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Il culto di Mitra

Dal III secolo a. C. si ha una progressiva decadenza della civiltà greca, tanto da assistere alla progressiva romanizzazione delle province e, quindi, alla scomparsa degli elementi originali della civiltà daunia. Questa progressiva decadenza si ebbe anche nei confronti dei culti e dei miti locali, per cui, assistiamo alla presenza di nuovi culti e miti provenienti dall’estremo Oriente, fra cui il culto di  Mitra, portato a Roma dalle legioni romane a partire dal I secolo d.C., per raggiungere il suo apice tra il III e il IV secolo d. C. Un culto, quello di Mitra,  che all’origine nasce  in ambiente indo-iranico, per poi essere rielaborato nel mondo romano.

Nell’antichità Mitra venne rappresentato generalmente come Sol Invictus, con un pugnale in mano, che uccide il toro; un dio nato da una roccia generatrice il 25 dicembre (solstizio d’inverno), giorno che diventerà poi il Natale di Cristo. Alla base del mitraismo, in effetti, era la credenza in un complesso sistema astrologico, in cui i pianeti e i segni zodiacali erano divinizzati e instauravano con l’uomo un rapporto di fiducia e devozione. Mitra, ereditando dal dio Sole il compito di guidare la corsa dei pianeti, era pure descritto nell’atto di far ruotare gli astri nel cielo. Quest’ordine cosmico era il risultato della sua vittoria sul toro selvaggio. La rappresentazione della tauroctonia sembra alludere al ciclo della natura, quando a primavera, sotto la costellazione del Toro, la vegetazione rinasce dopo il gelo invernale e allo stesso tempo è una metafora del processo di rigenerazione dell’anima che è alla base del culto. In realtà del mitraismo romano sono pervenute scarse notizie, oltretutto da parte di cristiani prevenuti contro quella religione. Tertulliano, uno  dei più noti padri della Chiesa del II-III secolo d. C., definisce i luoghi di culto mitraici “castra tenebrarum” (accampamenti delle tenebre, in contrapposizione ai “castra lucis” dei cristiani), evidenziando l’organizzazione dei fedeli in milizie sacre e l’oscurità degli ambienti di culto: scelta questa che veniva giudicata contraddittoria rispetto alla natura essenzialmente solare del dio. Il confronto tra Mitraismo e Cristianesimo è ritenuto molto interessante da alcuni storici, i quali sostengono che ci siano diverse somiglianze tra queste due religioni.

Per esempio, molte chiese furono costruite là dove vi era un mitreo, generalmente in una grotta, come nel caso del sincretismo religioso fra  il culto di Mitra e il culto di San Michele, con un sincretismo tale da ritenere diverse chiese orte proprio su antichi mitrei o culti pagani. Infatti fra il mitraismo e le Apparitiones Sancti Michaelis, vi sono molte somiglianze, come per esempio il tema della grotta che compare in chiese cristiane dedicate all'Arcangelo Michele, che dopo la legalizzazione del Cristianesimo, divenne il santo patrono dei soldati.

Del resto sappiamo che il culto di Mitra era presente soprattutto nella classe militare. Un sincretismo religioso fra Mitraismo e l’Apparitio che si manifesta in diverse simbologie, fra cui la tauromachia, il  simbolismo del Sol Invictus, il culto delle acque, il rito dell’Incubatio,  la stessa simbologia della Montagna, legato alla sacralità della pietra e quindi della roccia. Forme simboliche e rituali che ritroviamo anche nel culto micaelico, sorto nella seconda metà del V secolo, sulla leggenda di Gargano, che in un certo qual modo riprende la vecchia formulazione dei miti e culti pagani, di cui in altre sedi, abbiamo tentato di descrivere.

Il mito di Pilunno

Nella città di Monte Sant’Angelo, nell'attuale centro storico, dovette esistere un antico tempio dedicato a Pilunno, la cui denominazione avrebbe dato luogo al toponimo Rione Junno.

La storiografia, per la verità, ce ne parla molto poco, anche perché a tale riguardo poche sono state le ricerche archeologiche, oltre che quelle topografiche. Tuttavia l'esistenza stessa di un toponimo Junno, che caratterizza un intero quartiere, sta a denotare che qualche riferimento sicuramente storico ed archeologico doveva esserci, in quanto tale denominazione ha caratterizzato fin dalla sua origine la stessa città di Monte Sant’Angelo, allorquando, nella seconda metà del V secolo, nasceva il culto di S. Michele e quindi l'omonimo santuario, con il centro abitato.

Pilunno è considerato una divinità romana assai misteriosa, la quale passava per proteggere i neonati nelle case, contro le malefatte del demone Silvano. Il suo nome, generalmente, è unito ad altre due divinità: Intercidona e Deverra. Il primo è il dio "dei colpi di scure" contro le porte per cacciare il demone, e il secondo della scopa con cui si spazzava la soglia dopo la nascita di un bambino. Pilunno deriverebbe il suo nome da  pilon (pestello),  col quale si colpiva la porta  nella stessa occasione.  Scure, pestello e scopa passavano per simboli della coltivazione. Infatti, si diceva che Pilunno, in quanto portava il pestello (pilum), avesse insegnato agli uomini a tritare il grano, mentre suo fratello Picumno avesse insegnato la concimazione dei campi ed era detto perciò Sterquilino ed anche Stercuzio.  Secondo i mitografi, Danae, figlia di Acrisio, re di Argo, da Giove convertito in pioggia d'oro, resa madre di Perse, secondo la leggenda italica, venne in Italia, fondò Ardea, sposò Pilunno e fu madre di Dauno, progenitore di Turno. Questi, re dei Rutuli, è il principale antagonista di Enea, contro il quale combatte per istigazione di Hera e in difesa della sua candidatura alle nozze con Lavinia, figlia di re Latino, già a lui promessa prima dell'arrivo dell'eroe troiano. La sua morte è l'episodio conclusivo dell'Eneide. Nel poema il nome di Dauno è assente, per quanto concerne Diomede e l'Apulia, ma è costantemente presente nella seconda parte, in quanto Turno è presente come figlio di Dauno e Daunia gens è chiamato il suo popolo.  Secondo il  Danielino, nel suo commento ad Aen. XI, ripreso successivamente dal Giannelli, Pilunno sarebbe di stirpe illirica, padre di Dauno, il quale una volta resosi padrone della Daunia, sarebbe successivamente  emigrato nel Lazio. Secondo il Sarnelli, Danae, la quale avrebbe avuto un tempio nella città di Siponto, avrebbe sposato Pilunno, di nazionalità illirica, e sarebbe padre di Dauno. Il Tancredi riferisce che  il re Pilunno avrebbe fatto erigere sulla vetta del Monte Sacro, presso Mattinata, un tempio dedicato a Giove Dodoneo. Riportiamo le sue stesse parole: "Alla testa della pelasgica migrazione vi fu l'eroe Pilunno II, di nazione illirica, figliuolo di Pilunno I, re dell'Illiria, il quale era discendente di Evandro Saturno. Pilunno edificò nelle selve del Gargano, cantate da Silvio Italico, il tempio dedicato a Giove Dodoneo (sul monte chiamato ora Monte Sacro). Ed inventò a beneficio dei cittadini l'artificioso mulino nomato Centimolo, messo in movimento a forza di giumenti, per cui i Gentili, in rendimento di grazia, gli eressero un sontuoso tempio, oggi, rovinato, nel rione detto volgarmente "Junno".

Le iscrizioni greche all’interno della Chiesa di San Salvatore MSA

[Le iscrizioni greche all’interno della Chiesa di San Salvatore]

Pilunno fu adorato quale dio sotto il nome di Stercuzio, per la scoperta del concime e l'utile che ne deriva dalla concimazione. A tale proposito un altro scrittore garganico, il Dentice, afferma che: "Regnò Dauno, discendente di Pilumno. Introdusse l'uso delle lane in Puglia le quali, in fin del suo tempo, erano di gran traffico e se ne fanno  mercato nella valle, oggi detta di S. Oronzo". Tutto ciò  ci riporta a quell'ambiente prettamente agricolo e pastorale della Daunia, la quale viveva prevalentemente di allevamento e di pastorizia, tanto che al tempo della stessa leggenda garganica di S. Michele, l'elemento fondante del culto micaelico sarà proprio un toro,  di cui era proprietario un ricco signore del luogo, chiamato volgarmente Gargano.  Generalmente si vuole identificare il tempio di Pilunno nell'attuale chiesa di S. Salvatore in Monte Sant'Angelo, sorta a ridosso delle antiche mura cittadine, nell’omonimo Rione Junno. La critica storica purtroppo ha analizzato il monumento, cioè la Chiesa di San Salvatore,  solo da un punto di vista architettonico, collegandolo  alla presenza longobarda in terra pugliese dell'VIII-IX secolo, mentre ha del tutto tralasciato di effettuare  saggi archeologici, che potessero interessare le fondamenta. Tuttavia la presenza di numerose iscrizioni greche all'interno dell'edificio e alcune tracce di muratura di età molto antica, fanno supporre che la chiesa di San Salvatore è uno degli insediamenti più antichi della città e che la sua storia è legata, non solo alla presenza longobarda in terra meridionale, ma alla stessa nascita e fondazione  della città micaelica, che si è identificata sempre nel Rione Junno.

In Daunia sono situati altri due culti, riportati da fonti greche e latine, quelli di Calcante e di Podalirio. Sulla loro localizzazione sono sorte diverse ipotesi e congetture. Ma prima di procedere ad un esame topografico della loro localizzazione,  diciamo qualcosa sulla  figura di Calcante e di Podalirio. Ciò può servire a comprendere meglio i personaggi e a capire la provenienza dei loro culti. Calcante, per lo meno quello cui si riferisce il geografico greco Strabone,  è l'indovino di Micene, il più abile del suo tempo ad interpretare il volo degli uccelli e che conosceva  meglio di tutti il passato, il presente e l'avvenire. Figlio di Testore, partecipò alla spedizione degli Achei alla guerra di Troia e per questo lo vediamo in alcuni avvenimenti riguardanti la distruzione della città, fra cui lo stesso progetto di costruire un cavallo che servisse per distruggerla. Calcante predisse che molti eroi greci non sarebbero ritornati in patria, in quanto ostacolati dall'ira di Atena, la quale volle vendicare, così, la morte di Aiace, suo protetto. Al ritorno da Troia in patria, Calcante portò con sè  alcuni eroi, fra cui Podalirio. La sua nave sbarcò sulle coste dell'Asia Minore, a Colofone, dove secondo la leggenda, avrebbe trovato un indovino superiore a lui che gli avrebbe procurato la morte.

Podalirio, invece, era considerato un bravissimo medico. Figlio di Asclepio e fratello di Macaone, per amore di Elena, si imbarca alla volta di Troia, dove mette in pratica le sue qualità di guaritore. Dopo la morte del fratello, partì da Troia e si imbarcò con Calcante alla volta di Colofone. Un oracolo gli predisse di recarsi nella regione del Chersoneso, dove, in seguito ad una tempesta, Podalirio fu salvato da un capraio, il quale lo portò dalla figlia del re, la quale era caduta dal tetto. Podalirio la curò e dopo averla sposata, fondò la città di Sirno.

Le grandi qualità divinatorie di Calcante e di guaritore di Podalirio crearono intorno a loro una grande fama, tale che la gente li considerò eroi degni di essere venerati. Fra i vari santuari sparsi in tutto il Mediterraneo, degni di nota sono quelli esistenti nella Daunia, per testimonianza di Licofrone e di Strabone.

Licofrone, nella sua opera Alessandra, vv. 1047-1055, a proposito del servo di Priamo, che riferisce le profezie di Cassandra sulle sorti funeste degli Achei, reduci dalla guerra di Troia, così scrive:

“Vicino alla falsa tomba ausone di Calcante,
polvere straniera si ammucchierà sopra le ossa
di uno dei due fratelli e a tutti quelli
che dormiranno, avvolti in pelli di pecora
sulla sua tomba per ricevere gli oracoli, darà nel sonno
responsi veridici, e sarà chiamato guaritore dai Dauni
quando essi, bagnandosi sulle acque dell’Alteno
invocheranno il soccorritore figlio di Epio
perché porti benefici agli uomini ed al gregge”.

Il personaggio che, secondo Licofrone, è sepolto in Daunia, accanto al cenotafio di Calcante, è l’eroe Podalirio qui chiamato “figlio di Epio”. Di Calcante si fa solo riferimento di una sua tomba che effettivamente non si trova nella Daunia, ma altrove.

Invece in Strabone, nella sua  Geografia, VI, III,9, si legge:

"Nella Daunia, poi, intorno al colle denominato Drion, soglionsi mostrare alcuni monumenti sacri ad eroi: l'uno di Calcante collocato proprio sul vertice, dove coloro che vanno per avere dei responsi sacrificano un ariete nero, poi si mettono a dormire sopra la pelle; un altro sacro a Podalirio trovasi al basso vicino alla radice del colle lontano dal mare cento stadi all'incirca. E da questi luoghi scorre un fiume le cui acque sono universale rimedio a tutte le malattie degli animali".

Quindi Strabone attesta la presenza di due santuari, l’uno in alto, sulla sommità del colle, dedicato a Calcante, e l’altro in basso, dedicato a Podalirio. Entrambi comunque tramandano la notizia relativa all’incubatio e all’acqua terapeutica. Più specificatamente, per quanto riguarda Strabone,  è da attribuire a Calcante il rito  mantrico, mentre a Padolario il rito iatrico, con il richiamo al fiume miracoloso. Inoltre, come abbiamo detto,  Strabone fornisce una più esatta collocazione geografica dei due luoghi sacri: l’uno sulla cima, probabilmente Monte Sant’Angelo, e quindi sulle pendici dell’altura che dice chiamasi  Drion,  e l’altro trovasi al basso vicino alla radice del colle lontano dal mare cento stadi all'incirca, probabilmente nella Vallata di Mattinata, oggi soprannominata la Valle di Carbonara, dove scorreva un fiume, Altheno,  le cui acque erano universale rimedio a tutte le malattie degli animali".

In entrambi i culti di Calcante e di Podalirio si fa riferimento al rituale dell’incubatio, una pratica molto diffusa nel mondo antico, pertinente ad un tipo di religiosità cronia, legata al culto dei morti, in cui prevale l’azione del dormire e, quindi, nel ricevere in sonno il responso degli dei. Del resto sappiamo che in Grecia, a partire del V secolo, con la diffusione del culto di Asclepio, padre di Podaliro, l’incubatio assunse forme sempre più dichiaratamente istituzionalizzate, e venne praticata nei grandi santuari del dio, il più famoso quello di Epidauro. Il rito dell’incubatio, presente sia nel culto di Calcante che di Podalirio, consisteva nel dormire durante la notte nella grotta avvolti in una pelle di animale, per ricevere in sonno i responsi alle proprie domande. Mentre nel tempio di Calcante, attraverso il rito dell’incubatio, si ponevano domande per conoscere il futuro, invece nel tempio di Podalirio si chiedevano spiegazioni sulle malattie, per avere indicazioni di guarigione. Quindi i due templi dovevano completarsi, essere complemento l’uno dell’altro, dividendosi settori specifici. La funzione del fiumicello Altheno, presente nella Valle di Carbonara, per quanto riguarda il culto di Podalirio, era indicativo sia per la guarigione delle persone, che degli animali. Del resto ci troviamo presso delle popolazioni dedite prevalentemente alla pastorizia, dove le greggi avevano una funzione di vita e di morte per il benessere della gente del posto.

La presenza del culto di Calcante e di Podalirio, così come di tanti altri culti che abbiamo citato, deve essere collegata al fenomeno dell’emigrazione di vari popoli provenienti dall’Oriente, fra cui i Dauni, che in seguito daranno origine alla civiltà daunia, che si caratterizzerà, dal IX al IV secolo a. C., attraverso un ricco patrimonio artistico, fra cui la ceramica daunia e le stele daunie. Il rito dell’incubatio, lo troviamo anche nel sincretismo religioso riferito al culto micaelico, allorquando, si fa riferimento che nella grotta di San Michele era uso dormire la notte per avere dei responsi da parte della divinità al fine della guarigione dei propri mali. Del resto è a tutti noto che fra paganesimo e cristianesimo c’è stato un processo di sincretismo, tanto da creare una evidente continuità fra le due religioni, specie per quanto riguarda alcuni aspetti della ritualità e della simbologia. Inoltre si è propensi a riconoscere anche una certa continuità riguardante l’ubicazione di alcuni culti o luoghi dal paganesimo al cristianesimo. Fra questi dobbiamo annoverare il luogo stesso del culto di San Michele, un tempo sede del culto di Calcante, così come il culto di Padalirio nella Valle di Carbonara in territorio sempre di Monte Sant’Angelo. Del resto il ritrovamento di alcune monete romane di Marco Aurelio, segnalate dal Quitadamo, durante gli scavi del 1950,  attesta che in età tardoantica l’area si organizzava in grotte disposte su quote diverse probabilmente sorte già in relazione ad un culto cristiano e forse sul luogo di un culto pagano. Così come molte analogie le ritroviamo fra la figura di San Michele e quelle pagane. Infatti il San Michele con la bilancia deriverebbe dalla dea pagana Osiride, il cui culto era molto diffuso, al tempo dei Longobardi, nel beneventano. Osiride, insieme a Iside, ebbe sempre la bilancia, che aveva la funzione di giudicare le anime. I beneventani longobardi, allorquando vennero a contatto con il culto di San Michele, nel VI-VII secolo d. C., trasferirono a San Michele la funzione di giudicare le anime, cioè diventò pychopompos.  Aspetti cultuali e analogie fra culti pagani e culto cristiano che ritroviamo anche per quanto riguarda a distanza di secoli nel culto di San Michele: si pensi soprattutto alle proprietà terapeutiche e miracolose dell’acqua che sgorgava dalla roccia della grotta micaelica, la quale, secondo il Liber de apparitione,  dà la sanità post longas faebrium flammans.  Così come la simbologia della Montagna, che ritroviamo identica nella fondazione di santuari  dedicati a San Michele in tutta Europa. E fra questi il Mausoleo di Adriano a Roma, ribattezzato Castel Sant’Angelo, la Sacra di San Michele sul Monte Pirichiano a Torino in Valle di Susa, Mont Saint-Michel in Normandia in Francia, la Chiesa di San Michel a Bruxelles e così via. Insomma una miriade di santuari e chiese dedicate all’Arcangelo Michele, tanto da contribuire in breve tempo alla costituzione di una fitta rete di camminamenti o itinerari sacri legati al culto micaelico, che oggi conosciamo come Vie Micaeliche o Vie dell’Angelo.

Dal 30 giugno al 15 ottobre 2023 | Palazzo Dosi Delfini | Piazza Vittorio Emanuele II - Rieti | In occasione dei Centenari Francescani, una mostra riunisce quaranta opere della grande artista sarda ispirate all’amore per il creato a cura di Sergio Risaliti e Eva Francioli.

Dal 30 giugno 2023 nelle sale di Palazzo Dosi Delfini a Rieti è aperta IL PANE DEL CIELO, mostra che raccoglie quaranta opere della grande artista Maria Lai (Ulassai 1919 – Cardedu 2013) in occasione delle celebrazioni per i Centenari Francescani, 1223 - 2023.

Ideata da Sergio Risaliti, Direttore del Museo Novecento di Firenze, in collaborazione con l'Archivio Maria Lai e organizzata dall'Associazione Mus.e, la mostra, a cura di Sergio Risaliti e Eva Francioli, è stata commissionata dal Comitato Nazionale per l'Ottavo Centenario della Prima Rappresentazione del Presepe Greccio 2023, per rendere omaggio al "Poverello di Assisi" attraverso opere ispirate al creato e all'amore per l'altro, motivi ancestrali eppure di grande attualità, che illuminano la vita del santo e trovano una sensibile interpretazione nel lavoro dell'artista sarda.

"La mostra di Maria Lai, nella prestigiosa sede di Palazzo Dosi Delfini, cuore di Rieti, è la prima grande iniziativa espositiva di Greccio 2023, e ci porta dentro una riflessione sul "sacro contemporaneo", ispirato ai segni francescani così presenti in Valle Santa ma assolutamente universale. Il Pane del Cielo: il pane, se vogliamo, è questa Valle e la sua terra; il cielo invece è il nostro pianeta, è il dialogo di pace con tutti i popoli che lo abitano e si interrogano sul futuro". Lo precisa Paolo Dalla Sega, il manager culturale del Comitato Nazionale, Greccio 2023.

Artefice di una ricerca semplice e al contempo profondamente sperimentale, Maria Lai attinge a riti arcaici della sua terra, ai racconti e alla poesia dimessa del quotidiano, per dare corpo a un immaginario fantastico. Nelle sue opere, cariche di storie e di simboli, il divino e l'umano si fondono, rivelandosi con un linguaggio semplice e universale. Come gli insegnamenti di Francesco, le creazioni di Maria Lai sembrano interrogarci sul mistero dell'esistenza, guidandoci con infantile stupore tra le inesauribili meraviglie del mondo.

Il percorso affida a fragili creazioni in terracotta e pietre, stoffa e legno una funzione religiosa e sociale espressa in parole semplici. Poesie fatte di materiali poveri, opere che, come le parole del Cantico delle creature, abbracciano terra e cielo, uomo e natura, mistero e rivelazione, e ci fanno riflettere sulla forza dell'amore universale.

La mostra trae ispirazione dalla capacità dell'artista di rileggere in chiave contemporanea l'esempio di Francesco, ideatore della narrazione senza tempo del Presepe realizzato per celebrare la nascita di Gesù, la prima volta, nel Natale del 1223 in una grotta di Greccio. "Amo il presepe – diceva Maria Lai come esperienza di qualcosa che, più ne indago l'inesprimibile, più trovo verità, più divento infantile e ingenua, e più rinasco. (...) Amo il presepioperché ci raccoglie intorno alla speranza di un mondo nuovo".

Attraverso i suoi presepi, Maria Lai rinnova ogni volta quell'esperienza di avvicinamento al sacro, alla manifestazione di Dio tra noi: minuscole rappresentazioni capaci di riprodurre in un'unica superficie storia, sogni e utopie che resistono tra i popoli. Spesso frammentati e incompleti, chiamano in causa la precarietà della condizione contemporanea, e nello stesso tempo mettono in connessione la finitezza della terra e l'infinità del cielo.

In mostra anche L'offerta, un pane in terracotta, quel "corpo di Cristo" offerto a tutti noi come nutrimento spirituale.

L'interesse per la panificazione, metafora di arte e vita, attraversa l'intera produzione dell'artista, affascinata sin dall'infanzia dalla ritualità e dal mistero del "farsi da sé" dell'impasto. Parte di numerosi progetti espositivi, i pani di Maria Lai hanno negli anni trovato casa proprio nel territorio reatino, come nell'intervento di arte pubblica Olio al pane e alla terra il sogno (1999) realizzato per il Museo dell'Olio della Sabina nell'antico forno di Castelnuovo di Farfa. Il pane evoca la vicenda umana di Cristo e il mistero della transustanziazione dell'ultima cena, temi centrali della storia umana e religiosa di San Francesco, senza dimenticare anche quel rapporto con le umili cose, i valori antropologici e la loro connessione alla spiritualità, che caratterizzano l'opera della Lai.

Fondamentale nella produzione matura di Maria Lai è il ricorso al filo, al ricamo, all'arte del cucito, che emerge nelle Geografie, teli ricamati su cui si dispiegano imbastiture di complesse "mappe astrali" che, ricorda l'artista, "rispondevano all'esigenza di un rapporto con l'infinito, di una dilatazione e proiezione sulle lontananze".

Le carte geografiche di Lai ci invitano a compiere un viaggio oltre la contingenza, disegnando spazi immaginari, evocando mondi, costellazioni e armonie astrali. Le linee curve e quelle oblique conducono il nostro sguardo verso l'altrove, un vuoto che si carica di mistero e di magia: "Cerco spazi cosmici, cieli, spazi lontanissimi però tattili. Gli spazi che cerco non sono tanto in una superficie, quanto al di là di essa".

L'artista affida al ricamo anche la sua autobiografia, i suoi pensieri, i suoi aforismi, traducendoli in delicate scritture su stoffa, dove il linguaggio scritto si combina con l'immagine annullando le distanze tra poesia e arti visive. Riflessione su una pratica antichissima e legata alla figura femminile, il cucito appare un luogo di libertà, in grado di tradurre istanze universali e personali.

L'amore per il creato avvolge tutto il lavoro dell'artista per la quale l'opera è "oggetto di indagine scientifica, ma possibilità di contatto con l'universale (...) Il contatto deve essere però diretto e individuale: non come atto mentale, ma attraverso il corpo, la materia". Maria Lai osserva la vita in tutte le sue forme, dando voce alla sua varietà: le sue opere sono espressione di un amore puro e senza filtri nei confronti della natura e degli esseri viventi. "Io sono una bambina che gioca, una capretta ansiosa di precipizi. Ascolto il silenzio sospesa tra cielo e terra". La capretta, umile e caparbia, è una sorta di alter ego dell'artista, che con determinazione porta avanti la propria ricerca rivelando la forza generativa dell'arte, che sfida le convenzioni e celebra con linguaggio semplice la meraviglia della creazione.

"La mostra Maria Lai. Il pane del cielo ribadisce la centralità del Museo Novecento nel panorama artistico italiano dichiara Sergio Risaliti, Direttore del Museo Novecento di Firenze – rilanciando il suo ruolo di istituzione culturale impegnata nella realizzazione di progetti volti a valorizzare tanto le collezioni del Comune di Firenze, quanto gli artisti in esse presenti, attraverso mostre che valicano i confini della città metropolitana per aprirsi al territorio nazionale. La presente esposizione si colloca infatti nell'alveo dei progetti ideati negli ultimi anni, che hanno visto presentare un cospicuo numero di opere provenienti dalla raccolta Alberto Della Ragione. In questa occasione abbiamo concentrato l'attenzione sul lavoro di Maria Lai, una protagonista dell'arte italiana del XX e XXI secolo, una cui opera è di recente entrata a far parte delle collezioni novecentesche del Comune di Firenze. La sua ricerca, oggi nota ad un pubblico sempre crescente anche grazie all'infaticabile lavoro dell'Archivio Maria Lai, ci è sembrata la più adatta a reinterpretare in chiave contemporanea la spiritualità senza tempo di San Francesco d'Assisi, celebrata oggi grazie all'articolato e intenso lavoro del Comitato Nazionale Greccio 2023".

Maria Lai nasce nel settembre 1919 a Ulassai. Di salute cagionevole, viene affidata alle cure degli zii, con i quali vivrà fino all'età di nove anni, trascorrendo la propria infanzia a Cardedu. Dopo un breve soggiorno a Ulassai, si trasferisce a Cagliari, dove nel 1932 si iscriverà all'Istituto Magistrale, divenendo allieva dello scrittore Salvatore Cambosu, con il quale instaurerà un profondo e duraturo rapporto di amicizia. Dopo alcuni anni trascorsi Roma, dove si era trasferita nel 1939 per frequentare il Liceo Artistico – seguendo, tra le altre, le lezioni di Marino Mazzacurati – nel 1943 si sposta a Venezia, dove si iscrive all'Accademia di Belle Arti. Qui avviene il fondamentale incontro con lo scultore Arturo Martini, i cui insegnamenti influenzeranno radicalmente la sua ricerca successiva. Alla fine della guerra, dopo un viaggio rocambolesco, rientra in Sardegna, dove conosce lo scrittore Giuseppe Dessì. Tornata a Roma (1954), sul finire degli anni Cinquanta riscuote i primi importanti riconoscimenti, sanciti, tra l'altro, dalla mostra personale organizzata alla Galleria dell'Obelisco (1957). Negli anni Sessanta, segnati da una profonda crisi, inizia a sperimentare nuove tecniche e a lavorare con materiali diversi. Nascono così i Pani e i Telai, a cui si affiancheranno, dalla fine del decennio successivo, le Geografiee i Libri cuciti. Nel corso degli anni Settanta espone in diversi musei e gallerie, oltre che alla Biennale di Venezia (1978), e la sua ricerca inizia ad aprirsi a una dimensione ambientale (La casa cucita, Selargius, 1979). Nel 1981 realizza a Ulassai la celebre performance collettiva Legarsi alla montagna, spesso ricordata quale primo esempio di arte relazionale in Italia. Le sperimentazioni avviate negli anni Settanta vengono approfondite e sviluppate nel corso dei decenni successivi, durante i quali si intensificano anche le azioni teatrali e gli interventi sul territorio (La disfatta dei Varani, Camerino, 1983; L'albero del miele amaro, Siliqua, 1997). Lasciata definitivamente Roma per Cardedu nel 1993, continua a lavorare intensamente, firmando, tra gli altri, il progetto per il Museo dell'olio della Sabina a Castel Nuovo di Farfa (1999-2001). Insignita della Laurea Honoris Causa in Lettere presso l'Università degli Studi di Cagliari (2004) per "l'originalità della sua vasta produzione artistica, riconosciuta e apprezzata in Italia e nel mondo", nel 2006 inaugura a Ulassai il Museo di Arte Contemporanea Stazione dell'arte, dove viene raccolto un cospicuo nucleo dei suoi lavori. Presente, con le proprie opere, in prestigiose istituzioni culturali, muore a Cardedu nel 2013.

Il mito di Dauno

Fra i vari personaggi che giunsero in Puglia, verso la fine del II millennio, dobbiamo annoverare il re Dauno, il quale occupò  la parte nord della regione, i cui territori nell'antichità comprendevano oltre che l'attuale provincia di Foggia, compreso il Gargano, una porzione della provincia di Bari, che andava da Canosa a Ruvo e a Minervino Murge, verso l'interno; infine il Melfese, con i centri intorno a Melfi, Lavello e più a sud, Banzi.  Sulle origini di questo mitico re eponimo dei Dauni, noto ai nostri testi antichi a partire già del VII secolo a. C., le fonti riportano due diverse tradizioni: una è riferita da Antonio Liberale, ma risale al poeta Nicandro, in cui Dauno (dalla radice illirica “dhaun”  che, per estensione semantica del suo significato proprio, “strangolare”, indica il “lupo”, denominazione assai diffusa in ambito greco ed italico,  che ci riporta ad un animale totemico, appunto il lupo),  è considerato figlio dell’antichissimo re arcade Licaone, e quindi collocato in un orizzonte cronologico mitico anteriore a quello di Diomede e degli eroi della guerra di Troia. L’altra tradizione si deve all’epitome di Paolo Diacono, dell’opera di Festo, in cui Dauno, illustre esponente della stirpe illirica,  e coevo di Diomede,  abbandonata la patria a causa di una guerra civile, si insediò nella regione degli Iapigi. Un’altra tradizione, attestata in Solino, considera, invece, i Dauni, discendenti di uno sconosciuto figlio di Minosse, Cleolao, che, di ritorno dall’assedio di Camico in Sicilia,  furono gettati da una tempesta sulle coste della Iapigia. Qui si stanziarono definitivamente e fondarono la città di Uria, trasformandosi, così, da Cretesi in Iapigi e da isolani in continentali.

Secondo la tradizione,  Dauno avrebbe allargato il suo regno verso ovest, lungo le valli più agevoli, oltre Bovino, per poi occupare il territorio di Benevento ed espandersi verso la Lucania. Il re Dauno, per assoggettare l'intera regione, dovette far guerra alle popolazioni indigene, restie ad accettare una nuova dominazione. Durante tali guerre si ebbe l’arrivo dell’eroe greco Diomede, a cui venne promesso la propria figlia  a patto che lo aiutasse nella guerra contro i Messapi. Purtroppo, come sappiamo, tutto andò male, e Diomede venne ucciso da Dauno.   

I Dauni

Stele Daunia

[Stele Daunia]

In genere i Dauni, come gli Iapigi, all'inizio della fase emigratoria,  occuparono le terre, con lo scopo di razziare tutto ciò che incontravano. Successivamente, una volta stabilitisi sul territorio, dovettero ricostruire le antiche borgate, cingendole di poderose mura di difesa, formate da pietrame, come nel caso di Monte Saraceno, oppure circondate da difese naturali, come nel caso di Salapia, con le sue lagune marine. Se nella prima fase emigratoria detta "pannonico-balcanica" abbiamo la sola presenza della tribù degli Iapigi, nella seconda fase abbiamo la presenza della tribù dei Liburni, che si stanziarono prevalentemente nella zona di Cupola, in territorio sipontino, dove abbiamo trovato strette affinità strutturali con quelle  liburniche.

La civiltà daunia raggiunge il suo massimo sviluppo nel VI secolo, allorquando  l'intera subregione presenta una sua unità culturale manifestatasi specialmente  sul piano della produzione artistica, oltre che culturale e religiosa. Della prima forma culturale fanno parte i prodotti in ceramica, il cui stile viene detto  "geometrico dauno". Tale produzione prende le mosse dal protogeometrico japigio della fine del II millennio a. C., influenzato dai modelli elaborati in area ellenica e transadriatica, per poi evolversi nell’età del Ferro sino a tutto il IV secolo a. C., secondo linee e modelli autonomi conquistando, attraverso le esportazioni particolarmente attive tra l’VIII e il VI secolo a. C., il gusto dei mercati stranieri ed in modo particolare quello illirico, tanto da contribuire in maniera notevole  alla floridezza della regione. La sua produzione, prevalentemente in ceramica daunia,  è attestata in numerose località daunie, fra cui Coppa Nevigata, Monte Saraceno, Punta Manaccore, Ordona, Arpi, Salapia, Cupola. Secondo il De Juliis, quest’ampia documentazione ha messo in luce l’esistenza di una sostanziale differenziazione, già dall’inizio dell’VIII sec. a. C., fra il geometrico Japigio dell’area meridionale e quello della Daunia, dando origine così prima al geometrico protodaunio e poi alla ceramica geometrica dauna dell’VIII-IV secolo a. C. I centri di maggiore diffusione di questo ultimo periodo geometrico sarebbero stati Herdonia, Ascoli e Canosa con diffusione verso il Gargano. Le ceramiche, insieme a vasi di bronzo, monili di metallo, pasta vitrea e ambra, provengono dalle tombe che numerose si trovano nella Daunia. (700-550 a. C.); Daunio II (550-400 a. C.); Daunio III (400-300 a. C.).

Una posizione di primo piano nell’ambito della cultura protostorica occupano le stele daunie, legate, a livello generale, alla stessa produzione scultorea in pietra, le cui testimonianze, rinvenute in tutti i principali centri dauni, dal Gargano al Tavoliere, sia sulla costa che nelle aree più interne al Melfese, costituiscono l’espressione maggiormente rappresentativa della creatività e dell’originalità dell’ethnos indigeno. Secondo M. L. Nava, il fenomeno, che appare profondamente radicato nella cultura espressiva dei Dauni, si manifesta in pieno durante le fasi centrali dell’età del Ferro, ma affonda le proprie origini nelle epoche precedenti, contribuendo ad attestare l’evoluzione che, senza palesi soluzioni di continuità, contraddistingue il progresso culturale di questa popolazione durante le età dei metalli. La presenza di scultura in pietra è documentata in Daunia a partire dagli albori dell’età del Bronzo, ed essa trova corrispondenza nei monumenti antropomorfi di Castelluccio dei Sauri, nonché in diverse regioni del Mediterraneo, dalle coste orientali sino alla Spagna.

La diffusione delle stele daunie, in territorio di Siponto, nonché  nella vicina Salapia, là dove Strabone (VI, 3, 9, 284) colloca la laguna costiera aperta verso il mare, sui cui dossi emersi si insediavano le strutture abitative e sepolcrali riferibili alle due città indigene,  si ha maggiormente tra il VII e il VI secolo a. C. Il loro ritrovamento ha fatto sorgere diversi problemi riguardanti l’origine stessa dei Dauni e il loro grado di civiltà. L’opera di rinvenimento è da ascrivere al prof.

Silvio Ferri, dell’Università di Pisa, il quale, negli anni sessanta, proprio in riferimento ad alcuni primi  rinvenimenti di stele su Monte Saraceno,  scoprì, nella zona sipontina di Beccarini, Versentino e Cupola, una ricca produzione. Le stele, più di 1500 pezzi, interi e frammentati, oggi esposte nel Museo Archeologico Nazionale di Manfredonia, rappresentano le uniche testimonianze storiche ed artistiche dei Dauni, che fino ad alcuni decenni erano del tutto sconosciuti, con alcuni sporadici riferimenti agiografici in autori greci e latini. Esse sarebbero da rapportare alla fase di maggiore sviluppo della civiltà daunia e precisamente all’VIII-VI secolo a. C., e fanno per la prima volta luce sull’esistenza dei Dauni, sulle loro credenze religiose, sui loro culti, sul loro mondo quotidiano.

La funzione di queste stele è quella funeraria, messa in relazione col culto dei morti. Generalmente esse sono costituite da una lastra rettangolare, con una testa iconica ed aniconica. Il materiale è di derivazione calcarea, tenera e friabile. La tecnica rappresentativa delle scene è quella dell’incisione. Le stele rappresentano schematicamente il defunto, abbigliato con una veste riccamente ornata ai bordi con motivi geometrici e  che giunge sino ai piedi. Su questa veste sono raffigurati armi oppure ornamenti, che indicano l’elevata classe sociale  di appartenenza del defunto.

I temi di questi “racconti per immagini” riguardano i diversi momenti dell’esistenza umana riferiti sia alla vita quotidiana che ad azioni cultuali e al mondo religioso. Si notano scene di colloqui, di offerte, di commiato, di processioni, di banchetti, scene erotiche, di caccia, di pesca, di attività produttiva, di combattimenti a piedi e a cavallo, scene di sacrificio, nonché rappresentazioni di mostri dalle forme più strane. Il tutto con una tecnica molto forte ed espressiva. Da un punto di vista iconologico le stele sono il risultato esclusivo della spiritualità più pura ed originale della cultura dei Dauni, in cui viene portato a compimento il processo di eroizzazione e divinizzazione già iniziato con le sculture di Castelluccio dei Sauri e proseguito con quelle di Monte Saraceno. Inoltre le stele costituiscono il mezzo attraverso il quale il ceto dominante della Daunia manifesta il proprio potere e la propria eminenza su tutti gli altri popoli della Puglia settentrionale. Infatti con le immagini monumentali l’oligarchia daunia si rappresenta al massimo della propria potenza, con le insegne di status che esprimono un dominio sia sociale che intellettuale e religioso. Tutto ciò si manifesta soprattutto fra l’VIII e il VII secolo. Ma allorché nel corso del VI e del V secolo inizia il declino della civiltà daunia, e si affacciano sulla scena politica nuove istanze provenienti dal mondo magno-greco e italico,  le stele iniziano a svuotarsi di contenuti e di valori.

Testa iconica Monte Saraceno Mattinata

[Testa iconica Monte Saraceno - Mattinata]

Da parte mia ho voluto far rivivere la civiltà daunia attraverso la riproduzione della ceramica daunia dell’artista Angela Quitadamo, le cui opere oggi sono esposte nel Museo Archeologico ubicato nel Castello di Monte Sant’Angelo. Un omaggio ad un’artista e a una civiltà, quella daunia, che sta alle origini della nostra identità culturale, che è quella legata all’Europa, sorta sui grandi itinerari della fede, attraverso l’Homo Viator, alla ricerca della Montagna Sacra.

Mercoledì 19 luglio 2023,  alle 17.00, è stato inaugurato il nuovo Museo Archeologico Nazionale di Mattinata “Matteo Sansone”, che fa parte dei Musei di Puglia.

All'evento hanno preso parte il Prof. Massimo Osanna, Direttore Generale Musei, il Dott. Michele Bisceglia, Sindaco di Mattinata, il Dott. Luca Mercuri, coordinatore generale del progetto. l'Arch. Francesco Longobardi, delegato alla Direzione Regionale Musei Puglia, l'Arch. Anita Guarnieri, Soprintendente Archeologia Belle Arti e Paesaggio per le Province di Barletta – Andria - Trani e Foggia, Matteo Sansone, rappresentante della famiglia donatrice.

Grande attesa per la visita e l'intervento del Prof. Vittorio Sgarbi, Sottosegretario di Stato alla cultura, cha ha ammirato le collezioni esposte, commentando «I musei costituiscono l’identità culturale del nostro paese e ne rivelano la storia e le testimonianze di civiltà passate. Ma devono anche essere luoghi di vitalità culturale attraverso il dialogo tra passato e presente».

La collezione “Matteo Sansone” donata allo Stato italiano (12 agosto 2022) è costituita da oltre 2500 reperti ceramici, metallici, litici, numismatici, provenienti in massima parte dalla provincia di Foggia, in particolare dal Gargano e dall’area della piana del Tavoliere, che rimandano soprattutto alla locale cultura dei Dauni, cui appartiene anche un nucleo di frammenti di stele, alcuni provenienti dal promontorio di Monte Saraceno.

La Direzione regionale Musei Puglia, in accordo con la Direzione Generale Musei e in collaborazione con la Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per le province di Barletta-Andria-Trani e Foggia, ha curato i lavori di riallestimento dello storico Museo civico, riorganizzando e riqualificando gli spazi del percorso di visita anche in chiave accessibile.

L’esposizione racconta attraverso i reperti della collezione lo sviluppo della civiltà dei Dauni, valorizzando laddove possibile i contesti di provenienza indicati nella documentazione di vincolo e mettendo in evidenza i contatti e le relazioni con l’esterno che hanno nel tempo caratterizzato o modificato usi e comportamenti dell’antica popolazione italica.

La prima sezione “La collezione e il territorio della Daunia. Il Gargano e la Piana del Tavoliere” è dedicata al sito di Monte Saraceno, contesto fortemente identitario per il territorio da cui provengono alcuni materiali della collezione, tra cui i cosiddetti scudi litici con sostegno a colonnetta usati come segnacoli funerari delle tombe. La sezione è arricchita da altri reperti litici finora conservati nel Museo archeologico nazionale di Manfredonia e nei depositi della Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio delle province della Bat e di Foggia.

La sezione 2 è dedicata alle note stele daunie, che riproducono schematicamente il defunto con la sua veste funeraria, riccamente decorata con gioielli personali, ornamenti o armi, e che costituiscono l’espressione artistica più caratteristica e originale dell’antico popolo dei Dauni.

La sezione 3 La Daunia e l’Adriatico, racconta attraverso i reperti della collezione i rapporti che i Dauni, già a partire dall’età del Bronzo finale, iniziano a intrattenere con la costa dalmata e l’area balcanica. Queste relazioni sono confermate da alcuni oggetti in bronzo, come le fibule a occhiali di ambiente adriatico, e dalla presenza della nota ceramica geometrica daunia su entrambe le coste adriatiche. All’Adriatico è legata anche la particolare diffusione di ambra tra le varie popolazioni italiche, soprattutto durante la tarda età del Ferro e nel periodo orientalizzante, quando emergono alcuni gruppi familiari aristocratici che iniziano ad assumere un ruolo di prestigio. Nella fase successiva le ambre figurate sono particolarmente diffuse in Daunia. Fanno parte della collezione Sansone alcune ambre provenienti da Monte Tabor e dall’area garganica, di particolare raffinatezza e pregio.

La collezione comprende inoltre una ricchissima raccolta di ceramica geometrica daunia con forme in parte provenienti dai tre centri di produzione conosciuti (Canosa, Ascoli Satriano e Ordona) esposte nella sezione 4 La produzione ceramica in Daunia. Nella stessa sezione ci sono due approfondimenti, uno sui vasi a figure rosse della collezione, prodotti nelle botteghe dei ceramografi apuli nella seconda metà del IV secolo a.C. ad imitazione della ceramica greca e l’altro sulle terrecotte architettoniche daunie provenienti da centri del territorio (Arpi, Lucera, Ascoli Satriano, Salapia, Cupola).

Per i secoli dal IV al III a.C., nella sezione 5 “La Daunia in età ellenistica”, i cambiamenti della società daunia sono raccontati attraverso la presenza di nuove produzioni ceramiche, a vernice nera, sovraddipinta monocroma, Gnathia, geometrico-floreale, policroma, che mostrano un’epoca di vitalità delle produzioni artigianali grazie alle influenze ellenistiche.

La presenza di un frammento di terracotta con iscrizione osca ha consentito di creare un approfondimento su questa scrittura che si sviluppa a partire dal IV sec. a.C. in funzione di scrittura “nazionale” dei popoli italici, diffusa tra i moderni Lazio, Campania, Molise e nella Capitanata fino al I secolo a.C. Nell’ultima sezione La Daunia in età romana vengono presentati alcuni reperti provenienti dalla villa romana di Agnuli (Mattinata).

La figura di Don Giuseppe Antonio Azzarone, arciprete

Figura non solo di rilievo spirituale ma anche di spicco nella vicenda politica, economica e culturale dell’epoca fu l’Arciprete Don Giuseppe Antonio Azzarone (1871-1909). Aveva ereditato la passione per l’archeologia da uno zio materno, il canonico Tomaiuolo, coltivandola ancora di più dopo il suo arrivo, giovanissimo, nella Parrocchia di Mattinata.

Le perlustrazioni nelle campagne lo portarono a comprendere l’antichità e l’importanza di località come Monte Saraceno e Agnuli e lo spinsero a formare una considerevole raccolta. A Monte Saraceno, osservando i contadini che svuotavano le chiote (le sepolture protostoriche) per mettere a dimora nella fossa già scavata nella roccia qualche arbusto di mandorlo o qualche iammetta, o piantone di ulivo giovane, si accorse per primo come queste buche fossero vere e proprie miniere di reperti.

Meta altrettanto cara era per Azzarone la contrada Agnuli, con le vestigia di quella che lui riteneva fosse la città romana di Matinum, sommersa dal mare, di cui restavano alcune rovine di abitazioni, oggi note per essere quanto resta di una villa romana.

La collezione dell’Azzarone andò dispersa, dopo la sua morte, tranne un nucleo di centinaia di esemplari toccati ad un nipote, Michele Azzarone e a Diego Azzarone di Monte Sant’Angelo.

La figura di Matteo Sansone, lo speziale

Il farmacista di Mattinata Matteo Sansone, il noto “speziale” (1916-1992), la cui collezione è considerata una fra le più importanti raccolte private della Puglia, sia per la quantità di materiali che per interesse scientifico che riveste, venne allevato, poiché orfano di padre, da uno zio che aveva ereditato la collezione da monsignor Azzarone, sviluppando un forte attaccamento per le antichità e per il proprio territorio.

La raccolta si è dunque venuta formando in varie epoche e in diverse occasioni e la sua grande popolarità si deve non solo al pregio del materiale archeologico di provenienza prevalentemente locale, ma soprattutto alla singolare collocazione all’interno della Farmacia di famiglia e al peculiare carattere antiquario.

La passione e l’esperienza maturata dal Sansone nel corso degli anni, di cui ne è un esempio la partecipazione agli scavi presso la basilica di Santa Maria di Siponto nel 1935, era ben nota agli studiosi del suo tempo, come dimostrano la nomina ad Ispettore Onorario per le Antichità e Belle Arti per nomina del Soprintendente Bartoccini e la collaborazione con i membri della Missione Archeologica Garganica del dopoguerra (Cleto Corrain, Ferrante Rittatore Vonwiller, Silvio Ferri).

Con queste motivazioni, nel 1990, la collezione veniva dichiarata “di eccezionale interesse artistico, storico e archeologico” (D.M. 27 luglio 1990) e il 12 agosto 2022 veniva donata allo Stato italiano per volontà degli eredi Sansone e come lo stesso Matteo Sansone desiderava.

Pur essendo frutto dell’ampio fenomeno del collezionismo, attraverso i reperti della collezione, che mostrano un forte collegamento con il territorio, è possibile ripercorre la storia della Daunia e del popolo che occupò i territori della vasta area comprendente la Puglia settentrionale e l’area del Melfese, in Basilicata.

 

In questa torrida estate del 2023 si parla tanto degli incendi che scoppiano specialmente all’interno dei boschi e, quindi, delle foreste, di cui il Gargano è ricco, non solo sul piano naturalistico e botanico, quanto sul piano del suo paesaggio, che ha in sè una storia antica, legata ai miti e alle leggende locali.

Un ricco patrimonio naturalistico, fra cui le vetuste faggete del Gargano, che fanno parte, dal 2017,  del Patrimonio Mondiale dell’UNESCO, di cui Monte Sant’Angelo, con la sua Foresta Umbra,  ne costituisce il cuore e l’anima, in quanto viene ad essere il completamente dell’altro sito UNESCO legato alla cultura longobarda in terra meridionale e, quindi, garganica. Una Foresta Umbra che ha come cuore palpitante la storia della leggenda di Gargara, una bellissima Ninfa della Foresta Umbra, di cui ci siamo occupati nella mia pubblicazione riguardante Monte Sant’Angelo e il Santuario di San Michele. Patrimonio Mondiale dell’Unesco, BastogiLibri, Roma 2022. Di tutto ciò ne è consapevole anche Legambiente di Monte Sant’Angelo, che, con il suo Presidente Franco Salcuni, ha voluto dedicare una giornata alla Foresta Umbra, come una delle tappe di “FestambienteSud”, insieme a quelle di Rignano Garganico, San Marco in Lamis, San Giovanni Rotondo, Monte Sant’Angelo, Mattinata, Vieste. Il 2 Agosto 2023,  nella Foresta Umbra avrà luogo l’incontro con i finalisti del Premio Strega di Poesia. Una Foresta che è il cuore palpitante del Parco Nazionale del Gargano, dove il significato simbolico di “foresta” è strettamente connesso a quello dell’albero, nel nostro caso l’acero, simbolo della forza e cuore della stessa natura vegetale, da cui nasce il mito e la leggenda della ninfa Gargara. Del resto, dalla nascita alla morte, l’albero non cessa di crescere e rigenerarsi, sospingendo rami e foglie verso il cielo e affondando le radici nel suolo, tanto da simboleggiare il rapporto tra terra e cielo, fra mondo visibile  e invisibile, tra ogni forma di opposti, da cui nasce la potenza dell’uomo. L’albero quale simbolo dell’essere umano e della sua crescita spirituale, saldamente radicato nella realtà materiale e, quindi, inserito nel cosmo.

Generalmente tutti i popoli della terra hanno curato foreste sacre, quali luoghi privilegiati in cui le divinità, gli spiriti e gli avi risiedono e si esprimono o addirittura dialogano con gli umani. E a questo proposito nemmeno la nostra Foresta Umbra è assente da miti e leggende che hanno caratterizzato la cultura del luogo, attraverso vari culti e miti, riferiti a popoli e civiltà che hanno abitato il nostro Promontorio del Gargano. Miti e leggende legati a vari culti, fra cui i culti di Calcante e Podalirio a Monte Sant’Angelo,  di Archita a Mattinata, di Uria a Vieste, di Diomede nelle Isole Tremiti, di Giove Dodoneo sul Monte Sacro, di Giano a San Giovanni Rotondo, di Mitra e di Pilunno a Monte Sant’Angelo.

Alla Foresta Umbra è legata la Leggenda di Gargara, che vede protagonista una bellissima giovane ninfa chiamata Gargara: la ninfa della Foresta. Infatti si narra che: “Uomini e bruti a lei si inchinavano felici di servirla pur di ottenere un sorriso, una carezza lieve e fuggevole. Fra i bruti vi era un satiro il quale, al solo scorgerla da lontano, veniva assalito da un tremito di desiderio, molte volte convulso, incontinente. Solo di questo satiro la fanciulla aveva paura e cercava di fuggirlo mentre il bruto sempre più insistentemente la cercava. Avvenne che in una notte d’estate, mentre Gargara dormiva distesa su un mucchio di foglie secche in una concetta di rocce, cullata dal murmure di una fonte vicina che giuliva cantava per la vallata profumata di muschio, il satiro, avvicinandosi all’acqua per dissetarsi, la vide e, in un desiderio pazzo, cercò di soddisfare le sue brame. La Foresta Umbra fu svegliata dalle urla della ragazza e fu un accorrere di essere umani e di fiere in difese di Gargara. Il satiro potette dirsi fortunato riuscendo a sfuggire alla loro ira, dileguandosi nell’ombra della notte e nell’intrigo dei tronchi. Ma giurò vendetta. Il padre Giove aveva un vecchio rancore con la madre di Gargara perchè, invaghitasi di un mortale, lo aveva preferito a lui nell’amore. Il satiro ne era a conoscenza e si rivolse al sommo Giove per essere vendicato. La supplica e la provocazione fu così insinuante nel ricordare al padrone dell’Olimpo lo smacco subito per essere stato posposto ad un misero mortale, che alla fine Giove cedette alla richiesta di vendetta del satiro. Fu allora che il capo degli dei, nella sua onnipotenza, trasformò Gargara in un giovane e rigoglioso acero che dal quel momento divenne l’albero del satiro che sui suoi rami si accovacciava, lo difendeva da chiunque volesse danneggiarlo, ne accarezzava le foglie e dalla sua fistula cercava lunghe nenie lacrimevoli. E l’albero visse così per migliaia di anni, diventando enorme nel tronco e nella chioma, nella valletta profumata di muschio, laddove Gargara fu sorpresa nel sonno. Nessuno ardiva toccarlo perchè si diceva che il solo tagliarne un ramoscello portava sfortuna. E fu allora conosciuto come il Millacero, considerato da tutti il re della Foresta”.

Purtroppo, nel tempo, molti alberi di Cerro, nonché di Acero,  Leccio,  Carpino bianco e altre specie, furono distrutti, tanto che la Foresta Umbra divenne preda di incendiari e boscaioli selvaggi. Tuttavia la maggior parte della Foresta Umbra oggi è salva, protetta da leggi regionali e statali, tanto da diventare il cuore stesso del Parco Nazionale del Gargano, che ne ha cura e protegge la sua esistenza. Un Parco Nazionale del Gargano che si estende per 118.144 ettari (è una delle aree protette italiane più estese) e ne fanno parte del Parco, oltre che  le quattro isole Tremiti (riserva marina), ben 18 comuni distribuiti nella provincia di Foggia. Nel Parco Nazionale del Gargano si ritrovano svariati habitat: faggete all'interno e sul versante nord, pinete di Pino d'Aleppo lungo le coste, grandi estensioni di macchia mediterranea, senza contare i querceti dove abbondano cerri e lecci, i boschi misti ricchi di ornelli, frassini, olmi, agrifogli, castagni, aceri, querce, faggi: Da tutto ciò nasce e si estende una vasta biodiversità spaziando tra i diversi habitat che compongono la natura del Gargano, unico nel suo genere, per la sua specifica diversità vegetativa e antropologica.

«L’idea nasce dopo la visita di un turista tedesco, venuto a Lucera esclusivamente per fotografare l’importantissima testa di Moro custodita nel Museo civico Giuseppe Fiorelli», quanto espresso dal Gruppo Fai di Lucera.

Per curiosità, in quanti conoscono la Testa di Moro?

Immaginiamo un turista o un residente passeggiare per le vie del centro federiciano, candidato a Capitale della Cultura Italiana 2026, e chiedersi: «Bellissima opera. Non l’avevo mai vista. Dove si trova?»

Ebbene, la risposta è che per tutto il mese di agosto la testa di Moro, i quadri di Ar, i tesori della Diocesi saranno esposti nelle varie attività commerciali del centro storico federiciano.

Parafrasando un vecchio detto “Se non sarete voi ad andare al museo, sarà il museo a venire da voi”.

L’evento è stato realizzato con la preziosa collaborazione dei commercianti locali, dell’artista della fotografia Italiana e internazionale “Raffaele Battista”, il Ministero della Cultura-Soprintendenza Archeologica Belle Arti e Paesaggio per le Province di Barletta-Andria-Trani e Foggia, il Comune di Lucera e la Diocesi di Lucera-Troia.

Lucera sarà l’unica candidata pugliese al concorso per l’assegnazione del titolo di Capitale Italiana della Cultura 2026. È l’esito della decisione del Consiglio dell’Unione dei Comuni dei Monti Dauni Meridionali di non dare seguito alla manifestazione d’interesse presentata lo scorso 4 luglio, assunta sulla base della proposta del sindaco di Lucera, Giuseppe Pitta, di costruire un progetto comune di valorizzazione e promozione del centro svevo e dell’intera comunità dei Monti Dauni. 
 
"Le due candidature sono il segno di grande vivacità culturale e progettuale dei Monti Dauni – spiega la sindaca di Bovino, Stefania Russo - ed abbiamo voluto evitare che fossero percepite come conflittuali, preferendo dare il nostro contributo al rafforzamento della connessione tra le aree interne della Puglia settentrionale e la città con cui già condividiamo strategie e azioni di sviluppo economico e coesione sociale”.
 
“Sono sinceramente grato alla sindaca di Bovino e a tutti i sindaci dei Comuni che compongono l’Unione per aver accolto il mio invito a unire le forze in una competizione che possiamo vincere solo aggregando energie e connettendo idee - è il commento del sindaco di Lucera, Giuseppe Pitta – Ancora una volta, Lucera e i Monti Dauni hanno scelto di fare sistema e di offrire un virtuoso esempio di cooperazione istituzionale per raggiungere un prestigioso e strategico obiettivo.  
 
Abbiamo aggiunto un altro tassello al complesso mosaico di partecipazione, coesione e progettazione che abbiamo iniziato a comporre avendo di fronte a noi poco tempo, tanto lavoro e ancor più volontà di fare e fare bene. Con la candidatura a Capitale Italiana della Cultura, Lucera e i Monti Dauni avranno l'onore di portare la bandiera dell'intera Puglia e sono certo - conclude Pitta - sapremo ben rappresentare a livello nazionale la nostra bellissima Regione”.

Dopo le diverse esposizioni nella Contemporanea Galleria d'Arte di Foggia e Bari, curata da Giuseppe Benvenuto, e dopo i successi ottenuti nelle varie mostre predette, che hanno letteralmente fatto esplodere l'interessamento all'arte moderna vissuta dal vivo e con chi la produce, dal 13 luglio al 24 settembre 2023, Palazzo Reale presenta una mostra monografica di Omar Galliani, grande maestro del disegno. Opere monumentali, lavori recentissimi e inediti, pezzi storici esposti nelle Biennali internazionali, per un viaggio emozionante attraverso i grandi temi della vita e dell’uomo.

L'INGRESSO È LIBERO E GRATUITO. NON È RICHIESTA LA PRENOTAZIONE.

fonte: palazzorealemilano.it

L’esposizione Omar Galliani. Diacronica. Il tempo sospeso, a cura di Flavio Caroli e Vera Agosti, è promossa da Comune di Milano-Cultura e prodotta e organizzata da Palazzo Reale e Archivio Omar Galliani.

Il titolo della mostra – Diacronica – è mutuato dalla linguistica e si riferisce allo studio delle lingue nel loro sviluppo storico. Il sottotitolo – Il tempo sospeso – allude alla resistenza del fare dell’artista, che in un mondo sempre più digitalizzato e smaterializzato, sostiene la bellezza della fisicità dell’opera d’arte.

Il percorso espositivo, sviluppato al piano nobile di Palazzo Reale, comprende oltre 100 opere, dalla fine degli anni Settanta ad oggi. Un excursus attraverso i lavori di Galliani presentati nelle Biennali di Venezia, Parigi, San Paolo, Praga, Tokyo, Pechino, nell’ambito di mostre museali, con l’aggiunta di una selezione di inediti, realizzati appositamente per l’esposizione milanese.

A fare da guida, all’interno di un itinerario non cronologico, che consentirà tuttavia al visitatore di seguire il divenire delle opere nel tempo, saranno principalmente suggestioni tematiche ed emotive, capaci di nutrire il pensiero e la fantasia dell’artista: Universo simbolico, Universo mitico, Universo psicologico, Universo erotico, Universo scientifico, Universo paesistico.

L’immagine guida dell’esposizione è De rerum natura (2020), una grande tavola che trae il titolo dal poema di Tito Lucrezio Caro. L’opera raffigura una giovane donna e un colibrì, simbolo di congiunzione tra cielo e terra, tra mondo fisico e spirituale.

Orario
Da martedì a domenica ore 12:00 -19:30
Giovedì chiusura alle 22:30.
Ultimo ingresso 30 minuti prima della chiusura.
Martedì 15 agosto ore 12:00-19:30
Lunedì chiuso.

 

 

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Dicembre 23, 2023 749

Oltre 2000 ordinanze questorili in Capitanata. Il…

in Cronaca Gargano e Capitanata by Redazione
La Polizia di Stato di Foggia nell’anno 2023, nell’ambito della pianificazione e predisposizione di specifici servizi volti alla…
Dicembre 23, 2023 547

Fuochi d’artificio illegali e merce varia sequestrati a…

in Notizie Gargano by Redazione
Sono oltre 50.000 gli articoli natalizi pericolosi sequestrati, unitamente a circa 5.500 fuochi d’artificio, dai finanzieri della…
Dicembre 23, 2023 731

Rocambolesco inseguimento a Pesaro di un corriere della…

in Attualità by Redazione
fonte: NOCPress. Si ferma all’ALT della Polizia, fugge e dopo un rocambolesco inseguimento di circa 2 km si schianta contro…
Dicembre 22, 2023 563

"Gli Amici di San Pio" a Natale all'Angelo Blu, al fianco…

in Attualità by Redazione
Un abbraccio per trasferire calore ed emozioni anche se non si saprà mai cosa provocherà in chi lo riceverà… Natale è vicino, ma…
Dic 22, 2023 611

Tony di Corcia e il mito di Mina, le sue canzoni per dire la vita

in Attualità by Redazione
Mercoledì 27 dicembre, ore 18, nella Sala Fedora del Teatro U. Giordano di Foggia.…
Dic 22, 2023 526

“Spinnaker”, l’operazione contro l’attività illegale della pesca della Guardia…

in Notizie Gargano by Redazione
La Guardia Costiera conferma il proprio impegno - in dipendenza funzionale dal Ministero…
Dic 22, 2023 833

Vito Rubino, il triatleta che esalta il Gargano

in Attualità by a cura di Matteo Simone, Psicologo, Psicoterapeuta Gestalt ed EMDR
L'estate sembra essere un buon periodo per trascorrere alcuni giorni in Puglia,…
Dic 22, 2023 653

Foggia. Al Gino Lisa stanziati 10 milioni di euro a sostegno del regime SIEG

in Politica by Redazione
Sull’aeroporto “Gino Lisa” di Foggia la Regione Puglia moltiplica i suoi impegni,…
Dic 22, 2023 711

Foggia, concittadini emigrati che rientrano. Accolti da Italia del Meridione…

in Politica by Redazione
Le segreterie cittadine e provinciali di IdM, unitamente alla rappresentanza consiliare…
Dic 22, 2023 680

A Roseto Valfortore il Centro territoriale di prima accoglienza della fauna…

in Notizie Capitanata by Redazione
Con l’approvazione della convenzione tra la Regione Puglia e il comune di Roseto…
Dic 22, 2023 506

Viabilità Capitanata. Traffico alternato sulla SP5 al km 1+095 per lavori

in Notizie Capitanata by Redazione
Il Dirigente del Settore Viabilità della Provincia, ing. Luciano Follieri con Ordinanza…
Dic 22, 2023 786

Da Caravaggio a José de Ribera. Monte urge di una Pinacoteca o un Museo d’Arte

in Cultura by a cura del prof. Giuseppe Piemontese, storico locale della “Società di Storia Patria per la Puglia
La presentazione dell’ultima edizione del libro di Michele Cuppone su “Caravaggio, la…
Dic 22, 2023 606

San Severo è Capitale Italiana della Gentilezza 2024

in Notizie Capitanata by Redazione
E’ avvenuto il 17 dicembre 2023 a Novara, in Piemonte, in maniera ufficiale, il passaggio…
Dic 22, 2023 616

Di che pasta siamo fatti? Dagli spaghetti ai fusilli l’Unione Italiana Food…

in Cronaca Gargano e Capitanata by Redazione
Un'indagine Nielsen rivela le preferenze degli italiani in fatto di pasta. Nella…
Dic 22, 2023 673

Donatori sangue, la Regione Puglia firma convenzione con associazioni e…

in Cronaca Gargano e Capitanata by Redazione
Nella giornata odierna il presidente della Regione Puglia Michele Emiliano ha…
Dic 22, 2023 522

Puglia, Servizio Civile. Ammessi i progetti Anci per 446 giovani volontari…

in Cronaca Gargano e Capitanata by Redazione
Con la pubblicazione odierna da parte del Dipartimento Politiche giovanili e SCU del…

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