a cura del prof. Giuseppe Piemontese - Società di Storia Patria per la Puglia.
La Puglia, patria del Romanico-pugliese, è la terra dove le cattedrali si distinguono, oltre che per la loro bellezza architettonica, quanto per i loro bellissimi rosoni, che caratterizzano in maniera armonica l’intera costruzione, tanto da suscitare nei secoli la meraviglia dei visitatori italiani e stranieri. E, oggi, in cui manca il senso estetico della bellezza pura, si vuole dare ai rosoni delle cattedrali pugliesi il giusto merito e la giusta riconoscenza eleggendoli a Patrimonio Mondiale dell’UNESCO. Tale proposta è stata presentata e illustrata il 23 Settembre 2021 a Palazzo Dogana di Foggia, in una tavola rotonda organizzata dalla Compagnia Exsultanti, in cui si è venuto a sapere che, oltre ai rosoni delle cattedrali di Otranto, di Ostuni, di Trani, di Ruvo, di Brindisi, di Bitetto, di Bari, per quanto riguarda la Capitanata, sono stati indicati 6 rosoni e precisamente: il rosone delle cattedrali di Bovino, Troia, Lucera, San Severo, Cerignola e Siponto, in tutto 33 rosoni pugliesi. A questi, vorrei aggiungere, se mi è consentito, anche il rosone della Chiesa di San Pietro in Monte Sant’Angelo. Un rosone che è fra i più belli della Puglia, che fa parte, giustamente, del patrimonio storico-culturale dell’intera Puglia e con essa dell’Italia tutta, orgogliosa di possedere un numero più alto di Siti Unesco, di cui fa parte il nostro Santuario di San Michele. Il riconoscimento del nostro rosone, visto nell’ambito della richiesta degli altri rosoni pugliesi, servirebbe maggiormente a sensibilizzare la popolazione garganica verso le bellezze architettoniche e scultore della Puglia, contribuendo così a creare e, quindi, a valorizzare una grande Via delle Cattedrali Pugliesi, con i loro rosoni, simboli della bellezza universale dell’arte. E a tale proposito, siamo d’accordo quanto riferisce il nostro Presidente Regionale Michele Emiliano: “Pensare che i Rosoni di Puglia possano essere riconosciuti Patrimonio Mondiale UNESCO è una cosa di una bellezza entusiasmante, un patrimonio identitario pugliese unico nel suo genere, che trova il modo di essere ulteriormente valorizzato e promosso”. Vediamo da vicino in che consiste la singolarità e l’unicità del Rosone della Chiesa di San Pietro in Monte Sant’Angelo. Una Chiesa, che risale al tempo del vescovo Lorenzo Maiorano, il quale, alla fine del VI secolo, fece costruire, di fronte alla Grotta dell’Arcangelo Michele, una Cattedrale dedicata a San Pietro, con due altari rispettivamente dedicati a San Giovanni Battista e alla Beata Vergine. Ciò è documentato nel Liber de Apparitione Sanctis Michaelis, un'opera scritta fra la fine dell’VII-VIII, in ambito longobardo, probabilmente in ambiente beneventano. L’autore ebbe come fonte un libellus da cui si evinceva la fondazione della Chiesa di San Pietro al tempo del vescovo Maiorano. Successivamente la stessa Chiesa è ricordata nella Vita Sancti Laurentiis, un documento composto tra la fine dell’XI e gli inizi del XII, in cui si parla della fondazione di tre chiese e precisamente della Chiesa di San Pietro, del Battistero di San Giovanni in Tumba e della Chiesa di Santa Maria Maggiore. Probabilmente la primitiva Chiesa, sorta al tempo di Lorenzo Maiorano, dovette subire diverse demolizioni, tanto da essere successivamente ampliata, fra l’VIII e il IX secolo, con un impianto basilicale più grande. Fra l’XI e il XII secolo, venne decisa la costruzione del Battistero di San Giovanni in Tumba e della Chiesa di Santa Maria Maggiore. Purtroppo, dell’antica Chiesa di San Pietro, avendo subìto varie modiche, oggi non ci rimane che il basamento centrale con alcune colonne che dovevano sorreggere le navate laterali e una maestosa abside a semicatino con nicchie. Lungo le paraste dell’abside vi sono diverse decorazioni a foglie rigidamente solcate, che ci riportano a modelli orientali dell’antica Armenia. Inoltre, dagli scavi effettuati all’interno della chiesa, sono venuti alla luce resti di varie tombe di datazione incerta. L’attuale facciata della Chiesa di San Pietro, con il suo il rosone, è di epoca seicentesca, e precisamente del 1605, allorquando per volontà dell’arcivescovo Domenico Ginnasi (1550-1639), divenuto poi cardinale e “compadre” del figlio del re di Spagna Filippo III, venne deciso di rifare la facciata dell’antica chiesa, con l’attuale rosone. Ciò è testimoniato non solo dalla data apposta lungo la circonferenza del rosone (1605), ma anche dallo stesso stemma dell’arcivescovo posto sull’abside del portale. La chiesa era ancora in piedi al tempo in cui lo studioso tedesco H.W. Schulz, nel 1860, la visitò, descrivendola come un’aula monoabsidata, con volta a botte e con affreschi all’interno raffiguranti Cristo in trono ed una Crocifissione. Dopo pochi anni, forse a causa di terremoti, la chiesa venne demolita interamente. Di essa, come abbiamo detto, ci rimane solo l’abside semicilindrica, tracce di basamenti basilicali a tre navate e frammenti scultorei conservati nel Museo lapideo della Basilica di S. Michele, che ci riportano alla scultura figurativa del XII secolo, sorta tra Borgogna e Aquitania e diffusa lungo le vie del pellegrinaggio. Il rosone fa parte di quegli elementi decorativi tipici delle cattedrali pugliesi. Esso è accumunato alla simbologia della ruota e, quindi, al cerchio, quale simbolo solare. Nei testi e nell’iconografia cristiana la ruota ha spesso dodici raggi, numero zodiacale, con riferimento al ciclo solare. La ruota è anche il simbolo del mondo. La ruota, a quattro raggi, è l’espansione del mondo, secondo le quattro direzioni dello spazio. La ruota a seri raggi si riconduce al simbolo solare. Mentre la ruota a otto raggi ci si riferisce alle otto direzioni dello spazio, secondo i petali (otto) del loto, che sono il simbolo della rigenerazione e del rinnovamento. Il cerchio intorno alla ruota rappresenta la circonferenza del Cielo e della Terra. Il centro del cerchio è il Cielo, mentre la circonferenza è la Terra. Il raggio è l’Uomo, mediatore fra il Cielo e la Terra. Il cerchio circoscritto al quadrato simboleggia il Cosmo, cioè il Cielo e la Terra. Mentre il quadrato, circoscritto al cerchio, è il simbolo della “scintilla” divina nell’involucro materiale. La Croce a raggi, nell’interpretazione cristiana, simboleggia il dominio di Cristo su tutta la Terra. Presso gli Irlandesi si hanno croci funerarie accompagnate dal simbolo della ruota o dal cerchio, per significare l’allargamento della sfera spirituale o religiosa a quella terrestre. Nelle cattedrali medievali l’immagine di Cristo al centro dei rosoni è il simbolo del ruolo determinante del Salvatore, posto al centro del progetto escatologico divino. La ruota, nella simbologia cristiana, è l’immagine della scienza cristiana unita alla santità. Essa è l’emblema della dotta egiziana Santa Caterina, che è la leggendaria patrona dei filosofi cristiani. La ruota è anche il simbolo del cambiamento e del ritorno delle forme di esistenza. Per Jung e la sua scuola, i rosoni delle cattedrali rappresentano il Sé dell’uomo trasposto sul piano cosmico. È l’unità nella totalità e l’autore, considerando il rosone come un altro mandala, aggiunge che “possiamo considerare come mandala le aureole di Cristo e di santi”. C’è, quindi, identificazione fra il simbolismo del Cristo cosmico con quello del centro mistico in un continuo ritorno fra il centro e la periferia. Nella iconografia cristiana la ruota è stata paragonata anche alla ruota della Fortuna, in quanto essa sta a ricordare agli uomini il loro destino, legato alla sorte e, quindi, alla fortuna (la Ruota della Fortuna). Nell’arte medievale, la ruota è intesa anche come “Ruota della Vita”, che solleva gli uomini per poi lasciarli nuovamente cadere. Spesso gli angeli, detti i cherubini, vengono rappresentati con una serie di ruote alate fiammeggianti, che servono per raggiungere il Paradiso.
Il portale della Chiesa di San Pietro -foto allegata dal prof. Giuseppe Piemontese-
Al centro del rosone, a forma di ruota della facciata di San Pietro, troviamo il simbolo della stella, che rappresenta la luce e, quindi, lo spirito rigeneratore. La stella fiammeggiante a cinque punte è il simbolo della manifestazione centrale della luce, del centro mistico, del fuoco di un universo in espansione, quindi, del microcosmo umano. Nel Buddismo Zen il cerchio significa illuminazione, perfezione dell’uomo in sintonia con il principio originario. La stella a se punte, con i due triangoli rovesciati e intrecciati, è il simbolo dell’unione dello spirito e della materia, dei principi attivi e passivi, il ritmo del dinamismo, la legge dell’evoluzione e dell’involuzione. Il sigillo di Salomone è il simbolo stesso del giudaismo. La stella a sette punte rappresenta l’armonia del mondo, l’arcobaleno dai sette colori, ma essa è anche il simbolo dell’Apocalisse. La stella a otto punte, come nel caso del rosone della facciata seicentesca di San Pietro, è il simbolo della rinascita dopo il battesimo e, quindi, di Resurrezione. Il rosone della chiesa di San Pietro è caratterizzato dalla presenza di quattro Sirene con le gambe a forma di serpente, o di pesce, che si intrecciano reciprocamente in maniera sinuosa. Le Sirene rappresentano il desiderio dell’uomo di vincere, con la loro seduzione, la morte, le passioni che albergano nell’inconscio, in cui vi sono le pulsioni oscure e primitive dell’uomo. Le Sirene hanno popolato il multiforme mondo della mitologia. L’immaginario collettivo le conosceva come spiriti dei morti, al pari delle Erinni che, avendo bisogno di nutrirsi di sangue per sopravvivere, cercavano di attirare a sé i mortali. Tali vengono descritte nel XII libro dell’Odissea da Omero, allorquando le Sirene vogliono attirare con il loro canto Ulisse.
Inoltre tali figure le troviamo anche nelle Argonautiche di Apollonio Rodio, in cui il canto di Orfeo, induce le sirene all’inevitabile suicidio. Secondo Eustazio, invece, le Sirene sarebbero state splendide fanciulle che, avendo scelto di mantenere la propria verginità, furono trasformate da Afrodite in uccelli. Con Euripide invece le Sirene dimorano nell’Ade, al servizio di Persefone. Nella iconografia del mondo antico le Sirene generalmente vengono rappresentate con la figura tipica di donna alata con zampe, coda ed ali d’uccello, raramente vestite. Con il passare del tempo, le Sirene vengono progressivamente trasformate in creature mostruose, con la parte superiore del corpo umana e quella inferiore pisciforme. Tale trasformazione della Sirena in un essere mostruoso la troviamo nell’arte romanica, in cui la Sirena, in chiave cristiana, simboleggia la duplicità della natura umana in cui il bene ed il male convivono.
Nella iconografia cristiana le sirene, figure ambivalenti, simboleggiano l’anima dopo la morte in attesa del Giudizio. L’arte medievale le raffigura con due differenti aspetti: 1) Sirene-uccelli, quasi identiche alle arpie, uccelli con la parte superiore del corpo femminile; 2) Sirene-pesci, come nel caso del rosone di San Pietro, con la testa umana e il corpo di un pesce. L’immagine delle Sirene, che afferrano con le mani la coda di pesce o di serpente e la divorano, come nel caso dell’immagine scultorea che troviamo sul cornicione del Battistero di San Giovani in Tumba (una donna nuda alla quale un serpente addenta il seno e il sesso), è il simbolo delle anime che sono cadute nella rete della Lussuria. Accanto a questa immagine della Lussuria, nello stesso Battistero, troviamo immagini scultoree della Maternità (una donna con un bambino fasciato minacciato del drago) e dell’Accidia (una lumaca dal cui guscio esce una sirena). Inoltre l’atto di mordersi la coda, come nel caso del rosone di San Pietro, rappresenta il tempo che si muove incessantemente e, quindi, il decorso dell’anno e delle stagioni. Inoltre, il serpente o il pesce, a forma di spirale, simboleggia la forza vitale del profondo e a questo si ricollega anche la spirale geometrica che significa il rapporto del mondo con la sua origine. La capigliatura sciolta delle sirene è il simbolo della “trappola della Lussuria”. Tali immagini scultore le troviamo sia nell’arte romanico-gotica che rinascimentale, con contaminazioni anche nell’arte barocca, in cui la decorazione esteriore acquista un ruolo fondamentale sul piano stilistico, conservando ancora quella funzione didascalica del racconto scultoreo o pittorico assegnata all’opera artistica di carattere religioso. Infatti, in età barocca gli artisti seppero inventare un repertorio simbolico ed iconografico moderno per rappresentare e raffigurare non solo le storie dell’Antico e del Nuovo Testamento, ma anche gli episodi più salienti e significativi della vita dei nuovi santi, nonché episodi legati alla cultura classica, che si ritrovano nella civiltà rinascimentale. L’arte sacra barocca conserva, quindi, ancora il carattere didascalico e allegorico dell’arte romanica e gotica, creando così un connubio fra antico e moderno, fra la committenza e gli artisti, i quali avevano lo scopo di comunicare, con le loro opere, la cultura del loro tempo, quella stessa cultura che era dell’uomo colto e dell’uomo popolare, in quanto entrambi si riconoscevano nella cultura religiosa del tempo, che era quella cristiana. E gli artisti di età barocca, come lo stesso Caravaggio, furono in grado di cogliere e di rappresentare gli ideali estetici comuni alla maggior parte della società del XVII secolo ed essere autentiche espressioni della cultura del tempo.
Il rosone della chiesa di San Pietro, datato 1605, fa parte dell’arte popolare, legata alle diverse botteghe artigianali, che, specie in Puglia, erano presenti, già nel Medioevo, nei cantieri delle cattedrali romaniche e nel Seicento, specie nei centri salentini, dove l’arte barocca raggiunse le sue vette più eccelse. Da qui, probabilmente, giunsero gli artigiani che scolpirono il nostro rosone, dove si manifesta quella raffinatezza di espressione e di forme che ritroviamo nella Cattedrale di Santa Croce in Lecce (1646). Anche sulla facciata leccese ritroviamo, in maniera eclatante, il motivo del rosone con le sirene, che in maniera ossessiva caratterizzano le diverse sezioni della facciata. La maggior parte delle sculture e dei capitelli del piano inferiore, sono opera dell’artista Francesco Antonio Zimbalo, scultore di notevole raffinatezza che esegue fra il 1606 e il 1614 i tre portali della chiesa leccese, l’altare maggiore e l’altare di San Francesco. Nell’arte dello Zimbalo “elementi diversi ne connotano il personale linguaggio stilistico: partiture architettoniche di accentuato rigore geometrico congiunte ad apparati scultorei ricchi e fantasiosi dove non mancano commistioni di sacro e profano nella presenza contemporanea di figure di angeli e di nudità mitologiche, animali fantastici, elementi fitomorfi”. Tutto ciò lo ritroviamo anche nel rosone della chiesa di San Pietro in Monte Sant’Angelo, dove elementi cristiani sono legati ad elementi paganeggianti, che affondano le loro radici nella cultura classicheggiante, mutuati, però, attraverso la cultura cristiana del Seicento. A tale proposito, non è da escludere che il Salento, abbia avuto, attraverso lo Zimbalo, dei rapporti con il Gargano, dove vi erano abili lapicidi, già al tempo dello scultore Acceptus (sec. XI). Del resto, così come nel Salento, anche sul Gargano la pietra si prestava molto bene alla lavorazione scultorea, propria per le sue qualità di pietra locale tenera e facilmente modellabile. A questo punto, bisognerebbe approfondire la personalità del cardinale Ginnasi (1550-1639), il quale senz’altro commise la realizzazione della facciata seicentesca di San Pietro. Il cardinale Ginnasi fu vescovo di Manfredonia e Monte Sant’Angelo, dal 1587 fino al 1607, quando era già cardinale. Il suo arrivo a Manfredonia coincise anche con il trasferimento della Cattedra Episcopale da Siponto a Monte Sant’Angelo, tanto da attirarsi, all’inizio, le ire dei sipontini. Ben presto il suo senso di equilibrio e di saggia amministrazione fece si che sia i sipontini che i garganici si rappacificarono. Il Ginnasi intraprese diverse opere di restauro dei monumenti della diocesi, fra il restauro della Chiesa di Santa Maria di Siponto, di Santa Maria Maggiore di Monte Sant’Angelo e all’interno del santuario garganico abbellì di marmi diversi altari. Inoltre, fondò in Manfredonia, nel 1598, il Monte di Pietà, per alleviare dalla miseria la popolazione sipontina. Sull’architrave del portale della chiesa di San Pietro è scolpito lo stemma del cardinale Ginnasi. Altrettanto sul portale dell’ingresso all’Abbazia di Santa Maria di Pulsano. Nel primo vi si rappresentano, nella parte superiore dello stemma, tre gigli, mentre nella parte inferiore è scolpito un avambraccio con in pugno due spade. Invece, nello stemma di Pulsano, vi si notano le figure di un leone e di un grifo. Evidentemente il cardinale ci teneva a tramandare ai posteri la sua committenza e la sua opera di abbellimento e di restauro dei monumenti della sua diocesi, che, unita all’opera di assistenza ai poveri, faceva sì che il suo operato fosse molto apprezzato dalla popolazione dauna. Quindi, per tutti questi motivi, si chiede che anche il Rosone della Chiesa di San Pietro in Monte San’Angelo, quale espressione della bellezza e della creatività artistica pugliese, venga inserito nella lista dei Rosoni pugliesi per diventare Patrimonio Mondiale dell’UNESCO.