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Forse è diventato un allarme rientrato quello lanciato dal Consigliere comunale di Manfredonia, Maria Grazia Valente, in merito all’annunciata vendita all’asta del terreno che ospita parte della rimasta Masseria Garzia, a due passi dalla SS89, alle porte di Siponto. Il prezzo base sarebbe di 16.897,50 euro e l’asta avrà luogo il 19 settembre 2023.

Difatti, una nota della stessa Valente affermava che «Oggi si staglia all'orizzonte un'opportunità unica: la possibilità di preservare un frammento inestimabile del nostro patrimonio”. Il riferimento è a ciò che quel terreno da millenni conserva, l’Anfiteatro Romano di Sipontum, ribattezzato il “Colosseo sipontino”».

Nelle ore successive, però, arriva anche una nota del prof. Giuliano Volpe, archeologo, che da tempo con un’equipe, sta svolgendo scavi importanti per riportare alla luce le antiche mura di Sipontum (già ne parlammo nell'ottobre 2022, ndr.) e ciò che resta, ottenendo ad oggi rilevanti successi e importanti prove. Una tra tutte il muro perimetrale, un’opera reticolata ben conservata e di pregevole fattura.

 

Anfiteatro romano Siponto masseria Garzia 02

 

Nella nota di Volpe si legge che l’area è all’attenzione del Ministero dei Beni Culturali che potrebbe esercitare il diritto di prelazione poiché vi sono in corso scavi archeologici.

L’anfiteatro romano di Siponto presso l’area di masseria Garzia, dai dati acquisiti dagli scavi, si estenderebbe su un’area perimetrale di circa 78x68 metri, con una capienza di circa 7mila spettatori. L’opera romana ora è conservata sotto il terreno e parrebbe essere quasi integra. L’auspicio del prof. Volpe è che all’area fosse evitata la privatizzazione e che si dia seguito per ulteriori indagini e escavi archeologici.

«Le radici dell'anfiteatro di Siponto - che per rendere meglio l’idea preferisco denominare, seppur impropriamente, Colosseo - affondano nel lontano 27 a.C., quasi un secolo prima di quello che poi divenne famoso in tutto il mondo -prosegue Maria Grazia Valente-. Esso era il luogo di spettacoli cruenti e divertimenti selvaggi, il palcoscenico in cui gladiatori, alcuni dei quali prigionieri di guerra, combattevano per la loro vita sotto lo sguardo appassionato del pubblico. Tuttavia, le grandiose pietre di questo anfiteatro e di altre testimonianze di Siponto giacciono sepolte sotto il peso degli anni e della disattenzione. Il Comune di Manfredonia e la competente Soprintendenza sono chiamati ad agire in questa delicata situazione. Un'azione audace, ma senza dubbio meritevole, potrebbe essere l'acquisizione di questo sito archeologico tramite l’asta. Non si tratta solo di conservare pietre antiche, ma di dar loro nuova vita attraverso la fruizione pubblica. Camminare tra le rovine di un anfiteatro millenario potrebbe diventare una realtà, un viaggio nel tempo che tutti potremmo intraprendere».

 

Anfiteatro romano Siponto masseria Garzia 03

 

Pensiero comune, tra la Valente e Volpe, è la fruibilità del sito archeologico una volta riportato completamente alla luce, che potrebbe diventare reale se le istituzioni fossero intenzionate. «Un rinascimento culturale ed economico per il territorio -pone in evidenza la Valente-. Attrarre turisti, promuovere eventi culturali e favorire l'educazione sulla storia e sull'arte antica sono solo alcuni dei frutti che potrebbero essere raccolti da questa iniziativa. Ovviamente, si tratta di un'impresa che richiede risorse finanziarie e sforzi logistici. Tuttavia, con l'aiuto di opportunità di finanziamento, come potrebbe essere il PNRR, questa sfida potrebbe essere affrontata con successo».

Questa ricchezza cultuale, di cui abbiamo descritto in vari articoli sui miti e sui culti del Gargano, si manifesta attraverso una presenza massiccia di culti e santuari in diverse zone del Gargano, nonché attraverso la nascita di vere e proprie leggende legate al substrato culturale delle popolazioni locali.

A questo proposito abbiamo notizie di un santuario pagano a S. Giovanni Rotondo, dove la tradizione  riporta presso l'attuale chiesa della Rotonda un tempio di Giano, le cui origini, secondo lo storico locale S. A. Grifa, risalirebbero all'antico insediamento premillenario citato da Strabone (S. A. GRIFA, Le origini di San Giovanni Rotondo, Taranto 1989). Secondo le ultime ricerche la città di S. Giovanni Rotondo, citata per la prima volta in un documento del 1095, nel quale si fa menzione dell'esistenza di un casale  Sancti Johannis Rotundi,   risalirebbe ad un antico insediamento greco  Gargaros, segnalato da Strabone nel I secolo a. C. Il Grifa è convinto che tale insediamento sarebbe da identificarsi con il villaggio di  Castellum Bisanum, sorto lungo la   Via Sacra Langobardorum, che portava i pellegrini dall’Italia centrale verso il Santuario di San Michele sul Gargano.  L'antica città di Gargaros sarebbe stata fondata fra il Neolitico e l'età del Bronzo, nella parte più alta del Monte Gargano, oggi denominata Castellano, a poche centinaia di metri dall'attuale abitato a 975 metri s.l.m. Il sito, frequentato fin dall'età neolitica, in piena età del Bronzo, aveva già la tipologia e le caratteristiche delle città protourbane edificate dai cosiddetti "castellieri" del Gargano. Il centro garganico, afferma lo storico Grifa, fu edificato da popolazioni provenienti dall'Illiria e precisamente da tribù provenienti dalla Bosnia, dall'Erzegovina e dall'Albania, le quali approdarono sulle nostre coste. Alcune di queste tribù, come i Paiones, i Lati, gli Ausi, i Luki, i Pistones, i Davoi, giunsero nei pressi del promontorio garganico. E proprio i Paiones, di origine Tracia, si stanziarono nell'area sangioannese ed edificarono una vera e propria città fortificata sul Monte Castellano. I Paiones li troviamo nella guerra di Troia, a fianco dei Troiani; un popolo fiero e orgoglioso, temuto dai Greci di Agamennone. I Paiones avevano come simbolo il pavone, un animale allevato nella Peonia, da cui derivò il toponimo stesso, come dice lo stesso Erodoto nelle sue Storie. In seguito, i Paiones, giunti sul Gargano, vennero chiamati Gargari, cioè abitanti della montagna (il lemma greco Gara  significa "luogo montagnoso"). Questo accadeva circa duemila e cento anni fa, e precisamente nel VI secolo a. C. I primi storici della Magna Grecia già rubricavano nelle loro opere una città sita sul Gargano, chiamata  Gargaros. Intanto, verso la fine del I millennio, con l'arrivo dei Greci, il vecchio sito veniva abbandonato e gli abitanti scendevano a valle  dove, a causa della presenza del culto di Giano, in piena età romana, veniva cambiato il nome alla città, da  Gargaros a Bisanum, (Bis Ianum, il  dio dal doppio volto). Nel basso Medioevo il vecchio sito sul Monte (Gargaros) veniva nuovamente frequentato dai Bisani, i quali per sfuggire alle orde slave e saracene abbandonarono il loro villaggio a valle per poi ridiscendere definitivamente nell'anno del Signore 1095 e dar vita ad un nuovo insediamento: il Casale di San Giovanni Rotondo. Così, il 14 novembre 1095, nasceva storicamente la  città di San Giovanni Rotondo con un diploma dato a Monte Sant'Angelo dal conte normanno Enrico all'abate benedettino del Monastero di San Giovanni in Lamis, oggi Convento di San Matteo.  La città di  Gargaros in seguito continuerà ad essere mappata con il toponimo di Castello dei Bisani (Castellum Bisanum). Da questa data non si ebbero più notizie della mitica e vetusta città di Gargaros.

 

SGRotondo  chiesa con corpo centrale di forma rotonda

[La chiesa con corpo centrale di forma rotonda]

Secondo certi mitografi Giano sarebbe un eroe romano divinizzato, il quale avrebbe dato il proprio nome ad uno dei colli della città di Roma, il Gianicolo. Uno dei suoi figli si sarebbe chiamato Tiber, da cui il nome del fiume Tevere. Egli regnò con saggezza e onestà sull'intero Lazio. Fu l'inventore dell'uso delle navi e della moneta.  Infatti, le più antiche monete romane portavano sul diritto l'effigie di Giano e sul rovescio una prua di nave. In varie parti dell'Impero Giano ebbe molti santuari. Sul promontorio del Gargano, il cui culto lo troviamo accomunato con Vesta e Apollo, Giano ha dato il proprio nome a molte località, fra cui Stignano (Ostium Iani), Rignano (Ara Iani), Celano (Coelum Iani), Bisano ( Bis Ianum), Cagnano (Ca Iani) ed altri ancora. "Lo stesso Gargano - afferma S. A. Grifa - secondo una tradizione, veicola sul suo toponimo la voce fenicia "Argo Iani", nave di Giano". Al dio Giano sono direttamente collegati simboli, costumanze varie e credenze che hanno originato comportamenti e situazioni tali da contrassegnare la nascita stessa di alcuni siti e insediamenti del Gargano.  Giano in particolare, presiedeva alle soglie, ai passaggi, compreso quello da un periodo temporale all'altro. Lo stesso mese di gennaio, a lui consacrato, segnava il passaggio dal vecchio al nuovo anno. Con l'avvento del cristianesimo, le originarie feste di Giano furono sostituite con quelle dedicate a  S. Giovanni il Battista, a cui furono dedicati sul Gargano diversi santuari, fra cui il monastero di San Giovanni in Lamis, oggi Convento di San Matteo. Del resto la stessa città di San Giovanni Rotondo deriverebbe da  Bisanum (Bis Ianum, dio bifronte), con riferimento successivo ad una chiesa altomedievale, il cui corpo centrale aveva la forma rotonda.  Ed a tale proposito le ultime ricerche archeologiche hanno evidenziato che il tempio costruito ad est della città, venne costruito ex novo, in quanto nell'anno 642 era stato incendiato dalle orde slave alleate con i Bizantini nella guerra contro i Longobardi. E saranno proprio questi, ormai convertiti al cristianesimo, grazie anche all'assimilazione del culto di S. Michele, il cui santuario garganico era diventato uno dei più importanti della cristianità e luogo sacro della gente longobarda,  che ricostruiranno dalle fondamenta la chiesa, dando ad essa una funzione battesimale, la cui datazione dovrebbe essere assegnata alla fine del VI secolo o agli inizi del VII, nata in un contesto di costruzioni riguardanti strutture religiose altomedievali rurali. Più significativamente il monumento, a pianta interna ottagonale e rotonda all’esterno, si inserisce nella produzione artistica riguardante l’area longobardo-beneventana, con specifico riferimento alla chiesa di San Pietro in Barsento e di Santa Sofia di Benevento. Inoltre la sua struttura battesimale trova riscontro  anche in edifici coevi esistenti in Dalmazia, in territorio di Salona, Spalato e Zara. Quindi, come si vede, il legame con la terra degli Illiri permane ancora in tutto il Medioevo, non solo sul piano mitico, ma soprattutto sul piano culturale ed artistico.

Quattro giorni tra spiritualità, storia, passato e archeologia per dare il giusto valore a un luogo unico: le Isole Tremiti. E’ l’obiettivo di ANTIQUARIUM, rassegna di ricerca e studi patrocinata dal Comune delle Isole Tremiti nonché dal Ministero della Cultura, Provincia di Foggia e Pugliapromozione. L’evento – con attività condivise dalle Isole di San Nicola e San Domino si svolgerà dal 24 al 27 agosto ed è organizzato da Laboratorio del MA.RE., Marlin Tremiti, CDP Service in collaborazione con Pro loco e Hotel Eden.

Le Isole Tremiti hanno una storia millenaria e l’Abbazia Benedettina di San Nicola, unica nel suo genere per essere stata realizzata in mezzo al mare, è oggi la testimonianza più evidente.
Terra di esilio prima e poi crocevia di navigazioni, le Isole sono state sempre protagoniste della storia antica e se il valore storico appare evidente al solo avvicinarsi dal mare, le vicissitudini dell’arcipelago protrattesi per secoli, tra attacchi di pirati, turchi, poi divenute confino borbonico e ancora la solitudine durante i conflitti mondiali, hanno provocato la perdita di buona parte delle ricchezze storico-culturali, ad eccezione di alcune, conservate gelosamente nella chiesa di Santa Maria a mare di San Nicola. «Va in questa direzione anche l’impegno dell’amministrazione comunale – commenta il sindaco Luciano Cafiero -, teso a difendere e valorizzare il patrimonio storico-culturale e renderlo fruibile ai tanti turisti che, oltre alle bellezze del nostro mare, amano anche conoscere e vivere siti e momenti storici di cui le nostre Isole sono ancora ricche. Un benvenuto agli scienziati e ricercatori che converranno alle Tremiti e un plauso all’iniziativa, unica nel suo genere e di elevato spessore scientifico».

C’è un luogo dove queste testimonianze possono consentire di ricostruire e far rivivere a tutti l’antico passato delle Isole: nel suo mare. Isole uniche, in questo senso sono un vero museo sottomarino diffuso. Sono 14 i siti archeologici, dove si possono osservare relitti di naufragi noti e reperti ancora avvolti nel mistero. «Un serbatoio immenso di storia e vicende non solo delle Tremiti – aggiunge Adelmo Sorci, direttore scientifico del Laboratorio del MA.RE. – ma anche della terraferma. Il nostro mare è un immenso Museo dove reperti e relitti non attendono altro che il momento di essere “visitati” rimanendo su quei fondali che, per secoli, li hanno accolti. “Antiquarium” va in questa direzione: mettere questi tesori a disposizione dei nostri ospiti e dei residenti”.

Questa “Grande Bellezza” sarà raccontata nella quattro giorni di visite e convegni sul tema della valorizzazione delle risorse culturali e archeologiche con una serie di attività aperte a tutti e gratuite prevista registrazione sul sito www.marlintremiti.com.

PROGRAMMA

Giovedì 24 agosto

- Ore 18 Polifunzionale San Domino

Presentazione dell'evento "Antiqvarivm Tremiti"

- Ore 21.30 Piazza Belvedere | San Domino   

Antiqvarivm Tremiti: da Terra di esilio a itinerario di culto, poi colonia penale e infine la libertà, diventando Comune nel 1932. Serata di apertura con la presentazione degli ospiti, storici, archeologi e giornalisti per iniziare a raccontare la meravigliosa storia delle Isole Tremiti

Venerdì 25 agosto

- ore 18 Polifunzionale | San Domino 

Cinema | Tremiti: un Mare di Storia. Un grande viaggio nelle meraviglie archeologiche sommerse. Presenta Adelmo Sorci, direttore del Laboratorio del Mare           

- Ore 21 Chiostro | San Nicola  

2000 anni di storia delle Isole Tremiti raccontati da 14 siti archeologici sommersi.
Musealizzazione, fruizione e ricerca scientifica: il moderno lavoro della Soprintendenza con la partecipazione di funzionari del patrimonio culturale subacqueo, archeologi ed esperti subacquei.

Sabato 26 agosto

- Ore 15 Riserva Marina in Barca. Dal Mare... alla scoperta delle Isole Tremiti per conoscere la sua storia millenaria, le particolarità naturalistiche, geologiche e morfologiche. Scoprirete che ci sono 14 siti archeologici sommersi, dalla Nave Oneraria Romana del II sec. a.C. alla nave Medievale carica di lastroni, dal piroscafo a ruote utilizzato da Garibaldi per la spedizione dei “Mille”, al Brigantino Austriaco affondato nel 1825 e ad un B-24 della Seconda Guerra Mondiale.                      

- Ore 21.30 Abbazia di Santa Maria a mare | San Nicola   

Una Notte in Abbazia. Monaci e Monasteri nel Medioevo. Tra spiritualità, storia e cultura scopriremo e illustreremo i Tesori artistici dell’Abbazia di Santa Maria a Mare di San Nicola: il Mosaico pavimentale, il Crocifisso ligneo dipinto, il Polittico il Soffitto ligneo, i Graffiti navali.

Domenica 27 agosto

- Ore 10 Polifunzionale | San Domino   

La Storia è il futuro turistico dei borghi: le Isole Tremiti possono fare a meno del mare?

Interverranno:

Barbara Davidde (Soprintendente della Soprintendenza Nazionale per il patrimonio culturale subacqueo), Anita Guarnieri (Soprintendente della Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio Provincie di BAT e Foggia), Angelo Michele Raguso (Responsabile area funzionale  Patrimonio Storico artistico, Donatella Pian (Funzionario archeologo - Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio Provincie di BAT e Foggia), Giuliano Volpe (Ordinario di Archeologia all’Università di Bari), Danilo Leone (Associato Metodologie della ricerca archeologica Università di Foggia), Maria Turchiano (Associata  Archeologia Cristiana e Medievale Università di Foggia), Adelmo Sorci (Responsabile delle attività di ricerca scientifica del Laboratorio del Mare) e Antonio D’Amico (giornalista della Gazzetta del Mezzogiorno).

Ecco il foto racconto della VII edizione di Sulla Francigena al crepuscolo.

Un gran bell'evento quello del gruppo Monte Sant'Angelo Francigena, ricco di storia, tradizioni, culturalmente formativo e da sprone per le giovani generazioni, in memoria delle tradizioni da proseguire. Complimenti.

«Il successo di questa edizione ci ha colto di sorpresa e ci ha resi enormemente felici», il commento entusiasta del gruppo Monte Sant'Angelo Francigena.

«Camminatori da tutta la Puglia -hanno proseguito- si sono incontrati nella nostra Monte Sant’Angelo per consolidare vecchie amicizie e stringerne di nuove, con l’intento di creare un network che lavora insieme per la valorizzazione della cultura dei cammini nel nostro territorio.

La visita del centro storico di Monte Sant’Angelo, guidata dall’esperta guida Andrea Stuppiello, ha permesso ai partecipanti di scoprire, a passo lento, i luoghi più preziosi del nostro paese e apprenderne la storia.

Il pomeriggio è poi continuato con la passeggiata verso la Madonna degli Angeli, dove ci attendevano il caciocavallo impiccato de « I bicipedi » e la birra Alma.

A concludere la serata, la bellezza delle note al tramonto del compositore e pianista Aulon Naci ci ha trasportati in una dimensione emotiva difficile da spiegare».

Chiosando: «Ringraziamo tutti i partecipanti per aver contribuito a rendere l’evento memorabile e il Comune di Monte Sant’Angelo per il patrocinio».

 

Il territorio di  Mattinata, per la sua posizione geografica, quale approdo naturale nell'ampia fascia costiera del golfo di Manfredonia, è stato al centro di un vasto processo di civilizzazione, che ha visto vari popoli insediarsi sul suo territorio, dando origine, così, ad uno dei primi nuclei abitativi del Gargano. Quale testimonianza storica ed archeologica abbiamo la necropoli di Monte Saraceno, intorno a cui, se non nelle vicinanze, dovette esistere un centro urbano, Matinum, tale da convogliare  gente non solo dei dintorni, ma anche delle opposte rive dell'Adriatico.

Della necropoli di Monte Saraceno, ormai, la ricerca archeologica la fa risalire all'età del Ferro, in concomitanza con le prime civiltà urbane sorte in Occidente, che avevano, come esempio illustre e ormai consolidato nel tempo, le città dell'Asia Minore e dei paesi balcanici. Infatti, le varie campagne archeologiche testimoniano di una vasta necropoli, organizzata in distinti nuclei cimiteriali e un ampio abitato, corredato dalle strutture difensive, risalente alla fine dell'età del Bronzo senza soluzione di continuità sino agli albori del VI sec. a. C., con un momento di massima fioritura durante la prima fase dell'età del Ferro, in particolare tra i secoli IX-VIII-VII a. C. È l'età in cui si afferma, come abbiamo visto, la civiltà dei Dauni, di cui Monte Saraceno è un importante caposaldo per il ritrovamento delle stele daunie, specie  di quelle con funzione antropomorfica. Ciò sta a dimostrare che le popolazioni illiriche, di origine pelasgiche e iapige, erano giunte sul Gargano già all'inizio del primo millennio e avevano fondato diversi nuclei abitativi, di cui le stele rappresentano vari nuclei sepolcrali, che ritroviamo in diverse zone della Daunia, fra cui Coppa, Cupola, Versentino, Coppa Nevigata, ecc.

Silvio Ferri, il noto scopritore delle stele daunie, afferma che a colonizzare il territorio di Mattinata fu una tribù detta dei  Matinates, che  si stanziò nella zona. Siamo fra il IX e l'VIII secolo e queste popolazioni sarebbero stati gli ultimi indoeuropei, artefici delle stele daunie e fondatori della  necropoli di Monte Saraceno (con tombe  "a borsa" e in camera a cupola o a  tholoos)  e del  relativo villaggio protostorico.

Dopo la migrazione illirica, si ebbe l'arrivo dei Greci, i quali colonizzarono quasi tutta l'Italia meridionale, fondando colonie e città in Sicilia e nelle regioni meridionali, fra cui la Puglia. I Greci introdussero non solo la loro cultura e la loro lingua, ma portarono tutto il loro bagaglio religioso, fondando santuari e diffondendo nuovi culti. Uno di questi fu, come abbiamo detto,  quello di Diomede,  fondatore di diverse città pugliesi, fra cui Arpi, Sipontum, Canusium, Salapia, e probabilmente  anche Matinum. E ancora sulle pendici del Gargano e nella vallata di Carbonara i culti di Calcante e di Podalirio. Mentre a livello generale abbiamo il culto di Dauno, da cui nasce, come abbiamo detto, la civiltà daunia fra il IX e l’VIII secolo, fino al IV secolo a. C.

 

Monte Sacro. Abbazia della SS. Trinità

 

Intanto in territorio di Mattinata, e precisamente su Monte Sacro, dove nel secolo V sorgerà il Monastero della SS. Trinità (nella foto), si fa riferimento all'esistenza di un antico culto dedicato a Giove Dodoneo, la cui denominazione deriva da un'antica città situata nell'Epiro, in Grecia nord-occidentale, dove si trovava un oracolo dedicato a Zeus, il dio del fulmine re dell'Olimpo.  Infatti, il monte, fino al V secolo, era noto come Monte Codone, il cui culto era è presente a  Dodona, antica città della Tesprozia, in Epiro, nell'odierna valle di Olytsika, un tempo abitata dai Pelasgi. Il culto, poi, fu diffuso in tutta la Grecia, per cui non vi era città in cui non fosse presente un suo santuario. Secondo la tradizione il culto di Giove Dodoneo fu portato sul Gargano da Pilunno II, condottiero delle prime migrazioni dei Pelasgi, o da un suo discendente, Dauno, re dei Dauni. Tale culto sarebbe durato fino al tempo del vescovo sipontino Lorenzo Maiorano (sec. V), il quale, nel suo programma di distruzione del paganesimo sul Gargano, e dopo aver fondato il culto di S. Michele, sostituì il culto pagano di Giove Dodoneo con un nuovo tempio dedicato  alla SS. Trinità. Da questo momento  il monte non si chiamò più Monte Dodoneo, bensì Monte Sacro.

Nelle vicinanze dell’Abbazia della SS. Trinità sono visibili resti di fabbricati più antichi, in cui si ravvisano tracce di un preesistente tempio pagano, risalente al III secolo a. C. e che probabilmente farebbe parte dell’antico tempio dedicato a Zeus Dodoneo. Del resto la denominazione di Monte Sacro nasce in continuità all’antico tempio di Giove Dodoneo, ritenuto sia dai Greci che dai Romani il dio supremo del mondo e, quindi, un Monte Sacro per eccellenza. Da allora è rimasto tale anche in età cristiana, allorquando il vescovo Lorenzo Maiorano, nel V secolo d. C., dedicò il tempio pagano alla SS. Trinità, trasformandolo in abbazia monastica.  E tutto ciò in osservanza al processo di sincretismo religioso che si verrà a creare in Puglia e precisamente sul Gargano fra il IV e il V secolo d. C., nonché in riferimento anche ad un processo di continuità fra le antiche genti delle due opposte sponde adriatiche, in nome e per conto delle loro culture e delle loro civiltà mediterranee.

Il culto di Diana a Siponto

Di un altro culto pagano nella Daunia si parla anche a Siponto, dove la tradizione vuole che vi fosse stato un antico tempio dedicato a Diana.

Ciò si ricava dal ritrovamento di un ceppo con iscrizioni latine in un  pozzo vicino l'antica chiesa di S. Maria. Tuttavia per la fondazione di Siponto ci dobbiamo riferire a quanto afferma lo storico Strabone, il quale così riporta : “È ritenuta fondazione di Diomede anche Siponto che dista da Salapia circa 140 stadi, e veniva chiamata con nome greco  Sepius per via delle seppie sbalzate qui dalle onde”. A tale proposito la storiografia recente afferma che il nome Siponto, non è altro che la grecizzazione di un toponimo indigeno la cui radice indoeuropea sap/sep, rimanderebbe alla natura lacustre/palustre del  paesaggio geografico. 

L'accostamento di Siponto all'eroe greco Diomede, come abbiamo visto, è in rapporto ad una lunga e complessa tradizione mitografica, che vuole Diomede fondatore di diverse città nell'Italia meridionale. Infatti la tradizione antica ricorda che Diomede fu fondatore di città come  Elpia, Canusium, Venusia, Sipontum, Brundisium  in Puglia, di  Beneventum, Aequum Tuticum, Venusium, Lanuvium  tra la Campania e il Lazio, ed infine  Spina  nell’Adriatico. La fondazione di Siponto è messa in rapporto con la fondazione di  Argyrippa, il centro dauno che aveva  preso la sua denominazione da  Argos Ippion, in ricordo della  patria diomedea,  Argo "ferace di cavalli". Siponto  veniva così ad essere il porto naturale di Argyrippa, denominata, in seguito, in età romana,  Arpi, diventando così un centro fiorente di traffici, proprio per la sua vicinanza al mare.        

La presenza di un culto di Diana a Siponto si inquadra nel processo di romanizzazione che la città subì già dal III secolo a. C., e che vide progressivamente decadere la civiltà daunia, che era stata fiorente fino a tutto il IV secolo.  Del resto, il territorio di Siponto è stato al centro di importanti ritrovamenti archeologici avvenuti in questi ultimi anni, e precisamente la scoperta delle stele daunie, che sono le uniche testimonianze di popolazioni indoeuropee, vissute su suolo italico fra la fine del X secolo e il VI secolo inoltrato. Scoperta che ha rivoluzionato in un certo qual modo la geografia storica dell'Italia meridionale, facendo della Puglia settentrionale  e quindi della Daunia, una delle terre più interessanti per quanto riguarda la storia dei primi popoli italici. Ne sono testimonianze, come abbiamo più volte ribadito,  i vari centri urbani della Daunia,  Siponto, Arpi, Canosa, Salapia, Vieste, Matinum,   ricchi di substrati mitologici che si rifanno alla cultura preomerica e classica.

Fra gli eroi greci Ercole ha avuto una grande considerazione, tanto che gli furono dedicati numerosi templi in tutto il mondo greco e anche nella nostra penisola. Infatti segni del suo culto si trovano in tutto il territorio italiano, al nord, al centro e al sud. Anzi vi sono alcuni centri, fra cui Palo del Colle, in provincia in Bari, in cui gli abitanti si sono vantati di essere "figli di Ercole". Infatti conservano la sua effigie, anche dopo che vennero costruite chiese cristiane, fra cui la chiesa madre, la Cattedrale, dove in alto campeggiava una statua di Ercole, sotto il rosone circolare, simbolo della fortuna e della sorte che regge il mondo. Inoltre molto diffuso era il suo culto a Taranto, dove, probabilmente, giunse, non tanto con i Greci, quanto già con le migrazioni degli Illiri, che possedevano già il culto di Ercole. Infatti, tracce della leggenda di Eracle ritroviamo presso le popolazioni della penisola salentina, dove sono rimaste celebri alcune sue imprese, fra cui la cacciata dei Giganti Leuterni, che Eracle, dopo averli cacciati dai Campi Flegrei, aveva fatto sprofondare in quelle località. Si diceva, inoltre, che lo stesso Brento, fondatore di Brindisi, era considerato figlio di Eracle e di Balezia, l'eponima di Balezio. Infine tracce del suo culto si trovano nei pressi di Siri, dove il figlio di Giove e di Alcmena aveva accoppato a pugni un indovino che, secondo Licofrone, si chiamava Calcante.  Non lungi da lì, vicino a Pandosia, si mostravano le impronte dei piedi dell'eroe, che era proibito calpestare.

Le  gesta di Eracle trovano una vasta eco in opere di Strabone, Virgilio, Livio, Diodoro Siculo, Procopio, Luciano, Erodoto. Singolare è il racconto di Strabone riguardante l'episodio del rapimento dei buoi di Gerione, con cui si collega la leggenda italiana di Eracle, ancora prima dell'arrivo dei Greci in Italia. Secondo la leggenda, Eracle avrebbe spinto le mandrie di Gerione dall'Iberia (Spagna) fin verso la Gallia, attraversando le Alpi e giungendo in Liguria e poi in Etruria.  In questa regione dell'Italia centrale, Eracle si fermò sulle rive del Tevere, sotto l'Aventino. Mentre dormiva, Caco tentò di rapirgli gli esemplari più belli della mandria, trascinandoli a ritroso per la coda fino al suo covo; ma fu ucciso da Eracle, il quale, in segno di ringraziamento al suo padre divino, innalzò nei pressi della futura Porta Trigemina l'altare di Iupiter Inventor (Giove Ritrovatore). Questo episodio, come vedremo in seguito, avrà un rapporto simbolico con la leggenda di Gargano e di S. Michele, il cui culto sorgerà grazie all'episodio del ritrovamento del toro, di cui era proprietario un certo signore chiamato Gargano.

Tracce del culto di Ercole sono state trovate nella piana di Manfredonia, e precisamente nella località detta di Colafico, dove è stata scoperto, nel 1963, un bassorilievo raffigurante l'immagine di Ercole. Recentemente  anche nella piana di Macchia. A tale proposito bisogna dire che il culto di Ercole era molto diffuso lungo le strade della transumanza, su cui venivano condotte le mandrie di buoi provenienti dagli Abruzzi e dirette in Puglia.

Infatti, percorrendo i tratturi, diretti per la maggior parte in Puglia e quindi anche nella piana di Siponto, si incontrano numerose cappelle o chiese rurali, testimonianze delle pratiche devozionali dei pastori. Molte di queste  chiese, generalmente, sono sorte su templi sacri dedicati  ad Ercole, il quale costituiva la divinità principale o titolare del mondo pastorale meridionale. Culto che risulta senz'altro anteriore alla romanizzazione. A tale proposito al punto più elevato dell'abitato di  Teanum Apulum, il Coppa Mengoni ha recentemente riconosciuto un luogo di culto dedicato ad Ercole, certamente frequentato durante gli ultimi secoli dell'era volgare".  Tracce del culto erculeo troviamo anche a  Larinum, noto centro di allevamento transumante nella valle del Biferno, e più oltre, al passaggio del fiume Sangro, un piccolo santuario  rurale, di attribuzione incerta, nella contrada Passo Porcari presso Atessa.  Inoltre il culto di Ercole è anche attestato presso la città de L'Aquila. Anche nella Daunia troviamo il culto di Ercole, e precisamente a Lucera (Luceria), al passo dei Monti della Daunia vicino Volturara Appula, nella valle del Tappino a Campodipietra, al passo verso la valle del Biferno a Ripalimosani e Roccaspromonte e tra il Trigno e il Sangro. Si è potuto constatare che  molti templi dedicati ad Ercole, con lo sviluppo e la diffusione del cristianesimo, siano stati successivamente dedicati all'Arcangelo Michele, forse per una somiglianza di funzioni iconografiche ed iconologiche. Infatti, l'Arcangelo Michele sovrintende non solo alla protezione dei pastori, ma anche delle greggi, che sono  soggette, durante il lungo viaggio della transumanza, a pericoli di ogni sorta, fra cui ruberie e assalti di bestie feroci. Così come Ercole rappresenta la forza che vince ogni male e quindi ogni pericolo proveniente dall'uomo e dagli animali, altrettanto fa l'Arcangelo Michele, difensore dei più deboli e degli oppressi, anche se, generalmente, l'uomo-pastore, nomade per necessità, esprimeva un'indole bellicosa, in  quanto, durante gli spostamenti attraverso territori ostili, doveva essere in grado di proteggere e difendere, con le armi, se stesso e il gregge; da ciò consegue l'identificazione del pastore con entità soprannaturali dalle connotazioni guerriere, come San Michele Arcangelo. Quindi, l'Arcangelo con la spada sguainata, come in precedenza Ercole, l'eroe invincibile, armato di clava, rassicurava l'animo del pastore, esorcizzando la paura dell'ignoto e simboleggiando, nel contempo, la forza della fertilità e della germinazione. Del resto, molti santuari dedicati ad Ercole, li troviamo in luoghi montani, vicino a fonti e a corsi d'acqua, caratteristiche che, come vedremo, ritroveremo nel culto di San Michele, i cui templi generalmente sorgeranno in luoghi montani, dentro caverne e grotte, dove è costante la presenza dell'acqua, simbolo rigeneratore delle forze naturali, oltre che  rappresentare la linfa vitale della "terra-madre" che, fecondata dalla pioggia proveniente dal cielo, restituisce alle creature rinnovata vitalità. Così quella stessa acqua che sgorga dalle montagne e convoglia nella grotta-santuario ha potere lustrale oltre che taumaturgico, non solo per gli uomini, ma anche per gli animali. E molte di queste grotte-santuario si trovano lungo le vie della transumanza,  le stesse che accolsero il culto di Ercole e di S. Michele, e probabilmente anche di Gargano, altro mitico eroe agreste e montano. 

È giunta alla VII edizione “Sulla Francigena al crepuscolo” con il patrocinio del Comune di Monte Sant’Angelo.

L’evento si propone di promuovere e valorizzare la cultura dei cammini, dell'accoglienza e la figura del pellegrino, esaltando le risorse storiche, artistiche, naturalistiche e gastronomiche della Via Francigena.

La partecipazione all'evento è gratuita.

Il raduno dei partecipanti è previsto alle ore 15:30 nell'atrio superiore della Basilica di San Michele a Monte Sant’Angelo. A seguire, ci affideremo alla guida che ci accompagnerà in una piacevole passeggiata nel Rione Junno per poi condurci alla chiesetta della Madonna degli Angeli.

Alle 18:00 ci sarà la consegna degli attestati alle associazioni e a coloro che si sono distinti per la valorizzazione del territorio, dei cammini e per l’accoglienza di pellegrini e viandanti.

L'evento si concluderà con il concerto musicale di Aulon Naci, compositore e pianista albanese e le sue note saranno deliziate da un "accompagnamento gastronomico”, con birra artigianale, caciocavallo impiccato e “acqua sale”

Alle 18:30 sarà anche possibile partecipare alla Santa Messa presso la Madonna degli Angeli.

Francigena al crepuscolo MSA2023

Il culto di Mitra

Dal III secolo a. C. si ha una progressiva decadenza della civiltà greca, tanto da assistere alla progressiva romanizzazione delle province e, quindi, alla scomparsa degli elementi originali della civiltà daunia. Questa progressiva decadenza si ebbe anche nei confronti dei culti e dei miti locali, per cui, assistiamo alla presenza di nuovi culti e miti provenienti dall’estremo Oriente, fra cui il culto di  Mitra, portato a Roma dalle legioni romane a partire dal I secolo d.C., per raggiungere il suo apice tra il III e il IV secolo d. C. Un culto, quello di Mitra,  che all’origine nasce  in ambiente indo-iranico, per poi essere rielaborato nel mondo romano.

Nell’antichità Mitra venne rappresentato generalmente come Sol Invictus, con un pugnale in mano, che uccide il toro; un dio nato da una roccia generatrice il 25 dicembre (solstizio d’inverno), giorno che diventerà poi il Natale di Cristo. Alla base del mitraismo, in effetti, era la credenza in un complesso sistema astrologico, in cui i pianeti e i segni zodiacali erano divinizzati e instauravano con l’uomo un rapporto di fiducia e devozione. Mitra, ereditando dal dio Sole il compito di guidare la corsa dei pianeti, era pure descritto nell’atto di far ruotare gli astri nel cielo. Quest’ordine cosmico era il risultato della sua vittoria sul toro selvaggio. La rappresentazione della tauroctonia sembra alludere al ciclo della natura, quando a primavera, sotto la costellazione del Toro, la vegetazione rinasce dopo il gelo invernale e allo stesso tempo è una metafora del processo di rigenerazione dell’anima che è alla base del culto. In realtà del mitraismo romano sono pervenute scarse notizie, oltretutto da parte di cristiani prevenuti contro quella religione. Tertulliano, uno  dei più noti padri della Chiesa del II-III secolo d. C., definisce i luoghi di culto mitraici “castra tenebrarum” (accampamenti delle tenebre, in contrapposizione ai “castra lucis” dei cristiani), evidenziando l’organizzazione dei fedeli in milizie sacre e l’oscurità degli ambienti di culto: scelta questa che veniva giudicata contraddittoria rispetto alla natura essenzialmente solare del dio. Il confronto tra Mitraismo e Cristianesimo è ritenuto molto interessante da alcuni storici, i quali sostengono che ci siano diverse somiglianze tra queste due religioni.

Per esempio, molte chiese furono costruite là dove vi era un mitreo, generalmente in una grotta, come nel caso del sincretismo religioso fra  il culto di Mitra e il culto di San Michele, con un sincretismo tale da ritenere diverse chiese orte proprio su antichi mitrei o culti pagani. Infatti fra il mitraismo e le Apparitiones Sancti Michaelis, vi sono molte somiglianze, come per esempio il tema della grotta che compare in chiese cristiane dedicate all'Arcangelo Michele, che dopo la legalizzazione del Cristianesimo, divenne il santo patrono dei soldati.

Del resto sappiamo che il culto di Mitra era presente soprattutto nella classe militare. Un sincretismo religioso fra Mitraismo e l’Apparitio che si manifesta in diverse simbologie, fra cui la tauromachia, il  simbolismo del Sol Invictus, il culto delle acque, il rito dell’Incubatio,  la stessa simbologia della Montagna, legato alla sacralità della pietra e quindi della roccia. Forme simboliche e rituali che ritroviamo anche nel culto micaelico, sorto nella seconda metà del V secolo, sulla leggenda di Gargano, che in un certo qual modo riprende la vecchia formulazione dei miti e culti pagani, di cui in altre sedi, abbiamo tentato di descrivere.

Il mito di Pilunno

Nella città di Monte Sant’Angelo, nell'attuale centro storico, dovette esistere un antico tempio dedicato a Pilunno, la cui denominazione avrebbe dato luogo al toponimo Rione Junno.

La storiografia, per la verità, ce ne parla molto poco, anche perché a tale riguardo poche sono state le ricerche archeologiche, oltre che quelle topografiche. Tuttavia l'esistenza stessa di un toponimo Junno, che caratterizza un intero quartiere, sta a denotare che qualche riferimento sicuramente storico ed archeologico doveva esserci, in quanto tale denominazione ha caratterizzato fin dalla sua origine la stessa città di Monte Sant’Angelo, allorquando, nella seconda metà del V secolo, nasceva il culto di S. Michele e quindi l'omonimo santuario, con il centro abitato.

Pilunno è considerato una divinità romana assai misteriosa, la quale passava per proteggere i neonati nelle case, contro le malefatte del demone Silvano. Il suo nome, generalmente, è unito ad altre due divinità: Intercidona e Deverra. Il primo è il dio "dei colpi di scure" contro le porte per cacciare il demone, e il secondo della scopa con cui si spazzava la soglia dopo la nascita di un bambino. Pilunno deriverebbe il suo nome da  pilon (pestello),  col quale si colpiva la porta  nella stessa occasione.  Scure, pestello e scopa passavano per simboli della coltivazione. Infatti, si diceva che Pilunno, in quanto portava il pestello (pilum), avesse insegnato agli uomini a tritare il grano, mentre suo fratello Picumno avesse insegnato la concimazione dei campi ed era detto perciò Sterquilino ed anche Stercuzio.  Secondo i mitografi, Danae, figlia di Acrisio, re di Argo, da Giove convertito in pioggia d'oro, resa madre di Perse, secondo la leggenda italica, venne in Italia, fondò Ardea, sposò Pilunno e fu madre di Dauno, progenitore di Turno. Questi, re dei Rutuli, è il principale antagonista di Enea, contro il quale combatte per istigazione di Hera e in difesa della sua candidatura alle nozze con Lavinia, figlia di re Latino, già a lui promessa prima dell'arrivo dell'eroe troiano. La sua morte è l'episodio conclusivo dell'Eneide. Nel poema il nome di Dauno è assente, per quanto concerne Diomede e l'Apulia, ma è costantemente presente nella seconda parte, in quanto Turno è presente come figlio di Dauno e Daunia gens è chiamato il suo popolo.  Secondo il  Danielino, nel suo commento ad Aen. XI, ripreso successivamente dal Giannelli, Pilunno sarebbe di stirpe illirica, padre di Dauno, il quale una volta resosi padrone della Daunia, sarebbe successivamente  emigrato nel Lazio. Secondo il Sarnelli, Danae, la quale avrebbe avuto un tempio nella città di Siponto, avrebbe sposato Pilunno, di nazionalità illirica, e sarebbe padre di Dauno. Il Tancredi riferisce che  il re Pilunno avrebbe fatto erigere sulla vetta del Monte Sacro, presso Mattinata, un tempio dedicato a Giove Dodoneo. Riportiamo le sue stesse parole: "Alla testa della pelasgica migrazione vi fu l'eroe Pilunno II, di nazione illirica, figliuolo di Pilunno I, re dell'Illiria, il quale era discendente di Evandro Saturno. Pilunno edificò nelle selve del Gargano, cantate da Silvio Italico, il tempio dedicato a Giove Dodoneo (sul monte chiamato ora Monte Sacro). Ed inventò a beneficio dei cittadini l'artificioso mulino nomato Centimolo, messo in movimento a forza di giumenti, per cui i Gentili, in rendimento di grazia, gli eressero un sontuoso tempio, oggi, rovinato, nel rione detto volgarmente "Junno".

Le iscrizioni greche all’interno della Chiesa di San Salvatore MSA

[Le iscrizioni greche all’interno della Chiesa di San Salvatore]

Pilunno fu adorato quale dio sotto il nome di Stercuzio, per la scoperta del concime e l'utile che ne deriva dalla concimazione. A tale proposito un altro scrittore garganico, il Dentice, afferma che: "Regnò Dauno, discendente di Pilumno. Introdusse l'uso delle lane in Puglia le quali, in fin del suo tempo, erano di gran traffico e se ne fanno  mercato nella valle, oggi detta di S. Oronzo". Tutto ciò  ci riporta a quell'ambiente prettamente agricolo e pastorale della Daunia, la quale viveva prevalentemente di allevamento e di pastorizia, tanto che al tempo della stessa leggenda garganica di S. Michele, l'elemento fondante del culto micaelico sarà proprio un toro,  di cui era proprietario un ricco signore del luogo, chiamato volgarmente Gargano.  Generalmente si vuole identificare il tempio di Pilunno nell'attuale chiesa di S. Salvatore in Monte Sant'Angelo, sorta a ridosso delle antiche mura cittadine, nell’omonimo Rione Junno. La critica storica purtroppo ha analizzato il monumento, cioè la Chiesa di San Salvatore,  solo da un punto di vista architettonico, collegandolo  alla presenza longobarda in terra pugliese dell'VIII-IX secolo, mentre ha del tutto tralasciato di effettuare  saggi archeologici, che potessero interessare le fondamenta. Tuttavia la presenza di numerose iscrizioni greche all'interno dell'edificio e alcune tracce di muratura di età molto antica, fanno supporre che la chiesa di San Salvatore è uno degli insediamenti più antichi della città e che la sua storia è legata, non solo alla presenza longobarda in terra meridionale, ma alla stessa nascita e fondazione  della città micaelica, che si è identificata sempre nel Rione Junno.

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