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Viaggio, arrivo e partenza in solitario. In sintesi, questa è la storia di un navigatore in barca a vela che, nel periodo delle sue meritate ferie, da Cervia è sbarcato a Rodi Garganico, solcando il Mar Adriatico. Apparentemente sembrerebbe una storia come altre. Invece è una delle più avvincenti e straordinarie avventure da raccontare.

Il protagonista è un 23enne di Cervia, ormeggiatore specializzato di professione che, fin dalla tenera età di sei anni, ha vissuto anche su una barca. Per lui navigare, ormai, è all’ordine del giorno, e che la barca sia grande o piccola non fa differenza. Lo è se il timone appartiene a un barchino di 6 metri e 20, tutto in legno, varato nel 1959, che pesca a un metro, a vela con albero maestro classico, randa e fiocco. Un cimelio storico con cui pochi avrebbero il coraggio di attraversare i mari.

Lui è Nicolò Todoli ed il barchino è “Penelope”. È appena ripartito dal porto di Rodi Garganico, raggiunto dopo 5 giorni di navigazione da Cervia. Ha ormeggiato venerdì 06 ottobre 2003, alle ore 17:45, in solitudine, come voleva. Sabato si è dedicato alla manutenzione e pulizia della barca, domenica ha fatto il turista nella bella Rodi, che tanto voleva visitare.

Noi della redazione abbiamo avuto il privilegio di ascoltarlo, di porgli qualche domanda. Nicolò, con umiltà e nel visibile entusiasmo, è stato profluvio di parole, tutte incentrate sul viaggio, sul perché, sul desiderio di visitare il Gargano. Quest’anno è stata la volta di Rodi Garganico, ma ha assicurato che è la prima di una tappa garganica, ovviamente organizzata di anno in anno. Lui, da quello che ha raccontato, ci è parso un lupo di mare sui generis, considerando il mezzo, la rotta, e soprattutto il motivo del viaggio. Difatti Nicolò è formalmente in ferie lavorative, non in esplorazione per conto di qualcuno o qualcosa. Sono le sue ferie e ha deciso di trascorrerle così.

«Son partito per farmi le ferie e, appassionato di vela, ho deciso di godermi i miei giorni in mare» esordisce a noi Nicolò Todoli.

 

Penelope barca

 

«Indeciso, ho scelto uno dei luoghi dove si son tenute le finali mondiali di Offshore. Rodi Garganico è uno di questi porti e l'anno scorso avendo avuta la finale a casa, a Cervia, ho optato per il Gargano. Il posto è bellissimo e visitarlo era un mio desiderio. Ho visitato altri porti e città dell'Adriatico, come Pescara, Giulianova, San Benedetto del Tronto e mi mancava il Gargano. In realtà prima di partire mi son chiesto dove vado... dove non vado..., deciso vado a Rodi Garganico».

La curiosità, lo sappiamo tutti, è materia del giornalista e chiedere a Nicolò del perché proprio il Gargano e con quella barca a vela, in solitudine, era scontato.

«Mi son messo in barca domenica 01 ottobre 2023 e oggi (riferito a venerdì 06 ottobre 2023, ndr.) ho buttato l'ancora e stretto la cima al porto di Rodi, alle ore 17:45. Un viaggio con il vento in poppa, da nord a sud, tra una foto fatta con il cellullare e occhi puntati ai comandi e al mare. In solitudine perché amo navigare così, godermi il mare e la mia barca, durante i giorni di ferie. Un amico sapendo della mia partenza mi fa "Dai, mandami delle foto che le condivido sul gruppo velisti di Facebook". In poche ore si è trasformato in un vero e proprio trionfo, da alcuni like dal giorno alla sera agli oltre 300 dopo tre giorni. Un gioco che si è rivelato per me una visibilità inaspettata».

Ok Nicolò. Ma la barca a vela che utilizzi ha un suo motivo per essere stata scelta, visto che oggi tutti si avventurano in mare con mezzi supertecnologici e leggerissimi, dotati di strumentazioni automatiche per le rotte e altro ancora?

«Certo! Come ho detto, la barca su cui viaggio si chiama “Penelope” e ha una storia. È quella di Simone Bianchetti (in foto), velista 35enne che non c'è più, un mito assoluto e insostituibile per gli amanti della vela in solitario, cervese come me. A differenza dei noti velisti Soldini, Malingri, che provenivano da famiglie agiate e già in giro nei mari internazionali, perciò con una storia e una formazione sulle spalle, Bianchetti era di famiglia non agiata e non avendo soldi, durante l'inverno, suonava ai campanelli delle aziende del cervese per aiuti economici per svolgere le regate internazionali e giri del mondo in solitario. C'è da dire che Simone Bianchetti è stato uno dei primi italiani a farle, con risultati soddisfacenti. Ecco perché son qui con “Penelope”, comperata con tanti sacrifici nel 2018, sicuro di onorarla e onorare il mitico Bianchetti. Era la sua e con essa cerco di portare la storia di porto in porto. Non ha tutti i comfort di oggigiorno ma sa assolvere al suo compito, naturalmente con un velista esperto».

 

Simone Bianchetti

 

Simone Bianchetti, di Cervia del 1968, è tra i velisti in solitario un mito e con lui la barca “Penelope”. Di lui raccontano le sue imprese, giri del mondo spesso senza scalo su terra ferma, circumnavigazioni tra Capo Buona Speranza, Leeuwin e quello di Horn, oltre 125mila miglia, tra insidie varie e correnti marine che solo un esperto sa come affrontarle. Fu anche il primo italiano a completare la Vendée Globe, quel giro del mondo, sempre in solitario e senza scalo. Come detto, Simone Bianchetti era di umili origini, e non aveva al suo fianco sponsor rilevanti. C’era solo un amico, Cino Ricci, che lo aiutava e, grazie a lui, Bianchetti nel 2003 completò l’Around Alone, quel giro del mondo in solitario a tappe, piazzandosi terzo. Dopo, purtroppo mancò improvvisamente per un malore.

 

Simone Bianchetti 01

 

Mentre racconta di Simone Bianchetti, si percepisce tutta l’umanità di Nicolò Todoli. C’è l’ammirazione del mito ma anche quel groppo in gola che gli cambia la voce. Ma il carattere, la determinazione, l’entusiasmo, sopraffanno il ricordo. È il momento di sapere altro, in particolare se ha in serbo altre traversate solitarie e se qualche collega della stampa ha scritto di lui.

«Quello che mi ha sorpreso è stato che un giornalista del Corriere Romagna mi ha contattato per un'intervista e raccontare le mie ferie in avventura nel mar Adriatico, da Cervia a Rodi in solitaria; sono rimasto entusiasta. È stato un momento inaspettato e molto gradito. Come la tua intervista su newsGargano. Ciò lo devo al mio professore delle scuole superiori, Tiziano Tonini, mi contatta e mi chiede se avessi avvisato il porto di Rodi e se avevo contattato qualche giornale. Non l'ho fatto e ci ha pensato lui. Chiama a Rodi ed eccomi qua da te a parlare del mio arrivo sul Gargano, a Rodi. Non avevo alcuna intenzione di pubblicizzare le mie ferie, che rimangono tali. Il fatto di esser stato messo su un giornale ovviamente cambia tutto e mi fa piacere dell'attenzione rivolta».

 

NicolòTodoli partenza

 

Innanzitutto, il piacere e tutto nostro di newsGargano. Un’avventura così, unica, ricca di storia, che testimonia sacrifici e passione, è un fregio per la testata.

Ora Nicolò si trova alle Isole Tremiti, a San Domino, come turista. Domani farà ritorno a Rodi G.co, da lui tanto desiderata, per salutare chi ha conosciuto in queste ore e lo ha accolto. Infatti, la voce della sua presenza in poche ore ha fatto il tam-tam del paese. Su alcune pagine social di Rodi già circolano post e foto di lui, e fa ben sperare per il futuro, oltre che per la sempre amorevole accoglienza del luogo.

Si spera che l'interesse per le sue traversate in mare in solitaria diventi curiosità e poi coinvolgimento per le varie associazioni e circoli nautici e velistici locali, anche per le varie amministrazioni, enti e sponsor, che potrebbero aiutare economicamente Nicolò Todoli.

Lui già messo in cantiere per il 2024 un'altra traversata. E chissà che l'anno prossimo tra le sue mete marine rientrino altri porti garganici, Rodi compresa, che meriterebbero la sua visita accompagnata da sponsor. Un modo, del resto già collaudato in altre occasioni simili in altri sport, volano per il turismo, e non solo di settore, per attrattive di aziende marittime e quelle che collaborano con esse. Il Gargano, se ci pensiamo bene, durante l'estate offre eventi sportivi velistici e aver come ospite un "solitario" come Nicolò diverrebbe la ciliegina sul Monte Gargano.

Nicolò mercoledì 11 ottobre 2023 ripartirà con il vento in poppa, che questa volta soffia da sud, e non è un caso aver scelto il giorno, da esperto velista. Farà rientro nella sua Cervia e riprenderà a fare l’ormeggiatore.

Buon vento, Nicolò.

L’identità culturale del Mezzogiorno d’Italia risale al tempo di Ruggero II (1095-1154), re dei Normanni, anche se le sue radici storiche si rifanno alla civiltà greco-romana e al tempo dei Bizantini, che furono presenti in diverse città meridionali, fra cui Bari nel IX secolo.

A tutto ciò bisogna aggiungere il periodo in cui il Sud Italia conobbe la dominazione dei Longobardi, i quali lasciarono numerose testimonianze culturali in diverse parti del loro dominio, fra cui Benevento e il Gargano, attraverso il culto di San Michele, che si sviluppò in maniera diffusa in tutto il loro Regno, da Pavia fin nell’Italia Meridionale. Al tempo dei Normanni e, poi, degli Svevi, con Federico II (1194-1250), il Sud Italia conobbe un periodo di splendore, di civiltà e di cultura, che ritroviamo in tante costruzioni, come le cattedrali romaniche e i castelli, tanto da caratterizzare e rendere uniche, per cultura e civiltà, le città meridionali, da Bari fino a Otranto, passando per Andria, dove Federico II costruì la sua residenza, Castel del Monte e, poi, Trani, Molfetta, Barletta, Brindisi, Otranto, città dove ritroviamo bellissime cattedrali e numerosi castelli di età medievale e rinascimentale, fino agli Angioini, agli Aragonesi e poi la dominazione borbonica nel Regno delle due Sicilie.

Il volume che andiamo a presentare, "Storia del Sud Italia. Nascita di un’identità" edito da BastogiLibri, Roma 2023, pp.194, Euro 20,00, pone in primo piano la civiltà e la cultura dei vari popoli che hanno colonizzato il Sud Italia, dai Bizantini ai Longobardi, dai Normanni agli Svevi, dagli Angioini agli Aragonesi, fino alla dominazione borbonica, i quali tutti lasciarono le loro testimonianze in ogni campo, da quello artistico a quello culturale, dal sociale all’economico, fino allo sviluppo del sistema feudale, che nel Sud Italia durò per diversi secoli attraverso il sistema politico del baronaggio, che maggiormente si identificò con il Regno Borbonico che durò, nel Sud Italia, per ben tre secoli, dal XV al XVII, fino a giungere all’Unità d’Italia (1860) e, quindi, alla nascita del brigantaggio, considerato da diversi studiosi, come una “Rivoluzione mancata”. Di tutto questo, il testo che abbiamo scritto, ne fa riferimento specifico attraverso diversi capitoli, fra cui: L’Italia Meridionale dalla caduta dell’Impero romano ai Longobardi; La nascita dello Stato meridionale al tempo di Ruggero II (1095-1154); La dominazione sveva di Federico II (1194-1250); L’Italia meridionale e la Puglia dagli Angioini agli Aragonese; L’origine e lo sviluppo del baronaggio; L’Italia meridionale nel periodo spagnolo (1500-1734); Il Sud Italia durante il Regno Borbonico (1735-1799); Il Sud Italia prima e dopo l’Unità d’Italia (1799-1860) e infine La “Questione meridionale” e il brigantaggio. Il tutto visto anche attraverso le Inchieste parlamentari dopo l’Unità d’Italia e le problematiche legate all’Unità politica dell’Italia. Infine, nell’ultima parte, vengono riportate alcune recensioni riguardanti il brigantaggio sul Gargano e le lotte contadine in Capitanata dopo l’Unità d’Italia. Di tutto questo il testo fa riferimento specifico riportando le diverse pubblicazioni che hanno affrontato la “questione meridionale”, con una nuova metodologia, basata soprattutto sul “revisionismo storico.

INDICE INTRODUZIONE

  • L’Italia meridionale dalla caduta dell’Impero Romano ai Longobardi. Ruggero II e la nascita dello Stato meridionale.
  • Il Sud Italia al tempo di Federico II di Svevia.
  • L’Italia meridionale e la Puglia dagli Angioini agli Aragonesi. Origine e sviluppo del baronaggio.
  • L’Italia meridionale nel periodo spagnolo (1500-1734). Il Sud Italia durante il Regno Borbonico (1735-1799). Il Sud Italia prima dell’Unità d’Italia (1799-1860).
  • L’Unità d’Italia e la “Questione meridionale”. Il brigantaggio una Rivoluzione mancata.
  • Le inchieste parlamentari dopo l’Unità d’Italia. Il Revisionismo storico.
  • La nascita del Movimento24Agosto Equità Territoriale

RECENSIONI

  • Il brigantaggio meridionale. Una rivoluzione mancata (1806-1865) di Nicola d’Apolito.
  • Rosso tramonto. Fatti e misfatti di un brigante garganico di Tommaso Prencipe.
  • Società e brigantaggio nella crisi dell’Unità in Capitanata di Filomena Arena.
  • La Capitanata al crepuscolo del  Settecento di Michele Eugenio Di Carlo.
  • Contadini e braccianti nel Gargano dei briganti di Michele Eugenio Di Carlo.
  • Dalla Proprietà Comune alla Proprietà Privata di Michele Tranasi.
  • I Galantuomini: Il Gargano dall’Unità d’Italia ad oggi di Giuseppe Piemontese
  • L’agonia feudale e la scalata dei “Galantuomini” di Leonarda Crisetti Grimaldi.

Raffaele Vittorio Cassitto, fine studioso viestano di discipline agrarie, dopo aver pubblicato diversi testi riguardanti le condizioni economiche e sociali della Capitanata  (Estensione e produzione olearia Garganica e i suoi rapporti col commercio nel 1914[1], Climatologia di Viesti in rapporto all’agricoltura [2] nel 1915, Le Ciammaruchelle (lumache) [3] nel 1922,  La coltivazione e l’industria del fico d’india [4] nel 1924, I capperi [5] nel 1925), scrive e pubblica nel 1925 Piccole industrie rurali in Capitanata. I lampasciuli [6].

Il testo di Cassitto, poco noto ai nostri tempi, è stato meritatamente ricordato in un articolo del 2016 da Annalisa Grana[7], ambasciatrice dell’Accademia Italiana di Gastronomia Storica, oltre che citato in un articolo del P.A.T. di Puglia (prodotto agroalimentare tradizione italiana) dal titolo Nella terra dei lampascioni: un viaggio in Puglia tra storia, tradizioni e ricette [8]. Ai fini dell’iscrizione dei lampascioni o lambascioni nell’elenco del P.A.T. di Puglia è stato necessario produrre una ricerca storica[9] che riassumo in breve partendo dall’anno 1855, quando Carlo De Cesare, in un capitolo sulle produzioni spontanee di un testo riguardante le condizioni economiche delle province pugliesi, scrive, tra l’altro, che «i bulbi del “Muscari comosum” detti volgarmente lambascioni» vengono universalmente usati dalla plebe[10]. Successivamente, in un testo del 1914, Francesco Cirillo sostiene quanto segue: «Si rinvengono inoltre grandi quantità di bulbi di muscari che sono buoni per i visceri ed appartengono alla famiglia delle gigliacee il popolo li chiama lampasciuni, e da qualche anno sono esportati in America da Ascoli e Minervino»[11]. Grazie alla testimonianza di Cassitto del 1925 si viene a conoscenza dell’importanza in Capitanata dei lampascioni nei primi decenni del Novecento, mentre è di metà Novecento la documentazione dei falliti tentativi di coltivare il Muscari dell’agronomo professor Enrico Pantanelli, autore del testo Uso del cipollaccio per l’alimentazione e la produzione di alcool [12]. Infine, nel 1991 lo storico tarantino Luigi Sada ci riporta alla corretta etimologia del termine: lambascione con la lettera b[13], mentre le ricerche storiche del D’Ambrosio del 1995 ci riferiscono che il lambascione veniva servito sin dal 1756 nel seminario di Otranto[14].

Il libretto del 1925 di Cassitto, di appena una ventina di pagine, - un estratto del quale era già stato pubblicato nel 1922 nel numero 9 del giornale «Il foglietto» - testimonia l’importanza in Capitanata del Muscari Comosum nei primi decenni del Novecento, tanto da costituire «una piccola industria redditizia» risalente agli anni che avevano preceduto la Grande Guerra. I primi a cimentarsi nella raccolta e nella commercializzazione del lambascione erano stati i contadini di Ascoli Satriano, che già nel 1911 ne avevano esportavano trecento quintali ottenendo «lauti guadagni», tanto che la raccolta del bulbo edule si era estesa nei territori di Sant’Agata di Puglia, Ordona, Foggia e, in seguito, in quelli di Ortanova, Castelluccio dei Sauri, Bovino e Troia, subendo una pausa solo dovuta al conflitto mondiale. Finita la guerra, a causa della miseria, della carenza di prodotti alimentari, dell’enorme spinta al rialzo dei prezzi, della svalutazione dei salari, la raccolta dei lampascioni riprese a livello industriale diffondendosi anche nei territori di San Severo, Torremaggiore, Trinitapoli, Cerignola, Lucera e Subappennino, Lesina, Apricena e solo in poche realtà garganiche come San Nicandro.

Si ebbe un netto incremento della raccolta e dell’esportazione, passate dai mille quintali antecedenti la guerra ai duemila del 1919, tremila e cinquecento del 1920, ottomila del 1921, dodicimila del 1924. Nel Dopoguerra, i lambascioni cominciarono a essere proposti anche in trattorie e ristoranti e richiesti da benestanti[15].

Cassitto si sofferma sul riconoscimento delle «virtù terapeutiche e afrodisiache» del lambascione, attestate da medici, botanici, scrittori antichi e moderni e conosciuto sin dall’antico Egitto. Nel 1888 il dottor Curci, alla ricerca delle proprietà farmacologiche del Muscari Comosum, accertava  proprietà espettoranti nell’acqua di cottura[16], mentre Oreste Mattirolo, direttore dell’Orto Botanico di Torino, trent’anni dopo sosteneva che i lampasciuli rappresentavano un alimento di grande interesse nel mondo greco e romano, tanto da figurare negli scritti di autori importanti quali Discoride, Teofrasto, Plinio e Galeno[17]. Le qualità lassative e diuretiche del bulbo erano poi dimostrate dal direttore della Stazione Sperimentale Agraria di Bari, il professore Pantanelli[18], mentre il sempre polemico professor La Pietra nello stesso anno, il 1920, attribuiva erroneamente le proprietà purgative all’olio di oliva con cui venivano conditi i bulbi[19].

La raccolta dei lambascioni avveniva tra fine dicembre e marzo con l’uso di zappette oppure a mano nei terreni arati. Erano inizialmente raccolti da contadini e terrazzani ai fini dell’autoconsumo, ma quando cominciarono a essere ricercati per l’esportazione, diventando una risorsa economica rilevante, si videro vagare per i campi alla loro ricerca intere famiglie comprese giovani ragazze, tanto che nel 1924 la raccolta dei lambascioni raggiungeva la considerevole cifra di dodicimila quintali di cui ben diecimila venivano esportati negli Stati Uniti e, in parte, nel Brasile e in Argentina. In definitiva, in particolare per il Tavoliere, l’attività di raccolta era diventata una vera risorsa economica e si stava avviando verso la costituzione di una «piccola industria rurale» con noti industriali di frutti eduli spontanei, quali «i fratelli Orlando e Mario Casalanguida, ed un tempo i signori De Angelis, Titta Francesco Paolo e Luigi Contessa, oltre tutta una schiera di piccoli incettatori sparsi nei principali centri di produzione»[20], che spedivano in sacchi da un quintale lambascioni ripuliti a Napoli, dove venivano sistemati in casse da 50 chilogrammi e spediti nelle Americhe. Una persona adulta riusciva a raccogliere dai dieci ai quindici chili di bulbi che vendeva «all’incettatore od all’industriale per L 2 o 2,5 al chilo, realizzando così un guadagno giornaliero dalle 20 alle 35 lire», oppure a un prezzo maggiorato «per le strade delle città a lire 2,50 ed anche 3»[21].

Cassitto lamentava la scarsa conoscenza e considerazione del Muscari Comosum nel Subappennino e nel Gargano, i cui territori pianeggianti e collinari erano ricchi di lambascioni di ottima qualità. In particolare, l’autore indicava le seguenti località del Gargano: “Le Mezzane”, “Mezzanelle”, “Piano Piccolo”, “Piano Grande” nel territorio di Vieste, “Piano di Vento” e “Niuzi” in quello di Ischitella, oltre a svariate aree di Carpino, Sannicandro Garganico e San Giovanni Rotondo[22].

In conclusione, l’agronomo viestano riservava alla pianta del Muscari Comosum «un grande avvenire industriale», particolarmente significativo in un momento di gravi crisi economiche e sociali, laddove le famiglie contadine del Mezzogiorno sopravvivevano alle tristi condizioni generate dalla guerra, dall’inflazione fortemente cresciuta alla carenza di beni primari, dalla disoccupazione al carovita e al deprezzamento dei salari[23].

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[1] R. V. Cassitto, Estensione e produzione olearia Garganica e i suoi rapporti col commercio, Napoli, Tip. Giaccio e Frezza, 1914.

[2] R. V. Cassitto, Climatologia di Viesti in rapporto all’agricoltura con appendice alla climatologia Garganica, Bari, Tip. Alighieri, 1915.

[3] R. V. Cassitto, Le Ciammaruchelle (lumache), Foggia, Bollettino della Camera di Commercio di Foggia, anno X, n. 1, 1922.

[4] R. V. Cassitto, La coltivazione e l’industria del fico d’india, Foggia, Tipografia Paolo Cardone, 1924.

[5] R. V. Cassitto, I capperi, Foggia, Tip. P. Cardone, 1925.

[6] R. V. Cassitto, Piccole industrie rurali in Capitanata. I lampasciuli, Foggia, Tip. P. Cardone, 1925.

[7] A. Grana, Storia e proprietà lampasciuoli di Capitanata, in «Taccuini Gastrofisici.it», 4 dicembre 2016.

[8] PAT-Puglia, Nella terra dei lampascioni: un viaggio in Puglia tra storia, tradizioni e ricette (https://www.patpuglia.it/it/20/Nella_terra_dei_lampascioni:_un_viaggio_in_puglia_tra_storia_tradizione_e_ricette/2).

[9] Dati, informazioni, autori della ricerca storica sono tratti da PAT-Puglia, Nella terra dei lampascioni: un viaggio in Puglia tra storia, tradizioni e ricette, cit. e da P. Santamaria-M. Renna, Come Bio vuole. Il percorso partecipativo della Compagnia del Carosello per una comunità del cibo, Bari, Università degli Studi di Bari “Aldo Moro”, 2021, pp. 104-108.

[10] C. De Cesare, Delle condizioni economiche e morali delle classi agricole nelle tre province della Puglia, Napoli 1859.

[11] F. Cirillo, Cenno storico della città di Cerignola, Cerignola, Pescatore, 1914, p. 50, cit. tratta da P. Santamaria-M. Renna, Come Bio vuole, cit., p. 106.

[12] E. Pantanelli, Uso del cipollaccio per l’alimentazione e la produzione di alcool, Annali R. Stazioni sperimentali Agrarie italiane, Vol. LIII, 1920.

[13] L. Saba, La cucina nella terra di Bari, Padova, Muzzio Editore, 1991, pp. 66-67.

[14] P. Santamaria-M. Renna, Come Bio vuole, cit., p. 118.

[15] R. V. Cassitto, Piccole industrie rurali in Capitanata. I lampasciuli, cit., pp. 3-4.

[16] A. Curci, Ricerche farmacologiche sul Muscari Comosum, in «Annali di Chimica e Farmacologia», Vol. 7, Serie IV, 1888.

[17] O. Mattirolo, I bulbi del Muscari Comosum (Cipollaccio o fiocco) proposti come alimento anche alle popolazioni dell’Italia Settentrionale, in «Annali R. Accademia di Agricoltura», n. 61, Torino 1918.

[18] E. Pantanelli, Uso del cipollaccio per l’alimentazione e la produzione di alcool, cit.

[19] M. La Pietra, Il Moscarino, in «Il Coltivatore», Fratelli Ottavi, n. 30, 1920.

[20] R. V. Cassitto, Piccole industrie rurali in Capitanata. I lampasciuli, cit., p. 14.

[21] Ivi, p. 13.

[22] Ivi, pp. 13-14.

[23] Cfr. ivi, p. 16.

«Non ho mai visto tanta gente in visita alla Città di Monte Sant’Angelo, ma più specificatamente al Santuario di San Michele, ormai diventato uno dei luoghi più visitati al mondo, dove troviamo gente proveniente da ogni parte d’Italia e dell’Europa, tanto da trovarci, anche davanti a gruppi provenienti dall’Estremo Oriente, fra cui la Cina, il Giappone, l’India dello Sri Lanka, la Malesia e la Corea del Sud. Un mondo capovolto, fino a pochi ani fa, in cui il pellegrinaggio verso la Montagna Sacra, più specificatamante Monte Sant’Angelo, era un luogo di culto e di visita per poche e qualificate compagnie provenienti soprattutto dall’Italia Meridionale.

Oggi tutto è cambiato, tanto che ci troviamo di fronte ad un fenomeno altamente qualificato e straordinario, dove una città, si badi, e non un borgo, è diventato un luogo internazionale, ma soprattutto un luogo di grande attrattiva non solo religioso, ma culturale e paesaggistico, legato, quest’ultimo aspetto, alle bellezze del nostro paesaggio garganico, che si caratterizza soprattutto attraverso la Foresta Umbra e i boschi che ne fanno da corollario, diventati, oggi, dopo il Santuario di San Michele, il secondo Sito UNESCO:  luoghi, insieme alla Grotta micaelica,  di grande fascino storico-culturale e paesaggistico, con aspetti che si riportano alla nostra storia antica, fatta di  miti e culti della Daunia. Tutto ciò fa della Montagna Sacra, ma più specificatamente della Montagna dell’Angelo, cioè Monte Sant’Angelo, un luogo emblematico di storia, cultura, religiosità popolare e paesaggio naturale, tale da racchiudere l’essenza stessa, nella sua globalità, come è l’intero Gargano, il significato di essere un Sito UNESCO.  

In questi giorni di fine settembre, che generalmente cadono con le festività di San Michele, la nostra meraviglia è stata, quindi,  nel vedere migliaia di gente visitare la nostra città, un fenomeno tale che va oltre le nostre aspettative,  una città che purtroppo è stata bocciata quale Capitale Italiana della Cultura 2025, ma che, come si vede, oggi, attira, durante tutto l’anno, milioni di visitatori, tanto da assistere ad un fenomeno, quale è il pellegrinaggio micaelico,  che ormai è diventato internazionale, anche se, fino ad alcuni anni fa, non credevamo che una città come Monte Sant’Angelo  potesse attirare tanta gente, sfatando così qualsiasi pregiudizio contro le città meridionali, destinate tutte all’oblio o ad un lento degrado.

Monte ha in sé delle potenzialità che ancora non sappiamo apprezzare, né sappiamo cogliere il giusto    valore sul piano economico e culturale. Giustamente il dossier della Candidatura Capitale Italiana della Cultura 2025 si intitola Monte in cammino, anche se tale cammino ci è stato sbarrato ingiustamente dalla Commissione giudicatrice.

QUI IL PDF DEL DOSSIER "MONTE IN CAMMINO"

Un Monte in cammino che, secondo noi, va oltre Agrigento, in quanto la nostra cultura, non solo religiosa, quanto storico-artistica,  va oltre il Gargano e la Puglia, in quanto ci porta verso un mondo che abbraccia due continenti e due orizzonti, quello Orientale e quello Occidentale: la cultura provenente dal mondo bizantino e, quindi, da Gerusalemme e dai paesi dell’Est e la cultura sorta e sviluppatasi in Occidente,  per primo nella Magna Grecia, con i Dauni, i Greci e i Romani, per poi diffondersi in tutta Europa, attraverso  i Franchi, i Longobardi, i Normanni, gli Svevi, gli Angioini, gli Aragonesi, e infine i Borbone, che per la prima volta avevano inteso creare una nuova capitale mediterranea, cioè Napoli. Oggi tale funzione, attraverso il pellegrinaggio micaelico, viene presa dalla Montagna dell’Angelo, e precisamente da Monte Sant’Angelo, sede primigenia del culto di San Michele in Occidente, dai cui itinerari, come la Via Micaelica, nascerà l’idea dell’unità politica-culturale dell’Europa, fondata sulle culture e sulle civiltà degli antichi popoli europei, nonché su importati principi e valori quali la liberta, la democrazia, la solidarietà fra i popoli, il diritto, in nome della pace e della convivenza fra tutti i popoli. Convivenza che purtroppo, oggi, è messa in pericolo e in discussione dalla guerra fra la Russia e l’Ucraina. In questo senso Monte in cammino rappresenta, oggi, un monte proteso verso un mondo dove si incontrano gente e popoli della Terra, senza divisioni e odi di parte e di razze. Non c’è luogo al mondo in cui i popoli, di ogni fede e di ogni cultura, oggi si incontrano in maniera pacifica come a Monte Sant’Angelo, che rappresenta tutto ciò che altri luoghi vorrebbero, e di cui siamo consapevoli di tracciare un Monte in cammino oltre Agrigento».

 

DOSSIER UnMonteincammino

Quest’anno la XIX edizione di LuBeC - Lucca Beni Culturali, manifestazione internazionale dedicata allo sviluppo e alla conoscenza della filiera cultura-innovazione, si è svolta nelle giornate di giovedì 28 e venerdì 29 settembre 2023 al palazzo del Real Collegio di Lucca, avendo come tema “Effetto cultura”

L'Archivio di Stato di Foggia, istituto periferico del Ministero della Cultura (MiC), valutando l’importanza dell’istituzione del Comitato Nazionale “Luigi Vanvitelli, il Maestro e la sua eredità” e in virtù della propria adesione alla convenzione con il Comune di Apricena e la Reggia di Caserta,  ha partecipato attivandosi con un progetto di interesse nazionale: “A 250 anni dalla morte di Luigi Vanvitelli: le nuove scoperte dell’Archivio di Stato di Foggia sulla Reggia di Caserta”.

Il MiC nel dedicare all’Archivio di Stato di Foggia uno stand e una sala convegni per la presentazione del convegno su Vanvitelli, annoverava l’evento come uno dei progetti innovativi illustrati dai propri rappresentanti istituzionali.

Inoltre, sempre nell’ambito dello spazio espositivo riservato all’Archivio di Stato di Foggia con la collaborazione della Reggia di Caserta, è stato allestito anche uno spazio informativo/divulgativo e un monitor per la proiezione del video sulla Reggia appositamente realizzato.

Il convegno si è svolto con l’introduzione del Direttore dell’Archivio, Massimo Mastroiorio, che ha parlato della convenzione attivata con il Comune di Apricena e con la Reggia di Caserta, poi il Presidente Ordine degli Architetti di Lucca, Fabio Nardini, invitato dallo stesso Archivio e dall’Ordine degli Architetti di Foggia, e l’assessore alla cultura e V. Sindaco del Comune di Apricena, Anna Maria Torelli, hanno portato i saluti istituzionali e lodato l’iniziativa.

Successivamente, il Coordinatore valorizzazione dell’Archivio e referente del progetto, Alfredo de Biase, essendo esperto di Castel del Monte, in quanto in passato ha ricoperto l’incarico di direttore, dopo aver fatto un breve parallelo tra la Reggia di Caserta e il citato Castello, ha relazionato su un argomento ai più sconosciuto ed in particolare sulla spoliazione subita dal maniero di Andria per arricchire la Reggia vanvitelliana. Poi, mostrando studi e documenti di archivio, si è soffermato sulla esatta individuazione delle cave di pietra del Gargano la cui breccia corallina è presente nei due grandi monumenti.

Dopo ha relazionato Francesco Faccilongo, Presidente Ordine degli Architetti di Foggia, il quale ha dissertato sul neoclassicismo in Italia e sulla figura di Luigi Vanvitelli offrendo interessanti spunti culturali.

A seguire il responsabile della valorizzazione della Reggia di Caserta, architetto Barbara Del Prete, dopo aver ringraziato l’Archivio di Foggia per il lodevole operato, ha spiegato tutte le iniziative che la Reggia sta portando avanti nell’ambito delle celebrazioni dei 250 anni dalla morte di Vanvitelli.

Infine, da remoto si è collegato lo storico prof. Feliciano stoico, il quale, avendo eseguito accurati studi presso il nostri depositi archivistici, ha enucleato una serie di considerazioni che hanno ulteriormente avvalorato quanto detto dai precedenti relatori e dimostrato la rispondenza dei documenti con i prelievi a suo tempo eseguiti dai Borboni nelle cave garganiche.

La manifestazione ha riscosso l’attenta partecipazione di un pubblico interessato ed è stata trasmessa via streaming per poter essere seguita a distanza da ogni latitudine. Considerata poi la specificità del tema riguardante il famoso architetto neoclassicista, tra i presenti in sala, oltre agli appassionati, ai cultori della materia e al direttore dell’Archivio di Stato di Lecce, vi erano anche numerosi architetti di Lucca che hanno apprezzato gli interventi.

Il convegno si è concluso con l’auspicio da parte del presidente Fabio Nardini di poter accogliere anche per il prossimo anno l’Ordine degli Architetti e l’Archivio di Stato di Foggia e magari attivare proficui interscambi con i propri iscritti.

Le opere del grande artista americano in mostra dal 14 ottobre al 26 novembre nella galleria di Giuseppe Benvenuto, già curatore della mostra di Banksy a Vieste.

Arrivano a Foggia le opere iconiche e provocatorie di uno dei più grandi artisti della street art, Shepard Fairey, in arte Obey. Amato anche da Barack Obama di cui trasformò l'immagine in un'icona mondiale durante la campagna elettorale del 2008 Obey, con il suo stile inconfondibile, sarà in mostra presso la Contemporanea Galleria d’Arte di Foggia dal 14 ottobre al 26 novembre. 

“Against the tide” sarà inaugurata alle 18.30 di sabato 14 ottobre in Viale Michelangelo, 65 e sarà visitabile tutti i giorni (festivi inclusi) dalle 10.00 alle 13.00 e dalle 16.00 alle 20.00, fino al 26 novembre. 

Against the tide’ è il titolo dell’esposizione formata da diciotto opere ricercate, tra collage, serigrafie, HPM su carta e copertine di vinili. Il visitatore potrà compiere un viaggio visivo che stimola riflessioni su temi di grande attualità: dalla discriminazione razziale al consumismo, dalla disparità di genere alla devastazione ambientale, argomento quest’ultimo che trova ideale rappresentazione in “Paint it Black”, tra le opere più significative della mostra. Il linguaggio dell‘artista si fonda quasi tutto sul “già visto”, avendo interiorizzato non solo la lezione della pop art ma anche quella del linguaggio pubblicitario e della propaganda politica.

Dopo il grande successo di pubblico della mostra di Banksy che chiuderà domani a Vieste e per la quale ho ricoperto il ruolo di curatore e direttore artistico in collaborazione con MetaMorfosi Eventi, ho pensato - dichiara Giuseppe Benvenuto, direttore della Contemporanea Galleria d’Arte - ad un nuovo evento di portata internazionale per Foggia. Sulla scia della street art, ho puntato su un grandissimo artista, molto apprezzato anche dall’ex Presidente degli Stati Uniti. Sono certo che la città, che ha tanta fame di cultura, risponderà con interesse e curiosità”.

Contemporanea Galleria d’Arte.
di Giuseppe Benvenuto
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Le “Lettere meridionali” di Pasquale Villari, pubblicate nel 1875 dall’ “Opinione” di Torino, avevano per la prima volta, in maniera decisa, posto l’accenno sulle gravissime responsabilità dei governi conservatori liberali per il modo in cui avevano gestito, nei primi quindici anni del Regno d’Italia, l’annessione delle province del Mezzogiorno, definita più tardi «conquista regia» da Guido Dorso. Una conquista avvenuta utilizzando mezzi repressivi violenti contro le rivolte contadine e bracciantili, nel riuscito tentativo di conservare privilegi semifeudali alla borghesia terriera, detentrice di estesi latifondi in gran parte usurpati.

Con Villari nasceva la questione meridionale e con essa «la storia delle analisi, dei dibattiti, delle politiche relative ai problemi del Mezzogiorno rispetto al resto del Paese” [1], costringendo il conservatorismo liberale al potere ad affrontare con analisi politiche, economiche e storiche i condizionamenti classisti e gli errori di fondo che avevano seriamente compromesso il breve percorso unitario. Un percorso sempre più fragile nel momento stesso in cui la Destra storica stava perdendo il potere e avanzavano prepotentemente, soprattutto nel Mezzogiorno, le sollecitazioni clericali, socialiste, anarchiche.

Il pensiero politico di Villari veniva subito ripreso dai giovani conservatori toscani Franchetti e Sonnino con un saggio pubblicato nel 1877 in due volumi “La Sicilia nel 1876” [2], il primo scritto da Franchetti sulle condizioni amministrative e politiche, il secondo da Sonnino sulle infelici condizioni dei contadini siciliani.

Leopoldo Franchetti era nato a Livorno nel 1847 da una benestante famiglia di origine ebraica. Si era laureato in Legge nel 1870 a Pisa, dove aveva incontrato Sonnino e aveva ricevuto gli insegnamenti di Pasquale Villari. Dopo l’inchiesta sulla Sicilia del 1876, fondava nel 1878 insieme a Sonnino la rivista “Rassegna settimanale”. In seguito, nel 1910, insieme a Giustino Fortunato fondava l’ “Associazione per gli interessi del Mezzogiorno”, presiedendola fino alla morte avvenuta nel 1917.

Sidney Sonnino nasceva nello stesso anno a Pisa, oltre che cofondatore con Franchetti della “Rassegna settimanale” di Firenze, fondava nel 1901 “Il Giornale d’Italia”. Sarà eletto ininterrottamente dal 1880 al 1913 alla Camera dei Deputati dalla XIV alla XXIV legislatura, svolgerà le funzioni di Sottosegretario di Stato al Ministero del Tesoro nel 1889, di ministro delle Finanze nel biennio 1893-94, di ministro del Tesoro dal 1894 al 1896, di Presidente del Consiglio dall’8 febbraio al 27 maggio 1906 e dall’11 dicembre 1909 al 31 marzo 1910, di ministro dell’Interno e, più volte, di ministro degli Affari Esteri dal 1914 al 1919. Sarà nominato senatore il 3 ottobre 1920, due anni prima della morte avvenuta nel 1922 [3].

Il viaggio di Franchetti e Sonnino in Sicilia, al fine di studiare sul campo le condizioni sociali, politiche e amministrative, nonché i rapporti tra mafia e poteri locali, era iniziato dopo che con legge del 3 luglio 1875 si era costituita una Giunta parlamentare d’inchiesta al fine di indagare sullo stato della Sicilia. I risultati della Giunta erano stati presentati il 3 luglio 1876 dal deputato Bonfandini [4]. Il dibattito politico, precedente e successivo, alla relazione sull’inchiesta aveva assunto toni estremamente aspri con la Sinistra parlamentare che colpevolizzava la Destra di non aver adottato le politiche necessarie a sanare gli squilibri e le disuguaglianze del Mezzogiorno rispetto al resto del Paese, privilegiando il mantenimento di un sistema feudale agrario e scatenando una questione sociale che aveva raggiunto livelli estremi. Ma più dell’inchiesta parlamentare erano le relazioni di Franchetti e di Sonnino a cogliere la vera natura della questione agraria e demaniale e della mafia nei suoi intrecci col ceto politico ed economico dominante.

Franchetti e Sonnino avevano, più del loro maestro Villari, focalizzato l’attenzione sulla questione meridionale, mettendo a fuoco fenomeni socio-politici quali «anarchia delle classi dirigenti, ribellioni contadine, resistenze regionalistiche, larga influenza ideologica del clero», in un contesto sociale dove l’ostacolo primario allo sviluppo della società era rappresentato dall’assoluto predominio del «ceto agrario parassitario e usuraio» nei riguardi del quale i governi liberali del primo quindicennio unitario avevano operato «ora piegandosi al compromesso ora svolgendo una politica puramente repressiva»[5].

Franchetti e Sonnino sono stati portatori di un progetto politico riformistico, pur in un contesto pienamente e consapevolmente conservatore. Un progetto che sarà destinato a non produrre effetti nella realtà socio-economica del Mezzogiorno, nonostante Sonnino avrebbe rivestito in seguito importanti incarichi governativi in qualità persino di presidente del Consiglio dei ministri.

Infatti Antonio Gramsci, in “Alcuni temi sulla quistione meridionale” del 1926 scriveva che il progetto di Sonnino e Franchetti aveva avuto l’aspirazione di «creare nell’Italia meridionale uno strato medio indipendente di carattere economico che funzionasse […] da “opinione pubblica” e limitasse i crudeli arbitrii dei proprietari da una parte e moderasse l’insurrezionismo dei contadini poveri dall’altra». Il grande intellettuale affermava che «il piano governativo di Sonnino e Franchetti non ebbe neanche l’inizio di una attuazione», spiegandone lucidamente i motivi nel contesto della relazione dei rapporti tra Nord e Sud in riferimento alla particolare organizzazione dell’economia nazionale e dello Stato, «tale per cui la nascita di una classe media diffusa di natura economica» e quindi di una «borghesia capitalistica diffusa» era «resa quasi impossibile». Per Gramsci «ogni accumulazione di capitali sul luogo e ogni accumulazione di risparmi è resa impossibile dal sistema fiscale e doganale e dal fatto che i capitalisti proprietari di aziende non trasformano sul posto il profitto in nuovo capitale perché non sono del posto». Gramsci riteneva che i governi liberali non avevano avuto altro obiettivo che conservare quel «mostruoso blocco agrario» che aveva funzionato da intermediario e da «sorvegliante del capitalismo settentrionale e delle grandi banche». Non rilevava all’interno di quel sistema «nessuna luce intellettuale, nessun programma, nessuna spinta a miglioramenti e progressi», se non al di fuori del Mezzogiorno, nei «gruppi politici agrari conservatori, specialmente della Toscana, che nel Parlamento erano consorziati ai conservatori del blocco agrario meridionale» e di cui facevano parte Franchetti e Sonnino, definiti benevolmente «borghesi intelligenti», spaventati dallo spettro dell’anarchismo che Bakunin rappresentava allora nel Mezzogiorno[6]. Era questa l’occasione per polemizzare con Giustino Fortunato e Benedetto Croce, ritenuti i grandi intellettuali a protezione degli interessi dei ceti agrari e quindi definiti come «i reazionari più operosi della penisola»[7].

Nella sua relazione[8] Franchetti aveva ammesso il fallimento del governo e il suo totale cedimento ai poteri locali, legittimi e illegittimi: «In un paese dove niuno crede che le leggi siano superiori a tutti e per tutti uguali, e dove è convinzione generale che la loro applicazione dipenda dalla autorità dei potentati locali, ogni concessione che venga fatta ribadisce l’universale credenza». Sul ruolo dei deputati siciliani, l’intellettuale toscano era ancora più drastico, parendogli che avessero «dai loro elettori il mandato, più che di far nuove leggi, di procurare che siano fatte eccezioni a quelle in vigore».

Sonnino, da parte sua, aveva focalizzato la sua relazione[9] sulle disperate condizioni delle masse rurali del Mezzogiorno, in un contesto sociale che non aveva mai spezzato il legame feudale che costringeva il contadino ad essere legato alla terra e al padrone, laddove, invece, persino in Irlanda nel 1870 con il “Land Act” erano stati assicurati ai contadini i piccoli appezzamenti di terreno in cui lavoravano. L’eversione della feudalità in Sicilia era avvenuta nel 1806, sei anni dopo che fosse promulgata nel Regno di Napoli da parte degli invasori francesi, ma come correttamente scriveva Sonnino «l’abolizione di diritto del sistema feudale non produsse nessuna rivoluzione sociale, appunto perché i feudi […] furono lasciati in libera proprietà agli antichi baroni: onde al legame tra il coltivatore e il suolo, che prima era costituito dalla stessa servitù feudale, non si sostituì come altrove l’altro vincolo della proprietà, ma invece quel legame fu semplicemente rotto, e il contadino si trovò libero in diritto, senza doveri ma anche senza diritti, e quindi ridotto di fatto a maggior schiavitù di prima per effetto della propria miseria»[10].

Con questa terza pubblicazione (si legga la prima e la seconda), è iniziata un’altra libera e volontaria collaborazione culturale. A lui va il ringraziamento della redazione, per aver scelto gli spazi di newsGargano per la divulgazione culturale e storica della Capitanata. È il prof. Michele Eugenio Di Carlo, nato in Belgio nel 1955. Laureato in scienze agrarie, numerosi suoi articoli riguardanti la tutela dell'ambiente, l’attualità e la storia del Mezzogiorno sono stati pubblicati da giornali e riviste locali, regionali e nazionali. È socio della Società di Storia Patria, socio fondatore del movimento per l’equità, promotore della rete culturale meridionalista Carta di Venosa.

Nei suoi anni, sempre colmi di studi e divulgazioni, ha pubblicato vari libri. Alcuni sono: “Contadini e braccianti nel Gargano dei briganti (2015)”, “Il Gargano al crepuscolo del Settecento. Le proposte “eversive” (2018)”, “Sud da Borbone a brigante (2020)”. È anche co-autore ei testi: La “secessione letteraria”  in AA.VV. La Questione meridionale (2019), “Galiani e Giannone, due garganici, due storie in AA.VV. Inediti su Pietro Giannone, 2021, “Il comprensorio di Apricena, Lesina, Poggio Imperiale tra Settecento e Ottocento in AA.VV. Percorsi della conoscenza, 2022, Tracce di revisionismo storico negli scritti di Michele Vocino in AA.VV. Storie di studiosi di Capitanata tra il XIX e il XX secolo, 2022.

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[1] P. BEVILACQUA, La questione meridionale nell’analisi dei meridionalisti, in Lezioni sul meridionalismo, Sabino Cassese (a cura di), Bologna, Il Mulino, 2016, p. 15.

[2] L. FRANCHETTI – S. SONNINO, La Sicilia del 1876, Firenze, Barbera, 1877.

[3] Scheda senatore Sidney Sonnino, sito del Senato della Repubblica, senatori d’Italia.

[4] Relazione della Giunta per l’inchiesta sulle condizioni della Sicilia: nominata secondo il disposto dell’articolo 2 della legge 3 luglio 1875, Roma, Tip. Eredi Botta, 1876.

[5] R. VILLARI (a cura di), Il Sud nella storia d’Italia, vol. 1°. Bari, Laterza § Figli, 1966, p. 119.

[6]A. GRAMSCI, Alcuni temi della quistione meridionale, in Id. La questione meridionale (a cura di Franco De Felice e Valentino Parlato), Roma, Editori Riuniti, 2005, pp. 181-183.

[7] Ivi, pp. 184-85.

[8] L. FRANCHETTI, Condizioni politiche e amministrative della Sicilia, Firenze, Barbera, 1877.

[9] S. SONNINO, I contadini in Sicilia, Firenze, Barbera, 1877.

[10] R. VILLARI (a cura di), Il Sud nella storia d’Italia, vol. 1°, cit., p. 136.

Grazie all’invito del Presidente di EcoGargano, Giuseppe Palumbo, responsabile della gestione del castello di Monte Sant’Angelo, ho potuto visitare l’interessante e pregevole Mostra bipersonale di pittura e sculture degli artisti MICHELE AFFATATO  e GHEORGHITA OUATU, che si tiene, dal 23 al 30 Settembre 2023, presso le sale del castello, che sempre più, grazie all’opera divulgativa dei responsabili del nostro castello, sta acquistando sempre più notorietà per l’alto valore culturale e turistico degli eventi in programmazione. Del resto, sono anni che Giuseppe Palumbo sta dedicando, con abnegazione e passione, alla valorizzazione del nostro patrimonio culturale, fra cui il nostro castello, che ci auguriamo venga gestito da persone che appartengano alla nostra cultura e al nostro territorio. Davanti alle opere dei due artisti sono rimasto incantato per la varietà, non solo delle tecniche che entrambi usano, quanto per la varietà dei soggetti rappresentati in maniera originale e unica, sia per il contenuto che per le forme artistiche e il linguaggio che essi usano.

Michele Affatato è un nostro conterraneo, che da anni opera in provincia di Foggia, ma che sta divulgando e proponendo la sua arte in tutta Italia e in Europa, facendosi conoscere attraverso varie Mostre che egli ha organizzato a Bari, Napoli, Venezia, Padova, Monreale, Palermo, Milano, Budapest, Parigi e NewYork, con un notevole successo di critica e di consenso popolare. Consenso che deriva dalla sua arte e dal suo linguaggio che spazia fra realtà e immaginazione, con varie tematiche, che ci riconducono, da una parte alla nostr terra e, quindi, alla nostra identità daunia, con evidenti e prorompenti legami alla civiltà e cultura garganica e mediterranea, dove predomina un paesaggio rurale che ci richiama alla nostra cultura contadina e nello stesso tempo alla presenza del sacro, che si identifica prevalentemente nel culto di San Michele, con la sua originaria iconografia angelica e,  dall’altra parte, la presenza di un mondo magico ed onirico, dove  il legame con la realtà e, quindi, con la natura diventa sogno e immaginazione di un mondo astratto, ma sempre legato alla materialità e, quindi, al significato simbolico della pietra  o della roccia, nel nostro caso la Montagna Sacra, che sta a fondamento della civilizzazione dell’uomo. Un mondo surreale e immaginifico dove il colore, legato alla materialità degli oggetti, esprime quel mondo onirico e irreale che solo un artista, come Michele Affatato sa fare e sa rappresentare. Il tutto legato alla contemporaneità rappresentativa degli oggetti d’uso e, quindi, alla quotidianità del nostro tempo. Un mondo in cui predomina la tecnologia e quindi gli scarti della quotidianità e della temporaneità esistenziale. Immagini costruite soprattutto attraverso i colori che acquistano in Michele Affatato una loro liricità e una loro poeticità espressiva, che solo l’arte e la tecnica di Michele Affatato sanno riprodurre. Un mondo di colori e di immagini, tale da smarrirsi e ritrovarsi nello stesso tempo, legati a ciò che è essenziale, che è la bellezza dell’arte e, quindi, della vita. Tutto ciò gli ha permesso di attirare l’attenzione della critica, ottenendo vari premi e attestazioni di merito, fra cui il Premio Internazionale Michelangelo, 2021; il Premio Internazionale Città di New York, 2020; il Premio Internazionale Città di Budapest, 2020; Pro Biennale, Venezia, 2022; Mostra Internazionale di Arte Contemporanea, Spoleto, 2022, ecc. Infine c’è da sottolineare che la sua arte ha attirato l’attenzione di Vittorio Sgarbi, che lo ha inserito nell’Annuario di Arte Contemporanea Mondadori, 2021.

Gheorghita Ouatu ci riporta verso un mondo surreale e nello stesso temo onirico, dove la realtà ormai non esiste se non vista attraverso il subconscio e, quindi, attraverso una personale trasposizione del reale verso un mondo di fantasie e di pura realtà legata al subconscio.  Gheorghita Ouatu è nata a Tulcea, una ridente città sul Danubio in Romania. Vive in Italia dal 2004, che considera la patria dell’arte e quindi la culla di ogni civiltà e cultura, tale da dare origine alla Magna Grecia e, quindi, alla civiltà europea, da cui l’artista trae anche ispirazione, in quanto figlia di una Europa  non etnocentrica, ma pluricentrica, in cui sia l’Est che l’Ovest si incontrano e danno forma e spirito alle aspirazioni degli uomini, ma soprattutto, nel nostro caso, degli artisti, come Gheorghita Ouatu.

L’arte di Gheorghita Ouatu nasce dal profondo del subconscio e, quindi, da una interiorità che solo gli artisti sanno cogliere ed esprimere. Un’arte sublime e nello stesso tempo cruda, per le sue immagini che trasformano la realtà in fantasie e a volte in mostruosità tale da attirare l’attenzione della gente, mettendo quasi in disagio lo spettatore. Infatti, in un suo “depliant” si legge che l’Artista passa facilmente “dal figurativo al materico, dall’astratto al surrealismo, dall’arte metafisica all’arte concettuale”, tanto da dare alla sua personalità di artista una poliedricità stilistica, sia sul piano dei contenuti che sul piano delle forme rappresentate. Del resto l’artista presenta un curriculum molto denso e pieno di significati, tale da caratterizzare, in maniera positiva e ammirevole, il suo percorso creativo, che man mano si arricchisce negli anni di fascino e di originalità, attraverso le sue emozioni artistiche uniche e irripetibili. Nelle sue opere si notano trasfigurazioni del reale, che appartengono sempre all’uomo, ma che la tecnologia ne ha fatte proprio, attraverso pulsazioni metaforiche, allusioni fantastiche, dove l’uomo si sente prigioniero della tecnica e, quindi, non più libero di determinare la sua esistenza, quasi prefigurando l’uomo tecnologico dominato dall’Intelligenza Artificiale (AI).  In questo senso l’arte di  Gheorghita Ouatu va al di là della realtà, quasi a prefigurare un mondo in cui la tecnologia e, quindi,  l’artificio diventano padroni della vita reale dell’uomo, in un profondo smarrimento e perdita della propria coscienza umana. Tutto ciò lo ritroviamo nelle sue opere esposte nel castello di Monte Sant’Angelo, che secondo noi, dovrebbe diventare la sede unica di un futuro Museo d’Arte Contemporanea, come quello di Mart Rovereto, di cui Presidente è  Vittorio Sgarbi. Un Vittorio Sgarbi che sta accompagnando, attraverso le sue annotazioni critiche sia l’arte di Michele Affatato che di Gheorghita Ouatu, rapportandosi, di volta in volta, alla temporaneità di Michele e alla ricerca del subconscio di Georgia. Per Michele Affatato Vittorio Sgarbi ha scritto: “Con Michele Affatato abbiamo un confronto ragionato tra i grandi lasciti artistici del passato e le più attuali tendenze espressive… Il lavoro complessivo di Affatato è poliedrico, non vi è un filo rosso che lega tra loro le opere, ma nella loro molteplicità mostrano la voglia di valicare la linea di demarcazione tra stili e discipline.  Dalla biografia si evince che l’autore si occupa prevalentemente di pittura con tentativi di combinare ad essa la scultura facendo coesistere le due discipline… Le sue opere hanno una forza dirompente che privilegia l’impressione e abbandona la didascalia… il tutto con slancio energico, quasi alla Van Gogh, avvicinandosi così alle avanguardie europee…per favorire l’impatto emotivo, così come fa Paul Jackson Pollock, pittore statunitense considerato uno dei maggiori rappresentanti dell’espressionismo astratto o action painting”. Secondo Leonarda Zappula, "l’individualità artistica di Michele Affatato, maniera conscia o inconscia, rende singolare la sua creazione: è quell’attributo intrinseco nella mente e nelle mani di chi genera un’opera destinata a lasciare traccia del proprio autore per sempre. È per l’appunto questa la connotazione che vuole essere considerata, presa in esame e raccontata attraverso il progetto UNICI… Michele Affatato è un  artista poliedrico, la cui produzione si basa sulla volontà di cogliere l’unità del mondo e dell’io e il segreto della realtà rappresentata come opera dell’anima. Nella sua produzione si afferma il primato dell’istinto sulla ragione. Per l'artista italiana Gheorghita Ouatu, l'arte purifica l'anima. I suoi ritratti espressivi ed emozionanti, i pezzi astratti e surrealisti sono vividamente dettagliati e mistici. Trasportare lo spettatore in un mondo parallelo dove tutto è possibile”. 

Gheorghita Ouatu ha esposto in tutta Europa, riscuotendo sempre consenso e ammirazione per le sue opere, che vanno al di là del reale, per immergersi in un mondo fiabesco e, quindi, irreale, dove tutto diventa un sogno onirico. Un mondo in cui l’uomo è soggiogato dai media televisivi, quasi succubi di un mistero che rende l’uomo schiavo della tecnologia, dove predomina una assoluta solitudine esistenziale, in mondo fatto di immagini e di puri sogni evanescenti. L’abitudine solo di sentire la voce degli altri, mentre il proprio io si smarrisce in quella degli altri senza nome e senza identità. Sentire più che ascoltare, tanto da rendere nullo l’ascolto e, quindi, la propria presenza nel mondo: un mondo fatto di tanti misteri e di tante sofferenze, che, specie oggi, rendono l’uomo non più artefice del proprio destino, in un mondo in cui predomina ancora la violenza, la distruzione dell’ambiente, oltre che delle città, costrette a subire la violenza della guerra, come sta succedendo in Ucraina, con la Russia, che non rispetta i diritti e l’identità di un altro popolo. Tutto ciò rende l’uomo schiavo del proprio arbitro e della propria hibris, cioè della propria superbia e, quindi, dell’antropocentrismo sfrenato e non più controllabile. Di fronte a tutto  ciò, Monte Sant’Angelo, che ha avuto l’onore di ospitare nel suo Castello normanno-svevo-angioino-aragonese, la Mostra bipersonale di Michele Affatato e di Gheorghita Ouatu, rappresenta quell’unione storico-culturale fra Oriente ed Occidente, fra le loro culture e le loro civiltà, che affondano le loro radici nel mondo greco-romano e nella civiltà dell’Europa medievale. Una Città, Monte Sant’Angelo, simbolo della Montagna Sacra, che ha unito in sè vari popoli,  Greci, Romani, Longobardi, Normanni,  Svevi, Angioini, Aragonesi,  provenienti da tutta Europa, dall’Oriente bizantino e dall’Occidente latino, contribuendo così, tramite la diffusione del culto micaelico e del suo pellegrinaggio, lungo i grandi itinerari della fede, da Santiago di Compostela a Roma e a Gerusalemme, tramite la Via Micaelica, le grandi vie sacre,  a formare e a creare l’identità politico-culturale dell’Europa, unendo nel contempo i popoli del Mediterraneo, là dove oggi si riversano milioni di emigranti provenienti dalle sponde dell’Africa settentrionale, diretti verso i paesi europei, fra cui in primo piano l’Italia. Là dove troviamo la Montagna Sacra, Monte Sant’Angelo, verso cui oggi si dirigono popoli e razze provenienti da ogni parte del mondo, Cina, Giappone, Corea, India dello Ski Lanka, Malesia, Europa, Stati Uniti, in cerca di qualcosa che manca oggi all’uomo e che rappresenta un angolo di salvezza e di solidarietà fra tutti i popoli della Terra.

Una città, come Monte Sant’Angelo,  che con il pellegrinaggio micaelico, oggi si pone come uno dei più importati santuari del mondo cristiano e non, meta di milioni di pellegrini e turisti. Un Monte in cammino, il cui significato purtroppo, non è stato capito o per lo più spiegato in maniera esauriente, a Roma, alla Commissione giudicatrice di Monte Capitale Italiana della Cultura 2025.

Giovedì 5 ottobre 2023 alle ore 19, prende il via a Monte Sant’Angelo Organ'Aria 2023, apprezzatissima rassegna itinerante ideata dal Conservatorio di musica "Umberto Giordano" di Foggia e realizzata con il contributo della Fondazione Monti Uniti e le Diocesi del territorio con il principale obiettivo di valorizzare gli organi storici del territorio.

L’inaugurazione di questa sesta edizione è affidata all’organista toscano Gabriele Giacomelli, professore presso il Conservatorio "G.B. Martini" di Bologna, che terrà un concerto all’organo settecentesco della Chiesa della SS.ma Trinità di Monte Sant'Angelo.

L'INGRESSO AI CONCERTI È GRATUITO

GABRIELE GIACOMELLI dopo i diplomi di Pianoforte e Organo, si è laureato in Storia della Musica presso l’Università di Firenze. Svolge un’intensa attività concertistica in Europa, USA e in America del Sud. Ha inciso vari CD dedicati che hanno ricevuto riconoscimenti dalla stampa specializzata. È autore di decine tra libri e saggi che sono stati pubblicati in Italia e all’estero. È coautore con il violinista Salvatore Accardo dei libri di testo per le scuole medie Stradivari (Bompiani, 2012) Sulle note di uno Stradivari (Fabbri, 2017) ed Effetto Stradivari (Fabbri, 2021). È ispettore onorario per il restauro degli organi antichi della Soprintendenza A.B.A.P. di Firenze, Pistoia e Prato ed è professore di Storia della Musica presso il Conservatorio di Musica di Bologna.

Seguirà, sabato 7 ottobre, a San Severo, un “Concerto Promenade” con l’organista Francesco Di Lernia e il mezzosoprano Angela Bonfitto. L'appuntamento è alle ore 20 presso la Chiesa del Carmine per giungere poi, a piedi, a San Lorenzo delle Benedettine: due chiese 'vicine' che custodiscono due preziosi strumenti storici, un Pasquale D'Onofrio del 1839 e un Fabrizio Cimino del 1740 recentemente restaurati. 

La rassegna giungerà in Cattedrale a Foggia venerdì 13 ottobre. L'organista Beppino delle Vedove, professore di organo presso il Conservatorio di Udine, concerterà insieme alla Giordano Brass Ensemble, formazione costituita da professori e studenti del Conservatorio di Foggia. 

Organ'Aria 2023 si chiuderà mercoledì 18 ottobre, sempre in Cattedrale a Foggia, con un appuntamento speciale dedicato alla Schola Gregoriana del Conservatorio e della Cattedrale diretta da Antonio Marinozzi, con Giovanni Petrone all’organo.

Un appuntamento da non perdere, per non dimenticare le origini di una città fondata da un miracolo e sugellata dalla volontà federiciana che la erse a centro culturale-storico-paesaggistico di gran parte della penisola italica.

Giovedì 05 ottobre, alle ore 18, presso la sala Diomede del Museo Civico di Foggia, in via Arpi -via centrale e storica del capoluogo dauno-, si svolgerà l’inaugurazione della mostra pittorica “Foggia com’era”.

Gli “Amici del Museo Civico di Foggia” hanno voluto fortemente tre maestri, Walter Aquilino, Anna Maria Del Giudice e Franco Maruotti, testimoni della storia locale. Saranno esposte le loro opere, presentate dal critico d’arte Gaetano Cristino.

Una mostra con opere che raffigurano angoli del nostro centro storico per ricreare nell’animo del visitatore un viaggio virtuale nel tempo attraverso la visione anche di parti scomparse della città di Foggia o poco conosciute.

Una serie di lavori realizzati da questi noti artisti foggiani, autori già di varie rassegne artistiche locali e nazionali, opere realizzate con diverse tecniche: disegni, acquerelli e dipinti ad olio, che raffigurano edifici, chiese ed anche suggestivi particolari di monumenti e vie e slarghi del nucleo più antico della città di Foggia.

Dopo i saluti ed una introduzione di Carmine de Leo, presidente degli Amici del Museo, seguirà una relazione del critico d’arte Gaetano Cristino, si procederà quindi all’inaugurazione di questa mostra sulla vecchia Foggia istallata nella vasta sala Diomede del Museo.

Questa iniziativa è la prima di una serie che l’Associazione Amici del Museo ha messo in cantiere finalizzata alla riscoperta ed alla rivalutazione del nostro centro storico nei confronti di un più vasto pubblico.

Un programma di incontri, conferenze, mostre e visite guidate, che vedranno impegnati storici ed artisti locali, ma anche i giovani delle scuole foggiane con concorsi e coinvolgimenti in brevi esperienze didattiche, affinché quest’area oggi in parte segnata da un inarrestabile degrado urbano, possa essere rivalutata e apprezzata per la sua storia ed il fascino di angoli più o meno segreti che conservano ancora ambienti urbani del tempo che fu.

La mostra resterà aperta fino al 04 novembre, dal martedì a domenica, dalle ore 09:00 alle 12:30 e solo nei giorni di martedì e giovedì dalle ore 16:00 alle 18:30.

La cittadinanza è invitata a partecipare.

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