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“Ci sono battaglie che vanno condotte con spirito di coesione di tutta la comunità e la battaglia contro le trivelle è certamente una di quelle: dobbiamo lottare, ancora oggi, contro le multinazionali del petrolio e contro i poteri forti che le sostengono dentro e fuori anche dalle istituzioni nazionali”. Lo dichiara il consigliere regionale di Forza Italia, Giandiego Gatta.

“Non ci stiamo - aggiunge - ad assistere impotenti alla rovina del mare Adriatico. Un mare che rappresenta una ricchezza paesaggistica straordinaria, ma anche economica per la pesca e per il turismo. Un patrimonio che abbiamo il dovere di preservare per le future generazioni.

In queste ore, purtroppo, -conclude Gatta- incombe il rischio di una ripresa delle attività di ricerca di idrocarburi nei nostri mari e la Puglia deve farsi sentire affinché il governo nazionale non calpesti la volontà della nostra popolazione, già chiaramente espressa negli anni passati, di tutelare un patrimonio inestimabile che verrebbe distrutto solo per coprire l’1% del fabbisogno energetico nazionale”.

FOCUS

- Trivelle coste adriatiche, Pagliaro: "Governo incapace, mette a rischio i nostri mari"

- Trivelle coste adriatiche, dal M5S lo Stop e o.d.g. di Vianello nella Legge di Bilancio

- Trivelle coste adriatiche, Vianello ribatte alle dichiarazioni di Bonelli e Pagliaro «Continuo a confutare le varie fake news sul tema»

- Trivelle coste adriatiche. Emiliano e Maraschio al Governo «La Puglia è contro le trivellazioni. Si proroghi sospensione ricerche e si avvii un tavolo tecnico»

Comunicato stampa pervenuto presso la nostra redazione.
Nota - Questo comunicato stampa è stato pubblicato integralmente come contributo esterno del mittente. Pertanto questo contenuto non è un articolo prodotto dalla redazione. È divulgato come Diritto di Cronaca sancito nell’art. 21 della Costituzione della Repubblica Italiana, in quanto libera manifestazione del pensiero.

«Da diversi giorni non si parla d’altro, polemiche, petizioni, lettere e richieste da parte dei consiglieri di minoranza, addirittura la presa di posizione di una senatrice pentastellata Gisella Naturale che dal suo profilo Facebook si dichiara contraria al taglio dei pini.

Ma veniamo ai fatti.

La decisione presa dall’amministrazione Iacono viene da lontano e non certo per causare un danno all’ambiente o per il gusto di distruggere il passato. Negli anni scorsi le zone verdi del paese sono state abbandonate e nessun intervento delle passate amministrazioni è stato fatto per proteggere le stesse piante. Addirittura alcuni anni fa nella pineta che si trova di fronte al Comune sono stati tagliati pini per far posto alle giostre per la festa patronale. Questa situazione si è aggravata con il passare del tempo, con rami sempre più penzolanti e pericolosi che potevano causare danni irreparabili.

Infatti a seguito di un forte vento sono caduti grandi rami di pino proprio all’interno del parco giochi per ben due volte. Tutto questo poteva provocare una tragedia colpendo bambini o mamme che si recavano quotidianamente in quel luogo. Tanti altri rami e tanti alberi a causa di venti forti si inchinavano sempre di più.

Visto che la situazione diventava sempre più preoccupante, l’amministrazione comunale dava l’incarico ad esperti del settore per fare esaminare tutti gli alberi presenti nel centro abitato. I tecnici dopo approfonditi interventi hanno indicato nella loro perizia tecnica di abbattere 50 alberi per lo più di pino poiché dichiarati pericolosi per l’incolumità dei cittadini.

Col maltempo e con forte raffiche di vento negli ultimi giorni non a caso sono caduti alberi nei centri cittadini vedi (Foggia e Torremaggiore) o lungo le arterie provinciali che collegano paesi, testimoniati da tantissimi interventi della Protezione Civile e dei Vigili del Fuoco.

Rispondendo alle polemiche il sindaco Iacono attraverso una diretta Facebook ha dichiarato che : “i 50 alberi abbattuti verranno sostituiti con 220 alberi anche di alto fusto che verranno ripiantati laddove mancano ed anche in altre zone del paese. E’ in atto un progetto di riqualificazione del verde pubblico con l’implementazione di nuove piante oltre che di alberi sicuri, ma anche di arredo urbano. Le piante e tutto il verde verranno curati e assistiti, ha concluso il sindaco.

Pertanto tutte le polemiche innescate dall’opposizione e da una senatrice della Repubblica, sembrano strumentali e sanno di una vera e propria propaganda politica spicciola, denigratoria e di basso profilo che servono solamente ad ottenere una manciata di voti. Queste strumentalizzazioni che conosciamo bene vengono messe in campo da chi (gli stessi consiglieri di minoranza) che il 26 giugno 2019 dicevano il contrario (vedi post Uniti per Chieuti) denunciando il sindaco Iacono di incapacità, menefreghismo e negligenza per il mancato intervento a seguito della caduta dei rami al parco giochi. Questi signori farebbero bene a mettersi d’accordo e non dire una cosa e poi affermare il contrario.

L’amministrazione Iacono mette sempre al primo posto l’interesse pubblico e l’incolumità  per tutelare la sicurezza dei cittadini, dei bambini che frequentano il parco e degli automobilisti che attraversano le arterie cittadine quotidianamente evitando così eventuali incidenti che potrebbero diventare anche irreparabili».

FOCUS

- Taglio alberi a Chieuti (FG), la senatrice Gisella Naturale (M5s): «Istituire subito un tavolo tecnico»

Comunicato stampa pervenuto presso la nostra redazione.
Nota - Questo comunicato stampa è stato pubblicato integralmente come contributo esterno del mittente. Pertanto questo contenuto non è un articolo prodotto dalla redazione. È divulgato come Diritto di Cronaca sancito nell’art. 21 della Costituzione della Repubblica Italiana, in quanto libera manifestazione del pensiero.

«Gli atti di questa amministrazione in tema di gestione del verde pubblico non presentano nessuna vera programmazione, bensì il taglio di circa trecento alberi alcuni pericolanti, altri solo molto compromessi, molti dei quali si trovano in pineta. La legge, tutela solo le piante "monumentali" e ogni ente fa come vuole e non essendoci regole si va al risparmio.

Come abbiamo già scritto qualche tempo fa, questi dati non sono verificabili poiché manca un censimento e cosa ancor più grave manca totalmente un progetto di riqualificazione o anche solo la pianificazione del reimpianto di nuovi alberi da sostituire a quelli tagliati.

Altro dato certo è che la valutazione degli alberi da tagliare è stata rimessa unicamente e completamente alla ditta che si occuperà delle operazioni del taglio e di recupero della legna.

Esiste, invece, un piano di riqualificazione risalente al 2013, a cui noi più volte abbiamo chiesto che ci si dovesse attenere senza mai essere presi in considerazione e ad oggi resta da chiedere anche perché l’amministrazione non abbia posto in essere quegli interventi urgenti non procrastinabili. 

Confidiamo pertanto che non si voglia mascherare la propria inefficienza e motivare interventi inadeguati sulla paura e sulla emotività della collettività. Salvarli potrebbe essere possibile, se pensiamo che è l'unico polmone verde che abbiamo, ove i nostri concittadini e non solo, trovano ristoro».

FOCUS:

- Verde pubblico. A Torremaggiore è storia infinita…

- Torremaggiore. Taglio alberi in pineta e zone verdi. La Senatrice Gisella Naturale chiede la sospensione della programmazione del taglio

- Torremaggiore. «Il verde pubblico non ha colore politico». L’opposizione chiede a Di Pumpo una conferenza dei servizi

- Torremaggiore, alberi pineta: «Molti alberi possono essere salvati»

- Verde pubblico e la Pineta di Torremaggiore. L'opposizione interviene

Comunicato stampa pervenuto presso la nostra redazione.
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Dichiarazione di Paolo Pagliaro, capogruppo LPd.

"Ha quanto meno dell’incredibile la vicenda delle trivelle al largo dei nostri mari che, a conti fatti, rischiano di poter riaccendere i motori a partire dal prossimo febbraio. La moratoria prevista dal D.L. 135/2018 - che sospendeva le operazioni di ricerca di idrocarburi nei mari del Mediterraneo - non è stata rinnovata nell’ultimo decreto Milleproroghe approvato dal Consiglio dei Ministri il 23 dicembre.
La vecchia disciplina (varata esattamente due anni fa) aveva fatto tutti sperare che, nel termine dei 18 mesi previsti dalla legge, ci sarebbe stato un piano serio e deciso che avrebbe portato alla fine di quest’incubo per i mari italiani e pugliesi, soprattutto. Invece, l’incapacità di questo Governo ha solo posticipato l’agonia. La proroga, inizialmente inserita nella prima bozza del Milleproroghe, è scomparsa nottetempo, ufficialmente per motivi di incompatibilità della materia. E di questo qualcuno, molto presto, dovrà darne conto.
Adesso il rischio, anzi la certezza, è che tra circa un mese prenderanno forma ben 54 permessi di ricerca nello Jonio e nell’Adriatico. Molte localizzate anche in Salento, con una tra le più imponenti al largo di Santa Maria di Leuca.
Tutto questo è inaccettabile. Il Governo PD e 5 Stelle, nelle persone dei ministri dell’Ambiente Sergio Costa e dello Sviluppo economico Stefano Patuanelli, hanno preso in giro gli italiani, non riuscendo in 18 mesi a mettere a punto un piano che loro stessi avevano promosso. Una vera indecenza.
Mesi e mesi di prese in giro, rese ancora più gravi se si pensa che nel 2016 il referendum indetto sulla durata delle trivellazioni in mare, sebbene non legalmente valido per non aver raggiunto il quorum necessario, aveva comunque bocciato le trivelle con l’86% dei consensi (ben il 95% in Puglia). Si tratta di oltre 13 milioni di voti letteralmente calpestati.
Assordante, in tutto questo, anche il silenzio del presidente della Regione Michele Emiliano, che in campagna elettorale e in tutti questi mesi non ha fatto alcun accenno alla questione. Ecco perché ho presentato una mozione in Consiglio regionale, per suonare la sveglia al governo Emiliano affinché batta i pugni sui tavoli romani in difesa del nostro patrimonio costiero.
La battaglia, naturalmente, non finisce qui."

L’articolo proposto di seguito, scaricabile in pdf, è lo studio analitico, scientifico e formalmente riconosciuto tale, svolto qualche anno fa da ricercatori del settore e pubblicato sulla rivista di studi territorialisti “Scienze del Territorio”. Lo studio è stato pubblicato in lingua inglese, ma nel pdf, scaricabile, c’è anche la versione in italiano, ed è coperto da Copyright (c) 2020 Samadhi Lipari, University of Leeds, School of Geography;

Come è scritto nell’abstract “Questo lavoro analizza la penetrazione dell'energia eolica su scala industriale nelle province del sud Italia di Benevento, Avellino, Foggia e Potenza, che ospitano il 43 per cento della capacità installata nazionale. Tale processo ha indotto trasformazioni che interessano modelli socio-ecologici contestualizzati storici come conseguenza della loro inclusione nelle catene di estrazione del valore e dinamiche democratiche sostanziali a livello locale. Il quadro teorico sottostante interpreta l'economia verde o capitalismo verde come una trasformazione del modo di regolazione del capitalismo in conformità con le teorie della modernizzazione ecologica. Più precisamente, si inserisce nel dibattito sull'ecologia politica attorno all'estrattivismo, all'accumulazione primitiva, all'accaparramento di terre e all'ambiente. Il lavoro si sviluppa dando dapprima un resoconto della penetrazione degli investimenti, poi descrivendo i meccanismi estrattivi in ​​termini di pratiche e attori. Le ultime due sezioni esplorano gli effetti di tali processi sulla democrazia territoriale e propongono il concetto di cattura del "territorio" come innovazione analitica.

INDUSTRIAL-SCALE WIND ENERGY IN ITALIAN SOUTHERN APENNINE: TERRITORIO GRABBING, VALUE EXTRACTION AND DEMOCRACY

Maraschio: “Misure per trasporti, informazione e sensibilizzazione dei cittadini”.

“Nella seduta odierna la Giunta regionale ha approvato lo schema di Accordo di Programma, tra il Ministero dell’Ambiente e della tutela del territorio e del mare e la Regione Puglia, per l’adozione di misure per il miglioramento della qualità dell’aria, affidandone la sottoscrizione al Presidente della Regione”.

Così l’Assessore regionale all’Ambiente Anna Grazia Maraschio.
“Si tratta - ha proseguito l’Assessore - di un accordo molto importante, in quanto la Regione s’impegna ad adottare misure in vari settori, dalla comunicazione alla sensibilizzazione dei cittadini e all’introduzione di nuove tecnologie soprattutto nel settore dei trasporti, al fine di migliorare la qualità dell’aria”.
Con una successiva deliberazione di Giunta sarà definita l’organizzazione finalizzata all’attuazione degli interventi.
“Per il terzo anno consecutivo - ha spiegato la Maraschio - le emissioni inquinanti sono al di sotto dei limiti di legge. Certamente l’impegno assunto oggi in Giunta potrà aiutarci a mantenere questo standard e perché no a migliorarlo, convinti come siamo che l’ecologia chiama in causa tutte le altre discipline e chiede alle politiche pubbliche un impegno radicale”.

La Regione si impegnerà ad assolvere nei primi sei mesi:
a) un atto di indirizzo all’Autorità Competenti in materia di AIA, che consenta alle stesse di richiedere, in sede di rilascio, rinnovo e riesame, modifiche sostanziali delle AIA, prioritariamente per le installazioni di cui ai punti 1, 4, 5, 6.5, 6.6 dell’Allegato VIII alla Parte Seconda del D.Lgs. 152/06 e s.m.i.; la presentazione di uno studio di impatto odorigeno finalizzato all'individuazione e caratterizzazione delle sorgenti odorigene significative ed alla stima dell’impatto olfattivo delle emissioni mediante l'implementazione di idonei modelli matematici di dispersione in atmosfera;

b) un atto di indirizzo alle Autorità Competenti in materia di Provvedimento Autorizzatorio Unico Regionale/Valutazione di impatto ambientale/Autorizzazione Integrata Ambientale, che autorizzi le stesse a richiedere, in sede di rilascio, rinnovo e riesame, modifiche sostanziali delle AIA, la presentazione di uno studio per la valutazione degli scenari futuri della qualità dell’aria utilizzando una catena modellistica coerente con le previsioni d’impatto, che dimostri che le emissioni derivanti dalla realizzazione di tali progetti non comportano un peggioramento della qualità dell’aria;

c) il rafforzamento, entro gennaio 2022, della comunicazione tra pubblica amministrazione e cittadini sui temi della qualità dell'aria mediante lo sviluppo e l’efficientamento del portale informatico regionale;

d) la realizzazione, entro sei mesi dalla sottoscrizione del presente accordo, di una piattaforma dinamica, interattiva ed immediata che permetta agli utenti la consultazione, anche in modalità cartografica, l'analisi multidimensionale e l'esportazione in locale delle stime sulle emissioni in atmosfera, degli indicatori ambientali e delle molestie olfattive, sottoforma di report e grafici predefiniti che possano essere personalizzati direttamente dagli utilizzatori;

e) la messa a punto, entro sei mesi dalla sottoscrizione del presente accordo, di un progetto inerente le campagne di informazione e sensibilizzazione della popolazione sui comportamenti a minor impatto sulla qualità dell’aria con particolare riferimento al materiale particolato PM10 derivante dal riscaldamento domestico a biomassa.

Tra gli impegni ministeriali:
a)contribuire, con risorse fino ad un massimo di 4 milioni di euro, all’attuazione, da parte della Regione Puglia, di uno o più impegni di cui all’articolo 2, comma 1;

b) attivare le opportune interlocuzioni con il Ministero dell’economia e delle finanze al fine di valutare la possibilità di aggiornare le tasse automobilistiche utilizzando il criterio del bonus-malus;

c) promuovere iniziative, anche di carattere legislativo, al fine di accelerare, nel breve periodo, la progressiva diffusione di veicoli a basse e/o nulle emissioni in luogo di veicoli diesel e, nel medio periodo, la riduzione del numero di veicoli circolanti nelle aree urbane incentivando sistemi di mobilita alternativa.

Con un post, che è un appello pubblico, anche una forte denuncia, il gruppo politico "TERRA - Scegli la tua Terra" su facebook dice la sua sugli investimenti che il Parlamento Europeo per la prossima P.A.C. (Politica Agricola Comune) varerà a favore delle grandi industrie dell’agricoltura e dell’allevamento intensivo, disattendendo le molteplici "preghiere" a favore degli obiettivi di contrasto ai cambiamenti climatici, di tutela dell’ambiente e della salute.

“Una manciata di giorni fa è stata approvata al Parlamento Europeo la prossima P.A.C. (Politica Agricola Comune), uno dei documenti che incide con maggiore forza sul bilancio dell’Unione Europea e che indirizzerà lo sviluppo del settore per i prossimi 7 anni.

Ogni aspettativa di svolta verde è stata disattesa: ancora una volta centinaia di miliardi di euro saranno investiti per supportare le grandi industrie dell’agricoltura e dell’allevamento intensivo.

Il falso ambientalismo è una piaga sempre più profonda nel sistema politico italiano e mondiale.

A fronte di una volontà sempre più consapevole e diffusa tra le persone e a proclami sempre più insistenti da parte della politica rispetto alla necessità di un’inversione di rotta sui cambiamenti climatici e la tutela dell’ambiente il Parlamento Europeo ha scelto di stare ancora una volta dalla parte delle lobbies dell’agroindustria, responsabili della distruzione ecosistemica, della riduzione della biodiversità e dei cambiamenti climatici.

Da un lato una crisi climatica che si fa ogni giorno più evidente e spaventosa, dall’altro una pandemia globale che ha reso palesi i rischi e i danni sanitari, economici e sociali di questo modello di produzione alimentare intensivo, non avrebbero dovuto lasciare dubbi sulla direzione verso cui indirizzare fondi pubblici e gli investimenti ma evidentemente tutto questo non è ancora abbastanza per i nostri rappresentanti politici.

C’è ancora tempo per bloccare queste misure nell’ambito dei negoziati tra Parlamento, Commissione Europea e governi nazionali.

Ci uniamo ai tantissimi che in questi giorni chiedono con tutte le proprie forze che questa misura è in contrasto a tutti gli obiettivi di contrasto ai cambiamenti climatici, di tutela dell’ambiente e della salute!

Investite quei soldi per supportare un modello di produzione alimentare diffuso, distribuito e rispettoso dei limiti imposti dal pianeta.

Non possiamo permetterci altri passi falsi.”

 

Da MicroMega, a cura di Emanuela Marmo, un interessante articolo sull'eolico, come insoistenibile per molti problemi che hanno letteralmente smembrato un territorio, quello intorno Bisaccia, nell'avellinese dell'Alta Irpinia. Nel pezzo un significativo intervento di Michele Solazzo, del No eolico selvaggio. (ndr.)

Quando l’eolico diventa insostenibile

 
Inizia con oggi un ciclo di approfondimenti, ciascuno dedicato a una delle tappe descritte nell’articolo Da Eboli al Litorale Domitio-Flegreo: il tour campano di “Stop Biocidio”.

Il primo sito oggetto della nostra messa a fuoco è Bisaccia, in provincia di Avellino. Ivano Scotti, ricercatore presso l’Università di Pisa, e Dario Minervini, ricercatore presso l’Università di Napoli, ci hanno aiutato nell’elevare la dimensione territoriale ad una scala di interesse pubblico.

Il territorio di Bisaccia è sfruttato per la produzione di energia eolica. La vicenda inizia nel 1992 con l’esproprio di 12 ettari di terreno seminativo che vengono riservati a otto aereogeneratori, poi risultati obsoleti. Da qui le cose evolvono in maniera problematica, come reso noto dalle azioni di resistenza e contrasto promosse dal comitato No eolico selvaggio e successivamente accolte anche da Stop biocidio.

Lo strumento dell’esproprio è uno dei primi fattori traumatici subiti e vale la pena precisare che fu il d.lgs 387/2003, introdotto dal governo Berlusconi, a stabilire che le opere per la realizzazione di impianti alimentati da fonti rinnovabili fossero considerate di pubblica utilità, pertanto “indifferibili ed urgenti”. Ciò ha favorito l’espropriazione ex lege degli appezzamenti terrieri, dando a investitori privati diritti prioritari sulla terra. A Bisaccia apparve subito chiaro che non erano altrettanto forti gli strumenti di contrappeso a disposizione delle amministrazioni locali, la capacità di negoziazione delle quali, attraverso lo Sblocca Italia che ha concentrato le procedure autorizzative degli impianti al M.I.S.E., è ridotta alle conferenze di servizio.

In questo scenario, come ci racconta Michele Sollazzo, attivista del comitato No eolico selvaggio, in Alta Irpinia vengono installate oltre trecento pale, la metà di quelle presenti sul territorio regionale. Le modifiche strutturali e i passaggi di proprietà che si sono susseguiti nella gestione non sono sempre stati chiari e il comitato ha più volte richiesto accertamenti, esigendo una maggiore coerenza nel rapporto tra legge e autorizzazioni.

Una deliberazione sottoscritta da 25 comuni portò la Regione Campania a dichiarare saturo il Comune di Bisaccia già nel 2016. Eppure, sebbene furono dimostrate sovrapposizioni “rilevanti e consistenti”, proprio nel 2016 fu autorizzata la costruzione del parco eolico della società Eco Power, in località Calaggio. Ci si domandava: se l’Irpinia produce quasi il 7% dell’energia eolica nazionale, perché sono ancora considerati "urgenti" ulteriori impianti eolici? In che modo la "pubblica utilità" si correla al fatto che il profitto sia privato? I comitati riposero quindi un’ultima speranza nel Piano energetico regionale. L’approvazione del Pear, avvenuta nel 2018, non ha sortito gli effetti sperati; anzi, a causa delle installazioni eoliche, lo sviluppo delle altre fonti rinnovabili, come il fotovoltaico, sono rimaste sospese.

È difficile che comunità quali Bisaccia riescano a ottenere un’allargata solidarietà. Il rumore, che stride anche di notte, gli effetti ombra-luce, la modifica rilevante del paesaggio sono evidenze solo per chi ci abita accanto. Eppure non si tratta di disagi fittizi e ce ne sono altri. Il posizionamento di una pala agisce sul suolo in profondità, non sono mancati casi in cui sono state toccate falde acquifere. In presenza di un campo eolico, la costruzione di nuove abitazioni deve considerare le distanze. Territori, a sviluppo prettamente agricolo o montano, con l’arrivo dell’eolico sono vincolati a nuovi parametri. Quasi mai le società sono del luogo. L’energia eolica prodotta a Bisaccia, ad esempio, viene esportata a sostegno di altri territori geografici. Osserva Ivano Scotti: «Le rimostranze sono spesso biasimate con esternazioni del tipo: ecco il solito piccolo paese italiano, di poche anime, che si oppone al progresso mentre città e stati europei sono tanto più avanti di noi. Ebbene, non è così. Proprio recentemente, in occasione di un convegno sulle aree fragili a Rovigo, diversi ricercatori europei hanno riportato i propri casi e tutti hanno riferito gli stessi argomenti. Una ricercatrice norvegese, ad esempio, ha raccontato di un territorio la cui economia si regge in prevalenza sulla presenza delle renne. Gli investitori dell’eolico avevano considerato quel territorio “vuoto”: non c’è niente, ci sono solo renne, poche persone e tanto spazio. Quasi sempre i territori prescelti per l’impianto di campi eolici sono descritti come luoghi dove non c’è nulla e le pale eoliche sembrano quasi dotarli di senso».

Non c’è un sentore “colonialista” in questo approccio? Ironia vuole che le società eoliche solitamente chiamino i propri impianti con i nomi dei territori e: «simbolicamente l’appropriazione del nome sancisce il possesso del luogo. Queste cose accadono a Bisaccia e accadono in Norvegia. Si ripetono ovunque. In Scozia, in Galizia, in Nuova Zelanda». Accadono anche in Germania. Anzi, vi consigliamo di dare uno sguardo a un documentario uscito nel 2017 che racconta di un villaggio frisone stravolto dal piano di costruzione di un parco eolico. Il regista dichiara: pensavo di realizzare un documentario sull’eolico, invece ho fatto un documentario sull’economia e sul potere.

Perché gli abitanti di Bisaccia non hanno pensato che l’eolico potesse rappresentare una grande opportunità per loro? Perché sono stati tanto retrogradi?

«Gli impianti eolici, da un punto di vista economico e occupazionale, non hanno un impatto positivo sull’economia locale. A meno che il territorio stesso non utilizzi l’energia prodotta- afferma Scotti – traendone un risparmio o una rendita da reinvestire in servizi, i grandi impianti non generano occupazione. L’attività edile in fase di installazione e quella manutentiva non incidono sull’economia locale in modo significativo. Nel calcolo dell’Imu, inoltre, in virtù di una legge approvata con il governo Renzi, nel calcolare l’imponibile, ovvero il costo tecnologico su cui si applica l’aliquota, non si considera la navicella con la turbina, che è la parte più consistente dell’impianto, e ciò riduce l’introito che poteva provenire dall’eolico. Non sono più ammesse le royalties: a partire dal 2008 i ricorsi al tar, con i quali le società hanno contestato l’obbligo delle royalties, hanno dato ragione ai ricorrenti: se la società di produzione energetica paga le tasse, perché dovrebbe corrispondere altro? Ha pagato l’affrancamento dei terreni, paga l’imu, produce profitto. Non c’è nulla da obiettare».

Eppure le royalties hanno avuto un ruolo positivo. Grazie ad esse, ad esempio, il comune abruzzese di Collarmele, piccolo paese montano in provincia dell'Aquila, era riuscito a produrre una quantità di energia pulita dieci volte superiore alla media nazionale, traendone benefici per il trasporto scolastico, la mensa, per allentare la pressione fiscale. In seguito al Decreto ministeriale del 2010 e alla liberalizzazione del mercato energetico, i gestori hanno potuto rinegoziare i compensi stipulati precedentemente. Nella legge di bilancio del 2019 fu stabilito che tutti i contratti pre 2010 avrebbero avuto validità fino al 30 dicembre 2018 ed è appunto dal gennaio 2018 che Collarmele non riceve una parte consistente delle compensazioni stabilite in precedenza.

Scotti e Minervini sono concordi nell’affermare che ci sono due prospettive prevalenti. Se la logica dello sviluppo delle rinnovabili è il mercato capitalistico, tutto ciò è incontestabile. Se la logica è puntare all’autosufficienza, alla autoproduzione, è scongiurare nuove sperequazioni, il ragionamento sulla produzione di energia dall’eolico va riaperto.

Perché lo sviluppo dell’eolico in territori come Bisaccia è “selvaggio”?

Perché ha seguito un’idea di sviluppo guidata dal mercato, risponde Scotti: «Al netto delle normative sul rispetto dell’ambiente, delle distanze dalle abitazioni e del paesaggio, il meccanismo di mercato funziona pressappoco così: uno strumento finanziario incentivate viene offerto al mercato; gli attori economici, attenendosi a una serie di vincoli, sviluppano un progetto rispondente alle necessità energetiche. Sulla carta, sembrano soddisfare diversi interessi, senza compromettere quelli dei territori che vengono ritenuti idonei appunto perché ci sono dei parametri. Nella realtà si verificano, invece, frequenti distorsioni. Un po’ il meccanismo dell’incentivo è parte di questa ambiguità perché agevola chi già possiede il capitale (ne serve tanto per sostenere i costi di installazione di un impianto eolico)»

In effetti, i circa 11 miliardi di euro di detrazioni fiscali, dal 2008 al 2018, hanno redistribuito in maniera regressiva la ricchezza: se li suddividiamo per classe di reddito, notiamo come siano state le fasce sociali più ricche ad ottenere i maggiori vantaggi: «lo stesso si può dire delle comunità energetiche. Pur rappresentando un modello positivo, sono formate dal ceto medio-alto, che semplicemente ha trovato un modo di diversificare il piano di investimenti». Siamo, cioè, ancora a un punto in cui investire nell’eolico è un modo sostenibile di fare profitto, ma non ancora uno mezzo di equità sociale.

Quanto costa questo “modo sostenibile di fare profitto”?

Una turbina eolica standard da 3 mW a terra contiene 300 tonnellate di acciaio e ferro, oltre a più di 8 tonnellate di altri metalli. La fondazione richiede 900 tonnellate di calcestruzzo. Sembrano numeri esorbitanti e invece, considerando estrazione delle materie prime, trasporto dei materiali in fabbrica, costruzione della turbina, trasporto al sito, manutenzione, demolizione, rimozione e riciclaggio, l'energia eolica davvero risulta essere una delle fonti di energia meno inquinanti. Detto ciò, dobbiamo sapere che per raggiungere la neutralità carbonica, dovremo estrarre oltre 3,5 miliardi di tonnellate di minerali per ottenere i metalli con cui realizzare i dispositivi green nei prossimi 25 anni, tireremo via dal suolo la stessa quantità di rame dei 5000 anni appena trascorsi. Dove la prendiamo? Le aziende minerarie si trovano principalmente in Asia, Sud America e Africa. Oltre ai danni ambientali, esse spesso violano i diritti umani. La Foundation for Research on Multinational Enterprises, per esempio, denuncia casi di lavoro minorile in Congo, nelle miniere estrattive di cobalto, materia prima indispensabile tanto per le turbine eoliche che per le batterie delle auto elettriche.

Allo stato attuale delle cose, l'estrazione mineraria abusa dell'ambiente biofisico, contribuendo al benessere umano in modo disomogeneo. Per ora non c’è modo di garantire che l'approvvigionamento avvenga in maniera sostenibile.

Tuttavia, come segnalano Scotti e Minervini, strade verso una gestione più equa possono essere tracciate, le cooperative, le comunità energetiche, la partecipazione pubblica sono un esempio concreto.

Se manteniamo la validità del raffronto con i casi europei, allora possiamo osservare che la transizione energetica avviata in Germania nel 2010, e che ha portato il paese a produrre più del 35% della propria elettricità da fonti rinnovabili, presenta un discrimine specifico tra una città e l’altra: la proprietà pubblica della rete elettrica. Francoforte e Monaco, che non hanno venduto le loro reti energetiche, hanno già aderito alla transizione. Amburgo e Berlino, che le avevano privatizzate, si sono trovate in difficoltà, per questo nel 2014 Amburgo ha votato per rimunicipalizzare la rete elettrica della città. Ciò è confermato, ma al rovescio, dal caso italiano: quando le municipalizzate nate al principio del secolo scorso si sono trasformare in società private, i comuni hanno perso uno straordinario strumento di intervento per la transizione ecologica. Storie diverse, anche in Italia, si hanno appunto quando è la comunità ad assumersi la responsabilità della gestione. Prendiamo il caso di Roseto Valfortore. Il comune entrò nella società che costruì l’impianto, Aria Diana, con una percentuale del 35%, prevedendo un aumento della sua quota di partecipazione nella società dell’8%, ogni cinque anni fino a raggiungere il 60%.

La socializzazione del sistema energetico considera l’energia un bene pubblico. La disponibilità materiale delle fonti non basta: la regolamentazione che ad essa presiede incide sulla vita dei cittadini e determina il livello di responsabilità che investitori, gestori, distributori hanno verso la popolazione. È ingenuo pensare che del bene comune possano prendersi carico investitori privati che mirano ad alti rendimenti già a breve periodo. Cooperative e municipalizzate hanno un approccio diverso perché operano con requisiti di profitto inferiori. Altrettando ingenuo aspettarsi che pochi consumatori illuminati, con le proprie scelte di spesa, riescano a modificare quelle dei produttori, i quali non sono veramente preoccupati di ridurre l’emissione di CO2, ma solo che la riduzione di CO2 rappresenti un vantaggio economico.

Riconsideriamo, dunque, le richieste avanzate dal comitato No eolico selvaggio di Bisaccia: l’energia eolica è un bene comune, è legittimo esigere un piano di tutela del territorio che lo difenda dall’accaparramento e dal consumo di suolo; è legittimo puntare alla diversificazione delle fonti rinnovabili quale condizione logica e conseguente a una transizione energetica che sia diffusa e orientata principalmente all’autoproduzione e all’autoconsumo. I cittadini di Bisaccia, infine, domandano che l’Autorità Nazionale Anti Corruzione verifichi l’iter di ogni procedura.

C’è qualcuno che osa dire che tali aspettative siano contrarie al progresso?

Dopo i nostri interventi (vedi il FOCUS) che hanno dato inizio alla discussione sul verde pubblico e la programmazione dell'abbattimento degli alberi nella pineta di Torremaggiore da parte dell'Amministrazione comunale, dopo gli interventi di alcuni esponenti politici parlamentari, ecco che la minoranza comunale interviene a margine del problema. (ndr.) Lo fa con una nota stampa dei Consiglieri Manzelli Massima e Leonardo De Vita.

«La gestione del verde pubblico è una questione che riguarda tutti sia per gli aspetti legati alla incolumità e sicurezza, ma anche per quelli legati alla qualità della vita , per i benefici che le aree verdi hanno sul clima, sull'inquinamento acustico, sulle relazioni sociali, sulle pratiche sportive e più in generale sul paesaggio che è e rimane un bene primario ed assoluto da tutelare.
Abbiamo motivo di ritenere che il taglio degli alberi programmato dalla amministrazione non è rivolto alla cura e alla conservazione della nostra pineta e che é assolutamente necessario rendere chiaro e certo quali siano gli alberi da eliminare e il progetto di reimpianto.
La cura del verde non è solo una spesa da contenere ma deve essere un investimento per il paese e per la collettività .
Dopo aver letto gli atti e dopo i chiarimenti resi, siamo convinti che aver affidato la decisione e la individuazione degli alberi da tagliare esclusivamente alla ditta che se ne occuperà gratuitamente (recuperando la legna) non è una buona scelta .
Ad oggi poi risulterebbe che alla amministrazione siano state fornite evidenze tecniche che la contrastano.
Confidiamo in una giusta risoluzione».

FOCUS:

- Verde pubblico. A Torremaggiore è storia infinita…

- Torremaggiore. Taglio alberi in pineta e zone verdi. La Senatrice Gisella Naturale chiede la sospensione della programmazione del taglio

- Torremaggiore. «Il verde pubblico non ha colore politico». L’opposizione chiede a Di Pumpo una conferenza dei servizi

- Torremaggiore, alberi pineta: «Molti alberi possono essere salvati»

Ce ne siamo occupati per primi, sollevando il caso e interrogando l'Amministrazione comunale di Torremaggiore sull'abbattimento di alcuni alberi della pineta. Ora la politica si accoda, chiedendo soluzioni meno drastiche e interventi risolutivi per la sicurezza cittadina e garanzia del verde pubblico. Nel FOCUS tutti gli interventi pubblicati sul caso. (ndr.)

Gisella Naturale (M5S): «Commissionato ad uno studio tecnico agro forestale l’analisi della stabilità delle piante».

Secondo le determinazioni dell'Ufficio Tecnico del Comune di Torremaggiore, conseguenti alla volontà del sindaco di procedere al taglio degli alberi, sono oltre un centinaio gli alberi che dovrebbero essere tagliati nelle aree verdi comunali, la senatrice del M5S, Gisella Naturale, dopo aver chiesto la sospensione del taglio degli alberi e commissionato allo studio tecnico “Forest Lab” del dottore forestale Matteo Manuel una perizia strumentale per l’analisi della stabilità degli alberi della Pineta, annuncia il completamento e la consegna della perizia all’ufficio tecnico di Torremaggiore.

Nella giornata di ieri, lunedì 9 novembre, anche l’allegato cartografico è stato consegnato alla senatrice ed è a disposizione degli uffici. Dallo studio tecnico è emerso che non tutti gli alberi che l’amministrazione ha destinato al taglio sono pericolosi, solo una parte sono da abbattere, tanti compromessi dall’incuria necessitano di particolari accorgimenti, per altri è buono lo stato di salute, basta una manutenzione ordinaria.

«Abbiamo sempre sostenuto che prima di decretare un qualsiasi intervento sulle piante è indispensabile uno studio tecnico dettagliato volto alla valorizzazione del patrimonio arboreo in un insieme armonico di tagli e nuove piantumazioni, che devono seguire un piano del verde non improvvisato né d’urgenza, cosa che non è stata fatta prima della decisione dall’amministrazione comunale- dichiara la senatrice Gisella Naturale. Tagliare tutte le piante, senza un piano specifico e senza sapere esattamente quali rappresentano un pericolo per l’incolumità dei cittadini, non è la soluzione migliore».

«Sono stato incaricato dalla senatrice Gisella Naturale di verificare la stabilità delle piante della pineta di Torremaggiore, concentrando lo studio agli alberi presenti lungo viale Giuseppe Di Vittorio- aggiunge il dottore forestale Matteo Manuel- queste piante hanno una storia e fanno parte di un paesaggio che arricchisce l’intera comunità, si tratta di un patrimonio arboreo importante e per questo è stata fatta, oltre ad una verifica di tipo visiva, anche una verifica di tipo strumentale attraverso l’utilizzo di un “Tomografo sonico”. Con questo strumento è possibile sapere la reale condizione di degradazione interna del legno ed è possibile valutare se è il caso di abbattere una pianta o se è sufficiente una manutenzione. Le piante analizzate nella perizia sono centodieci, di queste solo quarantanove necessitano di essere abbattute. Per il resto delle piante è necessaria una corretta manutenzione».

FOCUS:

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