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In Daunia sono situati altri due culti, riportati da fonti greche e latine, quelli di Calcante e di Podalirio. Sulla loro localizzazione sono sorte diverse ipotesi e congetture. Ma prima di procedere ad un esame topografico della loro localizzazione,  diciamo qualcosa sulla  figura di Calcante e di Podalirio. Ciò può servire a comprendere meglio i personaggi e a capire la provenienza dei loro culti. Calcante, per lo meno quello cui si riferisce il geografico greco Strabone,  è l'indovino di Micene, il più abile del suo tempo ad interpretare il volo degli uccelli e che conosceva  meglio di tutti il passato, il presente e l'avvenire. Figlio di Testore, partecipò alla spedizione degli Achei alla guerra di Troia e per questo lo vediamo in alcuni avvenimenti riguardanti la distruzione della città, fra cui lo stesso progetto di costruire un cavallo che servisse per distruggerla. Calcante predisse che molti eroi greci non sarebbero ritornati in patria, in quanto ostacolati dall'ira di Atena, la quale volle vendicare, così, la morte di Aiace, suo protetto. Al ritorno da Troia in patria, Calcante portò con sè  alcuni eroi, fra cui Podalirio. La sua nave sbarcò sulle coste dell'Asia Minore, a Colofone, dove secondo la leggenda, avrebbe trovato un indovino superiore a lui che gli avrebbe procurato la morte.

Podalirio, invece, era considerato un bravissimo medico. Figlio di Asclepio e fratello di Macaone, per amore di Elena, si imbarca alla volta di Troia, dove mette in pratica le sue qualità di guaritore. Dopo la morte del fratello, partì da Troia e si imbarcò con Calcante alla volta di Colofone. Un oracolo gli predisse di recarsi nella regione del Chersoneso, dove, in seguito ad una tempesta, Podalirio fu salvato da un capraio, il quale lo portò dalla figlia del re, la quale era caduta dal tetto. Podalirio la curò e dopo averla sposata, fondò la città di Sirno.

Le grandi qualità divinatorie di Calcante e di guaritore di Podalirio crearono intorno a loro una grande fama, tale che la gente li considerò eroi degni di essere venerati. Fra i vari santuari sparsi in tutto il Mediterraneo, degni di nota sono quelli esistenti nella Daunia, per testimonianza di Licofrone e di Strabone.

Licofrone, nella sua opera Alessandra, vv. 1047-1055, a proposito del servo di Priamo, che riferisce le profezie di Cassandra sulle sorti funeste degli Achei, reduci dalla guerra di Troia, così scrive:

“Vicino alla falsa tomba ausone di Calcante,
polvere straniera si ammucchierà sopra le ossa
di uno dei due fratelli e a tutti quelli
che dormiranno, avvolti in pelli di pecora
sulla sua tomba per ricevere gli oracoli, darà nel sonno
responsi veridici, e sarà chiamato guaritore dai Dauni
quando essi, bagnandosi sulle acque dell’Alteno
invocheranno il soccorritore figlio di Epio
perché porti benefici agli uomini ed al gregge”.

Il personaggio che, secondo Licofrone, è sepolto in Daunia, accanto al cenotafio di Calcante, è l’eroe Podalirio qui chiamato “figlio di Epio”. Di Calcante si fa solo riferimento di una sua tomba che effettivamente non si trova nella Daunia, ma altrove.

Invece in Strabone, nella sua  Geografia, VI, III,9, si legge:

"Nella Daunia, poi, intorno al colle denominato Drion, soglionsi mostrare alcuni monumenti sacri ad eroi: l'uno di Calcante collocato proprio sul vertice, dove coloro che vanno per avere dei responsi sacrificano un ariete nero, poi si mettono a dormire sopra la pelle; un altro sacro a Podalirio trovasi al basso vicino alla radice del colle lontano dal mare cento stadi all'incirca. E da questi luoghi scorre un fiume le cui acque sono universale rimedio a tutte le malattie degli animali".

Quindi Strabone attesta la presenza di due santuari, l’uno in alto, sulla sommità del colle, dedicato a Calcante, e l’altro in basso, dedicato a Podalirio. Entrambi comunque tramandano la notizia relativa all’incubatio e all’acqua terapeutica. Più specificatamente, per quanto riguarda Strabone,  è da attribuire a Calcante il rito  mantrico, mentre a Padolario il rito iatrico, con il richiamo al fiume miracoloso. Inoltre, come abbiamo detto,  Strabone fornisce una più esatta collocazione geografica dei due luoghi sacri: l’uno sulla cima, probabilmente Monte Sant’Angelo, e quindi sulle pendici dell’altura che dice chiamasi  Drion,  e l’altro trovasi al basso vicino alla radice del colle lontano dal mare cento stadi all'incirca, probabilmente nella Vallata di Mattinata, oggi soprannominata la Valle di Carbonara, dove scorreva un fiume, Altheno,  le cui acque erano universale rimedio a tutte le malattie degli animali".

In entrambi i culti di Calcante e di Podalirio si fa riferimento al rituale dell’incubatio, una pratica molto diffusa nel mondo antico, pertinente ad un tipo di religiosità cronia, legata al culto dei morti, in cui prevale l’azione del dormire e, quindi, nel ricevere in sonno il responso degli dei. Del resto sappiamo che in Grecia, a partire del V secolo, con la diffusione del culto di Asclepio, padre di Podaliro, l’incubatio assunse forme sempre più dichiaratamente istituzionalizzate, e venne praticata nei grandi santuari del dio, il più famoso quello di Epidauro. Il rito dell’incubatio, presente sia nel culto di Calcante che di Podalirio, consisteva nel dormire durante la notte nella grotta avvolti in una pelle di animale, per ricevere in sonno i responsi alle proprie domande. Mentre nel tempio di Calcante, attraverso il rito dell’incubatio, si ponevano domande per conoscere il futuro, invece nel tempio di Podalirio si chiedevano spiegazioni sulle malattie, per avere indicazioni di guarigione. Quindi i due templi dovevano completarsi, essere complemento l’uno dell’altro, dividendosi settori specifici. La funzione del fiumicello Altheno, presente nella Valle di Carbonara, per quanto riguarda il culto di Podalirio, era indicativo sia per la guarigione delle persone, che degli animali. Del resto ci troviamo presso delle popolazioni dedite prevalentemente alla pastorizia, dove le greggi avevano una funzione di vita e di morte per il benessere della gente del posto.

La presenza del culto di Calcante e di Podalirio, così come di tanti altri culti che abbiamo citato, deve essere collegata al fenomeno dell’emigrazione di vari popoli provenienti dall’Oriente, fra cui i Dauni, che in seguito daranno origine alla civiltà daunia, che si caratterizzerà, dal IX al IV secolo a. C., attraverso un ricco patrimonio artistico, fra cui la ceramica daunia e le stele daunie. Il rito dell’incubatio, lo troviamo anche nel sincretismo religioso riferito al culto micaelico, allorquando, si fa riferimento che nella grotta di San Michele era uso dormire la notte per avere dei responsi da parte della divinità al fine della guarigione dei propri mali. Del resto è a tutti noto che fra paganesimo e cristianesimo c’è stato un processo di sincretismo, tanto da creare una evidente continuità fra le due religioni, specie per quanto riguarda alcuni aspetti della ritualità e della simbologia. Inoltre si è propensi a riconoscere anche una certa continuità riguardante l’ubicazione di alcuni culti o luoghi dal paganesimo al cristianesimo. Fra questi dobbiamo annoverare il luogo stesso del culto di San Michele, un tempo sede del culto di Calcante, così come il culto di Padalirio nella Valle di Carbonara in territorio sempre di Monte Sant’Angelo. Del resto il ritrovamento di alcune monete romane di Marco Aurelio, segnalate dal Quitadamo, durante gli scavi del 1950,  attesta che in età tardoantica l’area si organizzava in grotte disposte su quote diverse probabilmente sorte già in relazione ad un culto cristiano e forse sul luogo di un culto pagano. Così come molte analogie le ritroviamo fra la figura di San Michele e quelle pagane. Infatti il San Michele con la bilancia deriverebbe dalla dea pagana Osiride, il cui culto era molto diffuso, al tempo dei Longobardi, nel beneventano. Osiride, insieme a Iside, ebbe sempre la bilancia, che aveva la funzione di giudicare le anime. I beneventani longobardi, allorquando vennero a contatto con il culto di San Michele, nel VI-VII secolo d. C., trasferirono a San Michele la funzione di giudicare le anime, cioè diventò pychopompos.  Aspetti cultuali e analogie fra culti pagani e culto cristiano che ritroviamo anche per quanto riguarda a distanza di secoli nel culto di San Michele: si pensi soprattutto alle proprietà terapeutiche e miracolose dell’acqua che sgorgava dalla roccia della grotta micaelica, la quale, secondo il Liber de apparitione,  dà la sanità post longas faebrium flammans.  Così come la simbologia della Montagna, che ritroviamo identica nella fondazione di santuari  dedicati a San Michele in tutta Europa. E fra questi il Mausoleo di Adriano a Roma, ribattezzato Castel Sant’Angelo, la Sacra di San Michele sul Monte Pirichiano a Torino in Valle di Susa, Mont Saint-Michel in Normandia in Francia, la Chiesa di San Michel a Bruxelles e così via. Insomma una miriade di santuari e chiese dedicate all’Arcangelo Michele, tanto da contribuire in breve tempo alla costituzione di una fitta rete di camminamenti o itinerari sacri legati al culto micaelico, che oggi conosciamo come Vie Micaeliche o Vie dell’Angelo.

Il mito di Dauno

Fra i vari personaggi che giunsero in Puglia, verso la fine del II millennio, dobbiamo annoverare il re Dauno, il quale occupò  la parte nord della regione, i cui territori nell'antichità comprendevano oltre che l'attuale provincia di Foggia, compreso il Gargano, una porzione della provincia di Bari, che andava da Canosa a Ruvo e a Minervino Murge, verso l'interno; infine il Melfese, con i centri intorno a Melfi, Lavello e più a sud, Banzi.  Sulle origini di questo mitico re eponimo dei Dauni, noto ai nostri testi antichi a partire già del VII secolo a. C., le fonti riportano due diverse tradizioni: una è riferita da Antonio Liberale, ma risale al poeta Nicandro, in cui Dauno (dalla radice illirica “dhaun”  che, per estensione semantica del suo significato proprio, “strangolare”, indica il “lupo”, denominazione assai diffusa in ambito greco ed italico,  che ci riporta ad un animale totemico, appunto il lupo),  è considerato figlio dell’antichissimo re arcade Licaone, e quindi collocato in un orizzonte cronologico mitico anteriore a quello di Diomede e degli eroi della guerra di Troia. L’altra tradizione si deve all’epitome di Paolo Diacono, dell’opera di Festo, in cui Dauno, illustre esponente della stirpe illirica,  e coevo di Diomede,  abbandonata la patria a causa di una guerra civile, si insediò nella regione degli Iapigi. Un’altra tradizione, attestata in Solino, considera, invece, i Dauni, discendenti di uno sconosciuto figlio di Minosse, Cleolao, che, di ritorno dall’assedio di Camico in Sicilia,  furono gettati da una tempesta sulle coste della Iapigia. Qui si stanziarono definitivamente e fondarono la città di Uria, trasformandosi, così, da Cretesi in Iapigi e da isolani in continentali.

Secondo la tradizione,  Dauno avrebbe allargato il suo regno verso ovest, lungo le valli più agevoli, oltre Bovino, per poi occupare il territorio di Benevento ed espandersi verso la Lucania. Il re Dauno, per assoggettare l'intera regione, dovette far guerra alle popolazioni indigene, restie ad accettare una nuova dominazione. Durante tali guerre si ebbe l’arrivo dell’eroe greco Diomede, a cui venne promesso la propria figlia  a patto che lo aiutasse nella guerra contro i Messapi. Purtroppo, come sappiamo, tutto andò male, e Diomede venne ucciso da Dauno.   

I Dauni

Stele Daunia

[Stele Daunia]

In genere i Dauni, come gli Iapigi, all'inizio della fase emigratoria,  occuparono le terre, con lo scopo di razziare tutto ciò che incontravano. Successivamente, una volta stabilitisi sul territorio, dovettero ricostruire le antiche borgate, cingendole di poderose mura di difesa, formate da pietrame, come nel caso di Monte Saraceno, oppure circondate da difese naturali, come nel caso di Salapia, con le sue lagune marine. Se nella prima fase emigratoria detta "pannonico-balcanica" abbiamo la sola presenza della tribù degli Iapigi, nella seconda fase abbiamo la presenza della tribù dei Liburni, che si stanziarono prevalentemente nella zona di Cupola, in territorio sipontino, dove abbiamo trovato strette affinità strutturali con quelle  liburniche.

La civiltà daunia raggiunge il suo massimo sviluppo nel VI secolo, allorquando  l'intera subregione presenta una sua unità culturale manifestatasi specialmente  sul piano della produzione artistica, oltre che culturale e religiosa. Della prima forma culturale fanno parte i prodotti in ceramica, il cui stile viene detto  "geometrico dauno". Tale produzione prende le mosse dal protogeometrico japigio della fine del II millennio a. C., influenzato dai modelli elaborati in area ellenica e transadriatica, per poi evolversi nell’età del Ferro sino a tutto il IV secolo a. C., secondo linee e modelli autonomi conquistando, attraverso le esportazioni particolarmente attive tra l’VIII e il VI secolo a. C., il gusto dei mercati stranieri ed in modo particolare quello illirico, tanto da contribuire in maniera notevole  alla floridezza della regione. La sua produzione, prevalentemente in ceramica daunia,  è attestata in numerose località daunie, fra cui Coppa Nevigata, Monte Saraceno, Punta Manaccore, Ordona, Arpi, Salapia, Cupola. Secondo il De Juliis, quest’ampia documentazione ha messo in luce l’esistenza di una sostanziale differenziazione, già dall’inizio dell’VIII sec. a. C., fra il geometrico Japigio dell’area meridionale e quello della Daunia, dando origine così prima al geometrico protodaunio e poi alla ceramica geometrica dauna dell’VIII-IV secolo a. C. I centri di maggiore diffusione di questo ultimo periodo geometrico sarebbero stati Herdonia, Ascoli e Canosa con diffusione verso il Gargano. Le ceramiche, insieme a vasi di bronzo, monili di metallo, pasta vitrea e ambra, provengono dalle tombe che numerose si trovano nella Daunia. (700-550 a. C.); Daunio II (550-400 a. C.); Daunio III (400-300 a. C.).

Una posizione di primo piano nell’ambito della cultura protostorica occupano le stele daunie, legate, a livello generale, alla stessa produzione scultorea in pietra, le cui testimonianze, rinvenute in tutti i principali centri dauni, dal Gargano al Tavoliere, sia sulla costa che nelle aree più interne al Melfese, costituiscono l’espressione maggiormente rappresentativa della creatività e dell’originalità dell’ethnos indigeno. Secondo M. L. Nava, il fenomeno, che appare profondamente radicato nella cultura espressiva dei Dauni, si manifesta in pieno durante le fasi centrali dell’età del Ferro, ma affonda le proprie origini nelle epoche precedenti, contribuendo ad attestare l’evoluzione che, senza palesi soluzioni di continuità, contraddistingue il progresso culturale di questa popolazione durante le età dei metalli. La presenza di scultura in pietra è documentata in Daunia a partire dagli albori dell’età del Bronzo, ed essa trova corrispondenza nei monumenti antropomorfi di Castelluccio dei Sauri, nonché in diverse regioni del Mediterraneo, dalle coste orientali sino alla Spagna.

La diffusione delle stele daunie, in territorio di Siponto, nonché  nella vicina Salapia, là dove Strabone (VI, 3, 9, 284) colloca la laguna costiera aperta verso il mare, sui cui dossi emersi si insediavano le strutture abitative e sepolcrali riferibili alle due città indigene,  si ha maggiormente tra il VII e il VI secolo a. C. Il loro ritrovamento ha fatto sorgere diversi problemi riguardanti l’origine stessa dei Dauni e il loro grado di civiltà. L’opera di rinvenimento è da ascrivere al prof.

Silvio Ferri, dell’Università di Pisa, il quale, negli anni sessanta, proprio in riferimento ad alcuni primi  rinvenimenti di stele su Monte Saraceno,  scoprì, nella zona sipontina di Beccarini, Versentino e Cupola, una ricca produzione. Le stele, più di 1500 pezzi, interi e frammentati, oggi esposte nel Museo Archeologico Nazionale di Manfredonia, rappresentano le uniche testimonianze storiche ed artistiche dei Dauni, che fino ad alcuni decenni erano del tutto sconosciuti, con alcuni sporadici riferimenti agiografici in autori greci e latini. Esse sarebbero da rapportare alla fase di maggiore sviluppo della civiltà daunia e precisamente all’VIII-VI secolo a. C., e fanno per la prima volta luce sull’esistenza dei Dauni, sulle loro credenze religiose, sui loro culti, sul loro mondo quotidiano.

La funzione di queste stele è quella funeraria, messa in relazione col culto dei morti. Generalmente esse sono costituite da una lastra rettangolare, con una testa iconica ed aniconica. Il materiale è di derivazione calcarea, tenera e friabile. La tecnica rappresentativa delle scene è quella dell’incisione. Le stele rappresentano schematicamente il defunto, abbigliato con una veste riccamente ornata ai bordi con motivi geometrici e  che giunge sino ai piedi. Su questa veste sono raffigurati armi oppure ornamenti, che indicano l’elevata classe sociale  di appartenenza del defunto.

I temi di questi “racconti per immagini” riguardano i diversi momenti dell’esistenza umana riferiti sia alla vita quotidiana che ad azioni cultuali e al mondo religioso. Si notano scene di colloqui, di offerte, di commiato, di processioni, di banchetti, scene erotiche, di caccia, di pesca, di attività produttiva, di combattimenti a piedi e a cavallo, scene di sacrificio, nonché rappresentazioni di mostri dalle forme più strane. Il tutto con una tecnica molto forte ed espressiva. Da un punto di vista iconologico le stele sono il risultato esclusivo della spiritualità più pura ed originale della cultura dei Dauni, in cui viene portato a compimento il processo di eroizzazione e divinizzazione già iniziato con le sculture di Castelluccio dei Sauri e proseguito con quelle di Monte Saraceno. Inoltre le stele costituiscono il mezzo attraverso il quale il ceto dominante della Daunia manifesta il proprio potere e la propria eminenza su tutti gli altri popoli della Puglia settentrionale. Infatti con le immagini monumentali l’oligarchia daunia si rappresenta al massimo della propria potenza, con le insegne di status che esprimono un dominio sia sociale che intellettuale e religioso. Tutto ciò si manifesta soprattutto fra l’VIII e il VII secolo. Ma allorché nel corso del VI e del V secolo inizia il declino della civiltà daunia, e si affacciano sulla scena politica nuove istanze provenienti dal mondo magno-greco e italico,  le stele iniziano a svuotarsi di contenuti e di valori.

Testa iconica Monte Saraceno Mattinata

[Testa iconica Monte Saraceno - Mattinata]

Da parte mia ho voluto far rivivere la civiltà daunia attraverso la riproduzione della ceramica daunia dell’artista Angela Quitadamo, le cui opere oggi sono esposte nel Museo Archeologico ubicato nel Castello di Monte Sant’Angelo. Un omaggio ad un’artista e a una civiltà, quella daunia, che sta alle origini della nostra identità culturale, che è quella legata all’Europa, sorta sui grandi itinerari della fede, attraverso l’Homo Viator, alla ricerca della Montagna Sacra.

Mercoledì 19 luglio 2023,  alle 17.00, è stato inaugurato il nuovo Museo Archeologico Nazionale di Mattinata “Matteo Sansone”, che fa parte dei Musei di Puglia.

All'evento hanno preso parte il Prof. Massimo Osanna, Direttore Generale Musei, il Dott. Michele Bisceglia, Sindaco di Mattinata, il Dott. Luca Mercuri, coordinatore generale del progetto. l'Arch. Francesco Longobardi, delegato alla Direzione Regionale Musei Puglia, l'Arch. Anita Guarnieri, Soprintendente Archeologia Belle Arti e Paesaggio per le Province di Barletta – Andria - Trani e Foggia, Matteo Sansone, rappresentante della famiglia donatrice.

Grande attesa per la visita e l'intervento del Prof. Vittorio Sgarbi, Sottosegretario di Stato alla cultura, cha ha ammirato le collezioni esposte, commentando «I musei costituiscono l’identità culturale del nostro paese e ne rivelano la storia e le testimonianze di civiltà passate. Ma devono anche essere luoghi di vitalità culturale attraverso il dialogo tra passato e presente».

La collezione “Matteo Sansone” donata allo Stato italiano (12 agosto 2022) è costituita da oltre 2500 reperti ceramici, metallici, litici, numismatici, provenienti in massima parte dalla provincia di Foggia, in particolare dal Gargano e dall’area della piana del Tavoliere, che rimandano soprattutto alla locale cultura dei Dauni, cui appartiene anche un nucleo di frammenti di stele, alcuni provenienti dal promontorio di Monte Saraceno.

La Direzione regionale Musei Puglia, in accordo con la Direzione Generale Musei e in collaborazione con la Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per le province di Barletta-Andria-Trani e Foggia, ha curato i lavori di riallestimento dello storico Museo civico, riorganizzando e riqualificando gli spazi del percorso di visita anche in chiave accessibile.

L’esposizione racconta attraverso i reperti della collezione lo sviluppo della civiltà dei Dauni, valorizzando laddove possibile i contesti di provenienza indicati nella documentazione di vincolo e mettendo in evidenza i contatti e le relazioni con l’esterno che hanno nel tempo caratterizzato o modificato usi e comportamenti dell’antica popolazione italica.

La prima sezione “La collezione e il territorio della Daunia. Il Gargano e la Piana del Tavoliere” è dedicata al sito di Monte Saraceno, contesto fortemente identitario per il territorio da cui provengono alcuni materiali della collezione, tra cui i cosiddetti scudi litici con sostegno a colonnetta usati come segnacoli funerari delle tombe. La sezione è arricchita da altri reperti litici finora conservati nel Museo archeologico nazionale di Manfredonia e nei depositi della Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio delle province della Bat e di Foggia.

La sezione 2 è dedicata alle note stele daunie, che riproducono schematicamente il defunto con la sua veste funeraria, riccamente decorata con gioielli personali, ornamenti o armi, e che costituiscono l’espressione artistica più caratteristica e originale dell’antico popolo dei Dauni.

La sezione 3 La Daunia e l’Adriatico, racconta attraverso i reperti della collezione i rapporti che i Dauni, già a partire dall’età del Bronzo finale, iniziano a intrattenere con la costa dalmata e l’area balcanica. Queste relazioni sono confermate da alcuni oggetti in bronzo, come le fibule a occhiali di ambiente adriatico, e dalla presenza della nota ceramica geometrica daunia su entrambe le coste adriatiche. All’Adriatico è legata anche la particolare diffusione di ambra tra le varie popolazioni italiche, soprattutto durante la tarda età del Ferro e nel periodo orientalizzante, quando emergono alcuni gruppi familiari aristocratici che iniziano ad assumere un ruolo di prestigio. Nella fase successiva le ambre figurate sono particolarmente diffuse in Daunia. Fanno parte della collezione Sansone alcune ambre provenienti da Monte Tabor e dall’area garganica, di particolare raffinatezza e pregio.

La collezione comprende inoltre una ricchissima raccolta di ceramica geometrica daunia con forme in parte provenienti dai tre centri di produzione conosciuti (Canosa, Ascoli Satriano e Ordona) esposte nella sezione 4 La produzione ceramica in Daunia. Nella stessa sezione ci sono due approfondimenti, uno sui vasi a figure rosse della collezione, prodotti nelle botteghe dei ceramografi apuli nella seconda metà del IV secolo a.C. ad imitazione della ceramica greca e l’altro sulle terrecotte architettoniche daunie provenienti da centri del territorio (Arpi, Lucera, Ascoli Satriano, Salapia, Cupola).

Per i secoli dal IV al III a.C., nella sezione 5 “La Daunia in età ellenistica”, i cambiamenti della società daunia sono raccontati attraverso la presenza di nuove produzioni ceramiche, a vernice nera, sovraddipinta monocroma, Gnathia, geometrico-floreale, policroma, che mostrano un’epoca di vitalità delle produzioni artigianali grazie alle influenze ellenistiche.

La presenza di un frammento di terracotta con iscrizione osca ha consentito di creare un approfondimento su questa scrittura che si sviluppa a partire dal IV sec. a.C. in funzione di scrittura “nazionale” dei popoli italici, diffusa tra i moderni Lazio, Campania, Molise e nella Capitanata fino al I secolo a.C. Nell’ultima sezione La Daunia in età romana vengono presentati alcuni reperti provenienti dalla villa romana di Agnuli (Mattinata).

La figura di Don Giuseppe Antonio Azzarone, arciprete

Figura non solo di rilievo spirituale ma anche di spicco nella vicenda politica, economica e culturale dell’epoca fu l’Arciprete Don Giuseppe Antonio Azzarone (1871-1909). Aveva ereditato la passione per l’archeologia da uno zio materno, il canonico Tomaiuolo, coltivandola ancora di più dopo il suo arrivo, giovanissimo, nella Parrocchia di Mattinata.

Le perlustrazioni nelle campagne lo portarono a comprendere l’antichità e l’importanza di località come Monte Saraceno e Agnuli e lo spinsero a formare una considerevole raccolta. A Monte Saraceno, osservando i contadini che svuotavano le chiote (le sepolture protostoriche) per mettere a dimora nella fossa già scavata nella roccia qualche arbusto di mandorlo o qualche iammetta, o piantone di ulivo giovane, si accorse per primo come queste buche fossero vere e proprie miniere di reperti.

Meta altrettanto cara era per Azzarone la contrada Agnuli, con le vestigia di quella che lui riteneva fosse la città romana di Matinum, sommersa dal mare, di cui restavano alcune rovine di abitazioni, oggi note per essere quanto resta di una villa romana.

La collezione dell’Azzarone andò dispersa, dopo la sua morte, tranne un nucleo di centinaia di esemplari toccati ad un nipote, Michele Azzarone e a Diego Azzarone di Monte Sant’Angelo.

La figura di Matteo Sansone, lo speziale

Il farmacista di Mattinata Matteo Sansone, il noto “speziale” (1916-1992), la cui collezione è considerata una fra le più importanti raccolte private della Puglia, sia per la quantità di materiali che per interesse scientifico che riveste, venne allevato, poiché orfano di padre, da uno zio che aveva ereditato la collezione da monsignor Azzarone, sviluppando un forte attaccamento per le antichità e per il proprio territorio.

La raccolta si è dunque venuta formando in varie epoche e in diverse occasioni e la sua grande popolarità si deve non solo al pregio del materiale archeologico di provenienza prevalentemente locale, ma soprattutto alla singolare collocazione all’interno della Farmacia di famiglia e al peculiare carattere antiquario.

La passione e l’esperienza maturata dal Sansone nel corso degli anni, di cui ne è un esempio la partecipazione agli scavi presso la basilica di Santa Maria di Siponto nel 1935, era ben nota agli studiosi del suo tempo, come dimostrano la nomina ad Ispettore Onorario per le Antichità e Belle Arti per nomina del Soprintendente Bartoccini e la collaborazione con i membri della Missione Archeologica Garganica del dopoguerra (Cleto Corrain, Ferrante Rittatore Vonwiller, Silvio Ferri).

Con queste motivazioni, nel 1990, la collezione veniva dichiarata “di eccezionale interesse artistico, storico e archeologico” (D.M. 27 luglio 1990) e il 12 agosto 2022 veniva donata allo Stato italiano per volontà degli eredi Sansone e come lo stesso Matteo Sansone desiderava.

Pur essendo frutto dell’ampio fenomeno del collezionismo, attraverso i reperti della collezione, che mostrano un forte collegamento con il territorio, è possibile ripercorre la storia della Daunia e del popolo che occupò i territori della vasta area comprendente la Puglia settentrionale e l’area del Melfese, in Basilicata.

 

«L’idea nasce dopo la visita di un turista tedesco, venuto a Lucera esclusivamente per fotografare l’importantissima testa di Moro custodita nel Museo civico Giuseppe Fiorelli», quanto espresso dal Gruppo Fai di Lucera.

Per curiosità, in quanti conoscono la Testa di Moro?

Immaginiamo un turista o un residente passeggiare per le vie del centro federiciano, candidato a Capitale della Cultura Italiana 2026, e chiedersi: «Bellissima opera. Non l’avevo mai vista. Dove si trova?»

Ebbene, la risposta è che per tutto il mese di agosto la testa di Moro, i quadri di Ar, i tesori della Diocesi saranno esposti nelle varie attività commerciali del centro storico federiciano.

Parafrasando un vecchio detto “Se non sarete voi ad andare al museo, sarà il museo a venire da voi”.

L’evento è stato realizzato con la preziosa collaborazione dei commercianti locali, dell’artista della fotografia Italiana e internazionale “Raffaele Battista”, il Ministero della Cultura-Soprintendenza Archeologica Belle Arti e Paesaggio per le Province di Barletta-Andria-Trani e Foggia, il Comune di Lucera e la Diocesi di Lucera-Troia.

È trascorso più di un anno (era il 07 maggio 2022) da quando il prof. Giuliano Volpe ha intrapreso la pacifica battaglia, tra l'altro sostentuta mediaticamente anche da questa testata giornalistica indipendente,  per liberalizzare le immagini per uso non commerciale del nostro patrimonio dei Beni Culturali. Una legge proposta dall’attuale Ministro Sangiuliano. Nel frattempo il “grido di dolore” si fa sempre più forte, a margine anche della non discussione delle due richieste fatte da un folto gruppo di docenti universitari nell’ambito artistico-storico-culturale.

«Un consiglio impossibilitato ad affrontare le questioni importanti come il pagamento delle immagini dei beni culturali: così il ministro Sangiuliano ha ridotto il principale organò consultivo del ministero» ha esordito il prof. Volpe che congiuntamente ad altri suoi colleghi ha inviato una “lettera Aperta” al Presidente del Consiglio Superiore per i beni culturali e paesaggistici.

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LETTERA APERTA

al Presidente del Consiglio Superiore per i beni culturali e paesaggistici prof. Gerardo Villanacci

e.p.c.    All’On. Ministro della Cultura dott. Gennaro Sangiuliano

Al Capo di Gabinetto Cons. Francesco Gilioli

Al Segretario Generale Dott. Mario Turetta

Alla Vice Presidente del Consiglio Superiore per i beni culturali e paesaggistici Arch. Carla Di Francesco

Ai Componenti il Consiglio Superiore per i beni culturali e paesaggistici

«Egregio Presidente,

dobbiamo prendere atto con dispiacere che anche nella convocazione del giorno 6 luglio non sono previsti all’ordine del giorno i due argomenti che avevamo da tempo chiesto di discutere, ovvero il DM 161 dell’11.04.2023 e il prestito dell’originale della Costituzione conservato all’Archivio Centrale dello Stato, concesso nonostante il parere negativo del Comitato Tecnico Scientifico per gli Archivi. Si tratta di questioni di carattere generale e di rilievo particolare afferenti la materia dei beni Culturali, sulle quali il Consiglio Superiore può elaborare proposte e osservazioni. Purtroppo constatiamo che, nonostante la richiesta avanzata da tutti i presidenti dei CTS, dai rappresentanti designati dalla Conferenza Unificata e dai Rappresentanti del personale, non si è ritenuto di inserirli all’ordine del giorno.

Eppure, come Lei ben sa, il decreto che ha emanato le Linee guida per la determinazione degli importi minimi dei canoni e dei corrispettivi per la concessione d’uso dei beni in consegna agli istituti e luoghi della cultura statali ha provocato un dibattito articolato e diffuso che ha visto gli interventi, in gran parte critici e preoccupati, di moltissime associazioni e personalità del mondo della cultura, oltre ad essere stato oggetto di interrogazione nella commissione cultura della Camera dei Deputati il 7 giugno ’23.

Il DM 161 tocca infatti temi centrali connessi allo studio e alla valorizzazione del nostro patrimonio culturale e alla più ampia circolazione delle conoscenze, come abbiamo avuto modo di osservare nel documento a Lei inviato il 23 maggio 2023, con cui chiedevamo di poter discutere questo tema collegialmente per poter trasmettere al Ministro alcune nostre riflessioni e proposte – alcune delle quali già avanzate nel documento sopra citato - in attuazione positiva dei compiti del Consiglio.

Con la presente confermiamo la preoccupazione che l’introduzione di tariffe nel campo del riuso e della riproduzione delle immagini, lungi dal portare i risultati attesi, produca invece strettoie in un ambito – quello della nostra eredità culturale e dell’editoria di qualità - che non soffre certo di eccesso di investimenti, ma, al contrario, di una debolezza strutturale che solo la creatività, la ricchezza della produzione culturale e un allargamento dell’accesso alle fonti della conoscenza potrebbero ridurre.

Avevamo sottolineato che nelle Riproduzioni a scopo di lucro sono state incluse anche l’“Editoria e riviste scientifiche di settore in canali commerciali online/cartacea”, penalizzando così fortemente la pubblicazione dei risultati della ricerca scientifica nei diversi campi in cui si articola il patrimonio culturale, in un momento in cui l’open access viene fortemente incentivato in tutte le comunità scientifiche.

Avevamo evidenziato le presumibili difficoltà di attuazione delle linee guida nella gestione ordinaria delle istituzioni culturali statali, dove la complessità e il costo di procedure efficaci supera di solito i limitati introiti, come esperienze precedenti hanno dimostrato (vedi l’introduzione di tariffe per le fotocopie dei libri nelle biblioteche). Ugualmente di difficile attuazione sembra anche il controllo e la verifica dei risultati, che rischia di rallentare significati vamente ogni processo, se non bloccarlo del tutto.

Analoga preoccupazione avevamo espresso sull’ Uso degli spazi, per i quali il tariffario contenuto nelle linee guida indica prezzi identici per tutta Italia tenendo conto unicamente di due fattori: 1) la classe dimensionale e 2) la classe di pregio e trascurando completamente le ben più articolate differenze fra le varie realtà locali dal nord al sud per la concessione di spazi

Nel documento avevamo proposto una modifica del DM suggerendo una interpretazione sostanziale del concetto di “scopo di lucro”, variamente interpretato nell’ordinamento giuridico italiano. Ferma restando l’opportunità di stabilire un tariffario, va restituita la discrezionalità ai dirigenti nel considerare “scopo di lucro” solo quelle iniziative rivolte a conseguire un significativo profitto o effettuate da organizzazioni con rilevanti disponibilità finanziarie. Verrebbero escluse così le riviste specialisti che, le piccole case editrici, i progetti di ricerca, i documentariartistici etc.

Altro argomento che purtroppo non sarà possibile discutere a breve riguarda il prestito dell’originale della Costituzione alla Presidenza del Senato, nonostante il parere negativo del Comitato Tecnico Scientifico per gli Archivi, alle cui argomentazioni peraltro non è stato dato alcun riscontro, malgrado una esplicita richiesta in tal senso, avanzata dal Comitato in data 5 maggio 2023. Il CTS richiamava infatti la natura del tutto speciale dell’originale conservato in ACS, di cui mai è stata prima autorizzata l’esposizione per essere l’unico originale in serito nella raccolta ufficiale delle Leggi e dei Decreti, e  quindi  una  testimonianza  giuridica  e  storica  non  destinata  alla  fruizione estemporanea, contrariamente ai due esemplari conservati presso l’Archivio storico della Camera e presso l'Archivio storico della Presidenza della Repubblica, a cui si poteva ricorrere, come già accaduto in passato. A ciò si aggiungeva la mancanza di adeguati parametri conservativi in merito agli standard espositivi.

La questione ci sembra grave sia nel merito che nel metodo: il parere e le motivazioni addotte dal massimo organo consultivo in materia, Il Comitato Tecnico Scientifico Archivi, non vengono tenute in alcuna considerazione e il dispositivo con il quale il MiC autorizza il prestito si limita a dare “atto dell’avvenuto esame della richiesta di autorizzazione al prestito da parte del Comitato tecnico scientifico per gli archivi” sottacendo il parere negativo del CTS e senza motivare il provvedimento,  in violazione dell’art.3 della legge 241/90 e della consolidata giurisprudenza in merito che ritiene che la motivazione possa non essere espressa solo quando l’iter logico che ha portato al provvedimento finale sia agevolmente desumibile dall’istruttoria amministrativa. Mette appena conto rilevare che, nel caso in questione la decisione non solo non è desumibile ma è difforme dalle risultanze dell’istruttoria.

Inoltre è stato successivamente richiesta, in data 9.6.2023 una proroga del prestito, autorizzata senza consultare in proposito il Comitato tecnico scientifico e senza tener conto della tabella dei valori igrometrici riscontrati negli ambienti dove è stata esposta la Costituzione, non corrispondenti a quelli previsti nel contratto sottoscritto con l’ACS, ma sistematicamente superiori. Nei fatti si mettono così in discussione le prerogative degli organismi di consulenza del Ministero della Cultura negando l’efficacia di pareri così autorevolmente espressi e si mettono a rischio beni culturali di altissimo valore civile e simbolico.

Animati da spirito costruttivo e dalla comune responsabilità di essere componenti del massimo organo di consulenza del Ministero, esprimiamo la nostra preoccupazione per un differimento dei tempi della discussione collegiale di questi argomenti, che rischia di rendere ininfluente il nostro apporto in materie così importanti e, più in generale, il nostro ruolo istituzionale».

Roma, 3 luglio ’23

  • Rappresentanti del personale dott.ssa Valentina Di Stefano sig. Matteo Scagliarini
  • dott. Federico Trastulli
  • dott.ssa Caterina Bon di Valsassina e Madrisio - Presidente del CTS per le belle arti prof.ssa Daniela Esposito - Presidente del CTS per il paesaggio
  • prof. Claudio Varagnoli - Presidente del CTS per l'arte e l'architettura contemporanee
  • dott.ssa Giovanna Alberta Campitelli - Presidente del CTS per i musei e l'economia della cultura dott.ssa Diana Marta Toccafondi - Presidente del CTS per gli archivi
  • dott.ssa Madel Crasta - Presidente del CTS per le biblioteche e gli istituti culturali
  • Personalità del mondo della cultura designate dalla Conferenza Unificata prof. Luigi Canetti
  • prof. arch. Nicola Martinelli

Di seguito, e cliccando sul titolo, l’intervista di Archeo Reporter al prof. Giuliano Volpe.

nota dell'Arci Nuova Gestione - Monte Sant’Angelo.

«Il giorno 30 Giugno 2023 si è svolta l'assemblea pubblica organizzata dalle associazioni promotrici, Legambiente, Arci Nuova Gestione, Lega Consumatori e Un Monte di Idee, con gli esperti che sono intervenuti in apertura, l’architetto Gianfranco Piemontese e lo storico Giuseppe Piemontese per discutere del futuro della scalinata monumentale in pietra di Monte Sant'Angelo di Via Torre Dei Giganti ed altri lavori previsti, già città Unesco, candidata a Capitale della Cultura Italiana 2025 e designata a Capitale della Cultura di Puglia per il 2024, scalinata che è interessata ad un progetto di "riqualificazione" e non di "restauro" come ci si potrebbe aspettare vista l'importanza storica dichiarata anche dagli stessi storici ed architetti presenti.

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Nei numerosi interventi da parte della popolazione quello che riteniamo mettere in risalto è di Daniele Castellazzi turista ed ingegnere dell'ufficio tecnico di San Felice Sul Panaro (Modena) che ha effettuato un pò di precisazioni sia come tecnico che come turista del quale abbiamo apprezzato sia il lato tecnico in cui incitava il comune a fare un lavoro di "restauro" e non di "ristrutturazione", perchè le parole sono importanti avendo un senso differente come lo è la "riqualificazione" termine troppo generico in cui non vi è chiarezza e sia il punto di vista turistico dove un turista si aspetta di vedere l'aspetto reale del paese e non quello "riqualificato", per cui incitava a lasciare intatti scorci che rendono l'idea al turista di quale sia la sua vera natura, essenza ed aggiungiamo la sua anima.

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La disponibilità e l'apertura alle critiche mosse dalla popolazione da parte dell'assessore ai lavori pubblici speriamo che possa essere condivisa da parte di tutta l'amministrazione nell'attuazione del progetto in cui deve essere rispettata la volontà popolare espressa durante l'assemblea al di là dei finanziamenti ottenuti che nessuno ha intenzione di bloccare, sia i lavori che i finanziamenti, a patto che vengano eseguiti come restauro ed a regola d'arte preservando e conservando sia l’aspetto architettonico che di valore storico con l’utilizzo degli stessi materiali (vedi pietra calcarea di Monte) della stessa scalinata Via Torre Dei Giganti e questo vale per tutti gli interventi previsti nella “Buffer Zone” UNESCO.

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Siamo consapevoli che se vi è la volontà politica siamo certi che si troveranno tutte le soluzioni, compresa la pietra calcarea di Monte Sant'Angelo, in modo da non deturpare e depauperare un bene culturale che viene riconosciuto tale da tutta la popolazione».

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- Monte Sant'Angelo, Scalinata di Torre dei Giganti. Non distruggetela anche storicamente

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- Monte Sant'Angelo, Scalinata di Torre dei Giganti. Parte integrante delle mura antiche

- Monte Sant'Angelo, Scalinata di Torre dei Giganti. Italia Nostra al Sindaco: «Si adottino soluzioni innovative e rispettose dell'identità territoriale»

- Monte Sant'Angelo, Scalinata di Torre dei Giganti. Non si perda un’identità. Firma la petizione

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- Monte Sant'Angelo, Scalinata di Torre dei Giganti. "Oltre le Scale", l'assemblea pubblica sulle perplessità future

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- Monte Sant'Angelo, Scalinata di Torre dei Giganti. Prof. Piemontese: «Monte senza cultura, senza la conoscenza e la valorizzazione dei Beni culturali non ha futuro»

- Monte Sant'Angelo, Scalinata di Torre dei Giganti. I riflettori restano accesi, anche nel largo Tomba di Rotari

nota di Legambiente Circolo FestambienteSud - Monte Sant’Angelo.

I cittadini contestano un progetto sbagliato che rischia di distruggere i valori culturali della capitale della cultura pugliese.

È stato grande a Monte Sant’Angelo, il successo dell'iniziativa di venerdì 30 Giugno, promossa da Arci, Un Monte di Idee, Legambiente e Lega Consumatori, sul tema del rifacimento della scalinata monumentale di via Torre dei Giganti.

La nutrita partecipazione di tante cittadine e cittadini montanari e di numerosi turisti all'evento e alla discussione che ne è scaturita, oltre a costituire elemento di soddisfazione per chi l’ha promossa è stato il primo e più forte segnale dell'esigenza dei cittadini di dire la propria in ordine agli imminenti lavori di rifacimento di piazze e strade del centro storico di Monte Sant'Angelo (buffer zone del sito UNESCO e cuore della città che nel 2014 sarà capitale della cultura di Puglia).

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A conferma che è significativamente cresciuta negli anni una rinnovata sensibilità della popolazione ai temi dell'ambiente urbano e dell'identità culturale della Città. In particolare, non si può non registrare la chiara e nettamente maggioritaria scelta dei cittadini presenti a favore della salvaguardia della pietra di Monte, sottolineata anche dagli esperti che hanno introdotto la discussione, tratto identitario insostituibile della storia di Monte Sant'Angelo, presente tanto nella scalinata di Via Torre dei Giganti, quanto nell'area circostante la 'Tomba di Rotari'.

Dalla pubblica assemblea, infatti, è palesemente e chiaramente emersa la scelta a favore di un'opera di “restauro” della scalinata con il recupero dell'intero materiale esistente, contro un'idea di sostituzione dello stesso con nuovi materiali non meglio precisati o genericamente definiti come “pietra calcarea”. Da questo punto di vista, Legambiente è costretta a evidenziare come parziali e insoddisfacenti siano apparse le risposte dell'assessore ai lavori pubblici Giovanni Vergura.

Se è vero, infatti, che quest'ultimo si è reso ampiamente disponibile al pubblico confronto, cosa di cui si è espressamente dato giusto riconoscimento, è anche vero che negli interventi dello stesso non sono mancati ampi margini di non chiarezza circa le scelte che concretamente l'amministrazione comunale porrà in essere nell’esecuzione dei lavori in parola.

Non è ancora dato comprendere, a tutt'oggi, se si è disponibili a commutare un progetto di “ristrutturazione”, quale è al momento, in un progetto di “restauro”, come noi ci auguriamo e come si sono chiaramente espressi la maggior parte degli intervenuti.

Ricordiamo che la stima che è stata effettuata dai tecnici che sono stati incaricati dell’interventi limita al solo 30% la quantità di pietra locale recuperabile per le opere di rifacimento della scalinata di Via Torre dei Giganti e dell'area antistante la 'Tomba di Rotari'' e che pertanto il 70% di essa sarà sostituita con altri materiali edili.

Legambiente contesta questa stima che, oltre che essere superficiale, è spiegabile solo perché il progetto elaborato e in cantiere è improntato a un criterio di “riqualificazione” urbana che parte dal principio del rifacimento. Se fosse un progetto di “restauro” i criteri di valutazione sarebbero completamente diversi e si tenderebbe al recupero quasi totale del materiale esistente.

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Al termine dell'assemblea è stata formulata anche la proposta dell’istituzione di un tavolo di lavoro, tra amministrazione, cittadini, associazioni e tecnici, capace di pervenire in maniera interdisciplinare alla individuazione dei corretti interventi atti a salvaguardare la pietra di Monte esistente nei manufatti oggetto delle opere di rifacimento.

Ci auguriamo che tale proposta possa venire considerata e fatta propria dall'Amministrazione Comunale, onorando il principio della partecipazione dei cittadini e dei portatori di interesse collettivo alle scelte irreversibili che riguardano il futuro della città, nell'unico interesse della salvaguardia di elementi architettonici importantissimi della Città dell'Arcangelo e della sua stessa storia.

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Così come ci auguriamo che l’amministrazione valuti attentamente la proposta di Legambiente di mettere a punto un progetto particolareggiato di restauro, prima che partano i lavori, per evitare di affidare a tecnici e maestranze destinatarie al momento di un mandato improprio, interventi delicati come quelli dei due siti succitati. Una cosa deve essere chiara: l'attenzione su questa vicenda non smetterà di essere alta e il destino della scalinata monumentale di via Torre dei Giganti e dell'area antistante la Tomba di Rotari continuerà a essere al centro dell’attenzione non solo di Legambiente, ma di tante cittadine e tanti cittadini di Monte Sant'Angelo.

Ci auguriamo che di questo si vorrà tener debito conto in una città UNESCO, finalista come Capitale italiana della Cultura per il 2025 e designata Capitale della Cultura di Puglia per il 2024.

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- Monte Sant'Angelo, Scalinata di Torre dei Giganti. Prof. Piemontese: «Monte senza cultura, senza la conoscenza e la valorizzazione dei Beni culturali non ha futuro»

L’intervento del prof. Giuseppe Piemontese all’assemblea cittadina “Oltre le scale”, dal minuto 27’:30’’, di venerdì 30 giugno, dalle ore 18:30, presso la scalinata di Via Torre dei Giganti.

«Buonasera.

Sono il prof. Giuseppe Piemontese, della Società di Storia Patria per la Puglia, chiamato in causa per spiegare l’importanza storica di questa scalinata, che non a torto si chiama Via Torre dei Giganti. Del resto anche la denominazione toponomastica sta a significare il valore di un luogo e questo valore si acquisisce non da un giorno all’altro, ma attraverso i secoli e, quindi, qualora si debba intervenire, bisogna rispettare soprattutto la storia culturale di esso, l’identità specifica del luogo. Per questo mi sento di intervenire anche perché tutto la mia vita di uomo di cultura è improntata alla conoscenza e alla valorizzazione della nostra identità storica, che significa bellezza, cultura e civiltà e noi tutti siamo i testimoni di grandi civiltà che vanno al di là della nostra esistenza, ed esse acquistano valore attraverso vari percorsi culturali di cui siamo eredi. E, oggi, in un certo qual modo, mi sento quasi defraudato quando abbiamo presentato la candidatura Monte Capitale della Cultura Italiana 2025, in quanto, secondo noi, abbiamo una storia non inferiore a quella di Agrigento, soprattutto se  riferito  alla  nostra  storia  che  affonda  le  sue  radici  nella  cultura mediterranea, la cui storia fa da ponte fra Oriente ed Occidente, specie se il tutto oggi è rapportato al conflitto in atto fra il mondo occidentale e il mondo orientale, fra l’Islam e il Cristianesimo. Per questo dobbiamo continuare a difendere e a salvaguardare ciò che i nostri padri ci hanno lasciato.

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Ritornando un po’ all’oggetto di cui sono oggi stato interpellato, noi abbiamo di fronte una realtà che affonda la propria radice nella struttura delle antiche mura, che facevano da corollario al Rione Junno e, quindi, alla città micaelica sorta intorno al Santuario di San Michele e a tutto ciò che nei secoli è stato costruito, fra cui i monumenti espressione della cultura cristiana, ma anche della cultura greco-romana, che sta a fondamento del cristianesimo.

I due punti cardinali della nostra città sono: da una parte il Santuario di San Michele e dall’altra il Castello e, infatti, da questo punto in cui sto parlando, si vedono due prospettive: il Santuario e il Castello e questa scalinata è l’elemento di congiunzione fra di essi, cioè fra il sacro e il profano e, quindi, non può essere distrutta nè creare un manufatto nuovo, anche perché da alcune foto del Novecento, su in alto della scalinata, vi era, nel 1920, una torre di vedetta che faceva parte delle antiche mura della città e che in seguito è stata distrutta per costruire alcuni ambienti del Convento dei Cappuccini e della Chiesa di San Nicolò, costruiti rispettivamente nel 1595 e nel 1601. Convento che nasce fuori le mura, in quanto generalmente i Cappuccini avevano l’abitudine di costruire i loro conventi fuori le mura della città. In questo senso l’attuale scalinata aveva il compito di collegare il Rione Junno alla città, attraverso il Castello e il Santuario di San Michele.

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Quindi, noi non possiamo snaturare quella che è stata la nostra identità, distruggendo il vecchio, cioè l’antico. Nel mio articolo citato ho detto che bisogna restaurare la scalinata attuale, intervenire attraverso nuove metodologie, affinché quello che abbiamo della scalinata rimanga e venga utilizzato attraverso nuove tecniche conservative. Questo è il mio pensiero di storico, ma anche in quanto figlio di costruttore, che non si permetteva mai di abbattere tutto, conservando ciò che poteva servire ed essere utilizzato. Questo è il compito di un uomo di cultura e questo è anche il compito della nostra tradizione culturale e la politica deve incominciare ad essere più sensibile verso il proprio passato, verso la cultura locale a cui Monte deve il proprio passato. Un passato che deve costruire il proprio futuro. Monte esiste solo perché ha una sua tradizione, una sua identità culturale che non può essere annullata, né snaturata, distrutta, perché se si distrugge l’anima di un luogo, o come affermano i Greci il Daimon o spirito del luogo, oppure come dicevano i Latini il Genius Loci, si distrugge tutto ciò che appartiene all’anima degli uomini. Noi siamo andati avanti, in questi 3 millenni di storia, da quando si svilupparono sul Gargano le civiltà pre-elleniste, fra cui la civiltà daunia, con i suoi miti e i suoi culti, fra cui i culti di Calcante, di Podalirio, di

Diomede, di Pilunno, fino a quando, nella tarda antichità, non sorse il culto di San Michele. Noi abbiamo una storia antica tramandata dai nostri progenitori e il nostro compito, caro Assessore, è quello di continuare ciò che i nostri avi, i nostri progenitori ci hanno lasciato, nel rispetto dell’ambiente, con il suo patrimonio storico-artistico, tanto da diventare esso stesso un elemento peculiare per il futuro di Monte Sant’Angelo.

Monte senza cultura, senza la conoscenza e la valorizzazione dei Beni culturali non ha futuro, per cui la politica non deve isolarsi, ma deve cercare di coinvolgere gli elementi che vivono per la bellezza e l’identità culturale di un luogo particolare e unico come quello di Monte Sant’Angelo.

Grazie».

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nota degli Attivisti di Monte Sant'Angelo appartenenti al MoVimento 5 Stelle.

Comunicato stampa pervenuto presso la nostra redazione.
Nota - Questo comunicato stampa è stato pubblicato integralmente come contributo esterno del mittente. Pertanto questo contenuto non è un articolo prodotto dalla redazione. È divulgato come Diritto di Cronaca sancito nell’art. 21 della Costituzione della Repubblica Italiana, in quanto libera manifestazione del pensiero.

«Su iniziativa di alcune associazioni locali, culturali e non, venerdì 30 giugno, dalle ore 18:30, si è tenuta presso la scalinata di Via Torre dei Giganti, un'assemblea di cittadini per dibattere sulle sorti della monumentale scalinata adiacente l'ex convento dei cappuccini che da via Garibaldi porta al castello. L’evento è stato trasmesso in diretta su Facebook.

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L' obiettivo della riunione era quello di accertare la verità su quanto si dice in giro circa i lavori che a breve interesseranno, tra l'altro, anche la predetta scalinata. Corre voce, infatti, che tale monumento sarà interamente divelto e sostituito con una "bellissima scalinata in pietra di Apricena" simile a quella realizzata qualche tempo fa proprio per migliorare l'accessibilità al convento.

Subito dopo una breve introduzione del moderatore, hanno preso la parola i vari rappresentanti delle associazioni che hanno promosso l'iniziativa i quali, ognuno a proprio modo, hanno sottolineato la necessità che venga rivisto il progetto di smantellamento della scalinata, ognuno proponendo soluzioni alternative. Ciò che è parso chiaro a tutti e che sarebbe da evitare la costruzione ex novo del manufatto in argomento.

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Ha preso, in fine, la parola l'assessore locale ai Lavori Pubblici, Giovanni Vergura, che, cogliendo di sorpresa sia gli intervenuti prima di lui sia gran parte dei presenti, ha affermato che nulla di quanto paventato fa parte del progetto approvato dall'Amministrazione comunale con l’avallo della Sovrintendenza e che è, invece, prevista una restaurazione dell'esistente con l’eliminazione degli errori che sono stati perpetrati negli anni su quella infrastruttura.

QUI IL VIDEO MESSAGGIO DELL'ASSESSORE GIOVANNI VERGURA

Perfino il moderatore ha voluto chiedere conferma all’assessore di quanto da lui affermato, questa volta però non ha ricevuto una chiara conferma per l'accavallamento di voci e brusii che hanno impedito o comunque rimandato la risposta. Si è quindi dato la parola al pubblico che con diversi interventi ha chiesto a più riprese i motivi che hanno indotto l'amministrazione a voler sostituire la scalinata e tutti ignorando quanto affermato dall'assessore che ha cominciato a prendere appunti riservandosi di dare un’unica risposta al termine del dibattito.

Particolarmente apprezzato dal pubblico l’intervento di un turista che ha voluto esprimere il proprio pensiero sia come turista sia come ingegnere, quale si è qualificato, affermando che in entrambi i casi, e ne ha spiegato le ragioni, lui era contrario allo smantellamento e favorevole al restauro.

Poi ci sono stati interventi politicizzati che hanno rovinato il dibattito. Particolarmente fuori luogo quello del padre dell'assessore, Lugi Vergura già amministratore della città, che non si è capito bene cosa o chi volesse difendere. Di sicuro, dopo aver premesso di aver lasciato da qualche tempo la politica, ha iniziato un comizio di quelli che si vedono solo alla chiusura della campagna elettorale.

Al termine ha ripreso la parola l’assessore. che ha ribadito la volontà di rispettare, come da contratto, tutte le particolarità della scalinata, compreso la sua tante volte invocata "anima", pena l'intitolazione, all' assessore, della "già via Torre de Giganti". E, citando un grande poeta: "...nui chiniam la fronte al Massimo Fattor che volle in lui creatore suo spirito più vasta orma stampar...".

In conclusione, noi attivisti di Monte Sant'Angelo, appartenenti al Movimento 5 Stelle, apprezziamo l'iniziativa delle associazioni locali e ci uniamo al grido di dolore di tutti quelli che non vogliono che la scalinata di via Torre dei Giganti venga demolita e sostituita con qualsiasi altro materiale che non sia la pietra con cui è stata costruita dai nostri avi».

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È uscito a ridosso delle celebrazioni ufficiali del Centenario delle Barricate di Parma il libro “D’Annunzio, la massoneria e le barricate di Parma” (Edizioni all’insegna del Veltro, € 18.00) di Franco Morini, che riporta la prefazione di Franco Cardini e la postfazione dello scrivente.

Ho accolto con piacere l’invito, rivoltomi dall’autore, a redigere delle considerazioni in merito alla vicenda storica oggetto del libro, che getta altra luce su quel che accadde nei primi giorni di agosto del 1922. L’avvenimento trattato viene elevato a manifesto ideologico dall’establishment di sinistra, locale e nazionale, dopo un’indebita appropriazione, da sbandierare all’occasione in odierne “battaglie” politiche.

A fine luglio del 1922, l'Alleanza del Lavoro, unione di quelli che erano i sindacati di sinistra, proclamò lo sciopero legalitario "contro le violenze fasciste" e "l'indifferenza dello Stato verso di esse". Dato che l’informazione venne fuori prima del dovuto, Mussolini riuscì ad opporre una resistenza anticipata. Inviò alle federazioni del Partito Nazionale Fascista (PNF) una circolare segreta: “Se a quarantotto ore dalla proclamazione dello sciopero il Governo non sarà riuscito a stroncarlo i fascisti provvederanno essi direttamente alla bisogna. I fascisti debbono, trascorso il suaccennato periodo delle quarantotto ore, e sempre che lo sciopero perduri, puntare sui capoluoghi delle rispettive Province e occuparli”.

È questo il contesto nazionale di allora all’interno del quale Franco Morini torna a parlare dei fatti di Parma del 1922, meglio noti come le Barricate di Parma, riportandoci nell’estate di quell’anno. Nel 1987 l’autore se ne era in parte occupato, dapprima con “Parma in camicia nera”, poi nel 1991 dando alle stampe “Squadrismo tra squadra e compasso. Dalle Barricate di Parma alla Marcia su Roma”. Da allora, sul medesimo argomento non è trapelato nulla di nuovo dalla storiografia dei vincitori. A novembre del 2022, nel Centenario delle Barricate, la città emiliana ha ospitato un convegno scientifico nazionale presso il Palazzo del Governatore, che affaccia sulla centralissima Piazza Garibaldi: due giorni, venerdì 18 e sabato 19 novembre, dedicati al tema storico. Il 19 novembre 2022 la Gazzetta di Parma riportava un resoconto del consesso, dal tono apologetico: «Quei borghi ribelli e non solo: alle origini del “caso Parma” – Barricate tra contesto locale, nazionale ed europeo». Non è emerso alcun contributo storiografico.

Si persevera nella realizzazione del progetto di una sola Storia contraddistinta da un’unica narrazione. A distanza di oltre cento anni si assiste al perpetrarsi di mistificazioni contenute in saggi spacciati per libri storici e influenzati da fonti di parte, da errori e inesattezze. Si considerino le “54 vittime di cui 41 antifascisti o a-fascisti, che vede le Barricate in città scontro finale di una battaglia che in provincia era già perduta”, citate dal rappresentante Isrec di Parma. In realtà, come riportato da Franco Morini,  risultarono cinque caduti. Sorpresi?

Nient’affatto. Dopo la fine della Seconda guerra mondiale, sono rare le voci che si sono levate per squarciare la cortina di silenzio sulla storia d’Italia, piegata troppo spesso all’ideologia di chi l’ultima guerra l’ha vinta e basata sull’esaltazione di eroi ed eroismi a senso unico. È necessario liberarsi dalle pesanti ingerenze politiche e dalla faziosità ideologica. È “la grande bugia”, come la definirebbe Giampaolo Pansa, lui che si è occupato della cosiddetta guerra di liberazione. Abbiamo ricevuto in consegna il ritratto di un pezzo importante di storia incompleto e reticente, che l’antifascismo militante ha costruito e blindato per decenni e decenni. Ciò deve valere anche per le Barricate. Nella seconda giornata del medesimo convegno, - organizzato da Isrec, Centro studi movimenti, Università e Comune di Parma – i cui dettagli sono stati riportati in un secondo articolo dalla Gazzetta di Parma del 20 novembre 2022 (“Le Barricate, quando la storia si fa letteratura e monumento – Una narrazione tra Picelli, Bertolucci, Venditti e Victor Hugo”), sono parsi curiosi i richiami a personaggi che nulla hanno a che vedere con i fatti del 1922. Dal politico Mario Tommasini al cantautore Antonello Venditti, il racconto storico assume tratti fantasiosi, da romanzo.

La documentazione fotografica, presentata al convegno del 2022 da Stefano Campagna (realizzata da Armando Amoretti, giovane socialista che viveva nel quartiere Oltretorrente nonché collaboratore dello studio Vaghi), mostrava “le immagini più di attesa che di combattimento, in cui le strade sembrano più abitate che occupate militarmente”: a testimonianza che la battaglia tra fascisti e antifascisti tanto evocata da Guido Picelli non è mai esistita. Al pari del mito resistenziale, anche quello barricadiero viene costantemente alimentato. Non mancano i tentativi di creare personaggi eroici al femminile, nonostante l’assenza di testimonianze e tracce di donne distintesi durante le giornate delle Barricate. Nel marzo del 1923 furono ritrovati dalla polizia due documenti nella casa di Ada Nicolini, una giovane donna di 20 anni, che viveva nell’Oltretorrente e, precisamente, in via d’Azeglio. Il primo riguardava una coppia di foglietti di quaderno, su cui era scritto a matita “la squadra d’azione”. La Gazzetta di Parma, in un approfondimento pubblicato il 20 novembre 2022, a firma di Margherita Becchetti e dedicato alla figura di Ada Nicolini, riportava così: «Presumibilmente le bozze di un testo che Ada scrisse per conto del gruppo di Arditi del popolo di Borgo Marodolo (di cui anche suo fratello Gino faceva parte) per ringraziare le persone che, nei giorni d’agosto, si erano date da fare per procurare viveri agli uomini in armi».

L’altro documento era un volantino che informava di una riunione tra alcune donne, il primo ottobre del 1922, che avevano pensato di fondare un circolo comunista femminile. Nessuna citazione di alcuna battaglia. Eppure la prosopopea antifascista tende a gonfiare ad arte il tutto per la creazione di un ulteriore mito: le donne delle Barricate. Nel 1982, furono registrate le “video-memorie” di chi partecipò o visse quei giorni. Quarant’anni dopo, nel 2022, in occasione del Centenario delle Barricate di Parma, quelle “Memorie magnetiche” - tale è il nome del progetto - sono state digitalizzate e rese disponibili su un canale youtube per la consultazione. Ebbene, dall’ascolto delle medesime interviste si ha la conferma che in quei giorni non accadde nulla di epico, nulla di glorioso né di straordinario: non vi fu alcuna rivolta coraggiosa dell’Oltretorrente operaio contro l’aggressione squadrista. Marco Minardi, direttore e responsabile scientifico dell’Istituto Storico della Resistenza e dell’età contemporanea per la provincia di Parma, in una intervista rilasciata il 5 agosto 2021 alla testata giornalistica on line Il Parmense, affermò che “le squadre fasciste (riversatesi su Parma) erano numerose – circa settemila uomini - e ben equipaggiate. Pochi e male armati, invece, gli Arditi del popolo”, secondo Minardi. Vi era una evidente sproporzione di forze, che rendeva impossibile qualsivoglia resistenza. Anche a tal proposito, Morini non tralascia di precisare l’effettiva forza a disposizione di Italo Balbo, con numeri ben al di sotto di quella indicata da Minardi. Su questi e altri punti controversi si apra, quindi, un dibattito scientifico che rovesci l’approccio tuttora prevalente, coincidente con la vulgata antifascista: difettano i basilari rinvii alla documentazione, l’analisi critica della pubblicistica e il confronto incrociato delle fonti. All’autore – che ben conosce la storia della sua città e del quartiere Oltretorrente, in cui abita da sempre - va riconosciuto il merito di aver ristabilito, insieme a pochi altri storici, una certa dose di obiettività, pur muovendosi tra gli stravolgimenti dei fatti storici, operati da entrambi gli schieramenti presenti in campo: sia da parte di quella capeggiata da Balbo, sia da quella antifascista con Picelli.

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