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Partono gli incontri di condivisione e partecipazione del progetto "Lucera 2026", città capofila dei Monti Dauni ed unica in Puglia candidata a Capitale italiana della cultura. Giovedì 17 agosto 2023 alle ore 20.00 appuntamento in Piazza Duomo per la presentazione di “Lucera 2026: una comunità, una regione”.

Interverranno Giuseppe Pitta, Sindaco di Lucera; Aldo Patruno, Direttore generale del Dipartimento Turismo, Economia della Cultura e Valorizzazione del territorio della Regione Puglia e Pasquale Gatta, co-coordinatore della candidatura a Capitale italiana della cultura con LINKS Foundation. A moderare l’incontro sarà Danila Paradiso.

La Capitale italiana della cultura è un’iniziativa istituita nel 2014 e volta allo sviluppo delle città tramite la valorizzazione del patrimonio culturale e la promozione della cultura.
Sono ben 26 le città italiane e le unioni di Comuni che hanno inviato la manifestazione d’interesse per il bando “Capitale italiana della cultura 2026”.

Presenti 14 regioni italiane, con un’ampia distribuzione geografica da nord a sud della Nazione.
Per proseguire la corsa verso il titolo, le aspiranti Capitali dovranno perfezionare la loro candidatura inviando - entro il prossimo 27 settembre - un dossier che sarà sottoposto successivamente alla valutazione di una commissione composta da sette esperti indipendenti di chiara fama nel settore della cultura, delle arti, della valorizzazione territoriale e turistica.

L’ultima città ad essere insignita del titolo è stata Agrigento per il 2025, preceduta da Pesaro che diventerà capitale della cultura nel 2024 e da Bergamo e Brescia che sono insieme la Capitale italiana della cultura attualmente in carica per il 2023. La prima a ottenere questo riconoscimento è stata Mantova nel 2016. Poi sono seguite Pistoia nel 2017, Palermo nel 2018 e Parma nel 2020, titolo prorogato anche nel 2021 a causa dell’emergenza Covid-19, nel 2022 è stata Procida.

La città vincitrice, grazie anche al contributo statale di un milione di euro, potrà mettere in mostra, per il periodo di un anno, i propri caratteri originali e i fattori che ne determinano lo sviluppo culturale, inteso come motore di crescita dell’intera comunità.

Entro il 15 dicembre 2023, la commissione definirà la short list delle 10 città finaliste, e la procedura di valutazione - dopo l’audizione pubblica dei progetti finalisti entro il 14 marzo 2024 - si concluderà per il 29 marzo 2024 con la proclamazione della Capitale italiana della cultura 2026.

Il territorio di  Mattinata, per la sua posizione geografica, quale approdo naturale nell'ampia fascia costiera del golfo di Manfredonia, è stato al centro di un vasto processo di civilizzazione, che ha visto vari popoli insediarsi sul suo territorio, dando origine, così, ad uno dei primi nuclei abitativi del Gargano. Quale testimonianza storica ed archeologica abbiamo la necropoli di Monte Saraceno, intorno a cui, se non nelle vicinanze, dovette esistere un centro urbano, Matinum, tale da convogliare  gente non solo dei dintorni, ma anche delle opposte rive dell'Adriatico.

Della necropoli di Monte Saraceno, ormai, la ricerca archeologica la fa risalire all'età del Ferro, in concomitanza con le prime civiltà urbane sorte in Occidente, che avevano, come esempio illustre e ormai consolidato nel tempo, le città dell'Asia Minore e dei paesi balcanici. Infatti, le varie campagne archeologiche testimoniano di una vasta necropoli, organizzata in distinti nuclei cimiteriali e un ampio abitato, corredato dalle strutture difensive, risalente alla fine dell'età del Bronzo senza soluzione di continuità sino agli albori del VI sec. a. C., con un momento di massima fioritura durante la prima fase dell'età del Ferro, in particolare tra i secoli IX-VIII-VII a. C. È l'età in cui si afferma, come abbiamo visto, la civiltà dei Dauni, di cui Monte Saraceno è un importante caposaldo per il ritrovamento delle stele daunie, specie  di quelle con funzione antropomorfica. Ciò sta a dimostrare che le popolazioni illiriche, di origine pelasgiche e iapige, erano giunte sul Gargano già all'inizio del primo millennio e avevano fondato diversi nuclei abitativi, di cui le stele rappresentano vari nuclei sepolcrali, che ritroviamo in diverse zone della Daunia, fra cui Coppa, Cupola, Versentino, Coppa Nevigata, ecc.

Silvio Ferri, il noto scopritore delle stele daunie, afferma che a colonizzare il territorio di Mattinata fu una tribù detta dei  Matinates, che  si stanziò nella zona. Siamo fra il IX e l'VIII secolo e queste popolazioni sarebbero stati gli ultimi indoeuropei, artefici delle stele daunie e fondatori della  necropoli di Monte Saraceno (con tombe  "a borsa" e in camera a cupola o a  tholoos)  e del  relativo villaggio protostorico.

Dopo la migrazione illirica, si ebbe l'arrivo dei Greci, i quali colonizzarono quasi tutta l'Italia meridionale, fondando colonie e città in Sicilia e nelle regioni meridionali, fra cui la Puglia. I Greci introdussero non solo la loro cultura e la loro lingua, ma portarono tutto il loro bagaglio religioso, fondando santuari e diffondendo nuovi culti. Uno di questi fu, come abbiamo detto,  quello di Diomede,  fondatore di diverse città pugliesi, fra cui Arpi, Sipontum, Canusium, Salapia, e probabilmente  anche Matinum. E ancora sulle pendici del Gargano e nella vallata di Carbonara i culti di Calcante e di Podalirio. Mentre a livello generale abbiamo il culto di Dauno, da cui nasce, come abbiamo detto, la civiltà daunia fra il IX e l’VIII secolo, fino al IV secolo a. C.

 

Monte Sacro. Abbazia della SS. Trinità

 

Intanto in territorio di Mattinata, e precisamente su Monte Sacro, dove nel secolo V sorgerà il Monastero della SS. Trinità (nella foto), si fa riferimento all'esistenza di un antico culto dedicato a Giove Dodoneo, la cui denominazione deriva da un'antica città situata nell'Epiro, in Grecia nord-occidentale, dove si trovava un oracolo dedicato a Zeus, il dio del fulmine re dell'Olimpo.  Infatti, il monte, fino al V secolo, era noto come Monte Codone, il cui culto era è presente a  Dodona, antica città della Tesprozia, in Epiro, nell'odierna valle di Olytsika, un tempo abitata dai Pelasgi. Il culto, poi, fu diffuso in tutta la Grecia, per cui non vi era città in cui non fosse presente un suo santuario. Secondo la tradizione il culto di Giove Dodoneo fu portato sul Gargano da Pilunno II, condottiero delle prime migrazioni dei Pelasgi, o da un suo discendente, Dauno, re dei Dauni. Tale culto sarebbe durato fino al tempo del vescovo sipontino Lorenzo Maiorano (sec. V), il quale, nel suo programma di distruzione del paganesimo sul Gargano, e dopo aver fondato il culto di S. Michele, sostituì il culto pagano di Giove Dodoneo con un nuovo tempio dedicato  alla SS. Trinità. Da questo momento  il monte non si chiamò più Monte Dodoneo, bensì Monte Sacro.

Nelle vicinanze dell’Abbazia della SS. Trinità sono visibili resti di fabbricati più antichi, in cui si ravvisano tracce di un preesistente tempio pagano, risalente al III secolo a. C. e che probabilmente farebbe parte dell’antico tempio dedicato a Zeus Dodoneo. Del resto la denominazione di Monte Sacro nasce in continuità all’antico tempio di Giove Dodoneo, ritenuto sia dai Greci che dai Romani il dio supremo del mondo e, quindi, un Monte Sacro per eccellenza. Da allora è rimasto tale anche in età cristiana, allorquando il vescovo Lorenzo Maiorano, nel V secolo d. C., dedicò il tempio pagano alla SS. Trinità, trasformandolo in abbazia monastica.  E tutto ciò in osservanza al processo di sincretismo religioso che si verrà a creare in Puglia e precisamente sul Gargano fra il IV e il V secolo d. C., nonché in riferimento anche ad un processo di continuità fra le antiche genti delle due opposte sponde adriatiche, in nome e per conto delle loro culture e delle loro civiltà mediterranee.

Il culto di Diana a Siponto

Di un altro culto pagano nella Daunia si parla anche a Siponto, dove la tradizione vuole che vi fosse stato un antico tempio dedicato a Diana.

Ciò si ricava dal ritrovamento di un ceppo con iscrizioni latine in un  pozzo vicino l'antica chiesa di S. Maria. Tuttavia per la fondazione di Siponto ci dobbiamo riferire a quanto afferma lo storico Strabone, il quale così riporta : “È ritenuta fondazione di Diomede anche Siponto che dista da Salapia circa 140 stadi, e veniva chiamata con nome greco  Sepius per via delle seppie sbalzate qui dalle onde”. A tale proposito la storiografia recente afferma che il nome Siponto, non è altro che la grecizzazione di un toponimo indigeno la cui radice indoeuropea sap/sep, rimanderebbe alla natura lacustre/palustre del  paesaggio geografico. 

L'accostamento di Siponto all'eroe greco Diomede, come abbiamo visto, è in rapporto ad una lunga e complessa tradizione mitografica, che vuole Diomede fondatore di diverse città nell'Italia meridionale. Infatti la tradizione antica ricorda che Diomede fu fondatore di città come  Elpia, Canusium, Venusia, Sipontum, Brundisium  in Puglia, di  Beneventum, Aequum Tuticum, Venusium, Lanuvium  tra la Campania e il Lazio, ed infine  Spina  nell’Adriatico. La fondazione di Siponto è messa in rapporto con la fondazione di  Argyrippa, il centro dauno che aveva  preso la sua denominazione da  Argos Ippion, in ricordo della  patria diomedea,  Argo "ferace di cavalli". Siponto  veniva così ad essere il porto naturale di Argyrippa, denominata, in seguito, in età romana,  Arpi, diventando così un centro fiorente di traffici, proprio per la sua vicinanza al mare.        

La presenza di un culto di Diana a Siponto si inquadra nel processo di romanizzazione che la città subì già dal III secolo a. C., e che vide progressivamente decadere la civiltà daunia, che era stata fiorente fino a tutto il IV secolo.  Del resto, il territorio di Siponto è stato al centro di importanti ritrovamenti archeologici avvenuti in questi ultimi anni, e precisamente la scoperta delle stele daunie, che sono le uniche testimonianze di popolazioni indoeuropee, vissute su suolo italico fra la fine del X secolo e il VI secolo inoltrato. Scoperta che ha rivoluzionato in un certo qual modo la geografia storica dell'Italia meridionale, facendo della Puglia settentrionale  e quindi della Daunia, una delle terre più interessanti per quanto riguarda la storia dei primi popoli italici. Ne sono testimonianze, come abbiamo più volte ribadito,  i vari centri urbani della Daunia,  Siponto, Arpi, Canosa, Salapia, Vieste, Matinum,   ricchi di substrati mitologici che si rifanno alla cultura preomerica e classica.

Fra gli eroi greci Ercole ha avuto una grande considerazione, tanto che gli furono dedicati numerosi templi in tutto il mondo greco e anche nella nostra penisola. Infatti segni del suo culto si trovano in tutto il territorio italiano, al nord, al centro e al sud. Anzi vi sono alcuni centri, fra cui Palo del Colle, in provincia in Bari, in cui gli abitanti si sono vantati di essere "figli di Ercole". Infatti conservano la sua effigie, anche dopo che vennero costruite chiese cristiane, fra cui la chiesa madre, la Cattedrale, dove in alto campeggiava una statua di Ercole, sotto il rosone circolare, simbolo della fortuna e della sorte che regge il mondo. Inoltre molto diffuso era il suo culto a Taranto, dove, probabilmente, giunse, non tanto con i Greci, quanto già con le migrazioni degli Illiri, che possedevano già il culto di Ercole. Infatti, tracce della leggenda di Eracle ritroviamo presso le popolazioni della penisola salentina, dove sono rimaste celebri alcune sue imprese, fra cui la cacciata dei Giganti Leuterni, che Eracle, dopo averli cacciati dai Campi Flegrei, aveva fatto sprofondare in quelle località. Si diceva, inoltre, che lo stesso Brento, fondatore di Brindisi, era considerato figlio di Eracle e di Balezia, l'eponima di Balezio. Infine tracce del suo culto si trovano nei pressi di Siri, dove il figlio di Giove e di Alcmena aveva accoppato a pugni un indovino che, secondo Licofrone, si chiamava Calcante.  Non lungi da lì, vicino a Pandosia, si mostravano le impronte dei piedi dell'eroe, che era proibito calpestare.

Le  gesta di Eracle trovano una vasta eco in opere di Strabone, Virgilio, Livio, Diodoro Siculo, Procopio, Luciano, Erodoto. Singolare è il racconto di Strabone riguardante l'episodio del rapimento dei buoi di Gerione, con cui si collega la leggenda italiana di Eracle, ancora prima dell'arrivo dei Greci in Italia. Secondo la leggenda, Eracle avrebbe spinto le mandrie di Gerione dall'Iberia (Spagna) fin verso la Gallia, attraversando le Alpi e giungendo in Liguria e poi in Etruria.  In questa regione dell'Italia centrale, Eracle si fermò sulle rive del Tevere, sotto l'Aventino. Mentre dormiva, Caco tentò di rapirgli gli esemplari più belli della mandria, trascinandoli a ritroso per la coda fino al suo covo; ma fu ucciso da Eracle, il quale, in segno di ringraziamento al suo padre divino, innalzò nei pressi della futura Porta Trigemina l'altare di Iupiter Inventor (Giove Ritrovatore). Questo episodio, come vedremo in seguito, avrà un rapporto simbolico con la leggenda di Gargano e di S. Michele, il cui culto sorgerà grazie all'episodio del ritrovamento del toro, di cui era proprietario un certo signore chiamato Gargano.

Tracce del culto di Ercole sono state trovate nella piana di Manfredonia, e precisamente nella località detta di Colafico, dove è stata scoperto, nel 1963, un bassorilievo raffigurante l'immagine di Ercole. Recentemente  anche nella piana di Macchia. A tale proposito bisogna dire che il culto di Ercole era molto diffuso lungo le strade della transumanza, su cui venivano condotte le mandrie di buoi provenienti dagli Abruzzi e dirette in Puglia.

Infatti, percorrendo i tratturi, diretti per la maggior parte in Puglia e quindi anche nella piana di Siponto, si incontrano numerose cappelle o chiese rurali, testimonianze delle pratiche devozionali dei pastori. Molte di queste  chiese, generalmente, sono sorte su templi sacri dedicati  ad Ercole, il quale costituiva la divinità principale o titolare del mondo pastorale meridionale. Culto che risulta senz'altro anteriore alla romanizzazione. A tale proposito al punto più elevato dell'abitato di  Teanum Apulum, il Coppa Mengoni ha recentemente riconosciuto un luogo di culto dedicato ad Ercole, certamente frequentato durante gli ultimi secoli dell'era volgare".  Tracce del culto erculeo troviamo anche a  Larinum, noto centro di allevamento transumante nella valle del Biferno, e più oltre, al passaggio del fiume Sangro, un piccolo santuario  rurale, di attribuzione incerta, nella contrada Passo Porcari presso Atessa.  Inoltre il culto di Ercole è anche attestato presso la città de L'Aquila. Anche nella Daunia troviamo il culto di Ercole, e precisamente a Lucera (Luceria), al passo dei Monti della Daunia vicino Volturara Appula, nella valle del Tappino a Campodipietra, al passo verso la valle del Biferno a Ripalimosani e Roccaspromonte e tra il Trigno e il Sangro. Si è potuto constatare che  molti templi dedicati ad Ercole, con lo sviluppo e la diffusione del cristianesimo, siano stati successivamente dedicati all'Arcangelo Michele, forse per una somiglianza di funzioni iconografiche ed iconologiche. Infatti, l'Arcangelo Michele sovrintende non solo alla protezione dei pastori, ma anche delle greggi, che sono  soggette, durante il lungo viaggio della transumanza, a pericoli di ogni sorta, fra cui ruberie e assalti di bestie feroci. Così come Ercole rappresenta la forza che vince ogni male e quindi ogni pericolo proveniente dall'uomo e dagli animali, altrettanto fa l'Arcangelo Michele, difensore dei più deboli e degli oppressi, anche se, generalmente, l'uomo-pastore, nomade per necessità, esprimeva un'indole bellicosa, in  quanto, durante gli spostamenti attraverso territori ostili, doveva essere in grado di proteggere e difendere, con le armi, se stesso e il gregge; da ciò consegue l'identificazione del pastore con entità soprannaturali dalle connotazioni guerriere, come San Michele Arcangelo. Quindi, l'Arcangelo con la spada sguainata, come in precedenza Ercole, l'eroe invincibile, armato di clava, rassicurava l'animo del pastore, esorcizzando la paura dell'ignoto e simboleggiando, nel contempo, la forza della fertilità e della germinazione. Del resto, molti santuari dedicati ad Ercole, li troviamo in luoghi montani, vicino a fonti e a corsi d'acqua, caratteristiche che, come vedremo, ritroveremo nel culto di San Michele, i cui templi generalmente sorgeranno in luoghi montani, dentro caverne e grotte, dove è costante la presenza dell'acqua, simbolo rigeneratore delle forze naturali, oltre che  rappresentare la linfa vitale della "terra-madre" che, fecondata dalla pioggia proveniente dal cielo, restituisce alle creature rinnovata vitalità. Così quella stessa acqua che sgorga dalle montagne e convoglia nella grotta-santuario ha potere lustrale oltre che taumaturgico, non solo per gli uomini, ma anche per gli animali. E molte di queste grotte-santuario si trovano lungo le vie della transumanza,  le stesse che accolsero il culto di Ercole e di S. Michele, e probabilmente anche di Gargano, altro mitico eroe agreste e montano. 

a cura di Opera Siena.

Era il 2021 quando presero il via i lavori di sondaggio e poi restauro di uno dei capolavori conservati all’interno del Complesso Monumentale del Duomo di Siena: il Fonte battesimale del Battistero di San Giovanni.

Dopo quasi due anni di lavoro la sinergia organizzativa, tecnica e operativa tra la Soprintendenza di Siena Arezzo e Grosseto, l’Opera della Metropolitana con tutto il suo personale, e l’Opificio delle Pietre Dure, sta attraversando un momento cruciale, e si sta proiettando verso la fase conclusiva del restauro auspicabilmente prevista tra la fine del 2023 e il primo semestre del 2024.

Posizionato al centro della struttura architettonica del Battistero, il Fonte Battesimale, è una straordinaria opera in marmo, bronzo e smalto realizzata tra il 1417 e il 1431 dai maggiori scultori del tempo quali Giovanni di Turino, Lorenzo Ghiberti, Donatello, Jacopo della Quercia. Il Fonte è costituito da una vasca esagonale in cui si inseriscono i sei specchi in bronzo dorato raffiguranti la vita del Battista, scanditi dalle statue della virtù di cui due, Fede e Speranza, realizzate da Donatello. Fra gli episodi più rappresentativi assume un particolare rilievo il Battesimo di Gesù di Lorenzo Ghiberti del 1427, elegante e raffinata scena caratterizzata da un pittoricismo e un senso prospettico ottenuti grazie al rilievo schiacciato. Il ciclo si conclude con il celebre rilievo realizzato, sempre da Donatello nel 1427, che rappresenta il Banchetto di Erode, la scena più commovente per la drammaticità del soggetto e le qualità formali.

L’importanza del Fonte - quale punto focale nella definizione dei princìpi del Rinascimento - la complessità degli interventi conservativi per le opere in bronzo dorato e per gli elementi in marmo, hanno richiesto indagini accuratissime e grandi competenze nella definizione del programma dei restauri.

Le campagne diagnostiche preliminari sono state svolte con le strumentazioni più avanzate, ed hanno messo in luce oltre al degrado delle superfici bronzee e lapidee – un degrado prevedibile, visto il loro plurisecolare utilizzo – anche una criticità strutturale che ha richiesto una variante metodologica, oltre a nuove soluzioni per abbassare l’umidità relativa del Battistero.

Conseguentemente è stata avviata una delicatissima fase di smontaggio delle cimase e di rimozione di tutte le grappe metalliche ed altri perni, per poter introdurre soluzioni tecniche in grado di garantire il ripristino di un equilibrio statico, perso molto probabilmente durante la parziale ricostruzione post-bellica.

Il progresso degli interventi per la conservazione del Fonte e di tutte le opere d’arte che lo compongono è frutto di un lavoro quotidiano svolto all’interno del Cantiere in Battistero e contestualmente anche presso i laboratori dell’Opificio fiorentino. Non solo: il dialogo e la condivisione delle informazioni tra i tanti restauratori, storici dell’arte, ingegneri, architetti, tecnici e fotografi impegnati coralmente in questo restauro, svolgono un ruolo chiave nei processi attuativi e costituiscono la premessa di una progressione costante nella conoscenza e nella conservazione.

In particolare, dopo essere state sapientemente restaurate dall’Opificio, tutte le opere in bronzo dorato rientreranno nel Battistero senese e dal 7 agosto prossimo saranno visibili nelle teche espositive insieme alle tre opere di Donatello, tra cui Il banchetto di Erode, già collocate, dopo l’esposizione temporanea dedicata al grande artista del Rinascimento lo scorso anno presso Palazzo Strozzi a Firenze, ai lati della scultura del Fonte.

Si tratta dei quattro Putti, due dei quali già protagonisti della suddetta mostra, una formella con “la Cattura di S. Giovanni Battista” e una delle Virtù ovvero “la Prudenza”.

Le opere in bronzo dorato, prima della loro ricollocazione definitiva in fregio al Fonte, rimarranno ancora per alcuni mesi nelle teche espositive che, proprio in questi giorni, sono state appositamente modificate con un sistema di ventilazione naturale vista la presenza di umidità relativa: tutto ciò al fine di non vanificare il lavoro già compiuto dai restauratori dell’Opificio.

Saranno esposte nelle vetrine illuminate poste ai lati del Cantiere nel Battistero, in attesa del completamento del restauro degli elementi lapidei, anche grazie al lavoro quotidiano dei restauratori lapidei dell’Opera della Metropolitana, i quali affiancano in tutte le operazioni il team dei restauratori dell’Opificio Pietre Dure, artefici del progetto di restauro, tutti sotto la attenta collaborazione e supervisione della competente Soprintendenza di Siena.

“Un’operazione complessa - commenta il Rettore Prof. Giovanni Minnucci - che ha visto tutto il personale dell’Opera della Metropolitana di Siena impegnato – ciascuno secondo le proprie competenze – pienamente consapevole che le operazioni di manutenzione, conservazione e restauro costituiscono alcuni degli scopi principali dell’Ente, così come previsto dalle disposizioni statutarie”.

“La Giunta Regionale - su mia proposta e quindi del Dipartimento Lavoro, Formazione e Istruzione – ha approvato la delibera che riconosce il cosiddetto “scivolo pensionistico” a quei formatori vicini alla pensione che, per anni, hanno prestato servizio presso i Centri per l’Impiego della nostra regione, garantendo un servizio di alta qualità in periodi particolarmente complessi”, fa sapere l’assessore all’Istruzione, alla Formazione e al Lavoro della Regione Puglia Sebastiano Leo.

“L’incentivo è il frutto di uno straordinario lavoro corale dell’Amministrazione Regionale e dei Sindacati, ciascuno per le sue competenze, con l’obiettivo comune di scongiurare una crisi sociale. - continua Leo - Rivolto a una platea di professionisti a cui negli anni sono stato sempre vicino e grato per l’attività svolta nei CPI e ai quali è giusto e doveroso dare un seguito coerente e adeguato”.

“I potenziali beneficiari dell’incentivo alla pensione, le modalità di erogazione e la gran parte degli aspetti tecnici sono stati definiti in sede di Task Force SEPAC - presieduta da Leo Caroli che ringrazio per l’ottimo lavoro svolto - con i Sindacati, le cui istanze principali sono state tutte accolte, nel rispetto delle norme che regolano la disciplina. Voglio ringraziare – commenta l’assessore – anche il Gabinetto e la Segreteria Generale della Presidenza, nonché la Ragioneria, per aver seguito l’intero processo, ma voglio soprattutto ringraziare i miei uffici, dal Direttore del Dipartimento Lavoro, Istruzione e Formazione, Silvia Pellegrini, ai Dirigenti delle Sezioni Formazione e Lavoro, rispettivamente Monica Calzetta e Giuseppe Lella, a cui è spettata l’intera fase istruttoria e la responsabilità dell’atto finale”.

Il Dipartimento è già al lavoro per la definizione del gruppo di lavoro che gestirà l’attuazione dello “scivolo”, procedendo nelle interlocuzioni dirette con la platea dei potenziali beneficiari.

“Adesso – conclude Leo – se da un lato bisogna dare immediata attuazione e gestione alla suddetta misura, dall’altro bisogna prontamente individuare soluzioni per quella platea residuale di ex formatori CPI che non agganciano l’esodo incentivato, perché lontani dalla soglia di pensione ed in piena attività. È questo il prossimo passo per definire una vertenza complessa, ma che racconta una bella storia di lavoro e dignità”.

Visite e passeggiate in Musei, Castelli e Parchi archeologici, scandite da iniziative culturali di qualità: il ferragosto pugliese offre grandi opportunità.

È quanto prevede il cartellone di aperture straordinarie dei luoghi della cultura afferenti alla Direzione Regionale Musei Puglia, in cui capolavori e collezioni permetteranno ai visitatori un tuffo immersivo nell’arte.

Oltre alle consuete aperture di sabato e domenica, le meraviglie pugliesi saranno visitabili anche lunedì 14 e martedì 15 agosto, accessibili secondo il piano tariffario ordinario, in un calendario pensato per non deludere le aspettative dei potenziali fruitori durante il lungo ponte di ferragosto, nei giorni in cui è maggiore la presenza di turisti italiani e stranieri.

La giornata di chiusura settimanale, prevista in molti dei siti proprio il lunedì o il martedì, è stata dunque annullata o differita, a vantaggio della fruizione.

Ecco alcune delle numerose proposte culturali.

Porte del Castello di Copertino aperte al pubblico per ammirare le 29 carrozze d’epoca, esposte da qualche giorno nel maniero leccese, in attesa di essere recuperate dai professionisti dei beni culturali della Direzione Regionale Musei e della Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio per le province di Lecce e Brindisi, nell’ottica di realizzare una Galleria dedicata, da inaugurare a inizio 2024.

Il lungo ponte alle porte sarà occasione per visitare il Museo Archeologico Nazionale di Mattinata “Matteo Sansone” inaugurato a metà luglio, con i suoi 2500 reperti “di eccezionale interesse artistico, storico e archeologico” che rimandano all’antica cultura dei Dauni in un percorso cronologico che va dall’età protostorica a quella romana.

Sabato sotto le stelle al Parco archeologico di Monte Sannace: oltre alle aperture diurne di domenica, lunedì e martedì 15, sabato 12 agosto il Parco fa orario no stop fino a mezzanotte. In particolare, a partire dalle 19.00, l’evento “Con lo sguardo al cielo” catapulterà i visitatori nelle rovine della città peucezia, attraverso visite guidate, prima di osservare gli astri a cura del Planetario di Bari, con il racconto dei miti legati alle costellazioni.

Viaggio nel passato sospinto dal vento delle moderne tecnologie nel Castello svevo di Bari: è qui che i visitatori potranno ammirare il nuovo allestimento permanente denominato “Prima del Castello”. Grazie a un percorso virtuale di fruizione e valorizzazione delle aree archeologiche del monumento, composto da un video immersivo su un capitolo poco conosciuto della Bari bizantina e un tour virtuale, riemergeranno le tracce della Bari bizantina di cui restano poche vestigia per lo più nascoste nei sotterranei del Castello.

Mentre volgono al termine i lavori di restauro delle sale museali di Palazzo Jatta che saranno restituite al pubblico subito dopo l'estate, ferragosto diventa opportunità per visitare la mostra Collezionauta allestita nel “Grottone” di Palazzo Jatta, che da qualche mese si è arricchita anche di "Atlante – L’uomo che sosteneva il mondo", il grande cratere apulo a figure rosse del Pittore di Dario, rinvenuto nella cittadina pugliese nella prima metà dell’800 in una tomba a semicamera e custodito nei depositi del Museo Archeologico di Napoli.

Al Museo Nazionale Archeologico di Altamura, per coloro che ancora non hanno avuto modo di “conoscere” l’uomo di Altamura, ferragosto si fa opportunità per ammirare la perfetta ricostruzione del Neanderthal (parte integrante dell’allestimento al II piano del Museo), il più antico al mondo, opera dei fratelli Kennis, i cui resti furono rinvenuti il 7 ottobre del 1993, incastonati nelle formazioni carsiche della grotta di Lamalunga. È proprio alla grande scoperta che si accinge a compiere 30 anni, un caso eccezionale sia dal punto di vista geologico sia da quello archeologico, che, a partire da settembre, saranno dedicate numerose iniziative, tra cui concorsi a premio, laboratori e contest musicali.

Giornate ideali, quelle che ruotano intorno a ferragosto, 15 agosto incluso, anche per apprezzare il nuovo percorso sonoro evocativo nel Parco archeologico di Siponto: ogni giorno intorno alle 18.00 la visita del parco incrocerà la “scultura” musicale “In Arena” di Andrea Laszlo De Simone, l’opera in latino eseguita e registrata lo scorso 12 giugno da un ensemble di 12 elementi, e da qualche settimana colonna sonora della fruizione del parco poco prima del tramonto.

Tappe consigliate anche il Castello di Trani e il Parco Archeologico di Egnazia: nel primo, la visita al maniero permetterà di ammirare i capolavori della collezione della Regina Margherita di Savoia esposti nelle Casematte al secondo piano del Castello con affaccio sul mare; nel secondo caso, a raccontare ai visitatori l’antico legame tra la città e il mare, sarà il nuovo allestimento “Egnazia e il mare”, un percorso che riserva particolare attenzione all’archeologia subacquea. Inoltre, all’interno del nuovo spazio del Museo Archeologico Nazionale “G. Andreassi” di Egnazia dedicato all’arte contemporanea, sarà, invece, possibile apprezzare l’opera materica e interattiva “Il gioco del tempo” della designer romana Emilia Serra.

Per ulteriori informazioni consultare il sito https://museipuglia.cultura.gov.it/

È giunta alla VII edizione “Sulla Francigena al crepuscolo” con il patrocinio del Comune di Monte Sant’Angelo.

L’evento si propone di promuovere e valorizzare la cultura dei cammini, dell'accoglienza e la figura del pellegrino, esaltando le risorse storiche, artistiche, naturalistiche e gastronomiche della Via Francigena.

La partecipazione all'evento è gratuita.

Il raduno dei partecipanti è previsto alle ore 15:30 nell'atrio superiore della Basilica di San Michele a Monte Sant’Angelo. A seguire, ci affideremo alla guida che ci accompagnerà in una piacevole passeggiata nel Rione Junno per poi condurci alla chiesetta della Madonna degli Angeli.

Alle 18:00 ci sarà la consegna degli attestati alle associazioni e a coloro che si sono distinti per la valorizzazione del territorio, dei cammini e per l’accoglienza di pellegrini e viandanti.

L'evento si concluderà con il concerto musicale di Aulon Naci, compositore e pianista albanese e le sue note saranno deliziate da un "accompagnamento gastronomico”, con birra artigianale, caciocavallo impiccato e “acqua sale”

Alle 18:30 sarà anche possibile partecipare alla Santa Messa presso la Madonna degli Angeli.

Francigena al crepuscolo MSA2023

La montagna che ha partorito il topolino. Il buon e saggio Orazio lo scrisse nel 13 a.C. nel verso 139 delle “Ars poetica”, “Parturient montes, nascetur ridiculus mus”. Altro che profeta in patria, seppur di alcuni chilometri, profeta in Terra, a prefigurare azioni che oggi sono la consuetudine, mantenendo la barra dritta sulla politica, di ciò che molte amministrazioni di enti pongono in essere.

La montagna del Sole, quel Gargano che tanto ha e tanto riceve e altrettanto concede, oggi stillando le risorse. Quella montagna che sulla sua vetta più alta, 837 metri s.l.m., da alcuni anni ha condensato un modo di fare discutibile, con pourparler ridondanti e a volte ciarlieri per i temi affrontati e azioni svolte nel piccolo consenso di una tribù tutta amicale e tesserata. Un chiacchiericcio tutto di piazza, dove si decide il futuro, che ha sentito il “grido di dolore” della comunità ma non ha ascoltato le motivazioni. Le stesse poste in essere da questo giornale telematico quando più volte e a più riprese senza mai ricevere risposta ha chiesto all’Amministrazione comunale di Monte Sant’Angelo il Dossier. Un comportamento ingiustificabile e inqualificabile da parte di chi ha utilizzato la parola “legalità” in ogni discorso, quasi fosse un intercalare di chi è affetto da autoecolalia. Un programma culturale più che per lo sviluppo del territorio, promozionale politico poiché è servito da spartiacque per la corsa al comune. Strategia messa a punto da chi sapeva che la compagine locale da sola avrebbe fatto ben poco, come le attuali azioni, frutto di pregresse decisioni.

Finalmente il Dossier “Un Monte in cammino” è pubblico. Ma in cammino verso dove? Ben 64 pagine di un documento che pur essendo di un ente comunale pubblico è stato tenuto secretato per mesi e mesi, anche dopo l’esito negativo della candidatura di Monte Sant’Angelo a Capitale della Cultura Italiana 2025. La débâcle annunciata ha proliferato altri topolini, che ne #LaCittàdeiduesitiUNESCO si sono adoperati per non giustificare un tonfo tutto dell’Amministrazione vigente. Infatti, dopo l’esito del 27 marzo 2023, nessuno più ha parlato di Monte Capitale, né l’amministrazione, né chi ha fatto parte di quel Comitato tecnico-scientifico a parte il prof. Giuseppe Piemontese, tantomeno i media hanno approfondito. Se dal comune e dal Comitato tutto è taciuto un motivo ci sarà e i Montanari lo vorrebbero conoscere. Cosa diversa è, invece, per i media, che hanno dato la notizia mancando l’approfondimento perché erano, come molti del Comitato, sforniti del “santo Graal – Un Monte in cammino”. Si proprio quel dossier pubblico mai reso tale e che oggi questa testata giornalistica indipendente lo divulga.

-> QUI IL PDF DEL DOSSIER "UN MONTE IN CAMMINO" <-

Un Dossier che azzarda definire Monte cosmopolita e che ad oggi registra solo cali demografici e politiche affine assenti, poco sviluppo e perciò lavoro, poca attenzione alle realtà perimetrali e loro peculiarità, insufficiente (anche poco qualificata) competenza promozionale, assenza turistica. Un Dossier che tiene conto solo dell’area garganica, dimenticando l’intera provincia (una provincia diversificata pari a una regione) con all’interno altri progetti che dovrebbero essere in itinere a breve, sempre che si abbia la forza e volontà di continuare su questa sdruccevole via. 40 progetti culturali in 28 mesi di produzione nelle residenze,  con 7 festival e arti rappresentative, 3 eventi vetrina, tutti progetti musicali e cinematografici, artistici e storici, didattici ed educativi, teatrali e artigianali, enogastronomici e religiosi, culturali e antropologici, con archivi e musei custodi di beni immateriali e materiali, ambientali e naturalistici verso la data tanto osannata del 2051 ma nei fatti irrimediabilmente sconsacrata dai Governi per attuazioni impossibili, tutti volti a incentivare il turismo e la crescita del territorio, etichettati artatamente dalla sigla #LaCittàdeiduesitiUNESCO. Un bel da fare che probabilmente per le locali capacità messe in campo non vedrà mai la luce, al massimo un altro topolino partorito, figlio del precedente e genitore del seguente. Un tutt’uno familistico tesserato purché rimanga nell’alveo di quella casa senza vetri. “Un Monte in cammino” stoppato e che non avrà più quei finanziamenti preventivati, pari a 3.170.000 €, cui solo il comune avrebbe versato la somma di 575.000 €. Si auspica che quel 18% del totale potrebbe essere utilizzato per solide azioni territoriali e, perchè no "salvifiche", giacchè il dossier è micaelico. Farlo sta nell’intelligenza umana di chi amministra.

Ciò che fa pensare è che anche chi era del Comitato tecnico-scientifico non conosceva quel dossier. A renderlo noto è uno dei suoi membri, il prof. Giuseppe Piemontese, che poco meno di due mesi fa, a giugno 2023, in un suo articolo affermava: «Non  è possibile parlare di futuro e di sviluppo di una Città UNESCO, che ha aspirato a diventare Capitale della Cultura Italiana 2025 e, oggi, Capitale della Cultura di Puglia 2024, e non conoscere il contenuto del Dossier che è stato approvato dal Comitato tecnico-scientifico, di cui faccio parte. Un Dossier, dove sono riportati i Progetti che tutte le Istituzioni e le Associazioni del Gargano hanno prospettato e fatto proprio dalla maggior parte di esse. Progetti che nessuno conosce e che la Città e, quindi, la comunità, vorrebbe renderli visibili ed essere partecipi nella loro realizzazione. Un diritto e dovere di tutti nel far proprio questi progetti e renderli così di pubblico dominio. Tutto questo, al fine di creare una situazione di confronto e di partecipazione alla vita pubblica della Città UNESCO. Eppure, si parla tanto di condivisione, di partecipazione, di sviluppo sociale ed economico condiviso, di corresponsabilità nelle scelte, per determinare una situazione ottimale di crescita della Città».

 

CandidaturaCapitaleCultura2025 MSA

 

Quel Comitato riuniva anche nomi prestigiosi, sicuramente resosi disponibili per il fine ma diventati fantasmi nelle sedute, sempre se ve ne siano state secondo i canoni di incontri decisionali (sarebbe un azzardo dire maieutici).

Sorge un dubbio sulla non divulgazione del Dossier, condiviso anche dal buon critico e sapiente già amministratore montanaro dott. Giovanni Ciliberti: vuoi vedere che i progetti alla base di esso sarebbero e son stati concepiti dalla Commissione ministeriale inconsistenti e privi di quell'attrattività che veniva richiesta, dato che tutto è stato incentrato sui “cammini” per la diffusione del culto micaelico, che nel medioevo erano centrali, oggi molto meno? A Monte il tempo è trascorso come le altre città del globo terracqueo, o si è fermato? Si spera solo che Lucera non faccia lo stesso errore per il 2026, anche se dalla stessa mano e mente è già iniziato il coordinamento. Speriamo bene!

Un’analisi la fa anche il prof. Giuseppe Piemontese, che in un testo prevenuto presso questa redazione, dice e scrive: «Parlare  del poi e  del perché Monte non è stata scelta come Capitale della Cultura Italiana 2025,  ci spinge, forse,  a rivedere ciò che è stato fatto, anche se il tutto, secondo noi, aveva bisogno di essere rielaborato meglio attraverso un’analisi più profonda e con deduzioni più ampie in base alle domande che i Commissari, durante l’audizione, hanno fatto ai rappresentanti della Città micaelica. Una retrospezione che oggi è doverosa fare, anche se il tutto sembrava perfetto per una scelta a favore della città di Monte Sant’Angelo.

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Secondo me, ciò che è mancato è stato il riferimento al contesto storico della città micaelica e, quindi, al suo ricco patrimonio culturale che potesse rendere plausibile e sufficiente la scelta della Commissione. In altre parole, da quanto ho potuto ascoltare dai giudizi della gente, è mancata la presenza di uno storico o di un esponente della Commissione tecnico-scientifica che potesse inquadrare il tutto in un contesto storico-culturale della città, che non ha nulla di meno di quella di Agrigento, se lo si rapporta alla sua storia e alla sua cultura. Del resto molte domande della Commissione hanno riguardato il contesto culturale, rapportato non solo al passato, quanto al presente, quel presente che purtroppo evidenzia ancora dei limiti per quanto riguarda le infrastrutture ricettive e i contenitori culturali, come per esempio: Musei, Pinacoteche, Biblioteche interattive, Monumenti legati al contesto urbano e territoriale, Alberghi, e così via.  Un contesto storico-culturale che potesse riportare la nostra città alla civiltà europea, di cui il santuario di San Michele e il culto micaelico, come ha dimostrato Giorgio Otranto con le sue opere, ne fanno parte. Un Città ormai cosmopolita, dove arriva gente da ogni parte del mondo, coreani, malesiani, cinesi, giapponesi, europei, americani, quale espressione dell’unione fra tutti i popoli della Terra, tanto da superare quel diaframma o separazione fra il mondo occidentale e il mondo orientale, anzi fra la civiltà occidentale e quella orientale, tanto cara a Putin da scatenare una guerra, non tanto contro l’Ucraina, quanto contro l’Occidente. Oggi invece stiamo assistendo, con la cultura e la civiltà sorte proprio dalla città di Monte Sant’Angelo, al superamento di tutto ciò, attraverso il camminare della gente, un tempo pellegrini, oggi turisti, congiungendo in un solo continente l’Europa occidentale con il mondo orientale, attraverso un nuovo messaggio di pace e di fratellanza fra tutti i popoli della Terra. Questo è il messaggio che doveva essere dato alla Giuria per la scelta della Capitale: un Monte in cammino per un mondo di pace e di fratellanza dei popoli. Purtroppo ciò non è stato trasmesso con la giusta misura e con l’opportuna determinazione. Da parte mia spero che ciò che è scritto nel Dossier diventi un patrimonio di tutti, specie nelle sue proposte di sviluppo della città, che ha bisogno della partecipazione e del consenso di tutti per costruire una nuova società e una nuova dimensione della Città.  Una nuova visione del futuro, che non sia solo appannaggio di pochi, come è avvenuto con la formulazione e la stesura del Dossier, ma che sia patrimonio di tutti per il Bene comune».

Il mito di Gargano

Tra i tanti miti sorti in Puglia dobbiamo annoverare anche  il mito di Gargano, nella cui figura si è voluto vedere e  identificare il signore sipontino, Gargano, padrone di grandi quantità di greggi, artefice della leggenda garganica, da cui sarebbe derivato il culto di S. Michele.

Un culto che si sovrapponeva ad altri culti, sorti precedentemente, come il culto di Calcante e Podalirio e il culto di Mitra. Entrambi culti precristiani, che ormai fra il IV e il V secolo d.C. stavano scomparendo per fare posto a culti cristiani che si stavano affermando in tutto il Gargano, ma soprattutto nella Daunia.

 Da quanto si evince, leggendo l’Apparitio, composto probabilmente nella seconda metà del VII secolo, l’autore era consapevole che il  racconto della leggenda garganica si basava su un substrato mitologico, le cui tracce erano presenti al tempo della redazione del libellus (sec. VI). Infatti nel testo dell'Apparitio noi leggiamo “Erat in eadem civitate predives quidam nomine Garganus, qui et ex eventu suo monti vocabulum indidit” (Vi era in detta città un uomo molto ricco, di nome Gargano, il quale sin dalla sua venuta diede il suo nome al monte). Tutto ciò confermerebbe, afferma G. B. Bronzini,  “l’identificazione del luogo col suo possessore, il quale, sin dalla sua mitica comparsa, avrebbe dato il suo nome (vocabulum) alla montagna” e, nello stesso tempo, si avrebbe il recupero del “vero mitico”, che può ben essere antecedente allo stesso “vero storico”.  A questo punto ci chiediamo: chi è veramente Gargano, da dove  è venuto e quando è nato il suo culto? Probabilmente, così come  lo fu per Dauno, Diomede e Kalchos, la venuta in Puglia di Gargano dovrebbe essere messa in relazione con le migrazioni illiriche, antecedenti alle stesse migrazioni micenee del XII-XI secolo. Come abbiamo detto precedentemente, il suo toponimo deriverebbe da una radice illirica gar,  che significa "gola", "inghiottitoio di acqua", "cavità", "spelonca" o "mucchio di pietre", "altura". Esso viene ricordato in epoca classica,  in autori greci e latini, fra cui Virgilio (Aen.,  X, 246-247), "Ille  urbem Argyripan patriae cognomine gentis / Victor Gargani condebat Iapygis agris). Inoltre di una località Gargano si fa menzione nella Misia, in Asia Minore, dove Stefano di Bisanzio ricorda due città l'una in Epiro e l'altra in Italia. Quest'ultima era ubicata su un promontorio, romanizzato poi in Garganus. Così come di un monte Gargara si parla in Servio,  (Aen, XI 246), il quale riferisce di una vetta della catena dell'Ida nella Misia (Frigia). Di un insediamento urbano posto sul monte Gargano si parla a proposito della fondazione di S. Giovanni Rotondo, il cui sito pre-ellenico  viene identificato,  dallo storico S. A. Grifa,  nel toponimo di Castello dei Bisani, l'antico  Castellanum Bisanum, che un tempo era chiamato Gargaros.

Sul piano demologico, che è quello che in questa sede ci interessa, il racconto del ritrovamento del toro da parte di un ricco signore sipontino (Gargano) segna “il momento in cui il cristianesimo sconfigge e  sostituisce il paganesimo, rappresentato da Gargano e fino ad allora dominante sulla Montagna”.  A tale proposito il Bronzini vede in Gargano la personificazione di un eroe eponimo, che incarna alcune caratteristiche proprie della società pagana agricola e pastorale.  Infatti, nell’episodio del toro, Gargano è visto come un uomo ricco e potente, proprietario di una grande moltitudine di capi di bestiame e con numerosi servi a disposizione, tanto da determinare una sua personificazione ideale con un eroe mitico e, quindi, quasi una identificazione con la divinità. Tutto ciò porta a considerare che il culto di S. Michele nasce da un substrato mitologico in cui i personaggi della leggenda hanno ancora delle personificazioni mitiche. Infatti, molti elementi della leggenda garganica trovano esplicito riferimento nella mitologia greca: la freccia che ritorna indietro trova corrispondenza nella mitologia diomedea, cioè delle pietre che ritornano spontaneamente dal fondo marino nella loro sede originale; la facoltà dell’acqua terapeutica, presente nei santuari greci di Asclepio e Podalirio, la ritroviamo identica nella “stilla” garganica, tanto da testimoniare, almeno nel primo periodo della storia del santuario garganico, l’originaria funzione iatrica e naturale del culto micaelico; e, inoltre, la pratica dell’incubatio, il cui rito, frequente nei santuari greci, viene messa in risalto dal vescovo sipontino, allorquando questi, in seguito alle visioni avute in sogno, dà disposizioni ai fedeli per la consacrazione della grotta all’Arcangelo Michele. Tale pratica si ripeterà, nell'VIII secolo, con il vescovo di Verdun, Magdaleo, il quale, durante le notti passate davanti alle porte del santuario di San Michele, ottiene visioni celesti e divine rilevazioni.

Tutte queste analogie hanno fatto ipotizzare una continuità di tradizioni cultuali fortemente radicate nella regione garganica: tradizioni riscontrabili nel racconto che si fa nel Liber de apparitione, il cui autore, certamente, ha attinto da antiche leggende locali. Infatti, oggi,  a differenza di alcuni decenni fa, è possibile ipotizzare, anche attraverso i risultati degli scavi effettuati nella grotta, una continuità di frequentazione degli ambienti dall’età tardo antica all’età longobarda.  A tale riguardo, se analizziamo il testo dell’Apparitio, leggiamo che, allorquando i sipontini, dopo l'episodio del toro,  entrano nella grotta per consacrarla all'Arcangelo Michele,  a loro "appare un lungo porticato rivolto verso aquilone e che toccava una piccola porta posteriore, oltre la quale vi erano le orme impresse nel marmo. Ma prima che si giunga qui, appare una basilica molto grande rivolta ad Oriente, alla quale si accede mediante dei gradini. Questa, con il suo porticato, sembrava poter contenere circa cinquecento uomini, e mostrava, quasi al centro della parete, un venerabile altare, coperto da un piccolo pallio rosso. La stessa era un’abitazione tortuosa, non a guisa di un’opera umana con le pareti scoscese, e spesso rese ineguali da rocce sporgenti. Sul vertice roccioso, ad altezza diversa, qualche punto si toccava con la testa, qualche altro si poteva toccare a stento con la mano". Probabilmente la grotta era frequentata già prima che vi sorgesse il culto micaelico,  con alcuni ambienti già definiti. Ciò potrebbe  avvallare l’ipotesi di una frequentazione degli ambienti già nei primi secoli dell’era cristiana.

Una volta sorto il culto micaelico, esso si legava in maniera simbiotica e spontanea alla stessa tradizione cultuale del Gargano, che si rifaceva  non solo al culto e al mito di Gargano, ma ai precedenti culti di Dauno, Diomede, Calcante, Podalirio, ecc.

Questo substrato popolare farà in modo da creare le basi per un rapido sviluppo del culto micaelico in Italia e in Europa, specie allorquando appariranno nell’Italia meridionale, i Longobardi, che vedranno in San Michele il loro dio Wotan e quindi la personificazione  del loro mitico personaggio Gargan, ancora vivo nella mitologia celtica. Michele diventerà, così, il loro santo nazionale e il suo culto diventerà lo strumento di potere e la guida spirituale di tutta la gente longobarda, costruendo su di esso il loro dominio e la loro potenza sull’intero Mezzogiorno d’Italia.

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