa-pubblica: “ho imparato che il problema degli altri è uguale al mio. Sortirne insieme è politica. Sortirne da soli è avarizia” (Don Milani).

Buon Natale!»

"Voci e Volti", il periodico dell’Arcidiocesi di Manfredonia - Vieste - San Giovanni Rotondo, è finalmente online.

Una versione aperta a tutti.consultabile sul web, con una bella grafica e di facile lettura.

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Il n.111, Anno XII è dedicato al Santo Natale 2021, alle fasi del Sinodo, e altro. Inoltre, si potranno consulare gli altri numeri.

 

Di seguito la replica dell’Ufficio Comunicazioni Sociali Manfredonia, dell’Arcidiocesi Manfredonia-Vieste-San Giovanni Rotondo, per l’articolo pubblicato dall’Immediato.

«Degna di ammirazione ed oltremodo lodevole è stata definita dall‟intera opinione pubblica locale l‟opera preziosa svolta da alcuni decenni presso la parrocchia s. Maria della Libera, nella contrada Macchia di Monte Sant‟Angelo, dai Padri Camilliani i quali si sono prodigati con pastorale abnegazione verso tutti i residenti nel territorio parrocchiale mirando sempre a testimoniare e vivere i precetti evangelici e ad unire gli animi piuttosto che a dividerli, non dimenticando di far muovere i passi di tutti i parrocchiani lungo il cammino, anche se difficile ma pur sempre prezioso, della convivenza civile, della legalità e della pace.

Ma oggi, proprio per cercare di dare, per mero scoop giornalistico, parvenze di immediate risposte nelle difficili situazioni intraprese, qualcuno ha pensato di poter distorcere nel contesto di notizie sul recente blitz Omnia nostra”, con una notizia sensazionale e ben tagliuzzata ad effetto, pubblicata sul giornale web “l‟Immediato” ("I summit del clan in chiesa e il movente della strage di San Marco: “Romito è morto per Vieste”. Gatti racconta la mafia garganica", ndr.), la preziosa opera di accoglienza e fraternità svolta verso persone di ogni estrazione sociale innescando, di conseguenza, un insieme di calunniose supposizioni con interventi imprecisi e, a volte, a dir poco denigratori ed estemporanei.

E‟ appena il caso di ricordare che per molti anni i Padri Camilliani si sono indefessamente prodigati nel territorio per la diffusione e la pratica di valori essenziali e basilari, quali la religiosità, la solidarietà e la condivisione, la famiglia, il senso dell‟appartenenza al territorio, la legalità, il rispetto dell‟altro e del Creato.

Ma aver voluto affrontare questa espressione magnifica di apostolato tra la nostra gente in maniera sensazionale, con incisi e supposizioni calunniose, al solo fine di suscitare un certo interesse nei lettori del common information space perseguito peraltro con parole pesanti nei confronti della sede parrocchiale quale “luogo di riferimento religioso ed anche di incontro degli elementi di vertice dell‟associazione mafiosa”, non può non meritare censura e ferma smentita.

Occorre piuttosto riconoscere l‟opera preziosa di accoglienza delle persone di ogni estrazione sociale, opera propria di una comunità parrocchiale, che non significa di certo aver ospitato alcuna sorta di „summit‟ di mafia, ed uscire da quegli schemi di notizie scoop che certuni vorrebbero far passare quasi con forza, e prendere consapevolezza del valore e dell‟impegno pastorale dei pp. Camilliani ed anche di stili giornalistici che illuminino la nostra esperienza e la nostra storia civile.

E dunque, a tutti noi impegnati ancora oggi a spendere energie e ad evangelizzare sempre più il nostro territorio è richiesto di avere occhi nuovi e attenzioni nuove per quell‟essere presente dell‟altro, anziano o povero o straniero o ammalato o portatore di handicap o perché no anche “malvivente o delinquente”, che è posto, per la durata dei nostri giorni, accanto a noi dalla divina Provvidenza, sulla scorta di quel ricco patrimonio di umanità tramandatoci dagli insegnamenti evangelici».

A seguito dell’atto intimidatorio perpetrato nei confronti della farmacia Simone di Monte Sant’Angelo che ha creato ingenti danni alla struttura, l’Arcivescovo p. Franco nel pomeriggio di oggi 7 dicembre si è recato a far visita alla sede della danneggiata farmacia ove ha incontrato la titolare ed i dipendenti, cui ha manifestato la vicinanza e la solidarietà della Chiesa diocesana ed ha pronunciato ferma condanna dell’insano atto criminoso che non porta da nessuna parte.

La criminalità del ‘forte’ o del prepotente, anche se di pochi, tuttavia persiste tra noi con atti di violenza e di inciviltà e va combattuta senza timore da tutti, e non solo dalle Istituzioni, perché tutti indistintamente siamo chiamati a schierarci dalla parte della legalità e della convivenza civile e a testimoniarle e perseguirle con fermezza ogni giorno e in ogni circostanza.

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