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Il 23 novembre 2020, il Santo Padre FRANCESCO ricevendo in udienza S. Ecc. Mons. Marcello Semeraro, Prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi, ha autorizzato la promulgazione del Decreto sul riconoscimento delle virtù eroiche del

Servo di Dio

FORTUNATO MARIA FARINA

Arcivescovo titolare di Adrianopoli di Onoriade,
già Vescovo di Troia e di Foggia
nato l’8 marzo 1881 a Baronissi (SA)
e morto a Foggia il 20 febbraio 1954

Con tale Decreto si conclude il Processo Canonico per la Beatificazione e Canonizzazione del Servo di Dio e dichiara Mons. Fortunato Maria Farina

VENERABILE

Perché Mons. Farina diventi Beato occorre un miracolo, ottenuto per sua intercessione. Perché diventi Santo occorre un altro miracolo.

NOTIZIE SULLA CAUSA DI BEATIFICAZIONE E CANONIZZAZIONE

La prima Sessione Pubblica di apertura del Processo canonico nella sua fase diocesana si è celebrata il 12 settembre del 1992 nella Cattedrale di Foggia, essendo Arcivescovo di Foggia-Bovino S. E. Mons. Giuseppe Casale. La Sessione pubblica, conclusiva della fase diocesana del Processo canonico informativo sulla vita, sulle virtù e sulla fama di santità del Servo di Dio Mons. Fortunato Maria Farina, si è svolta il 24 maggio 2008 nel Santuario dell’Incoronata di Foggia essendo Arcivescovo di Foggia-Bovino S. E. Mons. Francesco Pio Tamburrino.

Testi interrogati

I testi interrogati dal Tribunale diocesano di Foggia sono stati: 65

I testi interrogati per rogatoria negli altri tribunali:

-nel Tribunale rogatoriale di Salerno sono stati: 28

-nel Tribunale rogatoriale di Napoli sono stati: 8

-nel Tribunale rogatoriale del Vicariato di Roma sono stati: 21

Totale dei testi interrogati: 122

Documenti raccolti

a) Gli atti processuali e le prove testificali raccolti nei diversi Tribunali comprendo 3456 pagine.

b) La raccolta dei documenti da parte della Commissione storica con la collaborazione della Postulazione della Causa abbraccia quanto segue:

- Scritti inediti e altri documenti sul Servo di Dio: comprendono 7412 pagine.

- Scritti editi (Lettere pastorali, circolari,ecc.): comprendono 1026 pagine, cui sono allegate le tre biografie su Mons. Farina e le altre pubblicazioni sul Servo di Dio.

Complessivamente tutta la documentazione comprende: pagine 11894, oltre i libri stampati delle biografie e delle altre pubblicazioni sopra citati. Per la grande mole dei documenti e per altre varie circostanze, causate da eventi non dovuti a volontà di uomo, il processo è durato ben 28 anni.

SCHEDA BIOGRAFICA DEL VENERABILE MONS.FORTUNATO MARIA FARINA

Mons. Fortunato Maria Farina è nato a Baronissi, Provincia e Arcidiocesi di Salerno, l’8 marzo 1881. Ha ricevuto il Sacro Ordine del Presbiterato nella Basilica Superiore della Chiesa Metropolitana di Salerno il 18 settembre 1904.Nei primi anni di sacerdozio si è adoperato per fondare a Salerno l’Unione Apostolica del Clero, edificando col suo esempio tanti sacerdoti, ed ha iniziato anche un intenso apostolato tra i giovani con la fondazione, nel 1909, del Circolo Giovanile Cattolico Salernitano, esercitando su di loro un grande fascino spirituale. Il 12 maggio 1916 è stato nominato Curato della Parrocchia S. Agostino in Salerno. Il 21 giugno 1919, all’età di 38 anni, è stato nominato da Sua Santità Benedetto XV Vescovo di Troia. Il 10 agosto dello stesso anno è stato consacrato Vescovo, ed il 30 novembre successivo, I Domenica di Avvento, ha fatto il suo ingresso in Diocesi. Nel Concistoro del 18 dicembre 1924 è stato preconizzato dal papa Pio XI Vescovo di Foggia, conservando anche il titolo di Vescovo di Troia. Il 22 marzo 1926 ha preso il possesso canonico della nuova Diocesi. Sia a Troia sia a Foggia ha svolto il suo ministero, volgendo l’attenzione verso quella che sarà la sua principale occupazione pastorale: la cura delle vocazioni sacerdotali e la formazione dei presbiteri. Ha promosso la vita comune del clero diocesano, fondando la S. Milizia di Gesù, opera che ha precorso i tempi della istituzione degli Istituti Secolari. Ha svolto anche un fecondo apostolato tra i laici, che ha saputo coinvolgere nella pastorale diocesana e nell’impegno per le realtà temporali, formandoli con una incisiva e personale direzione spirituale e con altre iniziative. Durante la seconda Guerra Mondiale ha mostrato una carità eroica: insieme con un gruppo di sacerdoti secolari e religiosi si è prodigato in favore della popolazione, colpita dai tragici bombardamenti, che hanno raso al suolo la città di Foggia. Mons. Farina, pur provenendo da una ricca famiglia, ha vissuto sempre in grande povertà, utilizzando il suo abbondante patrimonio familiare per aiutare i poveri e per realizzare tante altre opere nelle sue due diocesi. Grande devoto di Maria, ha avuto anche un profondo spirito di preghiera e di oblazione, cercando unicamente la gloria di Dio attraverso la salvezza delle anime. La sua salute è stata sempre cagionevole. Nonostante ciò, ha svolto una mole di lavoro impressionante, conservando in tutte le situazioni una grande pace ed un grande spirito di fede. Il 1° febbraio 1954 la S. Sede lo ha nominato Arcivescovo Titolare di Adrianopoli di Onoriade. Il 20 febbraio 1954 Mons. Farina è morto nell’Episcopio di Foggia, circondato da grande fama di santità. Il 23 novembre 2020, Papa Francesco autorizza la Congregazione delle Cause dei Santi a promulgare il Decreto sulle virtù eroiche del Servo di Dio e che lo dichiara Venerabile. Servo di Dio, fin da giovane, manifestò l’intenzione di santificarsi attraverso la pratica delle virtù cristiane. Visse eroicamente la virtù della fede, affidando a Dio il primato assoluto nella sua vita, come totale abbandono alla volontà di Dio. Scriveva nel suo Diario: “Mi sono offerto vittima a tutto quello che il Signore si compiacerà disporre di me per la salvezza delle anime”. Alimentò la fede con la meditazione, la preghiera privata e pubblica, la celebrazione eucaristica e l’adorazione e con la devozione alla Vergine Maria. Con l’esercizio eroico della virtù della speranza fu capace di affrontare le prove della vita e sostenne le rinunce di una vita austera. La fiducia nella volontà di Dio gli permetteva di rimanere sereno ed in pace anche nei momenti critici e di fronte anche alle calunnie. Tale virtù si manifestò fino alla sua morte, accettata serenamente come passaggio alla vita eterna. Esprimeva pienamente la risposta all’amore di Dio verso di lui con l’esercizio eroico della carità. Manifestava il costante desiderio di piacere soltanto a Dio non a parole, ma in ogni gesto concreto della sua vita. Esprimeva l’amore verso il prossimo sia in campo spirituale sia in quello materiale. Per il suo apostolato si ispirava all’esempio di San Francesco di Sales, cercando in tutti i modi di attirare, sia sacerdoti sia laici, all’amore a Dio, incoraggiandoli all’impegno nella testimonianza nella vita sociale. Ebbe una cura speciale verso i poveri, i deboli e i bisognosi, soprattutto durante i tragici eventi delle due guerre mondiali, in cui si prodigò per alleviare le sofferenze del suo popolo.

a cura dell' Arcidiocesi di Foggia-Bovino

Date l’annunzio ai popoli: Ecco, Dio viene, il nostro Salvatore". All’inizio di un nuovo ciclo annuale, la liturgia invita la Chiesa a rinnovare il suo annuncio a tutte le genti e lo riassume in due parole: "Dio viene".

È possibile aprire il futuro e generare cose belle e nuove. Da dove cominciare per superare difficoltà e problemi? Non da una cattiva ma da una buona notizia. Inizio della bella notizia è Gesù. Marco mostra ciò attraverso un precursore, qualcuno che ha preparato la venuta di Gesù. Anche per noi, la Buona Notizia viene attraverso persone ed eventi che indicano il cammino che porta a Gesù. Nella vita, chi mi ha indicato il cammino verso Gesù? Ho aiutato qualcuno a scoprire il Vangelo? Sono stato precursore per qualcuno? Desidero essere testimone del Risorto?

Mc 1,1: Inizio del vangelo di Gesù, Cristo, Figlio di Dio. Nella prima frase del suo Vangelo, Marco dice: Inizio della Buona Notizia (Vangelo) di Gesù, Cristo, Figlio di Dio! (Mc 1,1). Al termine del Vangelo, nel momento della morte di Gesù, un soldato romano esclama: Veramente, quest'uomo era Figlio di Dio (Mc 15,39). All'inizio e alla fine, c'è il riconoscere l'uomo Gesù, Figlio di Dio.

Mc 1,2-5: Il seme della Buona Novella da sempre è nascosto nella speranza. Marco cita i profeti Malachia e Isaia. La gente sperava che il messaggero, annunciato da Malachia, venisse a preparare il cammino del Signore (Ml 3, 1), secondo quanto proclamato dal profeta Isaia: «Voce di colui che grida: preparate il cammino al Signore, raddrizzate i suoi sentieri» (Is 40,3). Da secoli arriva la voce dei profeti che parlano dell'arrivo di Dio nella storia. Giovanni Battista concretizza al presente la venuta del Signore. viene nel deserto del cuore. Il deserto è il ritorno all'essenziale, dove incontriamo l'autenticità di noi stessi. Dio scende nel profondo della nostra umanità e invita a togliere ogni maschera, liberarci di ogni cosa superflua. Nel cammino verso il Natale il compito di Giovanni è di preparare la strada. Prima di Gesù dev'esserci Giovanni Battista. Prima che possa respirare Dio in me e risvegliare la mia parte divina che dorme, devo prendere consapevolezza delle mie fragilità. Dio ha spazio, può nascere, solo lì dove c'è libertà.

Mc 1,6: Giovanni non dà alcun valore al suo aspetto esteriore perché è coerente con se stesso; non ha bisogno né di vestiti, di maschere sotto cui nascondersi. Vestirsi bene è segno di decoro e anche di amore per sé. Ma quando il vestirsi bene è più importante della persona o il vestirsi bene serve a nascondere ciò che sta dentro, allora è schiavitù. Uomini sempre e solo vestiti bene, a puntino, ma che si nascondono dietro il vestito. Ma il Battista non è solo diverso nel vestire; è diverso in ciò che dice e fa. Per la sua libertà e per il coraggio della coerenza sarà imprigionato e ucciso da Erode. Giovanni non guarda in faccia nessuno, è un uomo che non si lascia condizionare né intimorire, ma in tutto aderisce alla volontà divina.Non seguiva nessuno e non gli interessava avere ammiratori. Una delle virtù più inseguite oggi è la compiacenza: lavorare tanto, così chi è a capo ti applaude, ti stima e se può ti promuove; oppure lavorare senza creare troppi problemi. «Convertitevi e fatevi battezzare»: l'unica condizione che il Battista richiede è non giocare con noi stessi e con Dio, non nascondere il male che è in noi, ma consegnare a Lui quello che siamo per cambiare mentalità e vita. Dio riparte da un germoglio, da chi è disposto a cambiare ancora e fa della propria appartenenza alla Chiesa un dono di cui essere custode e mai traditore. A Giovanni non interessa cosa diranno gli altri o se si attirerà le ire dei potenti, come Erode. Egli ama in maniera dura: provoca, ferisce, mette davanti alla verità, costringe a prendere le proprie responsabilità. La società è falsamente buonista. E invece noi abbiamo bisogno di credenti che ci mettano di fronte alle responsabilità e ci costringano a scegliere e accettare le conseguenze delle nostre scelte. Prova a rischiare la tua vita; osala, giocala, insegui un sogno, persegui un ideale, credi in qualcosa di grande. Rischiare vuol dire trascendersi, andare oltre se stessi, non accettare di essere solo questo, credere che si è di più. Convertirsi vuol dire rischiare, lasciare qualcosa e andare verso qualcosa di nuovo, che non conosco, sognare il possibile. Rischiare è generare nuove possibilità, è diventare più forti, diversi, nuovi; è nascere. Affrontare i problemi, mettersi in discussione e vedere i punti di vista dell'altro, fare una cosa che non si è mai fatta, farne una che si ha paura di fare, prendere l'iniziativa invece di aspettare che lo facciano gli altri, correre il pericolo di essere esposti al ridicolo, di essere rifiutati o esclusi; è fare quello che gli altri non si aspettano che noi facciamo; credere a qualcosa, anche se nessuno ci crede; è provarci; è andare con fiducia verso l'altro che è Dio.

Mc 1,8: Giovanni parla del battesimo d'acqua e di quello di fuoco, nello Spirito Santo. Il battesimo d'acqua è rendersi conto, di essere i figli amati di Dio. È il sentirsi avvolti, amati, percepire la nostra dignità: «Io sono figlio dell'Altissimo; non ho motivo, quindi, di aver paura». Il battesimo d'acqua è ciò che Dio ha fatto per noi. Il battesimo di fuoco, dello Spirito, invece, è diventare noi quello che siamo. È raggiungerci, purificarci come il fuoco che toglie le impurità; è partorirci tra fatiche, pianti, lotte e dolore; è diventare precursori, ricevendo lo Spirito Santo. Giovanni ha battezzato con acqua, voi invece sarete battezzati in Spirito Santo; avrete forza dallo Spirito Santo che scenderà su di voi e mi sarete testimoni (cf At. 1, 5-8).

Mc 13, 33-35. Il tempo di Avvento non può non essere tempo di veglia e di vigilanza. Insistentemente Gesù ci avverte: state attenti, vegliate, vigilate come il portiere di casa. È precisamente questo l’impegno dell’Avvento: non dormire, ma vegliare, non essere distratti ma attenti. C’è, infatti, un torpore nel mondo, che addormenta lo spirito dell’uomo rendendolo indifferente a Dio che viene. Come pure, c’è tanta superficialità mista a banalità, fuga dal pensare e voglia solo di godimento, uno stato di stordimento morale che impedisce di percepire le cose spirituali e di avvertire che il Signore è vicino, è alle porte. Come non si può dormire né vivere distrattamente mentre il Signore viene, così non è consentita alcuna fuga dal presente e dalla storia. Non è possibile rifugiarsi nel presente e neppure fuggire nel futuro, bisogna rimanere nell’oggi e qui, perché Gesù Cristo è lo stesso ieri, oggi e sempre (Eb 13,8).

Nel primo Natale, Gesù è venuto dall’esterno per entrare al nostro interno. Lo stesso accadrà alla fine dei tempi, nell’ora della Parusia: Egli verrà dall’alto e dall’esterno. Ma oggi, finché siamo nell’attesa, viene a noi dall’interno verso l’esterno, erompe dal nostro cuore, attraversandolo per irradiarsi attorno a noi. È qui che dobbiamo preparare la via e tracciare il sentiero.

Sorge, così, la domanda: come il discepolo dovrà aspettare la manifestazione del Signore Gesù?

Gv 1, 8: Egli non era la luce, ma doveva rendere testimonianza alla luce. Il Battista è semplicemente una voce che annuncia, un testimone che attira. Il vero testimone indica il Signore, ma si fa subito da parte per non rubargli lo spazio. La testimonianza ha sempre come oggetto la persona di Gesù ed è ordinata alla fede perché tutti credano per mezzo di Lui. Ed è sempre collocata in un contesto di opposizione e giudizio. Il conflitto è tra la luce e le tenebre, l’accettazione e il rifiuto, tra la fede e l’incredulità.

Gv 1, 26: In mezzo a voi sta uno che non conoscete. Il Battista non attira l’attenzione su un Messia assente che verrà, bensì su un Messia già in mezzo a noi ma che noi non conosciamo. Giovanni è il testimone di un Dio già qui. La sua presenza è già fra noi, ma è da scoprire e non tutti la vedono, e perciò occorre che un profeta la indichi. È chiaro che ora tocca a noi credenti sostituire il Battista nell’additare al mondo un Cristo già presente, passando attraverso il nostro cuore, le fragilità, il deserto e tutte le crisi. È sufficiente restare svegli, spegnere per un istante l’interminabile film delle distrazioni: tutte cose che addormentano l’animo, invece di tenerlo in stato di veglia. Perché portiamo Dio in noi e non solamente in noi: il Signore viene anche in ciascuno dei nostri fratelli. Nella misura in cui siamo vigilanti nella presenza di Gesù in noi, la percepiamo anche negli altri. L’amore dell’uomo per l’uomo deriva dall’amore di Dio e non è un simbolo dell’amore dell’uomo per l’uomo.

Lc 1, 31: Maria Santissima ci guidi in questo Avvento con un cammino di autentica santificazione. Contempliamo la Madre Immacolata come la “strada” che Dio si è costruita per venire a noi e anche la strada che sicuramente porta a Dio. È proprio vero che si va a Gesù per Maria, ma Dio stesso, prima, è venuto per Maria all’umanità e continua a venire a noi. Il Signore ha deciso che tutto avessimo attraverso la Vergine discepola e sorella-

Tu Signore ci hai preparato una strada, Maria, che insegna la via dei tuoi precetti: questa è la strada, percorretela, caso mai andiate a destra o a sinistra (cf. Is 30, 21). Come afferma Guerrico d’Igny: «“sono stato fanciullo e ora sono vecchio” (Sal 36, 25) e se ricordo bene non ho mai visto uno stolto aggirarsi per la tua strada; ho visto solamente alcuni uomini saggi, che l’hanno percorsa sino alla fine». La prediletta è la Madre del tuo Figlio.

In sintesi, il Vangelo d’Avvento è un invito a levare il capo e guardare in alto. Levare il capo dai piccoli passi e dalla polvere della nostra storia personale, fino a vedere i grandi passi della storia di Dio. Il cristiano è esattamente il contrario di chi non si aspetta più niente. Egli annuncia che il segreto della sua vita è oltre lui. Qualcuno manca, Qualcuno verrà. Qualcuno ha sempre da nascere: Gesù Cristo, radice e senso dei giorni, sorgente e ultimo orizzonte (cf. D. Mongillo).

Avvento: quel tempo magnifico che sta tra il gemito delle cose e la venuta di Cristo, lunga ora fra notte e giorno. In esso il cristiano è al tempo stesso custode dei giorni e pellegrino dell’eterno: come vivere il quotidiano guardando negli occhi le creature e l’ultima storia «fissando gli abissi del cielo fino a bruciarsi gli occhi del cuore». (David M. Turoldo)? Con un cuore moltiplicato, attento alle voci della terra e a quelle del cielo. Per ottenere questo Gesù avverte: state bene attenti che i vostri cuori non si appesantiscano. «State bene attenti»! L’altro nome dell’Avvento è vivere con attenzione. Il dono dell’Avvento è un cuore che ascolta.

Turba, ai nostri giorni, tutta la malinconia degli occhi della gente. Forse la fonte ne è un cuore appesantito, incapace di vivere attento. Vivere attenti agli altri, alle parole e ai silenzi, alle domande mute, alle ricchezze dell’altro. Quanta ricchezza - che sprechiamo - vive accanto a noi! Ricchezza di sentimenti, di intelligenza, di bontà, di bellezza e di santità che non sappiamo vedere. Vivere attenti alle piccole cose, alla qualità dei giorni e delle relazioni interpersonali.

In questo senso l’Avvento non si restringe in un tempo dell'anno, ma è il mistero di tutto l'anno e di ogni giorno della vita. Perciò Avvento vuol dire anche camminare, perché l’Avvento per l’uomo è impegno di domanda e ricerca.

E se l’Avvento annuncia la venuta di Dio tra noi, allora Avvento non è tanto una venuta quanto una manifestazione della sua presenza. Egli è già qui. Perciò con S. Bernardo si può parlare di “sacramento dell’Avvento” per indicare la presenza di Cristo nel mondo. Sacramento perché rivela una presenza nascosta (latebat), ma anche perché questa presenza di Cristo, che dell'Avvento oggi per noi ne fa un “tempo di visitazione”, è memoria del primo Avvento passato e annuncio dell'Avvento futuro.

L'11 settembre l'annuncio della ripresa della pubblicazione, oggi quella dell'uscita del numero 100. Un traguardo importante per "Voci e Volti, il periodico dell’Arcidiocesi di Manfredonia – Vieste - San Giovanni Rotondo, diretto da Alberto Cavallini.

 

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QUI IL PDF DEL NUMERO 98

 

 

Domenica 15 novembre 2020, presso la Casa di Padre Castrillo, nella parrocchia di Gesù e Maria a Foggia, in occasione della IV Giornata Mondiale dei Poveri, è stato organizzato un pranzo per i più bisognosi.

L’iniziativa, “Tendi la tua mano al povero”, vedrà la preparazione e distribuzione di un pasto.

L’evento avrà luogo a partire dalle ore 12, in via Tugini 1, con sacchetti da asporto, in ottemperanza con le normative anti CoVid-19.

Per contribuire a dar buon esito all’evento, gli organizzatori della Caritas parrocchiale chiedono ai fedeli di donare viveri, in particolare, olio, legumi – carne – tonno in scatola, salsa. La raccolta si svolgerà in chiesa durante tutte le Celebrazioni Eucaristiche di sabato 14 e domenica mattina 15 novembre.

Come ogni anno, il 2 novembre la Chiesa Cattolica commemora i defunti. La popolazione si reca ai cimiteri per ricordarli, portagli un fiore, parlarci, farli vedere ai loro figli. Una tradizione religiosa profondamente cattolica, nel rispetto della persona e dell’esistenza di una vita migliore dopo la dipartita, il “sonno perenne” sveglio di fianco a Nostro Signore. L’arcivescovo Metropolita dell’Arcidiocesi Foggia-Bovino ha voluto ricordare a tutti noi, con questi due messaggi, profonde preghiere d’amore, il senso della commemorazione, nel ricordo vivo dei nostri cari estinti terreni. L'invito a ricordare rivolto alle famiglie dei Figli in Cielo e il messaggio di ricordo che dopo questa vita ce n'è un'altra, migliore.

Una parola amica

Carissimi genitori,
ispirandomi a un testo di Maria Teresa Abignente della Comunità di don Luigi Verdi, vorrei suggerire qualche breve riflessione per questi giorni particolari dei nostri “Figli in Cielo”.

Siamo di fronte alla tomba che nasconde i figli ai nostri occhi. Vorrei con voi gridare di svegliarli, di uscir fuori, chiamare tanto forte da spezzare il loro sonno, frantumare il silenzio. Il dolore, cari genitori, si è immesso in ogni parte del vostro corpo e anche le lacrime non danno alcun sollievo, scendono a volte silenziose, a volte accompagnate da singhiozzi, ma non riescono ad alleggerire la desolazione dentro e accanto a voi.
Non possiamo capire il vostro dolore, restiamo in silenzio davanti ad un evento così ingiusto che ha stravolto per sempre la storia della vostra famiglia. Ma il dolore non può vincere e deve trasformare ogni esistenza. Immergiamo il mistero della morte nel mistero della vita che non finisce. Come affrontare questo? Non ci sono parole, tranne il silenzio e la vicinanza. La fede nella risurrezione è chiudere gli occhi e procedere al buio, quel buio che avete incontrato. Perché ancora tanta sofferenza? Neanche Gesù risponde a questa domanda, piuttosto dice: «Vieni, facciamo un po'di strada assieme, apriamo un sentiero di vita». Il dolore in sé non ha un senso, le lacrime non vanno asciugate, né respinte. Il dolore non può essere capito, bisogna lasciarlo essere in modo da trasformare la sua energia negativa in tenerezza e amore. Il Signore ci è accanto e piange le sue lacrime. Dio non è venuto a spiegare la sofferenza, ma a riempirla della sua presenza. Egli non ama il dolore, ma nel dolore è con ciascuno di voi per moltiplicare la forza che argina ogni paura.

I nostri figli, giovani speciali, che amarono e gioirono, ora sono nell’abbraccio di Dio. Restano a noi più vicini quando gli occhi sono in lacrime, il cuore resta muto e girano a vuoto le energie dell’esistenza, quando le angosce sembrano annullare la fede e il tempo acuisce le piaghe della loro assenza. L’amore è ciò che rimane e il nostro cuore è in loro, anche se il corpo è lontano da noi.

Cari papà e mamme,
se dovete parlarci fatelo con il silenzio. Non ci vogliono parole, basta il dono inesprimibile di un bacio. Non vediamo l’ora di ricontrarci. Da bambini, quando avevamo paura ci nascondevamo dietro di voi...ora voi non nascondetevi per paura dietro di noi.
La nostra morte non solo può essere detta a partire dalla vita: essa anche parla alla vita.
Non dovete temere, lo ripete Gesù. Confidate, abbiate fiducia. Siamo nel respiro del Risorto.

Messaggio per la commemorazione dei defunti

Carissimi,
basta uno sguardo all’esistenza umana per constatare quanto la vita sia segnata dalla domanda che è la morte. Siamo tutti solidali nel camminare verso la morte, che non è affatto un mancare ultimo, ma è, prima di tutto, una imminenza che sovrasta. Davanti a questa vertigine diventiamo inquieti riguardo al nostro destino e ci interroghiamo senza avere risposte.
Dietro l’evasione della domanda che è la morte, si nasconde in realtà l’assenza di passione per la verità: attraverso l’eclissi della morte si tende a portare gli uomini a non pensare più, per abbandonarsi a quello che è fruibile e calcolabile con il solo interesse della consumazione immediata.
È il trionfo della maschera a scapito della verità: è il nulla della rinuncia ad amare. Scompaiono, così, i segni del lutto e viene meno uno sguardo religioso sul compimento dell’esistenza terrena. Senza una religione della morte resta in piedi una vaga e sentimentale esperienza morbosa della vita. La morte, così, viene concepita come accidente, se non addirittura come incidente. E così anche le procedure della morte, insieme a tante altre che riguardano la vita, le relazioni, i viaggi e le vacanze, finiscono in una sorta di foglio di calcolo, capace di convogliare i momenti dell’esistenza in un risultato che a noi interessa governabile. Ci si allontana, così, anche dal corpo morto e dai luoghi in cui la vita continua a pulsare. Penso all’industria della sepoltura, al protagonismo efficientista delle aziende mortuarie, che allontanano sempre più l’esperienza personale e collettiva della morte dalla propria abitazione. Ci si ritrova dinanzi al proliferare delle cosiddette case del commiato, che espropriano la gestione della morte dal suo naturale nucleo familiare.
Eppure, l’audacia della sofferenza per noi credenti non è la mancanza di qualcosa, ma una qualità dello spirito che cerca l’essenziale. Nello sguardo della fede alla ricerca di un senso che faccia non solo della vita il cammino responsabile dell’imparare a morire, ma anche renda la morte il giorno natale della gloria, evento misterioso del nascere oltre la morte.
Il Signore raccoglie le nostre lacrime, una ad una come in uno scrigno prezioso, quasi fossero il suo tesoro.
Dio è sempre vicino a chi ha il cuore spezzato, salva gli animi affranti. Parole che lasciano disarmati, che disorientano se non si pensa che il luogo dove risiede la felicità è Dio. La fede è una luce che fatica ad illuminarci quando ci scontriamo con la durezza di un dolore, con l’urlo lancinante che ci apre al distacco. La sofferenza non gira su se stessa, non è un flagello inutile, è una spada piantata nel centro delle nostre giornate per separarci dall’effimero; è la spinta che ci permette di approdare alle sponde dell’eterno.
Lo insegna Gesù che sulla croce nel suo abbandono non esita a rinviare al volto paterno e amoroso la sua angoscia: “Padre, nelle tue mani affido la mia vita”. La desolazione e la solitudine rivelano la solidarietà con la condizione umana, con la quale il crocifisso entra fino in fondo. All’abbandono, però, si unisce nella vicenda di Gesù, la comunione con Colui che l’abbandona: l’abbandonato accetta in obbedienza d’amore la volontà del Padre: “Padre, mi abbandono a te”. La possibilità di vivere la separazione più alta apre ad una profondissima vicinanza: morire come Gesù e con Lui è abbandonarsi a Dio, lasciando che tutto si schiuda ad un’altra luce, in Colui che ci accoglie.
Non basta una vita per comprendere che nell’amore di Dio tutto è vita, anche la morte. Il senso della vita è sempre oltre.

Un abbraccio affettuoso
†Vincenzo Pelvi

Oggi, 14 ottobre 2020, a Foggia è lutto cittadino.

Si sono svolti i funerali del commerciante Francesco Traiano, titolare del bar –tabacchi “Gocce di caffe”, rimasto prima ferito gravemente alla testa, poi deceduto qualche giorno fa dopo una lunga agonia, durata circa un mese, al Policlinico di Foggia.

Tutta la città, durante i funerali svolti questa mattina, si è fermata. Palazzo di Città a lutto, bandiere a mezz’asta, negozi chiusi o con le saracinesche abbassate. Un bagno di folla ha voluto porgere a Francesco l’ultimo saluto presso la chiesa Beata Maria Vergine. Commozione, lacrime, disperazione per una vita andata via molto presto, un ricordo che ha scatenato indignazione a tutti i foggiani, pensando anche a quello della sorella di Francesco, Giovanna Traiano nel 2003 vittima del suo carnefice, il marito. Due vite, ora assieme, che avrebbero potuto continuare a esserci se la mano violenta di chi con la violenza crede di risolvere problemi e di imporre la sua volontà, quella criminale mossa per pochi spiccioli.

Dalla chiesa, oltre a quella già ascoltata da cittadini e istituzioni, e condivisa, si erge la parola di Mons. Vincenzo Pelvi, Arcivescovo Metropolita dell’Arcidiocesi di Foggia-Bovino “Foggia reagisci. Autori del delitto, costituitevi!”

Una parola amica
Carissimi,siamo qui, di fronte alla bara, che da oggi nasconde Francesco ai nostri occhi. Vorrei con voi gridare di svegliarlo, di uscir fuori, chiamare tanto forte da spezzare il suo sonno, frantumare il silenzio. Il dolore, cari familiari, si è immesso in ogni parte del vostro corpo e anche le lacrime non danno alcun sollievo, scendono a volte silenziose, a volte accompagnate da singhiozzi, ma non riescono ad alleggerire la desolazione dentro e accanto a voi. Non possiamo capire il vostro dolore, restiamo in silenzio davanti ad un evento così ingiusto e violento che ha stravolto per sempre la storia della vostra famiglia, già duramente provata. Ma il dolore non può vincere e deve trasformare ogni esistenza. Immergiamo il mistero della morte nel mistero della vita che non finisce. Come affrontare questo? Non ci sono parole, tranne il silenzio e la vicinanza. La fede nella risurrezione è chiudere gli occhi e procedere al buio, quel buio che avete incontrato. Perché ancora voi tanta sofferenza? Come facciamo a ricominciare? Neanche Gesù risponde a queste domande, piuttosto dice: «Vieni, seguimi, facciamo un po'di strada assieme, apriamo un sentiero di vita». Il dolore in sé non ha un senso, le lacrime non vanno asciugate, né respinte. Il dolore non può essere capito, bisogna lasciarlo essere in modo da trasformare la sua energia negativa in tenerezza e amore. Il Signore ci è accanto e piange le sue lacrime. Dio non è venuto a spiegare la sofferenza, ma a riempirla della sua presenza. La morte, dunque, non solo può essere detta a partire dalla vita: essa anche parla alla vita. Non dovete temere, lo diceva Gesù alla vigilia della sua morte. Confidate, abbiate fiducia: è la parola che stamane il Signore dice a noi, donandoci una forza immensa che ci trascinerà sempre più su in una purezza più luminosa, in una semplicità sempre più grande, in un amore sempre più potente per Lui. Cari amici, la triste e tremenda circostanza diventa anche un appello di coraggio per reagire all’inquietante malessere sociale che respiriamo nella nostra città. Contro i condizionamenti perversi della criminalità, la diffusione di comportamenti asociali, la nuova aggravata incidenza delle “illegalità” diffuse, l’impoverimento del potenziale umano giovanile, il nostro grido si fa più eloquente: Foggia reagisci. Il tuo futuro sarà rassicurante se andrai oltre la miope chiusura delle protezioni e non ti concederai alla subalternità dei privilegiati, consapevole che rubare ad altri per sé e per i propri interessi danneggia il bene comune più che il Covid-19 e la miseria. Nelle pieghe di ogni forma di corruzione si nasconde il disprezzo verso quell’insieme indistinto chiamato “la gente”, non più in grado di opporre una resistenza condivisa e critica. Siamo, infatti, testimoni della celerità con cui il sentire superficiale tende a lasciarsi condizionare dalla moda del momento. Ne consegue, così, che ci stiamo abituando alla parola... e ai fatti di corruzione, come se facessero parte della vita normale della società, quasi uno stile accettabile e desiderabile nella convivenza cittadina. Di qui l’urgenza di ripristinare la legalità nel campo delle relazioni sociali dove l’idea che tutto sia lecito, anche arricchirsi con ruberie, concussioni e corruzioni, illegalità piccole e grandi, omertà. Per ricostruire una cultura della legalità occorre cominciare dal basso promuovendo un’opera di rigenerazione collettiva di nuovi rapporti sociali.
Autori di questo delitto, liberatevi dalla spirale di morte che avete generato e che non smetterà di inseguirvi. Costituitevi! Francesco, giovane buono e mite, che faticò, amò e gioì, ora è nell’abbraccio di Dio. Carissimo Francesco, resta a noi più vicino quando gli occhi sono in lacrime, il cuore resta muto e girano a vuoto le energie dell’esistenza, quando le angosce sembrano annullare la fede e il tempo acuisce le piaghe della tua assenza. Il tuo amore è ciò che rimane e il nostro cuore è in te, anche se il corpo è lontano da te. Rendi per noi anche la morte una vita di amore. Abbandoniamoci a Dio, che Egli faccia di noi quello che vuole. Apriamo l’anima alla speranza e saremo messaggio di meravigliosa bellezza spirituale, imparando a soccorrere gli altri con un sorriso, un gesto di affetto e di misericordia.
Maria, Madre addolorata, prega per noi, prega con noi"

 

Giovedì 8 ottobre, dalle ore 16,30 alle ore 19.30, si svolgerà da remoto, adoperando una piattaforma digitale, il primo incontro della seconda annualità del progetto biennale “L’arte di essere Umani – AREUMA – CPD – Program 2019 2021”, dedicato alla formazione di docenti di religione e non solo, organizzato dall’Ufficio di Pastorale Scolastica della Diocesi di Molfetta-Ruvo-Giovinazzo-Terlizzi, con il sostegno del Consiglio Regionale della Puglia, del Comune di Molfetta e del Comune di Ruvo di Puglia, in collaborazione con la SISUS – Società Italiana di Scienze Umane e Sociali, l’IISS “Mons. Antonio Bello” di Molfetta, il Centro CAV “Granello di Senape” di Ruvo di Puglia e il Centro CAF “Chiara Corbella Petrillo” di Ruvo di Puglia.
L’incontro sarà tenuto dal prof. Fabio Pompeo Mancini, Docente di Pedagogia sociale presso LUMSA di Taranto, con una relazione dal titolo “La questione antropologica nella sfida della modernità”, e potrà essere seguito sul sito diocesano www.diocesimolfetta.it, dove sarà anche disponibile un modulo di firma all’inizio e alla fine dell’incontro.
Il progetto si articola in 21 ore di formazione (7 incontri) per ciascuna annualità del biennio 2019-2021 e si propone di coinvolgere la realtà scolastica attraverso la promozione di una nuova concezione dell’humanum che abbia l’effetto di favorire, mediante appositi strumenti educativi, la conoscenza di sé, l’autoconsapevolezza, la libertà nella ricerca della felicità e una rinnovata responsabilità dei cittadini.
I docenti di ruolo nelle scuole di ogni ordine e grado possono iscriversi accedendo alla piattaforma SOFIA e inserendo il codice identificativo 72423. I docenti non di ruolo e/o di religione cattolica possono inviare la loro iscrizione a Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo., compilando il modulo in allegato. Anche i docenti che hanno partecipato al Corso lo scorso anno devono iscriversi nuovamente.

Eventuali aggiornamenti circa le modalità di svolgimento degli incontri saranno tempestivamente comunicati mediante e-mail e ulteriori chiarimenti possono essere richiesti ai seguenti indirizzi e-mail: Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo. e Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo..">Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo..

 

Durante il corso del Congresso peculiare dei Consultori Teologi presso la Congregazione delle Cause dei Santi, è stato dato all’unanimità parere positivo in merito all’esercizio eroico delle virtù, alla fama di santità e di segni del Servo di Dio Felice Canelli (1880-1977), sacerdote della diocesi di San Severo, Salesiano Cooperatore, la cui Causa di Beatificazione è seguita dalla Postulazione salesiana.

“Don Felice, come lo hanno chiamato in maniera affettuosa per decenni generazioni di sanseveresi – dichiara il Sindaco Francesco Miglio – è nei ricordi di tutta la nostra città, testimonianza del cuore grande e caritatevole che i sanseveresi sanno esprimere. E’ un Figlio prediletto di San Severo, ha dedicato la sua vita ai più bisognosi, ai poveri, ai fanciulli, sempre disponibile verso il prossimo, umile, davvero Servo di Dio. A nome mio personale e di tutto il Comune di San Severo saluto con enorme gioia questa lieta notizia, che fa incamminare Don Felice verso il riconoscimento ufficiale della Chiesa per le sue virtù ormai in fama di santità”.

Quale nota su Don Felice tratta dalla Agenzia Info Salesiana.

Il Servo di Dio Felice Canelli nasce il 14 ottobre 1880 in estrema povertà. La giovane mamma, rimasta vedova, educa i figli a confidare nella Provvidenza. Il sogno di Felice è diventare prete, ma è povero. Il canonico don Luigi Giuliani lo aiuta materialmente e spiritualmente. Viene così ammesso, dal 1892 (e fino al 1903), in seminario, dove viene formato nello spirito della Rerum Novarum di Leone XIII.

Il 6 giugno 1903 don Felice venne ordinato sacerdote. Nel 1905 con l’arrivo a San Severo dei figli di Don Bosco, don Canelli predilige nella sua pastorale l’amore per la gioventù e la classe popolare e resterà fedele figlio di Don Bosco sino alla fine. Dal 1909 al 1927 si occupa della Rettoria di Sant’Antonio Abate e con gli ex allievi salesiani del “Circolo Don Bosco” fonda in loco l’Azione Cattolica, il Partito Popolare. Dalla Gioventù femminile di Azione Cattolica fa nascere le “Dame della San Vincenzo” perché il Vangelo della carità sia ovunque.

Nel 1927 viene nominato parroco di Croce Santa, parrocchia di estrema periferia: vi resterà fino alla morte. Con il motto paolino “omnibus omnia” si fa vicino ai poveri per portarli a Dio e per promuoverli nella loro dignità. Per rispondere alle povertà emergenti nel secondo conflitto mondiale moltiplica in diocesi e in parrocchia le opere caritative e assistenziali. Consumato dall’amore per Dio riflesso nell’amore per le anime don Canelli muore il 23 novembre 1977, con le mani aperte ed elevate al Cielo e con preghiera del Gloria sulle labbra e nel cuore.

fonte: www.vaticannews.va

“Mater Misericordiae”, “Mater Spei” e “Solacium migrantium”, ovvero conforto, aiuto dei migranti: sono le tre nuove invocazioni inserite per volontà di Francesco nell’elenco delle Litanie Lauretane. Monsignor Roche del dicastero per il Culto Divino: sono preghiere legate all’attualità della vita.

Alessandro De Carolis – Città del Vaticano
Un sole del quale si scoprono ogni tanto nuovi raggi. Si potrebbero pensare così le Litanie Lauretane, le secolari invocazioni alla Vergine che concludono tradizionalmente la recita del Rosario. A quelle già note Papa Francesco ha deciso di aggiungerne tre nuove: “Mater Misericordiae”, “Mater Spei” e “Solacium migrantium”, ovvero “Madre della Misericordia”, “Madre della Speranza” "Conforto" ma anche "Aiuto" dei migranti.

Le nuove invocazioni
A comunicare questa disposizione del Papa è stata la Congregazione per Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti in una lettera indirizzata ai presidenti delle Conferenze episcopali. “Innumerevoli sono i titoli e le invocazioni che la pietà cristiana, nel corso dei secoli, ha riservato alla Vergine Maria, via privilegiata e sicura all’incontro con Cristo”, scrivono nella lettera il cardinale Robert Sarah e l’arcivescovo Arhur Roche, prefetto e segretario del dicastero vaticano. Ora, precisano, “la prima invocazione sarà collocata dopo Mater Ecclesiae, la seconda dopo Mater divinae gratiae, la terza dopo Refugium peccatorum”.

Roche: preghiere nate dalle "sfide" della vita
Anche se antiche, le litanie – dette “Lauretane” dal Santuario della Santa Casa di Loreto che le ha rese celebri – hanno un forte aggancio con i momenti vita della Chiesa e dell’umanità. Lo affermano i vertici del Culto Divino sottolineando che “anche nel tempo presente, attraversato da motivi di incertezza e di smarrimento”, il ricorso “colmo di affetto e di fiducia” alla Madonna “è particolarmente sentito dal popolo di Dio”. Monsignor Arthur Roche ribadisce a Vatican News questo vincolo tra spiritualità e concretezza del tempo, della quotidianità. “Vari Papi – ricorda monsignor Roche – hanno deciso di includere invocazioni nelle Litanie, per esempio Giovanni Paolo II ha aggiunto l’invocazione alla ‘Madre della famiglia’. Rispondono al momento reale, un momento che presenta una sfida per la gente”. “Il Rosario, lo sappiamo, è una preghiera dotata di una grande potenza e dunque – conclude il segretario del dicastero vaticano – in questo momento le invocazioni alla Vergine sono molto importanti per chi sta soffrendo per il Covid-19 e, fra loro, i migranti che hanno anche lasciato la loro terra”.

Questa volta non è il politico di turno o di zona a insorgere contro un disservizio e a difesa di chi lo ha subito sulla propria pelle. È un sacerdote. Con una lettera alla stampa, S.E. Mons. Franco Moscone, Arcivescovo della diocesi di Manfredonia-Vieste-S.Giovanni Rotondo, denuncia pubblicamente il grave atto messo in pratica a 24 studenti da chi ha in gestione il servizio di trasporto da Macchia (frazione di Monte Sant’Angelo) per chi si reca a scuola. La tratta incriminata è la Mattinata – Manfredonia. S.E. Mons. Moscone chiede spiegazioni, a fronte delle norme anti CoVid-19 da rispettare, perciò limitando l’accesso a chi regolarmente ha pagato un abbonamento o un biglietto, ma con più pullman in servizio.

«L’arcivescovo di Manfredonia-Vieste-S.Giovanni Rotondo, p. Franco Moscone, denuncia il disservizio del trasporto pubblico degli studenti residenti a Macchia, frequentanti scuole in Manfredonia.
Per alcuni giorni, ben 24 studenti residenti nella frazione Macchia di Monte Sant’Angelo, pur avendo pagato l’abbonamento per il mese di settembre, sono stati regolarmente lasciati a piedi dai pullman di linea provenienti di Mattinata e diretti a Manfredonia. Se pur buono e doveroso che si osservino le norme di sicurezza dei passeggeri a bordo, rispettando i limiti di affollamento previsti dalle norme in materia di diffusione del coronavirus, è altrettanto doveroso che le aziende concessionarie del trasporto pubblico che ben conoscono il numero degli abbonati, provvedano con urgenza al trasporto degli abbonati studenti con mezzi bis e/o tris che sulla tratta in argomento possano consentire agli studenti di raggiungere la scuola al mattino e all’ora di pranzo di ritornare a casa.
Sono giorni che l’Arcivescovo riceve telefonate e messaggi dagli studenti e dai genitori infastiditi per il disservizio del servizio pubblico di trasporto che sta creando problemi alle famiglie residenti a Macchia e agli studenti che restano a piedi perché i pullman sono già pieni, per cui i genitori sono costretti a provvedere con mezzi propri al trasporto dei giovani studenti a scuola.
Al rientro, poi, dopo le 12,30, se per la calca non possono salire sul pullman, gli studenti devono attendere i pullman successivi previsti alle 16 o alle 17. In teoria i ragazzi devono aspettare diverse ore per far ritorno a casa.
L’Arcivescovo auspica, facendosi voce degli studenti di Macchia, che per l’attenzione delle aziende di trasporto pubblico, nelle fasce orarie di entrata e uscita da scuola, si provveda presto a intensificare le corse con più pullman in servizio visto che gli automezzi pubblici possono essere riempiti solo per 80%.
Con stima invio cordialità».

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