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La Via Francigena è stata inserita all’interno del Recovery Plan, il Piano Nazionale Ripresa e Resilienza varato dal Governo.

A darne notizia è il presidente della commissione Cultura del Senato, Riccardo Nencini.

Nel Recovery Plan per la Via Francigena sono stati inseriti fondi per la valorizzazione dei camminamenti dei pellegrini e il completamento per le loro strutture ricettive.

In Capitanata si spera che il piano di ripresa dei camminamenti dei pellegrini diventi una realtà e che possa conferire respiro al turismo, maggiore visibilità, accrescimento culturale, specie tra gli studenti, coinvolgendo scuole e università.

La riscoperta dei borghi storici, l’investimento sulle green ways (strade nel verde) e per il recupero delle identità locali, sono pilastri insostituibili del turismo in Italia. In questa ottica il Governo ha voluto ridare centralità ai comuni, coordinandoli.

Inoltre, gli interventi prevedranno messe in sicurezza di punti di sosta già presenti e l’aumento degli stessi laddove mancano, specie in prossimità di luoghi sacri, storici e di rilevanza culturale.

Il progetto prevede anche una maggiore compartecipazione culturale con la Chiesa, appunto per la sua primaria funzione nel pellegrinaggio religioso. Identico auspicio è per le scuole e le università.

«Illuminare il Tempietto della Villa Comunale, il sacello dedicato all’illustro concittadino Giuseppe Rosati, progettato dall’ing. Luigi Oberty, è per me un grande onore. Il Tempietto lo conosco come le mie tasche. E’ un luogo che conosco fin dall’infanzia. Ho vissuto a pochi metri da quella architettura. Una architettura sempre poco considerata dai foggiani. Considerata alla stregua di un attrezzo da parco giochi e difatti utilizzata per divertimento e purtroppo non rispettata». Con questa premessa il Lighting Designer  e Light Artist Romano Baratta, foggiano D.O.C. apprezzato a livello internazionale per i suoi interventi di luce, che ha il suo studio nel nord dell’Italia, dal Comune di Foggia ha avuto mandato per dar bellezza, lustro, importanza e fruibilità a un’opera neoclassica che contraddistingue Foggia e la sua Villa Comunale.

La notizia è stata già diffusa da un quotidiano locale. Oltre ai necessari interventi di pulizia, manutenzione e restauro a cura di una restauratrice accreditata al Ministero dei Beni Culturali, oltre all’installazione di un impianto di videosorveglianza, il Tempietto con il relativo obelisco posto al centro della struttura dell’ing. Luigi Oberty, verrà impreziosito dall’Urban Lighscape di Romano Baratta.

Il Tempietto antistante il boschetto della Villa Comunale Carl Wojtyla è parte integrante dell’architettura ottocentesca neoclassica che nel 1820 Oberty progettò e realizzò, di fatto dedicato a Giuseppe Rosati, soprannominato il “Newton pugliese”, dottore in medicina, studioso di agraria, geografia e matematica.

Infatti, a fine lavori, la struttura riavrà il busto bronzeo di Rosati, ora custodito presso il Comando della Polizia Locale di Foggia, dopo l’atto vandalico che nel 2017 lo vide imbrattato e deturpato.

L’intervento è uno dei sogni che Romano Baratta ha, da sempre, manifestato di realizzare. Con esso ve ne sono altri nel cassetto, in attesa che vengano ascoltati per attuarli. L’amore per la storia e la cultura, particolarmente della terra natia di Romano, appunto Foggia e tutta la sua provincia, è un punto fermo dell’artista per ridare valore a un territorio che ha tutto ma che necessita di attenzione. E con l’arte è possibile, in una terra federiciana per antonomasia che attende il ritorno a fasti e turismo lontani da ormai circa mezzo secolo.

«Bisogna considerare che è prima di tutto un sacello e quindi un luogo sacro alla cultura e alla memoria di Giuseppe Rosati. Poi è una opera del grande ingegnere Luigi Oberty, che non è stato un semplice ingegnere ma un visionario e soprattutto un amante della bellezza e dell’eleganza. Che ha permesso a Foggia di splendere anche nel periodo neoclassico con architetture importanti che oggi rappresentano Foggia» ha proseguito Romano Baratta, che ricorda la sua infanzia, essenziale per assimilare ciò che oggi esprime.

«Il Tempietto lo visitavo quasi quotidianamente, quando andavo nel boschetto a giocare con mio fratello e i miei amici a caccia di avventure. Da bambino il Tempietto lo vedevo come un luogo metafisico, etereo: una apparizione. Mi sembrava come una astronave del passato che si era adagiata sul colle del boschetto. Una astronave greca che fiera dominava l’area circostante. Custode di leggende e camminamenti antichi, come quelle grotte su cui si poggia e che in passato sembrano essere servite per la salvezza di molti foggiani. Eravamo come “I Goonies” (film cult degli anni 80). Lo abbiamo sempre rispettato. Avvertivamo che era un luogo sacro anche se bambini. Poi negli anni ho conosciuto la sua storia e cosa rappresentasse realmente. Era svanita l’aura leggendaria per far posto al suo valore estetico e culturale. Avevamo vicino casa un tempio greco come il Philippeion di Olimpia o quelli romani come il Tempio di Vesta a Roma o a Tivoli, lì dimenticato come in una pittura Capriccio con rovine. Quella però non era un fantasia ma era vero, tangibile: vedevo un monoptero che stavo studiando sui libri di scuola. Naturalmente sapevo che non era antichissimo ma la sua presenza in un contesto agreste lo rendeva unico, straordinario. Un tempio dove tutti potevamo entrare e farti sentire, per un momento, in un luogo diverso».

Una testimonianza che deve far riflettere chi vuol una Foggia attrattiva, con la sua provincia, pronta a conferire cultura in ogni angolo e trasmettere storia, mezzo per le scuole locali animato con gli strumenti odierni.

«Il contesto ambientale è straordinario –ricorda Baratta-. Ci sono insieme aspetti naturali e aspetti architettonici combinati in modo delicato. Una carezza per le afose e calde giornate estive che a Foggia si avvertono amplificate. Oberty ha saputo comprendere cosa servisse alla città. Un luogo di ristoro, termine oggi abusato, ma che chi conosce il caldo soffocante capisce che quel boschetto è davvero un ristoro per il corpo e per l’anima. E’ un ristoro per l’anima in qualsiasi periodo dell’anno. E’ un luogo in centro che permette di allontanarsi dal cemento e da pensieri grevi. Un luogo forse mai capito dai foggiani. Oberty sapeva cosa servisse a Foggia e ci ha donato la Villa Comunale. Oggi, in questo periodo di claustrofobia, serve ancor più. Il recupero dell’area è necessario. Recuperare l’intera villa –rimarca l’artista e il lighting designer-. E’ necessario soprattutto far cambiare la considerazione del boschetto. Non è un luogo di perdizione e sporco ma lo è diventato per la incuranza e la non conoscenza. I luoghi abbandonati diventano preda della delinquenza. Quel luogo è magico. I boschi lo sono. Ma spesso nella contemporaneità non si comprende l’importanza dell’energia dei boschi e quindi vengono depredati, vandalizzati, sporcati e relegati a luoghi da nascondere. Spetta a noi far cambiare le cose. Cominciare a frequentarlo».

Un monito a chi in questi decenni ha dimenticato le bellezze cittadine, la loro importanza, la storicità e soprattutto il rispetto del bene comune, patrimonio inestimabile della civiltà e democrazia.

«Ho sempre creduto che avrei potuto dare il mio contributo –confida Romano con occhi lucenti, anche umidi-. Da anni cerco di far capire che è necessario migliorare l’illuminazione dell’intera villa comunale. Che così facendo è possibile farlo tornare un luogo sicuro e bello anche di sera. Si pone in questa ottica l’illuminazione del Tempietto. Permettere a questo monumento e all’intero boschetto di cambiare immagine, di far cambiare la considerazione negativa e di “accendere” un riflettore… farlo emergere nel panorama culturale cittadino. Il sacello di Rosati deve diventare un luogo da visitare. Un luogo dove ricordare due grandi persone, Giuseppe Rosati e Luigi Oberty. Luogo dove depositare dei fiori.

Il mio intervento sarà elegante. Metterà in evidenza gli elementi esistenti ma soprattutto l’anima di questo luogo. La volontà è di renderlo affascinante. Un posto dove la gente deve sentire voglia di andare. Deve esserne attratta. Vederlo e poi aver voglia di rivederlo ancora e ancora. Un punto di pellegrinaggio.
Un luogo del cuore. Sarà una luce che emanerà l’essenza del suo creatore e di Giuseppe Rosati.

Spero, quanto prima, di illuminare anche il Pronao in modo permanente non solo come monumento ma anche come baluardo foggiano contro la guerra. Esempio di resilienza foggiana. Il pronao si è inginocchiato alla guerra ma si è rialzato maestoso come una araba fenice».

Sogni che si rincorrono, che pian piano si stanno realizzando. Sogni di un bambino che ha vissuto intensamente quei luoghi, la terra un tempo calpestata dallo Stupor Mundi, da quel Federico II di Svevia che scelse il capoluogo dauno centro rurale e che a pochi chilometri lasciò le sue spoglie terrene. Un riferimento dovuto quello dell’Imperatore poiché nelle intenzioni di Romano Baratta ci sono anche proposte per ciò che Federico II ci ha lasciato. Con la sua arte, la sua cultura, il suo amore e professionalità, i sogni di Romano si spera diventino realtà, per tutti, perché è questa la vera mission degli interventi di Romano Baratta.

«Foggia può cambiare marcia. In passato la città ha avuto differenti periodi importanti poco narrati: nel Neolitico, nello speciale ed unico periodo Dauno, nel medioevo con i fasti federiciani, nel genuino e efficace Barocco foggiano, nel Neoclassico puro di Oberty, nel caldo Liberty pugliese e per finire nel Razionalismo essenziale dei primi decenni del 1900.

Foggia può essere raccontata –conclude Romano-. Abbiamo il compito di farlo. Non serve tanto. Serve volontà».

Visitate la pagina web di Romano Baratta - www.romanobaratta.com

fonte: fondoambiente.it

Continua il viaggio nell’Italia virtuosa di Giuliano Volpe. Nella sesta tappa ci accompagna in un contesto rupestre di straordinaria qualità paesaggistica e cultura: il villaggio medievale di Lama D’Antico, nel territorio di Fasano in Puglia.

In Puglia, dove da alcuni anni anche il FAI ha un sito recuperato e gestito meravigliosamente, l’Abbazia di Santa Maria di Cerrate, assolutamente da non perdere, sono presenti anche varie altre interessanti realtà di gestione “dal basso” del patrimonio culturale. Ne segnalo una in un contesto rupestre di straordinaria qualità paesaggistica e cultura, il villaggio medievale di Lama D’Antico, nel territorio di Fasano.

Com’è noto il paesaggio pugliese è attraversato dalle “lame”, caratteristici solchi fluviali. Una di queste è appunto Lama D’Antico, un ecosistema di grande pregio anche sotto il profilo vegetale, con meravigliose espressioni della macchia mediterranea (lentisco, anagiride, capperi, ecc.), in una campagna dominata da ulivi secolari, denso di storia, grazie a un sistema di grotte abitate in particolare in età medievale, come espressione di un diverso modo di vivere, lavorare, pregare.

Il villaggio, una delle manifestazioni più monumentali dell’habitat rupestre, è ora ben attrezzato come parco archeologico (con centro informazioni, visite guidate, servizi, area pic-nic, parcheggi) e consente di effettuare un vero e proprio viaggio nel Medioevo, tra le varie espressioni della vita quotidiana, nelle abitazioni, nelle grotte laboratorio, nelle stalle, nelle chiese.

Il fulcro del villaggio rupestre è la chiesa di Lama d'Antico, una delle più grandi della Puglia. Monumentale nelle dimensioni e dotata di un pregevole apparato architettonico e pittorico, con chiari influssi orientali, è articolata in due navate. Tutta la chiesa doveva essere in origine affrescata, come documentano i tanti resti, tra cui si segnala la straordinaria immagine nell’abside con la Maiestas Domini, con il Cristo racchiuso in un ovale e ai lati i simboli degli evangelisti, San Giovanni Battista e la Madonna con il Bambino.

Non meno interessanti sono le grotte adibite ad abitazioni o a opifici, articolate in vari vani, ricche di tracce e segni lasciati nel corso del tempo da chi in queste dimore ha vissuto, dormito, lavorato, animando la vita e l’economia del villaggio con derrate alimentari (come dimostrano anche i resti di torchi e vasche di decantazione dell’olio) o manufatti artigianali.

Chiesa Lama D'Antico

Chiesa Lama D'Antico | fonte: fondoambiente.it

Altre chiese rupestri sono quella di San Giovanni, che conserva l'antica iconostasi e straordinari cicli pittorici, con la raffigurazione di santi, e quella di San Lorenzo, uno spazio sacro dalle coloratissime decorazioni pittoriche in cui l’architettura scavata nella roccia si modella ancor di più in funzione della liturgia.

Questo complesso, di proprietà del Comune di Fasano, è ora gestito dalla Fondazione San Domenico, una benemerita istituzione nata per sostenere la ricerca, la tutela e la valorizzazione degli insediamenti rupestri nei territori di Fasano e Monopoli, e dalla cooperativa ARS. Un esempio significativo di gestione con il coinvolgimento di alcune delle espressioni migliori della società, degli studi, dell’associazionismo, dell’imprenditoria pugliese.

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a cura di Matteo Notarangelo, Sociologo e counselor professionale.

Il 13 febbraio è il giorno della memoria per le vittime meridionali. “La consapevolezza del passato ci aprirà gli occhi e ci permetterà di guardare al futuro”, cosi scriveva il meridionalista Nicola Zitara. Per l’occasione, il cantautore Antonio Silvestri e la soprano lirica Mariella Ciuffreda  hanno proposto alcune suonate e canti sanfedisti. Una giornata di cultura e di musica per riconsiderare un pezzo della  storia meridionale,   oscurata dalla storiografia ufficiale. Non solo. Durante la serata, gli ospiti della comunità psichiatrica “Gheel”  e del Centro Diurno di Monte Sant’Angelo (Fg) hanno suggerito di declamare, da remoto, dialoghi di briganti insorgenti del 1799 e del 1861. Con l’incontro virtuale, si vuole rispolverare la verità storica della rivoluzione anti-napoletana, anti-cattolica ed anti-borbonica del 1799, nonché gli eccidi e la depredazione dei Piemontesi, provocati con “Il saccheggio del Sud” del 1861.                                                                                                  

La storia

Quelli accadimenti storici non possono essere dimenticati o, peggio, falsificati. Quel buco storico nella memoria delle generazioni meridionali oltraggia il valore e la dignità di un popolo, insultato, massacrato ed incarcerato nella propria terra. Quel popolo, che ha subito e poi combattuto sanguinose guerre di spoliazione e di soprusi, invoca la verità storica per  inorgoglire i figli del grande Sud, prima briganti ed oggi ancora emigranti.  Ma che accadde in quei convulsi anni di stermini? Il Settecento è  l’epoca della filiazione della Massoneria speculativa alla Massoneria operativa. Nelle Logge corporative entrano luminari della nobiltà, chiamati “Massoni Accettati”, assumendosi il compito di riformare i costumi in tutto il mondo occidentale. L’Ordine si affermò in Francia. Nel 1773, le attività massoniche confluirono nella costituzione della Gran Loggia, mentre i  filosofi di quel tempo costruivano i principi del liberalismo moderno. Erano quegli gli anni in cui le Obbedienze massoniche, normavano  le carte costituzionali, i “Billis of rights” americane del 1776 e la dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino dell’Assemblea costituente Francese del 1789. Fra i massoni francesi di allora, c'erano Montesquieu, Rousseau, Voltaire, Lalande, Petìon, Mirabeau, Danton, Lafayette e Napoleone. Nel frattempo, la Massoneria Universale si radicava in Europa e nel 1750 venne fondata anche a Napoli una Gran Loggia, che designò Gran Maestro Raimondo di Sangro, principe di San Severo. Per affermare gli ideali massonici,  non c’era che un modo: distruggere alcune monarchie degli stati della penisola, poi italiana, e lo Stato della Chiesa.

Il 1798

La monarchia borbonica, instaurata nel 1734,  ne diede l’occasione per la sua centralità. A raccontarcelo, è Vincenzo Gulì, già presidente del “parlamento delle Due Sicilie”. Nel 1798, le truppe francesi occupano Roma e proclamano la repubblica romana. Ferdinando IV con le truppe napoletane libera la città del papa, Roma. Passano pochi giorni, i francesi, a Civita Castellana, sconfiggono le truppe borboniche, riprendono il controllo militare dello Stato Pontificio ed invadono il Regno di Napoli.  Trascorrono tre giorni di assedio e  cade  anche la città di Napoli. Il 21 gennaio i giacobini napoletani proclamano da Castel Sant’Elmo la Repubblica di Napoli. Con un decreto del generale Championnet, venne costituito e insediato il Governo Provvisorio [Omissione grave: in quei 4 giorni i francesi, con la collaborazione dei giacobini locali, massacrarono, come riferisce il generale Thiebault nelle sue memorie, “non meno di ottomila napoletani”. Senza l’aiuto dei giacobini collaborazionisti che cannoneggiarono da Sant’Elmo il popolo che resisteva, come riconobbe lo stesso Championnet, il potentissimo esercio francese non avrebbe mai sconfitto quegli “eroici lazzaroni”]

L’albero della libertà

Furono momenti di grande commozione. Nelle piazze,vennero piantati gli alberi della libertà, la parola “cittadino” sostituì i titoli nobiliari, furono promulgate leggi sulle libertà individuali e i privilegi feudali vennero abrogati [Furono emanate anche oltre 1500 condanne a morte contro coloro che si opponevano a quella conquista e all’offesa quotidiana dei valori tradizionali popolari e cristiani di cui quegli alberi- abbattuti decine di volte- rappresentavano il simbolo più odiato; intanto il commissario repubblicano francese Faypoult timbrava le nostre opere d’arte e le spediva a Parigi…] 
Fu quella la primavera napoletana, una stagione breve, giacché gli eventi presero quasi subito un indirizzo sfavorevole [Altra omissione grave: sempre il generale francese Thiebault ci fa sapere che in tutta la “campagna napoletana furono passati a fil di spada –e in meno di cinque mesi- oltre sessantamila napoletani”… bella primavera]. In quei terribili giorni, il Cardinale Ruffo, a capo di bande sanfediste, marciò su Napoli ed annientò, con la conquista di Castel Sant’Elmo, l’ultima sacca di resistenza repubblicana. Era il 13 Giugno.  Quel giorno, l’albero della libertà fu sradicato e al suo posto crebbero, ovunque, le forche [100, complessivamente, le condanne a morte eseguite dopo il ritorno dei Borbone: per i massacri e i saccheggi compiuti dai franco-giacobini, in nessun posto del mondo in quel momento storico, purtroppo, si poteva reagire in modo differente]…

La reazione

Pochi giorni più tardi,  fu impiccato ai pennoni de “La Minerva”, l’ammiraglio, Francesco Caracciolo, membro della loggia “Perfetta Unione”. In estate, la stessa sorte toccò a Domenico Cirillo, Michele Natale, vescovo di Vico Equense, e Gennaro Serra, duca di Cassano, tutti patrioti appartenenti all’Officina “Vittoria” di Napoli [massoni, allora, in gran parte, gli artefici della repubblica; l’ammiraglio Caracciolo tradì il suo giuramento di fedeltà alla sua patria napoletana e al suo re e qualsiasi altro codice militare penale non solo di quel tempo lo avrebbe condannato a morte]
Il sogno della breve primavera napoletana terminò, così, in un bagno di sangue e quella strage di intellettuali, artisti, pensatori, giuristi, riformatori incise non poco sulla storia della Penisola e in particolare del Meridione [luogo comune tra i più diffusi e per niente credibile: su una popolazione di circa 10 milioni di abitanti è mai possibile che la morte di circa 100 persone abbia avuto una conseguenza di qualsiasi natura da allora addirittura fino ad oggi? E tutti i primati in tutti i settori che riuscimmo a conquistare dal 1799 al 1860?]
D’altra parte, la Rivoluzione Napoletana e la sua Repubblica rappresentarono l’incipit della tragedia  nazionale. L’albero della Libertà era stato divelto con bestiale furore, ma, di lì a poco, il suo seme si diffuse in ogni angolo del Paese” [ovvio collegamento giacobino-massonico-liberale a dimostrazione della complessità degli ostacoli messi di fronte ai Borbone e alle Popolazioni Duosiciliane da allora oggi...]

M24A ET MSA

Nelle cancellerie e nelle logge europee, intanto, si preparava l'occupazione piemontese, a danno di un popolo pacifico, che ancora oggi chiede giustizia e equità. 

D'allora, nelle province del Sud Italia si ebbero anni di terrore, stragi e incendi di paesi, di boschi e di  foreste, che gli aggressori e i massoni illuminati,  ancora oggi faticano a raccontare, mentre molti ne chiedono l'oblio.

 

In tutto l’antico regno delle Due Sicilie, dopo il ritorno nel 1815 dei Borbone sul trono di Napoli, si diffusero a macchia d’olio le sette carbonare, diretta filiazione, il più delle volte, di logge massoniche.

I rituali delle sette carbonare, a differenza di quelli più complessi delle logge, erano molto più semplici e prevedevano per la maggior parte solo tre o due soli gradi di affiliazione.

Anche nella città di Foggia ed un po’ in tutta la Capitanata, proliferarono varie sette carbonare, ma anche qualche associazione reazionaria.

La gendarmeria borbonica, insomma, aveva il suo bel da fare e numerosi episodi curiosi e singolari caratterizzarono i rapporti di polizia di quegli anni del nostro Risorgimento.

Foggia, città che anche dopo la perdita della Regia Dogana e di tutti i benefici economici che l’attività di questa istituzione arrecava al nostro territorio, restava comunque un centro di notevole importanza commerciale, tanto che già il re Giocacchino Murat vi aveva destinato la sede di un Tribunale di Commercio, magistratura speciale con competenza appunto nel campo degli scambi commerciali.

Questa particolare connotazione commerciale ne faceva una città molto frequentata da vari stranieri, che hanno citato più volte Foggia nelle loro cronache di viaggio; molti di essi erano anche dei veri e propri agenti commerciali.

La circolazione di notizie ed informazioni era quindi molto favorita da questo andirivieni di cittadini di altri paesi ed in tutto il regno di Napoli la gendarmeria borbonica era molto vigile, soprattutto nel sequestro di giornali e bollettini che potevano contenere informazioni di carattere politico.

Proprio dai numerosi rapporti di polizia ottocenteschi a noi pervenuti veniamo a conoscenza che a Foggia ed in altre località della Puglia e dell’Abruzzo, nel 1818 erano state diffuse tra i liberali alcune copie della costituzione degli Stati Uniti d’America ed altre copie stavano per essere distribuite in altre regioni del regno di Napoli.

Infatti, in quell’anno giunse all’Intendente di Capitanata Nicola Intonti, che rappresentava il governo centrale a Foggia ed in tutta la sua provincia, una nota ministeriale riservata in cui veniva avvisato che il ministero, da suoi informatori del servizio segreto, i cosiddetti agenti invisibili, era venuto a conoscenza di attività contro il governo da parte di alcuni cittadini del centro Abruzzese di Barrea.

I nomi di questi soggetti erano: Potito De Laureto, Francesco De Sanctis e Leonardo Dorotea, i quali si erano recati a Foggia per procurarsi copia della Costituzione americana dai liberali di questa città.

Il testo della Costituzione degli Stati Uniti d’America era giunto a Foggia probabilmente attraverso i non pochi commerci marittimi attivi nel vicino porto di Manfredonia, allora molto più operoso che oggi.

Proprio a Manfredonia, del resto, erano attive numerose rappresentanze diplomatiche estere, fra cui, oltre a quella della Repubblica di Venezia, della Repubblica di Ragusa, oggi Dubrovnik, dello Stato della Chiesa, anche quella degli stessi Stati Uniti d’America, nuova nazione che aveva conquistato l’indipendenza solo pochi decenni prima.

Gli Stati Uniti d’America, infatti,  già dal 1796 avevano istituito una sede diplomatica nel regno di Napoli, sede tra una le più antiche d’Europa, testimone dei non pochi rapporti tra queste due nazioni.

L’intendente, o governatore della Capitanata, Nicola Intonti ordinò subito l’arresto dei tre abruzzesi presso la locanda foggiana ove avevano preso alloggio

Perquisite le loro stanze, i gendarmi non trovarono il testo della Costituzione degli Stati Uniti d’America, ma vari pezzi di carta, di cui alcuni ritagli addosso ad uno dei tre, Leonardo Dorotea;  ritagli che, una volta messi insieme dai gendarmi, erano parte di un diploma di appartenenza alla carboneria, le carte carte erano state forse ingoiate o distrutte in tempo!

In prigione, i tre Abruzzesi, negli interrogatori della polizia non fecero i nomi degli liberali coinvolti nella vicenda.

Forse il loro arresto era avvenuto troppo presto e sarebbe stato più opportuno da parte della gendarmeria borbonica pedinare i tre Abruzzesi, per scoprire quali carbonari foggiani detenevano le copie della costituzione americana!

a cura di Giuseppe Piemontese - Società di Storia Patria per la Puglia.

La storia di una nazione o di una città si costruisce attraverso le fonti scritte e i resti archeologici, siano essi del passato che del presente. Non c’è cultura o narrazione  storica se il tutto non viene rapportato alle fonti e quindi alle testimonianze riguardante un determinato avvenimento. E questo vale sia per le persone che per gli oggetti, fra cui le testimonianze scritte. Nel nostro caso vogliamo rapportarci alla storia del nostro santuario, con riferimento alla città in cui esso è sorto e precisamente Monte Sant’Angelo, oggetti da molti anni delle mie ricerche storiche, oltre che religiose, con specifico riferimento al fenomeno del pellegrinaggio micaelico, diffuso non solo in Italia, quanto in Europa, grazie alla nascita di altri insediamenti micaelici, fra cui Mont Saint-Michel in Normandia e della Sacra di San Michele sul Monte Pirchiriano a Torino. Tuttavia sulla ricostruzione storica dei primi secoli del nostro Santuario, fino al Seicento,  pesa un’ombra, o una mancanza fondamentale che è quella di aver perso nel passato l’Archivio storico-religioso, che a detta di molti scrittori, doveva esserci nei locali del santuario ben custodito, fino a quando la furia degli eventi, ma anche la mancanza di cura degli stessi custodi del santuario non hanno fatto si che l’Archivio andasse perduto e quindi distrutto. Probabilmente per motivi accidentali, ma anche per motivi di interesse di alcuni personaggi noti all’interno del santuario stesso, tanto da ipotizzare un’azione fraudolente nel far sparire documenti che attestavano la proprietà di alcuni beni del santuario a vantaggio di qualcuno. Ma questa è una storia tutta da provare. In ogni modo quello che sappiamo è che fino al 1600 nel santuario di San Michele vi era un vero e proprio archivio. Ce lo attestano alcuni storici dell’epoca, fra cui il Cavalieri e il Sarnelli, oltre che il Notar Domenico Marrera di Vieste, nel compilare, nel 1678,  per ordine del Cardinale Orsini,  la Platea, dove,  nel trascrivere l’elenco dei beni del santuario, si fa riferimento esplicito dell’esistenza di un vero e proprio Archivio. Afferma a tale proposito Ciro Angelillis: “Il fatto che non può essere mai abbastanza deplorato è soprattutto la perdita completa del prezioso Archivio capitolare di cui i locali della Canonica erano depositari, e che troviamo spesso citato in tutte le memorie sulle nostre Chiese.  Il Cavalieri ed il Sarnelli rievocano spesso nei loro scritti documenti, pergamene, bolle, decreti da essi consultati nel nostro Archivio e il notar Marrera si servì appunto dei medesimi per la redazione della sua Platea” (Angelillis, 1956, p. 39).  Tale Archivio venne a costituirsi attraverso i secoli e precisamente dal VI secolo in poi, allorquando si ebbe la fondazione del santuario di San Michele in seguito alle tre Apparizioni, quella del 490 detta del toro,  del  492 della Consacrazione e del 493 della Vittoria dei Longobardi sui Napoletani-Greci, così come si legge nel Liber de Apparitionis allorquando l’Arcangelo Michele volle che in una grotta del Gargano,  sorgesse il suo culto, che doveva espandersi in pochi secoli in tutta Europa, attraverso la presenza di vari popoli, come i Bizantini, Longobardi, i Normanni,  gli Svevi, gli Angioini e gli Aragonesi attraverso la fondazione di numerosi santuari micaelici, dando così vita a vari itinerari micaelici tanto da gareggiare con quelli di più ampia portata, come la Via Francigena, la Via Romea e la Strada di Gerusalemme. Insomma un grande percorso itinerante europeo che si racchiudeva nel trittico DEUS ANGELUS HOMO. L’Archivio del Santuario di San Michele sul Gargano doveva testimoniare tutto ciò che riguardava le sue vicende storiche, le testimonianze di fede e di religiosità popolare, oltre che testimoniare la presenza di personaggi noti e meno noti, tanto da creare le basi per una vera e propria storia religiosa del Gargano, da cui proveniva l’alto magistero della presenza micaelica in Europa. Una presenza che aveva avuto origine dell’Oriente e che poi si era riversata ed espansa in Occidente tramite il Gargano.  Nell’opera di Ciro Angelillis, Il santuario del Gargano e il culto di San Michele nel mondo, pubblicato in due volumi nel 1955-1956,  l’Autore  fa una ricostruzione storico-ideale dell’Archivio del Santuario, con riferimento alla presenza di Pergamene, Diplomi, Codici, Decreti,  Bolle, Lettere apostoliche, Registri, ecc. Documenti che un tempo dovettero esistere, in parte,  anche nel Grande Archivio di Napoli, che purtroppo è andato in molte parti distrutto dai bombardamenti dell’ultima guerra mondiale. Uno degli storici che ha tentato di raccogliere notizie riguardanti l’Archivio del nostro santuario è stato il Dr. Ruocco, il quale nel 1929 ha pubblicato un libretto sulle  Fonti della storia di Monte Sant’Angelo, in cui si faceva riferimento ad una lunga  serie di Atti che dal 1487 (epoca aragonese) andavano sino al 1732 (inizio dell’epoca borbonica), additandoci in tale elenco il volume, l’anno, il foglio da rintracciare per ogni singolo obbietto.  Diversi testi e documenti riguardanti la storia del santuario di San Michele vengono riportati anche  nella Memoria del 1864 redatta dal Canonico D. Donisio De Cocchi, dove venivano  citati documenti e diplomi principeschi a favore della nostra Chiesa,  in relazione, specie in età durazzesca e aragonese, ad onorificenze, immunità, franchigie concesse alla nostra Basilica e ai Suoi Ministri, nonché Diplomi in pergamena che dovettero costituire fra i più importanti documenti del nostro Archivio. Tali documenti sono riportati anche nella Platea del 1678, ordinatagli dal Cardinale Orsini al Notar Marrera, dove vengono trascritti  i documenti, fra cui Pergamene e Diplomi,  presenti nell’Archivio del Santuario. Come del resto  ebbero a confermare gli stessi scrittori del Seicento, il Cavalieri e il Sarnelli, i quali nel compilare le loro opere  Il Pellegrino al Gargano (1680) e la Cronaca de' Vescovi e Arcivescovi Sipontini (1680), dovettero servirsi delle scritture depositate nella Basilica di San Michele. Fra queste Pergamene, per esempio, troviamo  la concessione della cosiddetta Gabella dell’Atrio, con cui attraverso un decreto o diploma del 1362 la Duchessa Giovanna di Durazzo Signora dell’Onore di Monte Sant’Angelo, stabiliva che  chiunque traesse utile o guadagno in rapporto al Santuario doveva  corrispondere un tributo a favore del Capitolo. Inoltre venne stabilito, ad ogni compagnia di pellegrini che entrava dalla Porta di Carbonara, un diritto di pedaggio, che venne chiamato  Scotto, da cui deriva la denominazione del luogo lo  Scotto. Cosi come un Decreto reale dell’allora re Ferdinando I di Aragona, in data 13 settembre 1475, demandava in tutto il Regno di Napoli ai soli artefici di Monte Sant’Angelo, di riprodurre l’immagine di San Michele, per cui essi vennero chiamati  da allora  Sanmichelai.  Inoltre, in questa Platea, vi si faceva riferimento a  vari  Diplomi di concessioni di denaro elargite al Capitolo del Santuario da parte di Re e Principi durazzeschi e aragonesi, nonchè vari Privilegi  e Diplomi riguardanti le saline, le decime frumentarie, i lasciti di forestieri deceduti, vari diritti su chiese e monasteri  del Regno,  e infine varie Bolle papali, fra cui quelle  di Clemente VI del 1343 riguardante il riconoscimento della nostra Chiesa a Cappella ducale dei Durazzeschi; di Bonifacio IX del 1401 e del 1403, riguardanti la proclamazione della Chiesa garganica a Concattedrale con la Chiesa di Siponto e la concessione dell’Indulgenza plenaria alla nostra Chiesa; di Giulio III  del 1555,  riguardante l’istituzione di una Confraternita di San Michele in Gargano con speciali privilegi cui possono spiritualmente iscriversi persone di ogni paese dell’uno  e dell’altro sesso, istituzione  tuttora esistente e funzionante;  di Pio V  del 1569, contro alcune alienazioni di beni appartenenti a San Michele del Gargano;  di Gregorio XIII del 1576, riguardante il suffragio quotidiano dei morti;  di Benedetto XIII del 1590,  in  cui si riconosceva il privilegio di indossare le Mitre bordate di argento; di Alessandro VII del 1657, a proposito della conferma riguardante la sacralità della Sacra Pietra concessa nel 1656 dall’Arciv. Puccinelli a proposito della Peste. Inoltre certamente vi dovettero essere nell’Archivio  vari manoscritti e documenti riguardante  la storia del santuario e del culto micaelico, fra cui per esempio il più antico codice della “Legenda Principis Angelorum” che i Bollandisti affermano si conservasse nei più remoti tempi nella stessa Chiesa del Gargano; Codici antichi della Vita di S. Lorenzo Maiorano, fondatore del culto micaelico; una pergamena di Ferdinando I d’Aragona relativa ad alcune sue donazioni in oggetti in argento; un antichissimo Codice contenente la Vita di S. Giovanni da Matera, fondatore dell’Abbazia di Pulsano,  in caratteri longobardi; una copia riguardante l’istrumento di fondazione della Chiesa e del Monastero della Santissima Trinità in Monte Sant’Angelo, e così via. Tutti documenti molto importanti per ricostruire la storia non solo del Santuario, ma della stessa città di Monte Sant’Angelo. “Tutto questo, afferma C. Angelillis, è solo un’idea approssimativa  di quanta dovizia di documenti ebbe a contenere il nostro vecchio Archivio capitolare, cui certo dovettero accompagnarsi tante altre carte e scritture e stampe di Concili, Sinodi, Decreti, oltre a Memorie e corrispondenza di vario genere specialmente con le grandi Badie viciniori di Pulsano e di Monte Sacro… Naturalmente non poterono neppure mancare nell’Archivio Allegazioni giuridiche ed estensioni di sentenze relative ai vari clamorosi processi che il Capitolo in varie epoche dovè sostenere con la Curia sipontina, contro il proprio Comune e contro il Regio Fisco italiano, nelle quali fu svolta tanta secolare storia del nostro Ente”.” (Angelillis, 1956, p. 52-53). Oggi di tutto quel materiale riunito e collezionato nella nostra vecchia Canonica non rimangono quasi nulla, se non due vecchi Registri, e precisamente la Platea  e un  Liber fundationis Monasterii Monialium SS. Trinitatis Ordinis S. Clarae Civitatis Montis Gargani, ordinato quest’ultimo dall’Arciv. Cardinale Orsini nel 1675 e seguitato ad annotare fino alla soppressione del Convento.

A proposito della Platea, la sua sede originaria, come del resto di  tutto l’Archivio del Santuario, dovette essere i locali della Canonica, dove un tempo si riunivano i rappresentanti del Capitolo che amministrava la Basilica. Essa è menzionata nella Platea  del 1678, ordinata dal Cardinale Orsini, futuro papa Benedetto XIII, al Notar Marrera, nel  trascrivere l’elenco delle proprietà del Santuario, in cui vi erano elencati tutti i documenti e i libri custoditi nell’Archivio, insieme a quadri, statue e manoscritti. L’Archivio scomparve del tutto con il saccheggio del 1799, ad opera dei Repubblicani francesi, anche se in seguito, da parte degli Arcivescovi di Manfredonia e dei Canonici della Basilica ci furono vari tentativi di rimettere su l’Archivio, ma sempre essi fallirono. In seguito l’Archivio del Santuario venne spostato nei locali della Chiesa della Libera, che era la parrocchia di San Michele, per poi essere trasferito a sua volta nei locali della Chiesa di Santa Maria Maggiore, anche se c’è da sottolineare che sia la Platea che il Liber fundationis Monasterii Monialium SS. Trinitatis  rimasero nei locali del Santuario e precisamente nel nuovo Archivio, dove  Padre Francesco Giovanni Taronna ha potuto trascrivere la Platea  e pubblicarla in foto anastatica grazie ai Monaci Benedettini di Monte Sant’Angelo.

In conclusione noi oggi abbiamo ben poco della memoria storica del nostro Santuario,  tanto che “la scomparsa dell’archivio del nostro santuario ha costituito, secondo l’Angelillis, una vera e propria iattura che si è ripercossa sulla notorietà stessa del nostro santuario: iattura irreparabile che appena lievemente può essere attenuata dal rinverdire oggi la fama del perduto tesoro e dal rievocare con gelosa cura la memoria alla presente e alle future generazioni”.

a cura di Giuseppe Piemontese - Società di Storia Patria per la Puglia.

La Chiesa di Santa Lucia o come volgarmente viene chiamata Ceppelluccia o Oratorio di Santa Lucia, nasce, secondo M. Cavalieri,  nella parte sovrastante la Grotta-Santuario di San Michele e precisamente là dove oggi si trovano le cosiddette “scalelle”, che fungono da copertura alla Grotta. Nell’opera del Cavaliere,  Il Pellegrino al Gargano, pubblicata nel 1680, si fa menzione di altre chiese o monasteri sorti già al tempo del vescovo sipontino Lorenzo Maiorano (sec. V-VI), in territorio di Monte Sant’Angelo e precisamente la Chiesetta o Monastero di S. Maria di S. Arcangelo su la bocca della Sagra Spelonca, che guardava verso la valle di Carbonara, dove vi erano le suore benedettine; il Monastero di S. Bartolomeo  nel villaggio oggi distrutto di Carbonara, così detto, giusta il Pellanegro,  per li Carboni, che vi si facevano ad uso de’ Sipontini”; il  Monastero di S. Maria Maddalena nel Villaggio pur hoggi distrutto di S. Giorgio a Piedimonte; il Monastero di S. Maria Maddalena nella Valle congiunta alla strada nomata corrottamente  Scannamogliere: cioè  Scanderh Molelrh, che in lingua Gotica risuona: forte e grande a salire (Pellanegro); il Monastero di San Salvatore o dell’Agnus Dei  presso il Monte Turmino; il Monastero di S. Barnaba, dove Annibale fece svernare il suo esercito; il Monastero di S. Maria detto di Ruggiano; i Monasteri di San Venanzio Martire, nella Valle di Carbonara, di S. Tommaso Apostolo e di San Appollinare (Cavalieri, Il Pellegrino al Gargano, 1680, vol. 2, p. 57).  Là dove sorse la Chiesa di Santa Lucia, sovrastante la Sacra Grotta, un tempo vi era un bosco, dove  nel 1216 il poverello di Assisi, San Francesco, dopo aver reso grazie all’Arcangelo Michele, diede la vista a due nostri concittadini, per cui da questo momento il culto di San Francesco fu associato a quello della Santa di Siracusa, e precisamente Santa Lucia,  a cui venne dedicata una Cappella proprio là dove avvenne il miracolo. In questo boschetto San Francesco recise un ramo di elce e se ne fece un bastone, che segnato in alto da una crocetta in forma di tau, lo stesso che il Santo lasciò all’ingresso della Grotta, portò via quale  bordone da pellegrino recandolo fino al piccolo Convento di Siena, ove, giusto il racconto popolare, avendolo piantato di sera in quell’orticello, si trovò la mattina seguente cresciuto in albero rivestito di rami e di foglie.

L’Oratorio o Chiesa di Santa Lucia consisteva in un fabbricato molto umile e modesto, col tetto a due spioventi più largo a destra che a sinistra e sormontato nel centro da un campaniletto a vela. Tutto ciò lo si può vedere in alcune foto del nostro Giovanni Tancredi. La chiesetta presenta quindi una struttura molto semplice, tipo quella degli antichi monaci cluniacensi del XIII secolo, con la sua spiccata forma a capanna e con una facciata cuspidata, molto semplice come era del resto l’abito e la vita del Poverello.  Al centro della facciata si può notare un timpano ad arco ogivale che sovrasta la porta d’entrata  e nel quale doveva essere deposta presumibilmente l’immagine della Santa.  Inoltre al centro della facciata si può ancora notare un occhio rotondo da cui entrava la luce nella chiesetta.  Un tempo all’interno della Chiesa, oltre all’immagine di Santa Lucia, vi era anche quella di San Francesco.  Generalmente la chiesa rimaneva chiusa per diversi giorni all’anno, mentre era sempre aperta il 13 dicembre, il giorno festivo della Santa. L’antica statua di Santa Lucia, oggi, la si può ritrovare  all’interno della Chiesa della Madonna della Libera, la quale è  stata  costruita  nell'anno 1856 su un’area cimiteriale dismessa, e precisamente nel cortile detto Boccadoro, dove un tempo, nel XVI secolo,  sorgeva un oratorio dedicato a San Giovanni Crisostomo, chiamato appunto Boccadoro. In seguito tale cortile Boccadoro venne trasformato  nel Cimitero di San t’Anna, adiacente all’omonimo Oratorio di Sant’Anna, istituito ufficialmente nel 1785. Tale Cimitero venne a costituire nella città di Monte Sant’Angelo il primo esempio di cimitero civile. Successivamente il Cimitero di Sant’Anna, non avendo più la capacità e l’ampiezza di accogliere tutti i morti del paese, venne sostituito nel 1826 da un vero e proprio  Camposanto fuori città, che è quello dove oggi esiste la Cappella Rotonda, presso la Chiesa dell’Immacolata, per poi a sua volta essere sostituito dal nuovo cimitero, dopo che il Comune di Monte Sant’Angelo decise, nel 1951, 1'abbattimento del vecchio Cimitero, per dare spazio alla costruzione di case popolari.

Nella Chiesa della Libera sono situate le antiche statue di Sant'Anna e Santa Lucia, oggetto di particolare devozione da parte degli abitanti di Monte Sant'Angelo, insieme alla Madonna titolare, che si festeggiano rispettivamente il 26 luglio e il 13 dicembre. Il Capitolo del santuario, con la costruzione della  Chiesa della Madonna Libera, intendeva farla diventare una sorta di Basilica superiore al fine di aumentare ed agevolare la funzionalità e la capienza di tutto il complesso micaelico. Infatti, nel 1891, con la demolizione della Chiesa di San Pietro, poco distante dal Santuario di San Michele, la Chiesa della Madonna Libera divenne sede parrocchiale. Quindi, come si vede in poco spazio, quasi a costituire una vera e propria “cittadella micaelica”,  ritroviamo diversi insediamenti religiosi, quasi tutti in funzione del Santuario di San Michele: la Chiesa di San Pietro del VI secolo, il Battistero di San Giovanni in Tumba del XII secolo, la Chiesa di Santa Maria Maggiore del XIII secolo, l’Abbazia di Pulsano, il Castello normanno-svevo-angioino-aragonese, il Centro storico e numerose chiese, fra cui, come abbiamo detto, vicino il santuario la Chiesa di San Rocco, l’Oratorio di Sant’Anna con annesso cimitero, la Chiesetta di Santa Lucia, la Chiesa della Madonna della Libera, e tante altre. Un concentrato di storia, arte e religiosità popolare, che contraddistinguerà la città di Monte Sant’Angelo attraverso i secoli, dall’Altomedioevo fino ad oggi, tanto da diventare sede di ben due Siti Unesco.

a cura di Giuseppe Piemontese - Società di Storia Patria per la Puglia.

In tutti questi mesi di isolamento e  di ansia, derivante dalla diffusione del Coronavirus, sono stati dimenticati e penalizzati maggiormente tutti quei luoghi, come le  piazze, i centri storici, le chiese, i teatri, i cinema, i musei,  le biblioteche, che hanno costituito in questi ultimi decenni i luoghi della nostra memoria. Luoghi che hanno rappresentato  quasi sempre punti di riferimento delle città e dei borghi, tanto da immedesimarsi in essi e diventare simboli e identità  di una comunità. Tale per esempio la visita ai monumenti e ai luoghi simboli di una città come Monte Sant’Angelo, con il suo Santuario dedicato a San Michele, il Castello normanno-svevo-angioino-aragonese, il Museo Tancredi, l’Abbazia di Pulsano e i tanti monumenti sparsi nella città, come la Tomba di Rotari, la Chiesa di Santa Maria Maggiore, la Chiesa di San Benedetto, chiusi quasi sempre durante il giorno, ma soprattutto il Centro storico, che ormai si è visto abbandonato a se stesso, specie in questi ultimi anni, con un processo di marginalizzazione rispetto alla città consolidata, tanto da diventare quasi un corpo estraneo alla stessa città e alla sua comunità.  

Due realtà che si integrano e si completano in maniera negativa, mentre le parti estreme delle città, diventate periferie,   sono prive di servizi, senza luoghi in cui riconoscersi, come le piazze, le chiese, i monumenti, le scuole, le biblioteche di quartiere, ecc. Un fenomeno di particolare gravità sul piano  quantitativo e qualitativo della vita cittadina, con gravi ripercussioni sul piano della salute pubblica, a livello individuale e collettivo. Infatti sempre più assistiamo ad un estraniamento della popolazione per quanto riguarda il senso civico e il senso di appartenenza. Eppure fino ad alcuni anni fa la città di Monte Sant’Angelo si distingueva per la sua vita intellettuale, da cui nascevano progetti di grande valenza culturale e sociale, nonché grandi conquiste nel campo sanitario e ambientale, come per esempio il Centro Studi Garganici, con la sua Rivista Garganostudi, l’Ospedale civile, la Comunità Montana del Gargano, il Parco Nazionale del Gargano, il Museo Tancredi, la Biblioteca C. Angelillis e tante altre realtà che facevano della città micaelica una città all’avanguardia non solo nel Gargano, ma in Puglia. Una città che veniva vista nelle sue intrinseche potenzialità e che hanno permesso poi il riconoscimento del nostro Santuario micaelico e quindi dell’intera città quale Patrimonio Mondiale dell’UNESCO.

Oggi tutto questo è nullo se non basato solo su proposte di intenti, prive di concrete realizzazioni sul piano culturale ed  economico. Certamente il mio ruolo di intellettuale mi porta ad amare la mia città e la sua storia, analizzata in tante mie pubblicazioni, ma tutto questo deve essere accompagnato anche e soprattutto da uno spirito  critico, che possa indicare, a chi ha il potere di intraprendere nuove strade da percorrere, una nuova rinascita della nostra città, ma soprattutto della sua comunità, in uno spirito di amore e di reciproca solidarietà verso  coloro che  oggi soffrono, non solo a causa della pandemia, quanto per la perdita di lavoro e per una latente sfiducia nel domani.

Con l’Augurio di un Buon Anno, spero che le cose possano cambiare in meglio, e che da questa pandemia si possa uscire con una nuova vitalità e fattività, attraverso  un vero e proprio cambiamento. Non perdiamo l’occasione per costruire un mondo migliore, ma soprattutto una città migliore e più umana all’insegna del recupero dei luoghi della memoria, all’insegna della nostra storia e della nostra bellezza

a cura di Giuseppe Piemontese - Società di Storia Patria per la Puglia.

La chiesa di San Giuseppe era originariamente dedicata all’Annunziata, che venne edificata a ridosso delle antiche mura che proteggevano la cittadina garganica, nei pressi della Porta del Lago. Ciò lo si può dedurre da una piccola scultura collocata nella edicola di una porta laterale, che costituiva l’antico ingresso della chiesa seicentesca. Successivamente, nel 1700, la chiesa,  a causa di eventi tellurici, subì vari danni, tanto da essere ricostruita ed ampliata da una ricca famiglia del posto la nobile Famiglia D'Errico  in puro stile barocco. In seguito, poi, allorquando venne sistemato, nella seconda metà del XIX secolo (1887),  il Corso principale di Vittorio Emanuele, l’ingresso cambiò, per cui esso venne raccordato alla nuova sistemazione.

Nella seconda metà del XX secolo (1961) venne applicato sulla facciata esterna della chiesa, nella parte superiore, un orologio, con la numerazione latina, che scandiva l’ora per tutto il paese. Tale orologio è stato installato dalla Ditta Fratelli Terrile Fabbrica Orologi da Torre S.a.s. di Recco Genova. Questa fabbrica esiste tutt'oggi e realizza orologi da torre  e campane. Per diversi decenni dal 1960 fino a qualche anno fa l’orologio ha scandito la vita e le abitudini ordinarie della città di Mote Sant’Angelo, tanto che diversi cittadini mettevano l’ora in base ai rintocchi dell’orologio di San Giuseppe. Purtroppo, alcuni anni fa, l’orologio si è fermato, tanto da richiedere, nel Giugno del 2020, l’intervento del dott. Antonio Guerra,  un montanaro che vive a Moderna, il quale attraverso una donazione in denaro ha fatto ripristinare il funzionamento dell’orologio attraverso l’intervento della Ditta Giannattasio di Pontecagnano Faiano (SA), che ha reinstallato l’impianto, al fine di un normale funzionamento dei rintocchi. Tale Ditta è leader nella costruzione ed installazione di impianti di elettrificazione ed automazione campane e nella realizzazione di campanili metallici ed orologi da torre,operando con competenze, esperienza e professionalità. Così oggi la città di Monte Sant’Angelo ha di nuovo il suo Orologio, che con i suoi rintocchi scandisce ogni quarto d’ora la vita abitudinaria della città.

Alcuni anni fa, nel 2018, grazie ad un finanziamento della Regione Puglia di 46.537 euro, erogato direttamente alla Rettoria della Chiesa, sono stati effettuati alcuni interventi di ristrutturazione al tetto e ai solai della Chiesa di San Giuseppe, in quanto da diverso tempo le infiltrazioni di acqua piovana stavano compromettendo la tenuta stessa della chiesa.

La facciata della chiesa  è disadorna, con un portale semplice e un transetto che divide la parte inferiore da quella sovrastante, dove è visibile come abbiamo detto, un elegante orologio, i cui rintocchi danno l’ora a tutta la città. Internamente la chiesa in stile barocco si presenta ad un’unica navata, con un presbiterio frontale, dove vi è l’altare di San Giuseppe. All’attuale chiesa dedicata a San Giuseppe viene legata l’antica tradizione dell’accensione delle “fonoje”, che generalmente cade la vigilia del Santo, la sera del 18 Marzo. È un rito molto sentito dalla popolazione, tanto che oggi si cerca di rinvigorirla  attraverso la donazione da parte del Comune di vari quintali di legna da distribuire nei vari rioni della città. Una tradizione che risale all’antico rito del fuoco, come simbolo di purificazione e di rinascita. Inoltre  la tradizione della “fanoje” simboleggia, nell'immaginario collettivo, il passaggio dalla stagione fredda a quella mite, quindi un rito propiziatorio e purificatore con cui si celebrava, appunto, l'arrivo della primavera.

L’attuale piazza XX Settembre di Foggia si sviluppò maggiormente dopo la costruzione del palazzo della Regia Dogana delle Pecore e venne poi chiamata largo Palazzo ed ancora, insediatasi la Prefettura negli ex uffici della Regia Dogana, questo spazio urbano, per un certo tempo, prese il nome di piazza Prefettura.

La piazza, che è una delle più grandi ed ariose della città di Foggia, è molto ricca di storia ed ancora oggi è uno dei pochi ambienti urbani che non ha subito grandi stravolgimenti edilizi e forse anche una delle più belle ed intatte d’Italia con la sua cortina di vecchi ed eleganti edifici immutati da secoli che ci raccontano la sua storia.

Questo spazio, infatti, è ancora contornato da vari palazzi settecenteschi ed ottocenteschi, che con le loro decorose facciate formano una raffinata cornice a questo luminoso slargo.

Tra questi palazzi, proprio a destra della neoclassica chiesa dedicata a San Francesco Saverio, tra le vie Parisi e Salomone, mostra sulla piazza il suo prospetto principale uno dei palazzi foggiani appartenuti alla famiglia Barone.

L’edificio fu sede per vari anni degli uffici amministrativi dell’Archivio di Stato di Foggia, trasferitisi in seguito nello splendido palazzo Galiani-Battipaglia-Filiasi, la cui facciata si apre decorosa sulla stessa piazza XX Settembre.

Il palazzo Barone, costruito probabilmente nella seconda metà del Settecento, è citato nel 1803 fra la documentazione della Regia Dogana come: casa palaziata al largo del Palazzo Doganale… di proprietà di D. Diodato Barone.

Composto da due piani superiori, il palazzo è caratterizzato da una serie di eleganti decorazioni architettoniche minori: bugne, mascheroni, aggettanti cornici marcapiano, mensole, volute, architravi con conchiglie litiche, lesene dai capitelli ionici e graziosi ferri inginocchiati a protezione dei balconi.

Prima del tetto, in via Parisi, ci colpisce un antico doccione in pietra che raffigura un corpo femminile, dai seni prosperosi, da cui doveva forse scorrere un tempo l’acqua piovana dei tetti.

Questo artistico doccione è però mutilo della testa femminile, forse staccatasi e mai ricostruita, oppure asportata ed oggi dispersa.

Il doccione, che pare, per la sua figura slanciata, la polena di una nave, ricorda una leggenda collegata all’acquartieramento, nei primi anni dell’800, delle truppe francesi nella città di Foggia.

Gli ufficiali con al seguito i loro familiari dovevano essere ospitati presso le famiglie notabili delle città ove stazionavano per ragioni di stato ed un alto ufficiale francese con la sua bellissima mogliettina, Louise, prese alloggio proprio nel palazzo Barone.

Si narra che tra la servitù della famiglia proprietaria del palazzo vi fosse un bel giovanotto che, vuoi per l’avvenente bellezza, vuoi per il fascino della francesina e le lunghe assenze dell’ufficiale impegnato in manovre militari nella nostra provincia, s’innamorò di Louise.

Gli sguardi silenziosi, fecero più delle parole e gli occhi languidi di noia della bella francesina cedettero presto al segreto amore.

La primavera incalzava ed i due amanti, desiderosi di respirarne il tiepido fiato e gustare le luminose giornate che incalzavano il calendario, in lunghe camminate nelle campagne intorno alla città, furono infine scoperti.

Il generale informato da alcuni gelosi delatori, non potendo abbandonare i suoi impegni militari, ordinò subito alla moglie Louise di tornare in Francia.

Disperata in seguito a quest’ordine, la follia prese il sopravvento sulla disperazione della bella francesina per l’ordine di ritornare immediatamente in Francia e preferì togliersi la vita; si suicidò lanciandosi nel vuoto dal secondo piano del palazzo ov’era ospite, da una vecchia finestra che si apriva in via Parisi.

Il suo corpo non fu mai trovato, esso restò subito pietrificato nell’elegante doccione di pietra dalle forme femminili, che ancora oggi sovrasta la finestra in questione.

 louise francesina pietrificata PalazzoPrefetturaFG

All’interno il palazzo, diviso col tempo tra più proprietari, presenta ancora spaziosi appartamenti, raggiunti da un’antica scalinata di pietra che prende luce da alcune finestre barocche.

Da queste aperture, la vista spazia libera sui tetti delle abitazioni circostanti, donando al visitatore ritagli di panorama ricchi di suggestioni sui quartieri settecenteschi sorti nei pressi del palazzo della Regia Dogana.

Gli stessi che, chiuso nella sua tristezza, il giovane amante di Louise dovette infine salutare per farsi volontario nell’esercito, al fine dimenticare le sue pene d’amore in certa di morte o fortuna sui campi di battaglia!

La povera Louise, invece, decapitata, mostra ancora le sue belle forme a chi alza lo sguardo verso il tetto del palazzo lungo il prospetto che si affaccia tuttora in via Parisi, ricordando la sua storia d’amore e disperazione!

 

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La Guardia Costiera conferma il proprio impegno - in dipendenza funzionale dal Ministero…
Dic 22, 2023 850

Vito Rubino, il triatleta che esalta il Gargano

in Attualità by a cura di Matteo Simone, Psicologo, Psicoterapeuta Gestalt ed EMDR
L'estate sembra essere un buon periodo per trascorrere alcuni giorni in Puglia,…
Dic 22, 2023 673

Foggia. Al Gino Lisa stanziati 10 milioni di euro a sostegno del regime SIEG

in Politica by Redazione
Sull’aeroporto “Gino Lisa” di Foggia la Regione Puglia moltiplica i suoi impegni,…
Dic 22, 2023 734

Foggia, concittadini emigrati che rientrano. Accolti da Italia del Meridione…

in Politica by Redazione
Le segreterie cittadine e provinciali di IdM, unitamente alla rappresentanza consiliare…
Dic 22, 2023 708

A Roseto Valfortore il Centro territoriale di prima accoglienza della fauna…

in Notizie Capitanata by Redazione
Con l’approvazione della convenzione tra la Regione Puglia e il comune di Roseto…
Dic 22, 2023 518

Viabilità Capitanata. Traffico alternato sulla SP5 al km 1+095 per lavori

in Notizie Capitanata by Redazione
Il Dirigente del Settore Viabilità della Provincia, ing. Luciano Follieri con Ordinanza…
Dic 22, 2023 801

Da Caravaggio a José de Ribera. Monte urge di una Pinacoteca o un Museo d’Arte

in Cultura by a cura del prof. Giuseppe Piemontese, storico locale della “Società di Storia Patria per la Puglia
La presentazione dell’ultima edizione del libro di Michele Cuppone su “Caravaggio, la…
Dic 22, 2023 626

San Severo è Capitale Italiana della Gentilezza 2024

in Notizie Capitanata by Redazione
E’ avvenuto il 17 dicembre 2023 a Novara, in Piemonte, in maniera ufficiale, il passaggio…
Dic 22, 2023 632

Di che pasta siamo fatti? Dagli spaghetti ai fusilli l’Unione Italiana Food…

in Cronaca Gargano e Capitanata by Redazione
Un'indagine Nielsen rivela le preferenze degli italiani in fatto di pasta. Nella…
Dic 22, 2023 699

Donatori sangue, la Regione Puglia firma convenzione con associazioni e…

in Cronaca Gargano e Capitanata by Redazione
Nella giornata odierna il presidente della Regione Puglia Michele Emiliano ha…
Dic 22, 2023 546

Puglia, Servizio Civile. Ammessi i progetti Anci per 446 giovani volontari…

in Cronaca Gargano e Capitanata by Redazione
Con la pubblicazione odierna da parte del Dipartimento Politiche giovanili e SCU del…

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